dossier - Gruppo PDL – Berlusconi Presidente

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dossier - Gruppo PDL – Berlusconi Presidente
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TUTTO QUELLO CHE C’È DA
SAPERE SULLA BREXIT E NESSUNO
VI HA MAI DETTO
28 giugno 2016
Gruppo Parlamentare della Camera dei Deputati
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente
INDICE
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“NON CREDO CHE LA BREXIT ACCADRÀ” – Gideon Rachman sul Financial
Times
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COSA VUOLE LONDRA?
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COSA VUOLE L’UE?
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BERLINO, VERTICE A TRE “NON VA PERSO TEMPO PER LA BREXIT DI
LONDRA MA NIENTE IMPOSIZIONI”
L' ITALIA E LO SCUDO SALVABANCHE. SI PUNTA A SOSPENDERE IL BAIL IN
GIDEON RACHMAN SUL FINANCIAL TIMES
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“NON CREDO CHE LA BREXIT ACCADRÀ”
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“Tutte le tragedie prevedono un momento di scoraggiamento. Questo vale
anche per la Brexit. Abbiamo già visto questo film in precedenza e sappiamo
come va a finire: non finisce con il Regno Unito che lascia l’Europa.
Qualsiasi osservatore esperto dell’Ue dovrebbe sapere come funziona con i
risultati shock dei referendum: nel 1992 i danesi votarono per rigettare il
Trattato di Maastricht, gli irlandesi hanno votato contro il Trattato di Nizza nel
2001 e di Lisbona nel 2008 e cosa è accaduto? L’Ue è riuscita a superare lo
shock e a danesi ed irlandesi sono state fatte alcune concessioni.
GIDEON RACHMAN SUL FINANCIAL TIMES
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Hanno avuto un secondo referendum e la seconda volta hanno accettato i vari
trattati.
Perché credere dunque che la decisione britannica sia definitiva?
E’ vero che il caso britannico introduce elementi nuovi: il Regno Unito ha votato
per lasciare l’Ue non contro un Trattato; è molto più grande di Irlanda e
Danimarca e questo cambia la psicologia a livello politico; sicuramente i
principali attori della tragedia potranno pensare che, questa volta, sia per
davvero; David Cameron ha dato le sue dimissioni, così come il commissario
britannico Jonathan Hill.
Eppure ci sono segnali che indicano che il Regno Unito potrebbe dirigersi verso
un secondo referendum, invece di prendere la porta d’uscita. Del resto Boris
Johnson, che probabilmente diventerà Primo Ministro, lo aveva detto in
febbraio: “C’è un solo modo per ottenere i cambiamenti necessari. Votare per
andarsene.
GIDEON RACHMAN SUL FINANCIAL TIMES
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Tutta la storia dell’Unione europea dimostra che un popolo viene ascoltato solo
quando dice no. Rachman ricorda che Johnson ha esitato fino all’ultimo, prima
di decidere di schierarsi a favore della Brexit. Il suo obiettivo era diventare
premier, fare campagna per il leave era un mezzo per raggiungere il suo fine.
Una volta entrato al 10 di Downing Street, Johnson potrebbe cambiare
posizione sull’Unione europea.
La domanda allora è se i partner europei sarebbero pronti a giocare il gioco.
Quasi certamente sì, secondo Rachman. Dovrebbero fare concessioni sui
lavoratori, sulla libertà di movimento perché, malgrado tutta l’irritazione
attuale, i britannici sono membri importanti della Ue. Il Regno Unito è un grande
contributore al bilancio comunitario e, soprattutto, è una potenza diplomatica e
militare seria. Perdere l’accesso al mercato britannico del lavoro per l’Ue
sarebbe tanto doloroso quanto perdere l’accesso al mercato interno per il
Regno Unito. Certo ci saranno proteste e rabbia da entrambe le sponde della
Manica se ci sarà l’accordo per evitare la Brexit.
GIDEON RACHMAN SUL FINANCIAL TIMES
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C’è un campo moderato sia nel Regno Unito sia in Europa che dovrebbe essere
in grado di trovare un accordo per tenere il Regno Unito dentro l’Ue. Come
tutte le tragedie la storia della Brexit è scioccante, drammatica, ma – conclude
Raichman – la sua fine non è stata ancora scritta”
COSA VUOLE LONDRA?
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Cosa vuole adesso la Gran Bretagna è una domanda a cui non è facile
rispondere, perché nessuno sa più chi la guida: il capo del governo si è dimesso,
quello dell`opposizione rischia la sfiducia e in Parlamento si parla di elezioni
anticipate. Ma ce ne si può fare un`idea leggendo fra le righe dell`articolo di
Boris Johnson, ex sindaco di Londra, leader della campagna per Brexit,
pubblicato ieri sul Daily Telegraph. Se Johnson diventerà premier (entro il 2
settembre, secondo le indiscrezioni), ecco cosa chiederà all`Unione Europea.
