" Un Piano per l`abitare " Bozza di proposta

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" Un Piano per l`abitare " Bozza di proposta
BOZZA DI PROPOSTA
PER UN “PIANO PER L'ABITARE”
per rispondere ad un problema sociale primario
e al bisogno di città sostenibili
Mentre in altri paesi europei, con livelli di edilizia in affitto molto più consistenti, si
portano avanti progetti di incremento dell’offerta di abitazioni in locazione a canoni
calmierati e sociali, nel nostro Paese le risposte sono affidate quasi esclusivamente ad
un mercato ingovernabile e senza regole che, oltre a colpire i soggetti più deboli, ha
riflessi negativi sulla struttura produttiva del Paese.
I bisogni di nuove domande determinati da modificazioni demografiche, sociali ed
economiche, le necessità di maggiore mobilità territoriale, indotta dalle trasformazioni
produttive e del mercato del lavoro, si scontrano con una offerta al di fuori della
portata economica della domanda. Decine di migliaia di giovani sono impossibilitati a
fuoriuscire dalla famiglia con un ingessamento complessivo della società. Si vanno,
inoltre, sempre più diffondendo forme intollerabili di sfruttamento dei lavoratori migranti
con un’offerta di abitazioni al limite della abitabilità ed a prezzi da vera usura.
In un Paese con oltre il 70% di proprietari della propria abitazione, con un patrimonio
abitativo pubblico pari al 5% del totale, con la liquidazione di tutte le altre grandi
proprietà immobiliari che avevano alloggi in affitto a prezzi sostenibili, è necessario un
Grande piano per l'abitare: una priorità assoluta per i lavoratori e i pensionati.
Il piano non deve significare una ulteriore espansione delle città ma, al contrario, in un
percorso di sviluppo sostenibile del Paese, rappresentare l’occasione per riqualificare
edifici e tessuti urbani, dando vita ad un grande progetto di inclusione sociale in
contrasto ai fenomeni di ghettizzazione.
I bisogni abitativi possono essere affrontati senza stravolgere scelte urbanistiche e
senza continuare a consumare indiscriminatamente territorio. Questo non significa
non costruire, ma avere il progetto più ambizioso di agire nelle città con l'obiettivo di
renderle più sostenibili in termini ambientali, di mobilità, di qualità e di costi. Attraverso
il recupero del patrimonio esistente, la riqualificazione di edifici e spazi degradati o
inutilizzati, in contrasto a nuova espansione e ulteriore consumo di suolo,
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Un “Piano per l'abitare” - Bozza di proposta
PREMESSA: IL SISTEMA ABITATIVO OGGI
Il sistema abitativo non riesce oggi a fornire risposte adeguate ad una domanda diventata,
negli anni, sempre più complessa per composizione sociale, livelli di reddito, esigenze di
mobilità territoriali, qualità urbana ed edilizia. All'aumentare e al diversificarsi di tale domanda
hanno corrisposto politiche volte quasi esclusivamente all'abitazione in proprietà. Milioni di
famiglie, negli ultimi 15 anni, hanno comprato un'abitazione spinti soprattutto dall’alto livello
degli affitti e dal contestuale abbassamento dei tassi bancari, ma il loro indebitamento ha
raggiunto spesso la soglia critica per il bilancio familiare1. Chi non ha potuto acquistare ha
dovuto fronteggiare un mercato dell’affitto tanto più rigido e scarso quanto più caro e
insostenibile2.
Questi processi non solo hanno comportato un colossale trasferimento di risorse dal lavoro
alla rendita fondiaria e finanziaria (proprietari dei suoli, costruttori, istituti di credito), ma hanno
anche generato una crescita urbana disordinata, con effetti pesanti sul paesaggio, sul
consumo di suolo3, sulla qualità della vita, sul welfare locale, sulla congestione e il traffico e, in
generale, sulla funzionalità delle città. L’abbandono di fatto della pianificazione urbanistica e la
subordinazione agli interessi immobiliari hanno favorito un’espansione irrazionale,
contrassegnata da milioni di edifici residenziali, capannoni industriali e centri commerciali.
Senza dimenticare la piaga dell’abusivismo edilizio e i gravi e diffusi fenomeni di illegalità che
interessano molte imprese del settore.
Purtroppo non ci sono ancora segnali che indicano la volontà di intervenire - da parte del
Governo, del Parlamento e delle istituzioni locali - sui guasti provocati da scelte miopi di
governo del territorio, per dare regole al mercato immobiliare e per frenare lo spreco assurdo
di suolo. Eppure, con l’esplosione della crisi del 2008, distorsioni e limiti si sono evidenziati
ancora di più.
Nonostante quattro milioni di abitazioni realizzate in poco più di un decennio, un numero
elevatissimo di abitazioni invendute e due milioni di edifici “fantasma”, l’emergenza abitativa è
rimasta inalterata. Così, sull’altare della rendita, della speculazione edilizia e degli interessi
della grande distribuzione, è stato sacrificato il diritto all’abitare delle fasce sociali più deboli,
si è limitata la mobilità sociale e territoriale, sono state penalizzate le potenzialità produttive e
occupazionali del paese, sono state lasciate nell’abbandono e nel degrado le periferie urbane.
Solo partendo dalla consapevolezza che oggi le politiche abitative sono condizionate dalla
morsa soffocante della rendita e dei gruppi immobiliari e finanziari, è possibile individuare
misure innovative che diano un segno diverso all’utilizzo delle risorse pubbliche e private nel
campo dell’edilizia residenziale, delle infrastrutture e dei servizi urbani.
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All'inizio del decennio l'indebitamento delle famiglie italiane è cresciuto a ritmi elevati: nel 2010 l’11,4% dei nuclei (circa 3 milioni)
ha presentato un indebitamento per l’acquisto o la ristrutturazione di immobili, con un rapporto medio tra la rata e il reddito pari al
17,4%. Nell'ultimo trimestre 2010, il 72,6% degli acquisti di abitazioni sono stati finanziati con un mutuo ipotecario, con un
rapporto tra prestito e valore dell'immobile pari al 71,3% (Fonte Banca d'Italia, anno 2011).
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Il mercato delle locazioni ha fatto registrare nell’ultimo decennio, (periodo 2000-2010), aumenti medi dei canoni del130% (145%
nei grandi centri urbani), per i contratti rinnovati, del 150% (+165% nei grandi centri urbani) per quelli proposti da privati. Il
canone medio riferito ad un’abitazione di 80 mq. nei grandi centri urbani nel 2010 è risultato dalle registrazioni pari a 750,00 euro
mensili; quello riferito ad una stessa tipologia secondo le offerte di mercato è stato pari a 1.020,00 euro. (Fonte: CGIL, SUNIA anno 2011).
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Nonostante un sensibile calo demografico della popolazione negli ultimi 15 anni sono stati cementificati circa 3 milioni di ettari
un tempo agricoli e realizzate 4 milioni di abitazioni, tra nuove ed ampliamenti, legali ed abusive (l'abusivismo edilizio dal 1948 ad
oggi ha contato 4,5 milioni di abusi, 75mila l'anno), con una forte contraddizione tra elevato consumo di suolo ed emergenza
abitativa, segno che l'attività edilizia degli ultimi anni riguarda costruzioni destinate quasi esclusivamente al mercato e per lo più
alla speculazione. Le aree urbane negli ultimi 50 anni risultano aumentate di 3,5 volte, con valori medi di incremento oltre il
300%;. Nonostante un decremento rispetto agli anni precedenti, in Italia ogni anno vengono mediamente utilizzati per nuove
costruzioni 500 km quadrati di suolo, con danni ambientali, sociali ed economici (Fonte: ISTAT, WWF, FAI – anno 2012).
