3 L`analisi dell`opera d`arte nella programmazione didattica

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3 L`analisi dell`opera d`arte nella programmazione didattica
3
L’analisi
dell’opera
programmazione didattica
3.1
Un’analisi esemplare
d’arte
nella
“La forma artistica è una forma storica, condizionata da aspetti materiali e tecniche,
ma anche da contenuti e funzioni che generano un intreccio che soffoca la ‘forma
pura’ posta a fondamento, ad esempio, della storia interna dell’arte cara a Wölfflin” 1
in cui ciascuna forma è generatrice autonoma di un’altra forma.
Immagine
1.
Pablo Picasso, Ritratto Kahnweiler
Propongo ora una lettura condotta da Michael Baxandall su un’opera esemplare,
perché posta in un momento storico cruciale per la ridefinizione del rapporto autorecommittenza in una determinata condizione ambientale con determinati mezzi. Una
lettura che dimostra come tutte le voci fino ad ora esaminate non siano semplici dati,
ma precisi snodi problematici.
L’approccio storico offerto da Baxandall propone una originale revisione del concetto di
autore, che coniuga la forma dell’opera con le circostanze storiche specifiche nelle
quali essa si è prodotta. L’opera è così posta “all’intersezione fra la linea generale di
sviluppo storico e linea espressiva individuale”, dove, nella sua forma circoscritta,
confluiscono innumerevoli condizioni.
Il modello interpretativo di Baxandall si propone di sottoporre a critica il tentativo di
individuare l’intenzione autoriale come fattore determinante l’origine dell’opera. La
critica inferenziale proposta dallo studioso intende comprendere il prodotto sia nella
ricerca del problema specifico che l’artista voleva risolvere, sia nelle circostanze
specifiche nelle quali egli se lo poneva, in definitiva nella ricostruzione della “relazione
fra l’oggetto e le sue circostanze”. Dobbiamo altresì ricordare che per Baxandall
l’oggetto della descrizione del quadro “è il pensiero che segue alla visione di un
quadro, non il quadro, né i processi mentali del pittore”.
Nel suo concetto di intenzione Baxandall prende le distanze da coloro che intendono
con questo termine un “effettivo stato psicologico” o un “insieme storico di eventi
mentali” presenti nella mente dell’artista, dai quali far discendere l’interpretazione
dell’opera:
“Assumiamo un proposito, o un intento, o, per così dire, un’intentività, non solo nell’agente storico (il
pittore, il poeta, ecc.) ma soprattutto nell’oggetto storico in sé. Assumiamo quindi che l’intenzionalità è
una caratteristica di entrambi; l’intenzione è l’aspetto tendente-a-qualcosa delle cose”.2
3.1.1
Cosa rappresenta un quadro?
L’efficacia del procedimento è verificata nella ricostruzione esemplare dell’agenda di
Picasso nel 1910. Per chiarire in quale modo si sia determinata la strategia dell’autore
nella realizzazione di un’opera, Baxandall propone la circoscrizione dell’agenda del
produttore, ossia di circoscrivere i compiti specifici assunti dal produttore all’interno di
un più ampio contesto di condizioni vincolanti, di problemi e di risorse posti in
determinate circostanze. Il concetto di agenda viene introdotto a proposito della
realizzazione di Forth Bridge da parte di Benjamin Baker, un’opera destinata a
1
2
Hans Belting, La fine della storia dell’arte o la libertà dell’arte, Torino, 1990, p. 24.
Michael Baxandall, op.cit., p. 66.
1
soddisfare precise esigenze funzionali, e quindi verificata rispetto al Ritratto
Kahnweiler.
La ricomposizione dell’agenda permette di comprendere le specifiche soluzioni
tecniche e formali adottate dagli autori nelle rispettive opere, perché per Baxandall,
l’intenzione riscontrabile nell’opera non è però solo attribuibile all’autore, bensì al
prodotto stesso, alla determinata forma: alla “relazione fra oggetto e le sue
circostanze”. I margini di scelta consapevole dell’autore, di proposizione della propria
agenda, possono variare nelle diverse circostanze, ma riconducono comunque l’autore
nell’ambito di determinate circostanze culturali storiche dalle quali non è possibile
scioglierlo. Baxandall connette in questo modo quanto mai strettamente
l’interpretazione sia all’intenzione dell’autore sia all’intenzione dell’opera3 .