TEMPI DEL NEGOZIATO
«Non c`è fretta». Nessuna urgenza di approvare l`articolo 50, che regola
l`uscita di un paese membro dalla Ue e che prevede due anni per concludere
la trattativa sul "divorzio" da Bruxelles. Londra aspetterà l`insediamento del
nuovo premier e forse ancora più a lungo. Fino a inizio 2019, resterebbe un
membro dell` Ue.
COSA VUOLE LONDRA?
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COMMERCIO
«Continuerà a esserci accesso al mercato unico». Johnson sembra intendere che
la Gran Bretagna adotterà l`opzione Norvegia, mantenendo una zona di
libero commercio con l`Ue. Ma questo implicherebbe libertà di movimento.
IMMIGRAZIONE
Londra riprenderà «il controllo dell`immigrazione con un sistema a punti umano
e adeguato ai bisogni della nostra industria». Questo sembra contraddire il
punto precedente.
DIRITTI
«I cittadini della Ue che vivono in Gran Bretagna avranno piena protezione dei
loro diritti e lo stesso vale per i cittadini britannici che vivono nella Ue», che
potranno «vivere, lavorare, studiare» nella Ue.
COSA VUOLE LONDRA?
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GIUSTIZIA
«L`unico cambiamento sarà che la Gran Bretagna si libererà del vasto e
intricato sistema di leggi della Ue». Per questo "unico" cambiamento si è votato
nel referendum?
BUDGET
«E ci sarà una sostanziale somma di denaro che non manderemo più a
Bruxelles, usata per altre priorità come la sanità pubblica». Ma non si
specificano cifre.
COSA VUOLE L’UE?
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Nel chiuso del Bundeskanzmlerant di Berlino Angela Merkel premia David
Cameron. Matteo Renzi e François Hollande, così come la Commissione
europea, pressavano affinché il Regno Unito, dopo la vittoria del Brexit,
notificasse subito la richiesta di divorzio dall’Ue. Ma la Cancelliera non ha
fretta, vuole lasciare tutto il tempo a Londra e ai Tories per prepararsi
all’uscita. E così il vertice a 3 di Berlino il mantra è che “spetta al governo
britannico notificare la richiesta”. Hollande ripete che “non c’è tempo da
perdere”, a domanda diretta conferma la vittoria di Angela. È congruo
aspettare fino a settembre per l’avvio delle pratiche? “Prendiamo atto che ci
sono le elezioni dei Tories” precisa Hollande. Che ci saranno sol ad ottobre.
COSA VUOLE L’UE?
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TEMPI DEL NEGOZIATO
Il negoziato potrà durare fino a 2 anni. Dunque il caldenario è quello richiesto
da Londra, con buona pace di chi in Europa teme che tempi lunghi e negoziati
morbidi possano spingere altri Paesi ad uscire dall’Ue. Ma Merkel non vuole
punire il terzo partner commerciale della Germania, nonché alleato politico,
economico e militare chiave all’interno della Nato.
CHI GESTISCE LE TRATTATIVE
Merkel vuole che a gestire le trattative non sia la Commissione ma il Consiglio
europeo, organo nel quale sono rappresentati i governi e dunque ancora più
malleabile alle esigenze politiche di Berlino. Poco importa che non abbia la
struttura tecnica per reggere un negoziato complesso, l’importante è non punire
Londra.
COSA VUOLE L’UE?
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REGOLE DEL MERCATO UNICO
Per restare nel Mercato Interno, come auspica Berlino, il Regno Unito dovrebbe
pagare un grosso contributo al bilancio europeo e accettare la libera
circolazione di persone, merci e capitali. Due principi – basta pagamenti a
Bruxelles e stop agli immigrati – contro i quali si è basata la campagna del
“Leave”. Ma sarà difficile derogare a quelle che sono due norme sacre del
diritto comunitario. Sul fatto che i cittadini comunitari a Londra e gli inglesi in
Europa mantengano i loro diritti intatti, nessuno ha da ridire. Da entrambe le
sponde della Manica.
BERLINO, VERTICE A TRE “NON VA PERSO TEMPO PER LA
BREXIT DI LONDRA MA NIENTE IMPOSIZIONI”
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Non si possono imporre i tempi di notifica formale alla Gran Bretagna per
l’uscita dalla Ue. Ma il neo-direttorio europeo formato da Angela Merkel,
François Hollande e Matteo Renzi, riunitisi ieri a Berlino, ha mandato un
messaggio molto chiaro a David Cameron. Prima di quella formalizzazione non
ci sarà alcun negoziato. «Non ci possono essere colloqui con la Gran Bretagna
fino alla richiesta formale di uscita alla Ue», ha sottolineato la cancelliera in
una conferenza stampa a tre, convocata al termine del vertice dalla
cancelleria.