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“RICOSTRUIRE” LE CITTA'
Nelle città il problema non è continuare a costruire ex novo, ma valutare le variegate
esigenze abitative e avviare un’operazione di ristrutturazione edilizia dell’esistente, attraverso
un grande intervento di manutenzione, riqualificazione e razionalizzazione di edifici e spazi
urbani degradati o inutilizzati, guardando anche al patrimonio demaniale attribuibile, a titolo
non oneroso, agli Enti locali4, integrando gli interventi di trasformazione urbana a scelte che
considerino anche la loro condizione di accessibilità e fruizione5.
Un’operazione di questo tipo renderebbe disponibili sul mercato migliaia di alloggi, fuori dalle
logiche della rendita e degli speculatori, non cementificando nuovi suoli. Sarebbe efficace
sotto il profilo della qualità urbana e dell’abitare, coinvolgerebbe un maggior numero di piccole
e medie imprese, incrementerebbe nuove filiere produttive (bioedilizia, domotica, impianti a
basso consumo energetico). Avrebbe un segno anticiclico, fornendo sostegno
all’occupazione. Infine, sarebbe un contributo concreto allo sviluppo della green economy,
oltre che al processo di riorganizzazione e riconversione del sistema delle costruzioni e alla
specializzazione di imprese e lavoratori.
L’AFFITTO COME PRIORITA'
Intorno al “mattone” e alle politiche dell’abitare si gioca, dunque, una partita che coinvolge le
politiche redistributive, il reddito delle famiglie, la qualità dei servizi locali, la coesione e
sostenibilità della crescita urbana. La svista politica, che finora ha impedito al tema
dell’abitare di occupare un posto centrale che invece merita nell’agenda e nel lavoro della
CGIL a tutti i livelli, deriva dal considerarlo un tema settoriale o, addirittura, marginale.
In un paese con una percentuale di case in proprietà che supera il 70% 6 si pone un problema
di riequilibrio tra proprietà e affitto. Ciò è possibile solo adottando misure che incrementino
l’offerta in affitto a canoni sociali o sostenibili e, più in generale, contrastando la tradizione di
governo, a livello nazionale e locale, che ha sempre favorito le famiglie in proprietà. Esiste
nella normativa italiana una “asimmetria” fiscale e finanziaria tra proprietari e affittuari,
consolidatasi nel corso degli anni, che oggi appare da superare.
Rispetto alle stesse difficoltà provocate dalla crisi, per portare un esempio, a beneficio delle
famiglie in ritardo o insolventi nel pagamento delle rate del mutuo-casa è stato previsto un
fondo ad hoc (o, in alternativa, la rinegoziazione del debito), mentre le famiglie in affitto sono
state lasciate senza tutela (a parte le eccezioni di qualche ente locale) quando non sono più
riuscite a sostenere le spese dell'abitazione, incorrendo in morosità incolpevoli, anche quando
il capofamiglia si è trovato disoccupato o in cassa integrazione.
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Il decreto legislativo n. 85/2010, ha avviato il percorso per la realizzazione del federalismo demaniale prevedendo l'individuazione
dei beni statali attribuibili a titolo non oneroso a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, attraverso la garanzia di
massima valorizzazione funzionale. Il decreto presenta enormi ritardi rispetto ad una serie di atti che dovevano essere già
disponibili: a tutt'oggi si aspetta ancora la pubblicazione della cosiddetta “White list” dei beni trasferibili ai comuni, circa 12mila
immobili. Il decreto stabilisce che gli enti locali in stato di dissesto finanziario non possono alienare i beni ad essi attribuiti fino a
quando perdura lo stato di dissesto; ma prevede la possibilità per quegli enti locali che hanno comunque dei debiti, non così alti
da determinare il dissesto e che sono la maggioranza dei Comuni italiani, di alienare i beni trasferiti e di destinare le risorse
incamerate per il 75%, alla riduzione del debito dell'ente, e per la parte residua alla riduzione del debito statale. I beni trasferiti
entrano a far parte del patrimonio «disponibile»; sono inseriti in procedure di valorizzazione oppure sono alienati, ma solo previa
valorizzazione attraverso l’adozione di una variante allo strumento urbanistico. Tale variazione consente di attribuire più alti valori
di mercato ai beni e di rendere più redditizia la loro vendita.
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La creazione di una città sostenibile capace di consumare con più efficienza risorse, territorio, energia ed ambiente è una sfida
voluta dall’Europa nella strategia 2020, che rende indispensabile l’integrazione tra due sistemi: la pianificazione di una città
sostenibile non può prescindere dal porre la pianificazione dei trasporti e, dunque, la condizione di un’accessibilità sostenibile ai
luoghi, quale asse portante di qualsiasi modello di pianificazione e di governance dei suoi processi di trasformazione.
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Nel 68,4% dei casi l’abitazione di residenza è di proprietà delle famiglie, nel 21,1% in affitto, nel 7,4% occupata a uso gratuito,
nel 2,8% in usufrutto e nel restante 0,3% a riscatto (Fonte: Banca d'Italia, anno 2011)
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CORREGGERE SCELTE SBAGLIATE
Dare priorità alle politiche per l’affitto significa chiudere una lunga fase di scelte sbagliate.
La prima riguarda la chiusura di ogni canale di finanziamento all’edilizia residenziale
pubblica7, che rappresenta in Italia appena il 4% dello stock abitativo (contro una media
europea del 20%) e copre un quinto del mercato dell'affitto (45% in Francia, 66% in
Inghilterra, 77% in Olanda). Oggi la realizzazione di alloggi pubblici non supera le 2 mila unità
all’anno, a fronte di 650 mila domande che da anni giacciono inevase presso gli ex IACP ed i
Comuni. Considerando inoltre che circa il 70% delle famiglie in affitto sul mercato privato ha
un reddito inferiore a 20 mila euro e si trova a fronteggiare canoni aumentati fino al 150%
negli ultimi dieci anni, ne discende la necessità di rafforzare, con nuovi investimenti, la quota
di edilizia sovvenzionata.
Il Piano nazionale di edilizia residenziale8 (D.L. 112/2008), varato dal precedente Governo e
che avrebbe dovuto assicurare in pochi anni 100 mila alloggi per rispondere, almeno in parte,
alle situazioni di disagio abitativo, è rimasto sostanzialmente sulla carta. Nonostante una
dotazione finanziaria consistente del Fondo immobiliare per l’abitare (FIA), costituito presso la
Cassa Depositi e Prestiti, e del sistema dei Fondi immobiliari regionali e locali (L. 133/2008)
gli investimenti non partono. Una delle ragioni è che gli investitori (Cassa Depositi e Prestiti,
fondazioni bancarie, imprese) vogliono la certezza di rendimenti al 6%. Per una
remunerazione di questo livello non solo dovrebbe essere destinato alla vendita il 70-80% del
costruito, come prevede la maggior parte dei progetti già presentati, ma i canoni di locazione,
per la rimanente parte, dovrebbero essere fissati a livelli spesso insostenibili per le famiglie
interessate. I progetti presentati o in gestazione, inoltre, puntano a costruzioni ex novo, in
contrasto alla necessità ormai non rimandabile di contrastare ulteriore consumo di suolo,
trascurando le potenzialità di interventi sul patrimonio immobiliare esistente, inutilizzato o in
stato di degrado. Tendono ad acquisire dai Comuni aree standard o a basso costo e a
sfruttare le convenienze procedurali, fiscali e urbanistiche che la legge riserva all’edilizia
sociale. Senza garantire però il rispetto della finalità sociale degli investimenti rispetto alle
categorie cui il Piani è destinato. Il Sindacato deve esigere dai Comuni una puntuale verifica
della conruità dei progetti col dettato della legge. G
li alloggi devono essere finalizzati a famiglie che hanno un reddito non sufficiente per
accedere al mercato privato e, per costi e tipologia, devono rispondere alle esigenze di
giovani, anziani, famigie monoreddito, favorendo il mix sociale. La percentuale degli alloggi in
affitto a canone sociale o agevolato non può essere irrisoria (mediamente il 20%, più una
quota di alloggi destinati a riscatto dopo 10-15 anni). Ed il canone non deve superare il tasso
di sforzo che può sopportare il reddito familiare.
