Caporalato, ben si inizia
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Caporalato, ben si inizia
40 Martedì 15 Novembre 2016 Gruppo associazioni Cnai Il commento del presidente Cnai all’approvazione della legge Caporalato, ben si inizia Ma occhio di riguardo a imprenditori onesti di Manola Di Renzo e Matteo Sciocchetti U n buon lavoro, giusto per cominciare. Lo scorso 18 ottobre è stata finalmente approvata anche dalla Camera la legge che punta a contrastare, con maggiore efficacia, il fenomeno, tristemente, noto del cosiddetto «caporalato». «Maggiore efficacia» è la locuzione scelta perché, nei fatti, nell’ordinamento italiano, già dall’ormai lontano 2011 è delineata la specifica reità del fenomeno. Sebbene i risultati della lotta nei suoi confronti siano stati tutt’altro che soddisfacenti. «Quella del caporalato è una materia quanto mai complessa, alla sua nascita convergono cause macro e micro economiche, situazioni strutturali e residui sociologici, tali da non permettere una risoluzione facile ed immediata del problema. Perché di questo si tratta: di un problema endemico, che ha di certo il suo apice al Sud, ma riguarda anche il Nord. Un problema prima di tutto sociale e umano, dato che molti individui vengono sfruttati, sottopagati, quando non anche fatti oggetto di violenza, soprusi e ricatti. Ma rappresenta anche un problema squisitamente economico, poiché a pagare lo scotto del caporalato è in primo luogo l’area geografica su cui esso insiste, giacché impoverisce l’intero tessuto economico livellando verso il basso la retribuzione dei lavoratori; in seconda istanza, poi, la concorrenza sleale strozza tutti quegli onesti imprenditori, soprattutto del comparto agricolo ed edile, che non riescono a confrontarsi in maniera equa con chi è capace di pagare dieci ore di lavoro nei campi poche decine di euro», analizza il presidente Cnai Orazio Di Renzo Orazio Di Renzo. Poche le novità introdotte dalla legge, alcune con l’incidenza importante di alcuni sindacati noti. Come detto, fin dal 2011 il codice penale italiano riconosceva l’esistenza (e quindi la punibilità) del reato di caporalato, grazie all’articolo 603-bis nel titolo XII del Libro II; adesso tra gli indici di sfruttamento troviamo la condizione relativa alla «reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato», sottolinea il presidente Di Renzo, «credevamo di trovare riferimento all’art. 36 della Costituzione perché meglio si sposa con l’aspetto sociale e della dignità dell’uomo di questa legge, non il solito braccio teso a favorire sempre gli stessi sindacati. Addirittura non si fa riferimento a quelli comparativamente rappresentativi nel settore, agricolo naturalmente, ma a quelli più rappresentativi; tutto questo sempre per allargare il raggio di azione di pochi noti..» Tornando al periodo preriforma: «I risultati sono stati molto modesti, quasi fallimentari, se è vero, come è vero, che l’Istat, nonostante le difficoltà di confrontarsi con un dato così strettamente congiunto al mondo del sommerso, ha registrato una costante crescita del caporalato lungo il corso degli ultimi dieci anni. Sono 400 mila persone così impiegate ogni anno. Come di consueto, la mancanza di risultati nel contrasto al fenomeno, è strettamente congiunta alle procedure burocratiche e di legge. In pratica, la legge era scritta in maniera inutilmente complessa, dato che prevedeva, ad esempio, l’individuazione di una organizzata attività di intermediazione, senza però stabilire cosa intendesse per intermediazione», commenta il presidente Di Renzo. Il fatto che la legge precedente fosse in buona parte fuori bersaglio, è testimoniato dal fatto che non si comprendesse pienamente il fenomeno del caporalato. «Così, false cooperative e agenzie interinali hanno fornito la copertura pseudo legale all’intermediazione illecita, sfruttando trucchetti come quello di assumere con contratti a chiamata segnando un numero di giorni inferiore a quelli svolti nella realtà», attacca il presidente Di Renzo. Ora i nuovi 12 articoli, di cui si compone la legge approvata, rendono sanzionabili (arrivando fino alla confisca dei beni) anche i datori di lavoro consapevoli dell’origine dello sfruttamento. Quindi colpiti non più solo gli intermediari: «Bene a patto però che non si proceda in un’inutile caccia alle streghe: infatti è giusto l’attacco a tutti i gangli del fenomeno, ma è necessario un occhio attento anche all’onesta e innocente imprenditoria», ricorda ancora il presidente Di Renzo. Affinché siano corrette le mancanze della legislazione precedente la norma delinea anche fattispecie-base del fenomeno di caporalato, che esulano dalla tipologia violenta tout court. «La forma più banale di caporalato è, infatti, quella che sfrutta il lavoratore attraverso il pagamento di retribuzioni palesemente irrisorie rispetto anche a quanto sancito dai contratti collettivi di lavoro», sottolinea il presidente Di Renzo. Aggiunto nel codice anche il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro per quanto riguarda la fattispecie di delitti per i quali è prevista la confisca dei beni di cui il reo non possa dimostrare le liceità provenienza. Aggiornati anche i periodi di reclusione e le sanzioni pecuniarie. Non solo meccanismi punitivi nella legge. Tra le misure propositive c’è l’assegnazione dei proventi delle confische legate al caporalato al Fondo Antitratta (che quindi si renderà disponibile anche per le vittime del caporalato). Questo perché è rilevata un’insita correlazione tra i caporali e i nuovi schiavisti. Infine, inserito anche un potenziamento della Rete del lavoro agricolo di qualità, al fine di dare avvio ad un circolo virtuoso ed etico di produzione agricola. «Non faremo mai mancare il nostro supporto alle battaglie di civiltà, come in questo caso: è insopprimibile il bisogno di sradicare il caporalato dalle nostre realtà agricole, in particolare. I diritti e la legge non sono più derogabili per questi lavoratori sprovvisti di qualsiasi tipo di tutela, non dimentichiamoci che esistono situazioni in cui alla violenza e allo sfruttamento si aggiunge la preclusione all’accesso ad acque e servizi igienici», afferma ancora il presidente Di Renzo, «tale fenomeno non è qualcosa che si può continuare ad ignorare, perché riguarda tutti: dagli immigrati irregolari agli italiani, dagli stranieri alle famiglie del meridione e non in difficoltà». Ovviamente la natura stessa del caporalato, come detto, non permette una risoluzione definitiva, in tempi brevi e mediante una sola legge, per quanto lodevole: «Da spezzare in primo luogo è la catena di processi all’origine del meccanismo delittuoso: capire soprattutto come capovolgere la patologica relazione tra domanda e offerta di lavoro che ne è alla base. Perché se il fenomeno è sottostimato è perché in determinate porzioni di società esso è considerato una abituale e accettata intermediazione lavorativa. Gli istituti territoriali di collocamento devono riuscire a sostituire tale patologico processo. Bisogna poi evitare qualsiasi approccio meramente repressivo, puntando, anche e soprattutto, a chi delle sfruttamento beneficia: a tutti i livelli, dal piccolo imprenditore sul territorio alla grande distribuzione», conclude il presidente Di Renzo. © Riproduzione riservata Pagina a cura di Cnai - Coordinamento nazionale associazioni imprenditori Sede Nazionale Viale Abruzzo 225 - 66013 - CHIETI Tel. 0871.540093 - Fax 0871.571538 Web: www.cnai.it E-mail: [email protected]