E anche sui tempi di formalizzazione della Brexit, se Merkel ha sottolineato ieri
che non si può pressare più di tanto il Regno Unito, è stata altrettanto chiara sul
fatto che «non possiamo infilarci in un’eterna impasse». Cameron ha già detto
che vuole aspettare l’autunno e rimandare al prossimo governo la richiesta
formale.
BERLINO, VERTICE A TRE “NON VA PERSO TEMPO PER LA
BREXIT DI LONDRA MA NIENTE IMPOSIZIONI”
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La cancelliera ha voluto allontanare da sé il sospetto di creare delle
avanguardie ristrette di Paesi che fanno da motore alla Ue, precisando che
«l’Unione europea non ha un direttorio», semplicemente che Germania, Francia
e Italia vogliono dare un “nuovo impulso” all’Europa e che le decisioni su Brexit
«saranno prese dalla Ue a 27 e non a tre». Ma è evidente che il formato
Berlino-Parigi allargato a Roma è una delle novità di ieri.
Con Renzi e Hollande, tuttavia, non c’è stato alcun rilancio sul progetto europeo.
Piuttosto, un impegno a gestire meglio l’esistente. «Dobbiamo dare un nuovo
impulso ai lavori dell’Unione, vogliamo elaborare misure concrete nei prossimi
mesi per la sicurezza interna ed esterna e per la lotta al terrorismo, e per
agire in modo strategico nei paesi d’origine dell’immigrazione », ha detto
Merkel. Accanto a lei, il presidente del Consiglio italiano ha osservato che
«quello che è accaduto nell’ultima settimana ci dimostra che questo è un tempo
propizio: se da un lato siamo tristi per il voto dei britannici è anche vero che
questo è un tempo propizio per una nuova pagina della Ue».
BERLINO, VERTICE A TRE “NON VA PERSO TEMPO PER LA
BREXIT DI LONDRA MA NIENTE IMPOSIZIONI”
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Hollande ha precisato che in questo momento serve dare prova soprattutto di
responsabilità: «non possiamo perdere tempo per non creare incertezza». Il
presidente francese ha aggiunto che «il Regno Unito deve dar prova di saper
dimostrare rispetto nei confronti di quello che siamo come Unione europea». La
giornata è stata anche segnata da un attacco pesante contro il presidente
della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, arrivato da alcuni Paesi
dell’Est. Il ministro degli Esteri polacco, Witold Waszczykowski detto che
«almeno una parte dei vertici europei dovrebbe andarsene». Il presidente
estone Toomas Ilves ha definito «abominevole » l’atteggiamento di Juncker (il
capo dell’esecutivo di Bruxelles era stato da subito molto duro con il Regno
Unito perché convinto che debba presentare a stretto giro la richiesta di uscita).
E Lubomír Zaorálek, ministro degli Esteri ceco, lo ha definito “non adatto per
quel ruolo”. Un portavoce ha smentito che si dimetterà. E secondo una fonte
autorevole Merkel lo sta difendendo anche contro una fetta del suo partito.
L' ITALIA E LO SCUDO SALVABANCHE. SI PUNTA A
SOSPENDERE IL BAIL IN
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«Oggi il quadro normativo è molto difficile da maneggiare ma tutto ciò che
servirà per dare tranquillità e fiducia sarà oggetto di attenzione del governo e
delle istituzioni europee, nel rispetto delle regole». Queste le parole del
presidente del consiglio, Matteo Renzi, in conferenza stampa con Angela
Merkel e François Hollande che confermano le indiscrezioni degli ultimi due
giorni riguardo un possibile intervento statale sulle banche dopo le turbolenze
determinate dalla Brexit.
«Si valutano tutti i possibili scenari e dunque tutti i possibili interventi», hanno
fatto sapere ieri in mattinata fonti del ministero del Tesoro sul tema delle
possibili soluzioni a difesa del sistema bancario.
L' ITALIA E LO SCUDO SALVABANCHE SI PUNTA A
SOSPENDERE IL BAIL IN
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Niente di più sul piano ufficiale ma tra i Palazzi romani ieri è circolata con
insistenza la voce di contatti con Margrethe Vestager, la commissaria alla
Concorrenza che ha in mano il dossier del bail in, cioè il meccanismo europeo
che impedisce il salvataggio pubblico delle banche e che ha segnato,
coinvolgendo i risparmiatori, le ultime vicende del credito in Italia.