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Fino al 1998 l'ERP è stata finanziata dalla GESCAL, un fondo alimentato dal contributo di lavoratori e aziende, soppresso nei
primi anni Novanta dal governo Amato (la media annua degli investimenti era di circa trenta miliardi di lire). In seguito al
passaggio alle Regioni delle competenze in materia, i fondi residui sono stati in parte trasferiti direttamente per edilizia agevolata,
in parte gestiti per conto delle Regioni dalla Cassa depositi e prestiti per l’edilizia sovvenzionata. Alcune Regioni hanno da tempo
esaurito questo canale di finanziamento, altre dispongono ancora di fondi presso la Cassa DDPP, circa 1 miliardo di euro. La
spesa pubblica nel 1984 finanziava 34.000 abitazioni, nel 1990 13.000, nel 1998 solo 4.100. Negli ultimi anni le abitazioni ultimate
sono scese sotto le1.900 unità, su un totale di circa 300.000 abitazioni costruite. Dal 1993 sono stati venduti 155.000 alloggi con
un saldo negativo tra vendite e nuovi alloggi.
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Il "Piano nazionale di edilizia abitativa" (art.11 D.L. 112/2008 convertito nella L.133/2008), ha istituito il Sistema Integrato di
Fondi, costituito da un fondo nazionale (FIA), gestito da CDPI Sgr. (costituita nel 2009 da Cassa depositi e prestiti, ACRIAssociazione delle Fondazioni bancarie e ABI-Associazione Bancaria italiana), che investe, fino a un massimo del 40%, in fondi
immobiliari locali con lo scopo di realizzare case a costi accessibili. Il patrimonio sottoscritto del FIA, alla chiusura del primo
periodo di sottoscrizioni, ha raggiunto 2,028 miliardi di euro (49,3% sottoscritto da Cassa depositi e prestiti, 43,8% da altri
investitori privati, 6,9% dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti). Il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha istituito il
capitolo n. 7440 dello stato di previsione del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti sul quale far confluire risorse statali
destinate al Piano nazionale di edilizia abitativa: su questo sono state appostate risorse per un ammontare complessivo pari a
844.149.331,19 euro (Fonte: Corte dei Conti – anno 2012).
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Le recenti misure fiscali in materia di affitto e di casa (cedolare secca e IMU), per il modo in
cui sono state varate, incidono fortemente sulla possibilità di utilizzo del canale concordato,
che doveva servire, secondo la 431/’98 a calmierare i canoni. La cedolare secca, imposta
costitutiva sui redditi da locazione, oltre a favorire in maniera consistente i redditi più alti e i
grandi patrimoni, annulla qualsiasi vantaggio fiscale dei contratti concordati rispetto a quelli
del canale libero. L'IMU, per le caratteristiche di rigidità e scarsa manovrabilità rispetto alla
precedente ICI, anche per i vincoli di compartecipazione erariale al gettito, è difficilmente
utilizzabile a favore di chi affitta col canale concordato.
Non solo le scarse forme di sostegno fiscale al mercato delle locazioni sono state
disincentivate ma, in una situazione di estremo disagio delle famiglie a basso reddito, anche il
fondo di sostegno all’affitto (art.11, Legge 431/98), già insufficiente e ridotto anno dopo anno
nelle sue risorse, è stato praticamente azzerato9. C’è da aggiungere che la morosità di chi
non riesce a sostenere più le spese per l'abitazione, è diventata oggi vera “emergenza
nazionale”: 216.000 sfratti per morosità sono stati emessi negli ultimi cinque anni, oltre l’85%
del totale dei provvedimenti emessi, 100.000 quelli eseguiti con la stessa motivazione.
Seguendo il trend dell'ultimo periodo, senza interventi in direzione di una maggiore
disponibilità di abitazioni a prezzi sostenibili e senza forme di sostegno ai redditi delle
famiglie, se ne aggiungeranno, verosimilmente, altri 100.000 nei prossimi tre anni10.
GLI OBIETTIVI E LE PROPOSTE
In tale quadro appare evidente la necessità e l’urgenza di interventi che devono essere
declinati rispetto ad alcuni obiettivi prioritari:
Contrastare ulteriore espansione e consumo di suolo, partendo dall'esistente in
un percorso di sviluppo sostenibile del Paese
- Limitare il consumo di suolo poichè lo spazio entro il quale vivremo è in gran parte già
costruito ed il tema oggi è soprattutto quello di dare senso e futuro alla città, al territorio, ai
materiali esistenti, attraverso la riqualificazione di edifici e spazi urbani, contrastando ulteriore
espansione, garantendo il recupero di qualità e funzionalità del patrimonio.
Una pianificazione più attenta potrebbe minimizzare ulteriore diffusione insediativa e scegliere
tipologie con limitati effetti negativi: questo significa che il consumo di suolo deve entrare tra i
criteri di valutazione dei piani a vari livelli, insieme alla valutazione sui rischi che
l'impermeabilizzazione dovuta ad insediamenti e ad infrastrutture causano. Per gestire i
conflitti tra ambito urbano ed ambito agricolo risulta fondamentale il livello sovracomunale di
piano e necessaria una norma generale sul Governo del Territorio che detti gli indirizzi in tal
senso e sostenga le leggi regionali in materia.
Un obiettivo di contenimento del consumo di suolo può essere perseguito solo
disincentivando fiscalmente gli interventi su suoli non urbanizzati, esterni a uno specifico
limite dell'area urbana: la leva fiscale può rappresentare uno strumento che premia, al
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Il Fondo Sociale per l’affitto istituito dalla Legge 431/98, indirizzato alle famiglie in affitto sul mercato con redditi medio bassi e
elevata incidenza del canone, ha visto negli anni una diminuzione degli stanziamenti (da 361,5 milioni di euro del 2000 a 143
milioni del 2010). Nell’ambito della riduzione dei trasferimenti statali a Regioni e Comuni, sono stati previsti 33 milioni di euro per
ciascuno degli anni 2011 e 2012 e solo 14 milioni di euro per il 2013.
10
Gli sfratti per morosità sono aumentati negli anni sia in termini assoluti che percentualmente sul totale: nel 1983
rappresentavano il 13% degli sfratti emessi, nel 1997 il 50%, nel 2010 l'85%, con un aumento dell'8,9% rispetto al 2009 e del
29% nel biennio 2008-2010 (in termini assoluti nel 2010: 65.489 provvedimenti emessi, +6,5 sul 2009, di cui 56.147 per
morosità, +8,9 e 29.825 esecuzioni, +8,1).
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contrario, interventi su aree già urbanizzate, degradate, sottoutilizzate e dismesse (non
agendo nella direzione di favorire la rendita immobiliare), con la previsione di
un'accelerazione dei progetti di bonifica. Un processo che affronti i conflitti esterni è fattibile
però solo se si innesca anche un processo di riorganizzazione urbana che risolva le molteplici
contraddizioni insediative “all’interno” dell’armatura preesistente. Deve essere consapevole la
necessità di un contenimento dei limiti, e verificare la sostenibilità a medio-lungo termine degli
interventi urbanistici in direzione della riconquista di un modello (locale e spaziale) “centrato”.
- Riqualificare il patrimonio abitativo esistente, anche al fine di aumentare l'offerta
abitativa, incentivando il recupero qualitativo e funzionale del patrimonio, attraverso la
riqualificazione e il rinnovo urbano, il miglioramento della mobilità sostenibile, un programma
di riqualificazione delle periferie dei grandi centri urbani.
