Le ragazze di Benin City

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Le ragazze di Benin City
Lo straordinario libro-verità di un’ex prostituta nigeriana
Le ragazze di Benin City
“I am covered by the blood of Jesus”. Il sangue di Gesù mi copre e mi protegge. E’ quello che si dicono le
ragazze di Benin City quando incontrano un poliziotto, facendosi il segno della croce. La paura non le lascia
mai, vivono nell’ombra e nella notte, vivono per la strada e hanno imparato tutte, sulla loro pelle, “che per la
strada girano dei tizi che si sentono giustizieri. Ce l’hanno con te perché sei donna. E nera. E puttana. E
debole”. Parola di Isoke Aikpitanyi, ora che può usare il suo vero nome, dopo che per anni si era chiamata
Izogie Ogbureme, un’altra nigeriana, morta in Sicilia, “accoltellata da un’ex guardia giurata fuori di testa”.
dentità scambiate, tanto loro sono tutte clandestine, e fanno tutte le prostitute in giro per l’Italia.
Isoke racconta la sua storia, e quella di tante altre ragazze, a Laura Maragnani, giornalista di “Panorama”. E’
una voce che arriva al lettore senza filtri e mediazioni, una narrazione personale in nome di tutte le
“sommerse”, la maggior parte, e delle poche “salvate”. Una storia “liscia e dura come un sasso”, come dice
Isoke, una storia africana, “sbagliata”, come avrebbe detto De André. Una lezione di vita. Senza lieto fine e
senza disperazione, così onesta e oggettiva da indurre all’umiltà, all’ascolto e infine al profondo, totale
rispetto.
Le ragazze di Benin City sembrano nate con un debito da pagare. Come se non meritassero davvero di
esistere in quanto tali. Nelle loro famiglie di origine c’è sempre un’assenza a cui sopperire, un’esigenza più
forte da soddisfare, una necessità a cui sottostare: devono prendersi cura degli altri perché non c’è chi si
prende cura di loro. Padri assenti, divorziati, fuggiti. Madri che cercano di fare fronte a situazioni a volte
impossibili. Fratelli piccoli da custodire, parenti ostili che vedono in te una bocca da sfamare in più, e quindi
vogliono braccia per la casa, non certo studentesse da mandare a scuola.
Questa sembra la condanna più infame: gli unici che si occupano di te sono quelli che ti chiedono qualcosa,
e se non glielo dai se lo prendono. Sono i traghettatori dei continenti, i trafficanti, i papponi, gli “italos”, nella
storia di Isoke. E poi le “maman”, le schiave diventate padrone, che danno e tolgono, unico tramite con
l’esterno. Infine i clienti, perché si finisce per vivere solo in base ai clienti. I clienti che rappresentano la più
atroce delle minacce e la speranza più rosea. Perché qualcuno, ogni tanto, si innamora davvero. E allora
forse il cerchio si spezza. Altrimenti si riproduce alla perfezione, secondo la più spietata legge della
domanda e dell’offerta. Soldi, montagne di soldi, di dollari, euro, sterline, naira. Ogni ragazza arriva in Italia
con un debito di 20-30-40mila euro. E’ il prezzo del viaggio proibito, della corruzione, dell’organizzazione. Ci
sono contratti-capestro firmati in Nigeria, ricatti sulla famiglia di origine, riti vodoun e la falsa assistenza di
quando si arriva nel paese straniero e ci si sente perdute, completamente perdute. Le ragazze di Benin City,
come tutte le prostitute, sono formidabili macchine per fare soldi. Almeno mille euro ogni dieci giorni da
restituire, il che significa minimo quattro clienti al giorno, tutti i giorni, a 25 euro a prestazione. In realtà, la
media è quasi sempre assai più alta. E i soldi non bastano mai, perché c’è da pagare l’affitto, il vitto, i vestiti,
i preservativi, e perfino il “joint”, il pezzo di marciapiede in appalto, 300 euro al mese se va bene.
“C’era la mia compagna di stanza, Susan, che a volte aveva così tanti clienti che non riusciva nemmeno più
a camminare. Allora si faceva gli sciacqui con un disinfettante che usano tutte le ragazze e che si chiama
Ditoi. Ma è un prodotto fortissimo, che brucia come il demonio”. I corpi delle ragazze di Benin City devono
subire di tutto. Gli stupri avvengono con regolarità, e in quei casi va già bene se se ne esce vivi. Occhi e
labbra tumefatte, costole spezzate, denti spaccati, crani gonfi, uteri perforati. Il grado di violenza che si
nasconde dietro il sesso a pagamento è allucinante. Bisognerebbe ricordare, come fa Isoke, “che ogni
africana stuprata è un’italiana salvata”. Ma per i maschi italiani sembra non essere abbastanza: solo lo
scorso anno, sono state un milione e 100mila le denunce per le violenze domestiche subite dalle donne
italiane. E se denunciare è già difficile per una moglie italiana, figuratevi per una prostituta nigeriana. Non
solo per la paura di ritorsioni, che quasi sempre restano impunite. Ma anche per la semplice espulsione, che
per loro significa la condanna definitiva all’infamia, una volta tornate nel paese d’origine. La quasi totalità
delle famiglie, infatti, fa finta di non sapere. Basta continuare a ricevere i soldi dall’Europa, anche per
sperperarli soltanto, senza preoccuparsi troppo del dolore immenso che ci sta dietro.
La famiglia d’origine è spesso l’unico motivo per continuare a fare una vita impossibile. Sotto forma di
assistenza ai genitori, ai fratelli e alle sorelle, qualche volta ai figli. O sotto forma di vendetta sognata, di una
ricchezza da sbattere in faccia a chi ti ha voltato le spalle, a chi ti ha portato, direttamente o indirettamente, a
battere sulle strade d’Italia. Ma quel tipo di vendetta non si compie quasi mai. Il destino di quelle che “ce la
fanno” è segnato: diventare maman a loro volta, comprarsi altre ragazze, più giovani e più deboli, da
sfruttare senza pietà. Ripetere la catena, proprio come un investimento che comincia a rendere.
E’ tanta la rabbia che brucia in fondo all’anima delle ragazze di Benin City. Insieme alla vergogna, al senso
di colpa, all’umiliazione, alla paura. Superare tutto questo non è facile. Le poche strutture esistenti sono
molto spesso del tutto inadeguate. Per aiutare una prostituta bisogna mettersi al suo livello. Ecco perché
spesso la speranza sono gli stessi clienti. Ecco perché Isoke sta creando una casa per chiunque voglia
tentare di uscire dall’incubo (che resta incubo anche quando si riempie di soldi), ma è sempre a rischio sul
piano legale.
Non si riesce a capire, o si fa finta di non capire, che negare il permesso di soggiorno, prima e più di ogni
altra cosa, condanna le ragazze di Benin City e tante altre persone a restare nell’incubo, a non svegliarsi
mai. Don Benzi l’aveva capito. Forse anche il ministro Ferrero. Sono gli unici due italiani con nome e
cognome citati nel libro. Ma Isoke Aikpitanyi ci spiega, con semplicità, che anche nell’umanità più degradata
c’è il seme del riscatto. A loro va la “Smisurata preghiera” di Fabrizio De André, la sua ultima canzone:
“Ricorda Signore questi servi disobbedienti/ alle leggi del branco/ non dimenticare il loro volto/ che dopo
tanto sbandare/ è appena giusto che la fortuna li aiuti/ come una svista/ come un’anomalia/ come una
distrazione/ come un dovere”.
Cesare Sangalli