La parola d' ordine è evitare nuove "bailinizzazioni" a tutti i costi: del resto il
meccanismo è stato oggetto di contestazioni da parte del governatore della
Banca d' Italia Ignazio Visco anche nelle sue ultime Considerazioni finali.
La giornata in Borsa per i titoli bancari ieri è stata molto difficile, tanto che ha
reso necessaria, in serata, una dichiarazione rassicurante del sottosegretario all'
Economia Pier Paolo Baretta: «Non siamo in una situazione di emergenza:
l'Italia è a favore di una soluzione europea, nessun intervento pubblico».
L' ITALIA E LO SCUDO SALVABANCHE SI PUNTA A
SOSPENDERE IL BAIL IN
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Benché si parli di necessità di svariati miliardi nessuno pensa, neppure in
Europa, a soluzioni come quelle spagnole o cipriote che coinvolgano l'
intervento dell' Esm, il fondo salva Stati. Si lavora invece ad ipotesi più
plausibili e adatte alla realtà del sistema bancario italiano: deroghe al divieto
di salvataggio pubblico, ovvero al bail in, o semplici ricapitalizzazioni da parte
dello Stato mediante bond. L' ipotesi circolata ieri, benché le interpretazioni
siano controverse, prevede che l' Italia possa chiedere ai partner europei l'
attivazione della deroga al divieto di aiuti di Stato prevista dall' articolo 108
del Trattato sul funzionamento dell' Unione nel caso si presentino "circostanze
eccezionali", caso rappresentato dal Brexit. Tuttavia prima di prendere
qualsiasi iniziativa occorre aspettare il ritorno di Renzi dal vertice a tre con
Merkel e Hollande. L' Italia in questa fase, infatti, non vuole provocare alcuno
strappo con i partner europei ma trovare una soluzione condivisa.
L' idea potrebbe essere di creare un "corridoio" di sei mesi o più nel quale tutti
i paesi europei che lo ritengano necessario possono procedere a mettere in
sicurezza le proprie banche anche con soldi pubblici.
L' ITALIA E LO SCUDO SALVABANCHE SI PUNTA A
SOSPENDERE IL BAIL IN
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Chiusa la finestra si tornerebbe alla situazione di oggi che vieta l' utilizzo di
risorse pubbliche ma a quel punto il problema banche dovrebbe essere risolto
una volta per tutte. Dunque la situazione è ancora molto fluida anche se i tempi
di decisione devono essere veloci visto l' andamento dei titoli bancari in Borsa
nelle ultime due sedute.
Se dunque tra oggi e domani arrivasse un input politico favorevole a una
soluzione di questo tipo a quel punto scenderebbero in campo i tecnici per
implementare i piani di ricapitalizzazione.
Già da ieri, infatti, è stato attivato un tavolo che comprende uomini di Palazzo
Chigi, del Mef, del Mise e i vertici della Cdp per individuare la strada migliore
per mettere in sicurezza il sistema bancario. L' entità complessiva dell' ipotetico
intervento è ancora da definire, anche se nelle ultime ore qualcuno ha fatto
trapelare la cifra di 40 miliardi.
L' ITALIA E LO SCUDO SALVABANCHE SI PUNTA A
SOSPENDERE IL BAIL IN
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«Parlare di interventi da 40 miliardi è assolutamente errato perchè se si deve
fare un intervento prima si fa e poi se ne parla, prima di dare numeri a
vanvera bisogna essere documentati», ha detto Alessandro Profumo, oggi
azionista e presidente di Equita e in passato ad di Unicredit e presidente di
Mps. E proprio un analista di Equita, Giovanni Razzoli, ieri ha provato a
simulare delle ipotesi di intervento sul capitale delle banche visto che la
liquidità è stata assicurata con le recenti aste Tltro della Bce. Le strade
potrebbero essere almeno tre: una garanzia della Cdp e di investitori privati su
un nuovo round di aumenti di capitale; un nuovo piano di Padoan bonds che nel
2010 erano stati sottoscritti da alcune banche a un tasso dell' 8,5% e
convertibili in capitale a richiesta del cda; un Atlante 2 per un acquisto
massiccio di Npl (crediti deteriorati). Se l' obbiettivo fosse quello di portare la
copertura delle sofferenze delle banche quotate dal 55% medio odierno al
20%, cioè molto vicino alla soglia (17,6%) del bail in, la necessità di capitale
totale sarebbe di circa 23 miliardi. A cui bisognerebbe aggiungere eventuali
interventi per le banche non quotate che oggi pesano per il 25% del totale.