Un punto di avvio può essere rappresentato dal patrimonio abitativo, spesso
sovradimensionato, di anziani e pensionati, che permetterebbe di rispondere alla domanda,
oggi prevalente, di alloggi di ridotte dimensioni. Il sindacato dei pensionati, col progetto
CasAnziani ha messo in relazione l’esigenza di riqualificazione delle abitazioni degli over 65
con una serie di dati: l’alta percentuale di incidenti domestici causati dalla presenza di barriere
architettoniche e impianti vecchi, l’altissima percentuale di anziani soli che abitano in case di 4
o più stanze, con alti costi di gestione; il fatto che spesso gli anziani sono ricchi in quanto
proprietari di casa, ma poveri in quanto a reddito.
Servono, dunque, agevolazioni finanziarie, fiscali, creditizie, amministrative per gli anziani che
intendano adeguare la loro abitazione (con interventi di domotica, risparmio energetico,
superamento di barriere architettoniche) e un’opera di accompagnamento da parte degli
appositi uffici comunali e dei servizi sociali per superare una comprensibile diffidenza a fare
lavori in casa propria. Nel caso, poi, di alloggi di grande dimensione da ristrutturare e
frazionare, per affittarne una parte – resa possibilmente autonoma - a studenti e lavoratori
fuori sede o a giovani coppie, spetta alle amministrazioni locali adottare misure di
semplificazione o di eventuale modifica dei regolamenti edilizi atte a favorire questo tipo di
interventi. Se solo una piccola quota (10-15%) delle case grandi abitate da anziani soli fosse
ristrutturata, si potrebbero ricavare in poco tempo centinaia di migliaia di nuovi alloggi,
conseguendo un doppio risultato: rendere più confortevole e sicuro l’appartamento
dell’anziano, liberare e rendere autonomi spazi (altrimenti inutilizzati) affittandoli a canoni
moderati, e integrando così il reddito da pensione.
Ricercare soluzioni abitative all'interno delle dinamiche in corso
- Monitorare gli interventi di riqualificazione delle periferie e di ricucitura dei tessuti
urbani e verificare con le amministrazioni locali interessate la possibilità di un sensibile
incremento dell’offerta in locazione.
- Verificare la coerenza dei piani urbanistici, delle varianti ai piani regolatori, dei singoli
progetti edilizi con l’obiettivo di rilanciare il mercato dell’affitto a canoni sociali e calmierati.
Non è più tollerabile che le scelte urbanistiche degli enti locali siano determinate
nell'indifferenza sugli effetti sociali, sull’evoluzione e sui costi del mercato immobiliare, sul
carattere rigido e asfittico dell’offerta in locazione. E’ questa una delle ragioni per cui in Italia,
a differenza di paesi europei, la politica abitativa a sostegno dell’affitto non è ancora diventata
una componente essenziale del welfare.
Ampliare l'offerta in affitto di abitazioni pubbliche ed edilizia sociale
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- Rivendicare misure per l'attuazione del “Piano di edilizia abitativa” che rendano
compatibili i canoni di locazione con i redditi delle famiglie, consentendo un rendimento
accettabile per gli investitori: nelle politiche fiscali (riduzione aliquote IRES, IVA, IMU e
imposte ipotecarie e catastali, aumento sgravi fiscali per l'affitto concordato); nelle politiche
urbanistiche (utilizzo del patrimonio pubblico di aree ed immobili attribuili agli Enti locali
attraverso il processo di federalismo demaniale, acquisizione di terreni delle “aree a
standard”, spesso sovradimensionate, da utilizzare per la costruzione di edilizia sociale in
affitto); nelle politiche gestionali (separare proprietà e gestione del patrimonio immobiliare
affidando la gestione a soggetti specializzati, puntare sull’economia di scala per ridurre i costi
di manutenzione, abbattere i costi energetici utilizzando la bio-edilizia e le moderne tecnologie
per la produzione di fonti rinnovabili).
- Rivendicare quote certe di edilizia residenziale pubblica all’interno delle attuali
dinamiche: progetti di social housing, recupero di beni demaniali, aree dismesse o immobili
degradati, premi di cubatura sugli interventi di demolizione e ricostruzione, operazioni di
perequazione e compensazione urbanistica11. Questo obiettivo di breve periodo si deve
accompagnare alla rivendicazione di un programma pluriennale di edilizia residenziale
pubblica, da finanziare per un periodo medio-lungo.
Regolare il mercato degli affitti privato
- Riformare il regime delle locazioni che mostra, sulla sua applicazione, un bilancio non
positivo: troppo bassa la percentuale dei contratti concordati (15% in rapporto a quelli a
canale libero) per determinare un'influenza positiva sull’andamento dei canoni, anche a
seguito di interventi fiscali sopraggiunti ulteriormente disincentivanti, che rendono necessario
rivedere il presupposto su cui è basata la legge. Un mercato fatto di due canali, infatti, di cui il
primo libero (le cui regole e livelli economici vengono determinati esclusivamente dalla
proprietà) ed il secondo concordato (le cui regole e livelli economici vengono determinati dalla
contrattazione collettiva tra le parti) non funziona perché l’unica parte che sceglie quale
utilizzare, la proprietà, si orienta ovviamente verso la forma che garantisce più libertà
economica e normativa.
Oggi la cedolare secca rende sostanzialmente indifferente, ai fini fiscali, la scelta per un
proprietario tra i due canali, favorendo addirittura, per fasce di reddito maggiori, la scelta del
canale libero; l'IMU, per la scarsa manovrabilità dell’imposta, fa si che i Comuni non siano in
grado di applicare una differenziazione di aliquota. Per rilanciare il mercato dell’affitto, gli
sgravi alla proprietà immobiliare devono essere commisurati a dimensioni, qualità e costi
dell’offerta abitativa.
Intervenire su questa realtà significa programmare investimenti e progetti per allentare la
pressione della domanda in maniera strutturale e riequilibrare anche per via normativa il
potere contrattuale delle parti. Una riforma delle locazioni private deve necessariamente
superare il doppio canale, operando su: regole contrattuali della locazione, regole
economiche, regoli fiscali, sanzioni per il mancato rispetto delle norme. Non si tratta di
ritornare a regole rigide ma di disegnare una legge che definisca i confini entro i quali la
contrattazione collettiva tra le parti stabilisca gli aspetti contrattuali ed economici della
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La perequazione e la compensazione urbanistica sono strumenti utilizzati dalle leggi regionali e, soprattutto, dalle esperienze
concrete di pianificazione, relativi all’acquisizione alternativa rispetto all’esproprio di aree necessarie per esigenze pubbliche e
collettive, oltre che per garantire equità e trasparenza nelle scelte urbanistiche e sostenere concretamente gli interventi di
riqualificazione urbana. Pur coinvolgendo aspetti di diritto proprietario, civilistico, espropriativo e fiscale (tutte ovvie competenze
dello Stato), tali strumenti non hanno mai ricevuto una convalida da una norma statale (se non, indirettamente quanto disposto
dai commi 258 e 259 dell’art. 1 della legge finanziaria 2008) e si trovano così esposti agli impatti della giurisprudenza, normali
nella attuale situazione di sovrapposizione di due ordinamenti (Fonte: Istituto Nazionale di Urbanistica).
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locazione. Questo sistema, sperimentato nella definizione di centinaia di accordi territoriali,
nella convenzione nazionale, nella contrattazione con le grandi proprietà immobiliari, al
contrario di una norma rigida, garantisce la possibilità di un rapido adeguamento delle forme e
dei contenuti della locazione al mutamento delle condizioni, lasciando alla libertà delle parti
collettive l’individuazione delle possibili soluzioni. La contrattazione collettiva è l’unico
strumento in grado di riequilibrare il potere contrattuale tra le parti. Oggi è necessario
accentuare il vantaggio fiscale del canale concordato, in una prospettiva di riforma in cui il
regime fiscale andrebbe riunificato con una imposta sostitutiva e una fiscalità di vantaggio per
promuovere locazioni stipulate con “regimi speciali di canone concordato” da prevedersi negli
stessi accordi locali o con accordi integrativi di quelli locali, allo scopo di compensare
assunzione da parte di privati locatori di obblighi di servizio per finalità di “housing sociale” e,
per contro, una penalizzazione di carattere fiscale per gli appartamenti sfitti.
Un aspetto importante che la riforma deve affrontare è quello della programmazione delle
esecuzioni dei provvedimenti di rilascio in rapporto alle reali possibilità di alloggi alternativi
che, ovviamente, andranno incrementati anche attraverso la costituzione di Agenzie per la
casa a livello comunale come avviate in molti Comuni.
Fondamentale tassello della politica abitativa è l’adeguamento del Fondo di sostegno
all’affitto, senza il quale non solo non si riesce ad affrontare il fenomeno degli sfratti per
morosità, ma non si riuscirebbe neanche a gestire una fase di transizione prolungata verso la
normalizzazione del nostro sistema abitativo. All'adeguamento delle risorse deve
accompagnarsi un meccanismo di erogazione del contributo in tempo reale ai cittadini. Nello
stesso tempo deve essere rimossa l‘incompatibilità attuale tra il sistema delle detrazioni e la
possibilità di accedere al contributo.
Attivare strumenti necessari a ridare priorità alla questione abitativa
- Istituire l’Agenzia nazionale per l’abitare, per ridare alla questione abitativa una posizione
centrale sul piano economico, sociale, della qualità della vita, individuando uno strumento (e
un luogo) nel quale sia possibile dettare indirizzi, programmi e iniziative. Così come avviene in
altri Paesi europei dove organi pubblici sono interlocutori diretti sia per per gli Organi di
Governo, nazionali e territoriali, che per il vasto partenariato sociale. Questo può permettere
di definire indirizzi programmatici sulle politiche abitative, anche in relazione a misure
economiche e sociali che vengono definite, ed elaborare programmi rispetto ad obiettivi
prioritari, individuando precise strategie ed azioni che partano dal recupero e dalla
riqualificazione del patrimonio esistente, coniugando risorse comunitarie, statali e regionali
per la fattibilità dei progetti.
All'Agenzia nazionale per l'Abitare, che può essere un ente strumentale all'interno del
Ministero, dotrebbe affiancarsi quanto già previsto dalla Legge 431/98 (art. 12), in un tentativo
di operatività allora fallito, da rilanciare: l'Osservatorio della condizione abitativa 12 con il
compito di effettuare la raccolta dei dati ed il monitoraggio permanente della situazione
abitativa, partendo dallo stato di attuazione delle normative regionali, in collegamento con gli
osservatori già istituiti presso molti territori.
- Creare Agenzie comunali per la casa (dove ancora non ci sono) per favorire l’incontro tra
12
Legge 431/1998 "Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo", Art.12: “L'Osservatorio della
condizione abitativa, istituito dall'articolo 59 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, è costituito presso il Ministero dei lavori
pubblici ed effettua la raccolta dei dati nonché il monitoraggio permanente della situazione abitativa. Il Ministro dei lavori pubblici,
con proprio decreto da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, definisce
l'organizzazione e le funzioni dell'Osservatorio, anche ai fini del collegamento con gli osservatori istituiti dalle regioni con propri
provvedimenti.
8
Un “Piano per l'abitare” - Bozza di proposta
domanda e offerta abitativa in affitto13. Gli enti gestori dell'ERP potrebbero assumere anche il
ruolo di Agenzie locali per l’affitto, attraverso accordi e convenzioni con proprietari di immobili,
enti previdenziali, assicurazioni e nuove società che realizzano social housing, per aumentare
l’offerta in affitto, recuperare alla locazione il patrimonio abitativo non utilizzato. Alle Agenzie,
per adempiere al loro ruolo, potrebbe essere affidata la gestione del Fondo di sostegno
all’affitto.
- Creare un sistema integrato informativo casa - lavoro - studio e formazione per
agevolare la mobilità attraverso il territorio legata ad esigenze di lavoro e studio, resa
difficoltosa da carenza dell’offerta abitativa, dagli alti prezzi richiesti per l’acquisto o l’affitto,
dalla mancanza di strutture dedicate all’informazione sul mercato immobiliare. L’idea è creare
una rete integrata informativa, che metta insieme informazione sull’offerta e domanda di
lavoro con quella abitativa. Diverse regioni si sono già dotate di borse regionali di lavoro
implementate a livello nazionale. La Borsa Continua Nazionale del Lavoro, promossa dal
Ministero del Lavoro e dalle Regioni, è un servizio internet per l’incontro domanda-offerta di
lavoro rivolto a cittadini, imprese, intermediari pubblici e privati e ha preso il posto del SIL
(sistema informativo del lavoro). Si tratta di creare un portale informatico che favorisca
l’incontro fra domanda e offerta di lavoro e formativa da un lato, e abitativa dall’altro,
integrando in un solo sistema informativo domanda e offerta di casa – lavoro - studio e
formazione. Questo rappresenterebbe una infrastruttura permanente che contribuirebbe da
elevare l’efficienza del sistema Paese, con servizio gratuito, promosso nel territorio, e
contributo fondamentale degli enti locali e delle Regioni.
La creazione di grandi soggetti finanziari dedicati agli immobili (fondi immobiliari) rende
possibile oggi gestire il patrimonio abitativo in maniera efficiente nel territorio e il sistema
informativo casa - lavoro - studio e formazione potrebbe entrare in sinergia con questi
soggetti, diventando lo snodo di una più ampia rete europea così come le reti regionali
diventerebbero snodi di quella nazionale. Gli effetti sarebbero diversi: ridurre i tempi morti
nell’affitto e vendita di immobili per esigenze lavorative e di studio; eliminare ostacoli
all’incontro fra domanda e offerta di lavoro dati dal problema abitativo; eliminare fenomeni di
quasi monopolio in aree a forte domanda abitativa; stimolare l’aumento dell’offerta oggi
latente o inesistente allargando l’ambito ella domanda che si rivolge a un determinato
territorio. Il tutto si traduce in un migliore funzionamento del mercato del lavoro e del mercato
dell’affitto. La rete dovrebbe essere preceduta da un’ampio censimento dell’offerta abitativa e
alle aree e immobili dismessi e da risanare. In questo senso è fondamentale il dialogo con
territorio, enti locali, regioni, Camere del Lavoro, associazioni.
GLI STRUMENTI PER LE TRASFORMAZIONI URBANE
Le città sono beni comuni e bisogna rafforzare quando indebolito negli ultimi decenni: il
governo pubblico delle trasformazioni urbane.
Gli strumenti utilizzabili per operazioni di trasformazione urbana possono essere rappresentati
da società di partenariato misto, pubblico privato, nelle quali l’ente locale detiene un ruolo
primario negli interventi di trasformazione del proprio territorio, per decenni sostanzialmente
rimesso all'iniziativa dei privati, individuando obiettivi strategici per la collettività, non
13
Le Agenzie per la Casa sono state costituite su iniziativa dei Comuni in molte realtà, per incentivare l'incontro tra domanda e
offerta di abitazioni in affitto. I servizi operano a titolo gratuito, a favore di inquilini e proprietari, spesso prevedendo il
riconoscimento di incentivi e garanzie a favore dei proprietari che stipulano un contratto a canone convenzionato tramite
l'Agenzia stessa.
9
Un “Piano per l'abitare” - Bozza di proposta
facilmente raggiungibili esclusivamente con risorse autonome. Uno strumento di questo tipo
deve superare i limiti riscontrati in esperienze simili, di ordine culturale in generale e di cultura
del governo del territorio in particolare. L’integrazione tra pubblico e privato, infatti, più che
costituita a livello legislativo, va costruita nella cultura dei due soggetti e della società in
generale con adeguati strumenti amministrativi, economici, fiscali ed urbanistici.
La realizzazione di un obiettivo pubblico, anche con il concorso di privati e o di più Enti
(Comune, Provincia, Regioni), infatti, implica una redistribuzione delle convenienze
economiche, derivanti dalla trasformazione urbana (opportunamente definita). Ma se
“trasformare” implica conferire dei valori economici con la formazione della rendita, questa
deve essere contenuta nei suoi effetti negativi, operando nella direzione di trasferirne parte
consistente dal privato al pubblico e ridurne la crescita con politiche urbane mirate.
Realizzare un obiettivo pubblico implica ricercare risorse per attuare un concreto governo del
territorio a disposizioni degli enti locali, invertendo la tendenza oggi rappresentata dalla
spinta, da parte delle amministrazioni, ad un'urbanizzazione che finanzia, attraverso gli oneri
di urbanizzazione, la spesa corrente dei Comuni14. Nell'ambito della possibilità di gestire
nuove risorse, e nella direzione di affrontare proprio l'anomalia del peso della rendita,
possono essere pensati anche speciali “contributi di sostenibilità” imposti dai Comuni,
attingendo le stesse dal surplus di ricchezza che le trasformazioni urbanistiche determinano
(in sostanza dalla rendita fondiaria urbana).
Nella necessità che si pone in molte aree dei centri urbani, di recupero edilizio ma anche
funzionale di aree dismesse, società di partenariato misto possono essere lo strumento
indispensabile per piani di sviluppo complessi, che coniughino più interventi, come è avvenuto
in alcune esperienze nel nostro Paese. L'obiettivo è quello di farle diventare uno strumento
per Piani di Recupero di immobili e, contestualmente, Piani per il Lavoro, ideati, progettati ed
attuati dagli Enti Locali nella piena attuazione del principio di “sussidiarietà”dell’EU per lo
“Sviluppo Locale”.
LE RISORSE DISPONIBILI
Stante la necessità di rivendicare risorse certe e pluriennali per la reale attuazione del Piano
di edilizia abitativa e per dar corso ad un programma di edilizia residenziale pubblica, da
ricercare per un periodo medio-lungo, è possibile dar inizio ad interventi volti ad affrontare la
carenza di abitazioni in affitto partendo da risorse economiche reperibili tra i fondi già
stanziati nel tempo, da monitorare rispetto alla loro utilizzazione, ed indirette, ovvero beni
utilizzabili che, messi in campo dagli Enti locali (aree non utilizzate, immobili demaniali già
trasferiti come le caserme, altri immobili demaniali di cui si potrebbe accelerare il
trasferimento), potrebbero generare convenienze tali da attrarre investitori privati per un piano
in ambito urbano che, recuperando edifici e spazi urbani degradati o inutilizzati, concorra a
rispondere a bisogni abitativi, agendo direttamente sul settore delle costruzioni e aprendo un
vasto potenziale di sviluppo sulla filiera.
- Le risorse del Piano di edilizia abitativa (D.L. 112/2008, convertito con modificazioni
dalla L. 133/2008, che lo ha sostituito, ma con finalità più ampie), che ha stanziato nel tempo
14
A questo fine appare indispensabile quanto rivendicato da più voci circa la necessità di riportare l’utilizzazione degli oneri di
costruzione (oneri di urbanizzazione, contributo sul costo di costruzione) alle finalità originarie, ovvero di contributo per il
miglioramento e l’adeguamento della “città pubblica” da parte di ogni intervento di trasformazione urbanistica ed edilizia,
abrogando le disposizioni che hanno consentito di utilizzare prima il 50% e poi “temporaneamente” il 75% (legge finanziaria 2008)
degli stessi oneri (norma poi prorogata dal “milleproroghe”) per il pagamento delle spese correnti del bilancio comunale.
10
Un “Piano per l'abitare” - Bozza di proposta
mezzi finanziari per l’acquisizione e la messa a disposizione di abitazioni a condizioni
favorevoli per categorie meno abbienti (“alloggi sociali”) e per attenuare il disagio abitativo.
A prescindere dalle valutazioni che possono essere espresse su ruoli, procedure e modalità di
attuazione del Piano (lo stesso Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti è intervenuto sui
ritardi delle Regioni nella preparazione degli Accordi di programma, nonché sul tipo di esame
effettuato dal CIPE, non in tempi brevi, per esprimere i pareri) che hanno fortemente inciso
sull'attuazione, è da rilevare che sul capitolo n. 7440 del Ministero delle Infrastrutture e dei
Trasporti "Fondo per l'attuazione del Piano nazionale di edilizia abitativa" sono state
appostate risorse pubbliche per 844.149.331,19 euro ripartiti tra le Regioni ed in parte non
utilizzati15.
- Il Fondo Investimenti per l'abitare (FIA) : con il Piano di Edilizia abitativa è stato
istituito il Sistema Integrato di Fondi, costituito da un fondo nazionale che investe, fino a un
massimo del 40%, in fondi immobiliari locali che hanno lo scopo di realizzare case a costi
accessibili per le famiglie che non sono in grado di soddisfare le proprie esigenze abitative. Il
Ministero delle Infrastrutture e Trasporti ha individuato, quale società di gestione del Fondo
Nazionale previsto nell’ambito del Sistema Integrato di Fondi, CDPI Sgr. (costituita nel 2009
da Cassa depositi e prestiti, ACRI-Associazione delle Fondazioni bancarie e ABIAssociazione Bancaria italiana), che gestisce il Fondo Investimenti per l'abitare (FIA) operante
oggi a livello nazionale.
Il patrimonio sottoscritto del FIA, alla chiusura del primo periodo di sottoscrizioni, ha raggiunto
l’ammontare di 2,028 miliardi di euro, di cui il 49,3% sottoscritto da Cassa depositi e prestiti, il
43,8% da altri investitori privati ed il 6,9% dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti).
- I fondi GESCAL: la realizzazione di alloggi pubblici è stata consentita dai fondi Gescal fino
al 1998; in seguito al passaggio alle Regioni delle competenze in materia, i fondi residui sono
stati in parte trasferiti direttamente per edilizia agevolata, in parte gestiti per conto delle
Regioni dalla Cassa DDPP per l’edilizia sovvenzionata. Regioni più “virtuose” hanno da tempo
esaurito questo canale di finanziamento (Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna,
Toscana, Umbria, Basilicata), le altre dispongono ancora presso la Cassa DDPP. di circa 1
miliardo di euro.
- I beni pubblici utilizzabili: il decreto legislativo n. 85/2010, ha avviato il percorso per la
realizzazione del federalismo demaniale prevedendo l'individuazione dei beni statali attribuibili
a titolo non oneroso a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, attraverso la garanzia
15
euro 54.346.280, ai sensi dell'art. 1, comma 1154, L. 296/2006 (finanziaria 2007), che li aveva destinati “per la realizzazione di
un piano straordinario di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata” (di cui 30 milioni per l'anno 2008 e 30 milioni per il 2009,
poi ridotti a 24.346.280 48);
- euro 27.162.545, ai sensi dell'art. 3, comma 108, L. 350/2003, (finanziaria 2004), che istituì presso il MIT il “Fondo per l’edilizia a
canone speciale” (di cui 9.921.000 per l'anno 2007; 9.666.059 per l'anno 2008 e 7.575.486, per l'anno 2009);
- euro 550.000.000, (514.500.000 + 5.500.000 + 30.000.000) ai sensi dell'art. 21, commi 1-4 del D.L. 159/2007, convertito con
modificazioni dalla L. 222/2007, relativo al finanziamento del “Programma straordinario” precedente al Piano casa in oggetto, ma
con una differenza finale, rispetto ai 30.000.000 citati, di + 1.385.081,1949;
- euro 50.000.000, originariamente iscritti sul capitolo 7443 del MEF e poi destinati al cap. 7440 del MIT ai sensi dell'art. 21,
comma 4-ter del D.L. 159/2007, diretto alla prosecuzione degli interventi di ricostruzione delle zone colpite da eventi sismici e
calamitosi di cui all’art. 1, comma 1008 L. 296/2006 (Finanziaria 2007), limitatamente alle opere pubbliche. I 50 milioni di cui
sopra sono stati invece trasferiti nel 2009 sulla contabilità speciale intestata alla Presidenza del Consiglio – Protezione civile50;
- euro 40.000.000, ai sensi dell'art. 21 bis, comma 1, del D.L. 159/2007, concernente il “Programma innovativo in ambito urbano
denominato “Contratti di quartiere II”;
- euro 60.000.000, ai sensi dell'art. 21 bis, comma 1, del D.L. 159/2007, che erano stati previsti per la prosecuzione degli stessi
interventi citati al precedente punto 5;
- euro 100.000.000, ai sensi dell'art. 41 del D.L. 159/2007, concernente “incremento del patrimonio immobiliare destinato alla
locazione di edilizia abitativa con particolare riguardo a quello a canone sostenibile nei comuni soggetti a fenomeni di disagio
abitativo e alta tensione abitativa”, in particolare con la promozione di strumenti finanziari immobiliari. Tali disponibilità,
precedentemente allocate presso il MEF, sono state poi versate sul cap. 7440 del MIT con decreto n. 111931 del 31 dicembre
2010. Il MIT ha comunicato di aver ottenuto la conservazione di tali fondi per l'esercizio finanziario 2011.
- euro 7.161.665 iscritti sul capitolo 7440 nel 2010 direttamente con legge di bilancio ai sensi della L. 191/2009 (finanziaria 2010);
- euro 4.093.760 iscritti direttamente con legge di bilancio sul capitolo 7440 nel 2011 ai sensi della L. 220/2010 (finanziaria 2011).
11
Un “Piano per l'abitare” - Bozza di proposta
di massima valorizzazione funzionale. Il decreto presenta enormi ritardi rispetto ad una serie
di atti che dovevano essere già disponibili: si aspetta ancora la pubblicazione della lista dei
beni trasferibili ai comuni, circa 12mila immobili. L'utilizzo di questi beni pubblici deve
concorrere anche ad una funzione sociale, evitando che il processo di valorizzazione16 cui
sono sottoposti possa essere solo in funzione della rendita e della speculazione.
- I fondi europei: le politiche comunitarie, sia quella regionale che quelle più specificamente
dedicate alla coesione, da tempo hanno analizzato e supportato la città e lo sviluppo urbano
in tutte le sue componenti. Nell’attuale periodo di programmazione dei Fondi Strutturali, il
6.1% (21.1 miliardi di euro) del budget totale della Politica di Coesione ha avuto come target
le città e lo sviluppo urbano, attraverso una serie di politiche, strumenti e iniziative17
Il pacchetto legislativo sulla futura politica di coesione adottato dalla Commissione Europea lo
scorso ottobre riconosce il ruolo fondamentale delle città come volano per uscire dall’attuale
situazione di crisi. La lettura combinata degli artt. 7, 8 e 9 della proposta di Regolamento del
FESR, 12 della proposta di Regolamento del FSE e 99 della proposta di Regolamento
Generale, fornisce un quadro in cui i Fondi Strutturali supportano lo sviluppo urbano
sostenibile con azioni integrate in ambito economico, ambientale e sociale programmate nei
PO18. Le città saranno quindi soggetti coinvolti a vario titolo – programmazione, gestione,
attuazione – sia nei programmi a gestione diretta dell’UE che nelle politiche e iniziative
cogestite a livello nazionale e regionale.
I fondi europei, sebbene non specificatamente indirizzabili a politiche abitative pubbliche
(costruzione, recupero), possono tuttavia concorrere a finanziare iniziative e progetti nel
settore del recupero urbano, nella direzione del raggiungimento degli obiettivi fissati da
EU2020 – rilanciare il sistema economico e promuovere una crescita “intelligente, sostenibile
e solidale”.
16
Il decreto stabilisce che gli enti locali in stato di dissesto finanziario non possono alienare i beni ad essi attribuiti fino a quando
perdura lo stato di dissesto; ma prevede la possibilità per quegli enti locali che hanno comunque dei debiti, non così alti da
determinare il dissesto e che sono la maggioranza dei Comuni italiani, di alienare i beni trasferiti e di destinare le risorse
incamerate per il 75%, alla riduzione del debito dell'ente, e per la parte residua alla riduzione del debito statale. I beni trasferiti
entrano a far parte del patrimonio «disponibile»; sono inseriti in procedure di valorizzazione oppure alienati, ma solo previa
valorizzazione attraverso l’adozione di una variante allo strumento urbanistico, che consente di attribuire più alti valori di mercato
ai beni e di rendere più redditizia la vendita.
17
• PON e POR, che in vario modo hanno integrato azioni di sviluppo urbano cofinanziate dai Fondi Strutturali e dal Fondo di
Coesione; • lo scambio di best practice e di esperienze all’interno del programma URBACT II; • gli strumenti di ingegneria
finanziaria, in collaborazione con la Banca Europea degli Investimenti (BEI), come JESSICA (Joint European Support for
Sustainable Investment in City Areas); • la banca dati Urban Audit, che fornisce statistiche e informazioni su 357 città europee nei
27 Stati membri, Norvegia, Svizzera e Turchia, dettagliati per un’ampia serie di indicatori.
18
Nel Contratto di partnership, a tal fine, gli Stati Membri devono definire un elenco di città in cui vanno realizzate le azioni
integrate per lo sviluppo urbano sostenibile e il loro cofinanziamento annuo a valere su risorse FESR e FSE a livello nazionale:
almeno il 5% delle risorse FESR a livello nazionale va destinato a tali azioni, delegate alle città.
12
Un “Piano per l'abitare” - Bozza di proposta
IN SINTESI:
Per rispondere ai bisogni abitativi si può agire attraverso la riqualificazione del patrimonio
esistente e il recupero di spazi degradati o inutilizzati, accelerando processi di bonifica,
contrastando ulteriore consumo di suolo.
■ Gli interventi devono essere declinati rispetto ad obiettivi prioritari:
Contrastare ulteriore espansione e consumo di suolo, partendo dall'esistente in un
percorso di sviluppo sostenibile del Paese:
- Limitare il consumo di suolo, e ulteriore espansione, disincentivando interventi su suoli non
urbanizzati e premiando interventi su aree già urbanizzate, degradate e sottoutilizzate,
accelerando i processi di bonifica.
- Riqualificare il patrimonio abitativo esistente, anche al fine di aumentare l'offerta abitativa,
attraverso operazioni di rinnovo urbano, incentivando il recupero qualitativo e funzionale del
patrimonio e la riqualificazione delle periferie. Un punto di avvio può essere rappresentato dal
patrimonio abitativo, spesso sovradimensionato, di anziani e pensionati, che permetterebbe di
rispondere alla domanda, oggi prevalente, di alloggi di ridotte dimensioni.
Ricercare soluzioni abitative all'interno delle dinamiche in corso:
- Monitorare gli interventi di riqualificazione delle periferie e verificare con le amministrazioni
locali la possibilità di un incremento dell’offerta in locazione.
- Verificare la coerenza dei piani urbanistici, delle varianti ai piani regolatori, dei singoli
progetti edilizi con l’obiettivo di rilanciare il mercato dell’affitto a canoni sociali e calmierati.
Ampliare l'offerta in affitto di abitazioni pubbliche ed edilizia sociale
- Rivendicare misure per l'attuazione del “Piano di edilizia abitativa” che rendano compatibili i
canoni di locazione con i redditi delle famiglie, consentendo un rendimento accettabile per gli
investitori.
- Rivendicare quote certe di edilizia residenziale pubblica all’interno delle attuali dinamiche:
progetti di social housing, recupero di beni demaniali, aree dismesse o immobili degradati,
premi di cubatura sugli interventi di demolizione e ricostruzione, operazioni di perequazione e
compensazione urbanistica, insieme alla rivendicazione di un programma pluriennale di
edilizia residenziale pubblica, per un periodo medio-lungo.
Regolare il mercato degli affitti privato
- Riformare il regime delle locazioni che, superando la logica del doppio canale, abbia come
cardine la contrattazione collettiva per stabilire gli aspetti contrattuali ed economici della
locazione.
Attivare strumenti necessari a ridare priorità alla questione abitativa
- Istituire l’Agenzia nazionale per l’abitare, per ridare alla questione abitativa una posizione
centrale sul piano economico, sociale, della qualità della vita individuando uno strumento (e
un luogo) nel quale sia possibile dettare indirizzi, programmi e iniziative.
- Creare Agenzie comunali per la casa (dove ancora non ci sono) per favorire l’incontro tra
domanda e offerta abitativa in affitto.
- Creare un sistema integrato informativo casa - lavoro - studio e formazione per agevolare la
mobilità attraverso il territorio legata ad esigenze di lavoro e studio, mettendo insieme
informazione sull’offerta e domanda di lavoro con quella abitativa.
13
Un “Piano per l'abitare” - Bozza di proposta
■ Gli strumenti utilizzabili per operazioni di trasformazione urbana possono essere
rappresentati da società di partenariato misto, pubblico privato, nelle quali l’ente locale
detiene un ruolo primario negli interventi di trasformazione del proprio territorio, operando
nella direzione di contenere al massimo gli effetti negativi della rendita, trasferirne parte
consistente dal privato al pubblico e riducendone la crescita con politiche urbane mirate. Con
uno strumento di questo genere è possibile mettere in campo Piani di sviluppo che coniughino
più interventi: Piani di Recupero di immobili e Piani per il Lavoro, ideati, progettati ed attuati
dagli Enti Locali nella piena attuazione del principio di “sussidiarietà”dell’Unione Europea per
lo “Sviluppo Locale”.
■ Stante la necessità di rivendicare risorse certe e pluriennali per l'attuazione del Piano di
edilizia abitativa e per dar corso ad un programma di edilizia residenziale pubblica per un
periodo medio-lungo, è possibile dar inizio ad interventi partendo dai fondi già stanziati, da
monitorare rispetto alla loro utlizzazione. Sono da prendere in considerazione anche beni
messi in campo dagli Enti locali (aree non utilizzate, immobili demaniali già trasferiti come le
caserme, altri immobili demaniali di cui si potrebbe accelerare il trasferimento), in grado di
generare convenienze tali da attrarre investitori privati:
- Le risorse del Piano di edilizia abitativa (D.L. 112/2008, convertito dalla L. 133/2008), che
ha stanziato risorse per ll'offerta di abitazioni a condizioni favorevoli per categorie meno
abbienti. Sul capitolo n. 7440 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti "Fondo per
l'attuazione del Piano nazionale di edilizia abitativa" sono state appostate risorse pubbliche
pari a 844.149.331,19 euro ripartiti tra le Regioni ed in gran parte non utilizzati.
- Le risorse del Fondo Investimenti per l'abitare (FIA), gestito da CDPI Sgr. (costituita nel
2009 da Cassa depositi e prestiti, ACRI e ABI), istituito con il Piano di Edilizia abitativa ed il
Sistema Integrato di Fondi, il cui patrimonio, alla chiusura del primo periodo di sottoscrizioni,
ha raggiunto 2,028 miliardi di euro (49,3% sottoscritto da Cassa depositi e prestiti, 43,8% da
altri investitori privati, 6,9% dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti).
- I fondi GESCAL che ancora giacciono come residui di alcune Regioni presso la Cassa
Depositi e Prestiti, nella misura di circa 1 miliardo di euro.
- I beni pubblici utilizzabili a seguito del percorso per realizzare il federalismo demaniale
(D.L. n. 85/2010), individuati in circa 12.000 immobili il cui utilizzo deve concorrere anche ad
una funzione sociale, evitando che il processo di valorizzazione cui sono sottoposti, possa
avere solo fini speculativi.
- I fondi europei i quali, sebbene non specificatamente indirizzabili a politiche abitative
pubbliche, possono tuttavia concorrere a finanziare iniziative e progetti nel settore del
recupero urbano, nella direzione del raggiungimento degli obiettivi fissati da EU2020 –
rilanciare il sistema economico e promuovere una crescita “intelligente, sostenibile e solidale”.
■ Un Piano dell'Abitare di questa portata può concorrere a rispondere a bisogni
abitativi, costituendo una grande opportunità di sviluppo, con ampie ricadute
occupazionali. Quello delle costruzioni è un settore dove si stima che un miliardo di
investimenti determina tra 20 mila e 25 mila nuovi occupati. Dar corso ad un Piano
pluriennale in ambito urbano produce effetti occupazionali diretti nel settore, indiretti
nell'indotto e sulla filiera delle costruzioni, ma anche rispetto a nuovi ambiti che emergono:
gestione del verde urbano, impianti di energia rinnovabile, bonifica dei siti inquinanti, etc.
14
Un “Piano per l'abitare” - Bozza di proposta
L'IMPEGNO DEL SINDACATO
L’impegno del Sindacato, deve assumere con più decisione l’esigenza di partecipare
attivamente alle scelte riguardanti il rilancio dell’edilizia residenziale pubblica, l’aumento del
Fondo sociale per l’affitto, l’applicazione della legge 431/’98 sugli affitti, ma anche lo sviluppo
edilizio, le infrastrutture e i servizi sul territorio.
Dall'esperienza dell'ultimo ventennio, che ha visto il diffondersi di una prassi amministrativa
che di fatto ha rinunciato alla pianificazione urbanistica e alla stessa tutela del territorio,
limitandosi a inseguire le tendenze spontanee del mercato, emerge l’esigenza che le forze
sociali, a partire dal Sindacato, pongano con forza il tema della contrattazione territoriale, che
deve diventare lo strumento principale per relazionarsi con le amministrazioni locali su
politiche di sviluppo territoriale. Solo con la vertenzialità e la negoziazione sul territorio è
possibile partecipare con efficacia a scelte vitali per la popolazione, evitando che l’urbanistica
e le politiche riguardanti il territorio, la casa, i servizi, le infrastrutture diventino una “partita a
due” tra amminstratori locali e rappresentanti degli interessi delle società immobiliari e della
rendita urbana.
Lo stesso impegno nel contrattare aspetti specifici del welfare locale e del bilancio comunale
corre il rischio di essere vanificato se poi si è assenti sulle scelte strategiche che ridisegnano
la città determinando crescita delle disuguaglianze, marcata differenziazione qualitativa tra
quartieri centrali o periferici, nuove forme di povertà e di esclusione.
Il welfare locale (in particolare, quello abitativo) deve essere, in quest’ottica, parte integrante
dei processi di rinnovamento, di riqualificazione e di espansione urbana. I Piani sociali di
zona, previsti dalla L. 328/00, devono prendere in considerazione, insieme ad altre variabili,
anche i problemi connessi alla condizione abitativa, favorendo così l’integrazione tra le
politiche necessarie ad un moderno welfare.
15
Un “Piano per l'abitare” - Bozza di proposta