L’agenda, quindi i compiti specifici assunti dall’autore all’interno di un più ampio
contesto di condizioni vincolanti, un luogo dove il pittore ha personalità sociale –
costituì un’importanza essenziale nella realizzazione del Ritratto di Kahnweiler. L’opera
esaminata comporta il confronto con le circostanze tipiche nelle esperienze artistiche
dell’avanguardia, che posero, come vedremo, lo storico di fronte ad una crisi radicale,
propria e del suo oggetto, di fronte alla crisi della tradizionale nozione di
rappresentazione artistica. Lo storico si confronta con un’opera esemplare rispetto
alle mutate circostanze di produzione dell’immagine, nelle quali solo raramente è
possibile individuare un incarico assegnato da un committente determinato.
L’interpretazione di Baxandall inoltre permette di focalizzare l’attenzione sul ruolo
assunto dal mercante e critico d’arte, le forme del mercato dell’arte, le sue istituzioni
e le scelte singolari del pittore configurate all’interno di un ampio quadro di possibilità
dato.
3.1.2
L’incarico e la committenza
In primo luogo Baxandall assegna al pittore un incarico generico, riscontrabile in ogni
tempo: il pittore è chiamato a realizzare su una superficie piana dei segni che abbiano
“un interesse visivo finalizzato ad uno scopo”. La caratteristica visiva della forma
immagine viene immediatamente e prioritariamente posta in evidenza come
condizione comprensiva dell’opera: “interesse visivo intenzionale”.
Il passaggio successivo comporta un avvicinamento ulteriore all’opera specifica e alla
sua temporalità. Ciò avviene attraverso l’esame di un testo scritto nel 1915 da DanielHenry Kahnweiler, la persona ritratta da Picasso, e pubblicato solo nel 1920: Der Weg
Zum Cubismus. Baxandall cerca quindi di tenere conto, e sfruttare come strumento
comprensivo, della doppia condizione di Kahnweiler, come osservatore esterno e di
presenza interna all’agenda di Picasso.
Immagine
2.
Henry Matisse, Armonia in rosso
Il primo elemento problematico affiorato ricorda come i pittori figurativi, e Picasso fra
loro, rappresentano su una superficie bidimensionale la realtà tridimensionale. Non è
una questione nuova come si vede, e Picasso aveva dei precedenti prossimi e
immediatamente presenti, nell’Impressionismo e in Matisse.
Immagine
3.
Paul Cézanne, Château Noir
3
Rispetto alla distinzione fra intentio autoris, intentio operis e intentio lectoris vedi Umberto Eco, Intentio lectoris.
Appunti sulla semiotica della ricezione, in I limiti dell’interpretazione, Milano, Bompiani, 1990.
2
Il secondo elemento è il rapporto fra forma e colore. Anche in questo caso siamo in
presenza di un problema secolare, al quale l’Impressionismo aveva dato una risposta
che invertiva la tradizionale priorità data al disegno rispetto al colore, così riconosciuto
nella sua straordinaria importanza come prodotto della percezione: funzione della
vista, non qualità intrinseca degli oggetti, come invece è la forma, percepibile sia al
tatto sia alla vista. Le ultime opere di Cézanne costituivano una soluzione originale al
rapporto forma e colore.
Immagine
4
Eduard Manet, Chez le Père Lathuille, en plain air
Il terzo elemento è la “fittizia istantaneità di gran parte della pittura”. In discussione
era, in particolare dopo l’Impressionismo, l’apparente coincidenza fra il momento
rappresentato nell’opera e il momento dell’esperienza dell’artista: in realtà il tempo
impiegato dall’artista è maggiore di quello apparente nella rappresentazione.
Il problema posto da Picasso potrebbe quindi porsi in questi termini:
“E allora non potrebbe darsi il caso di un pittore che assuma nel modo di dipingere la consapevolezza che
l’immagine sulla tela documenta un coinvolgimento intellettuale e percettivo protratto nel tempo con
l’oggetto rappresentato? Non si potrebbe forse rendere giustizia a quanto accade davvero in sede di
esperienza, vale a dire al fatto che noi non percepiamo mai l’oggetto mediante un unico senso: data la sua
importanza ai nostri occhi scegliamo di dipingerlo”.4
L’esperienza dell’artista è quindi relativa ad un processo sensoriale e mentale con
l’oggetto, non all’oggetto in sé.
Baxandall esclude che Picasso possa aver condotto una riflessione simile, anche
perché questi evitava la verbalizzazione dei problemi operativi dell’artista. Il confronto
preso in considerazione dallo storico, dal quale emerge la singolarità dell’incarico
assunto da Picasso, è, invece, fra i quadri del pittore spagnolo e quelli degli altri
esponenti del Cubismo, a lui contemporanei, oltre che con la produzione pittorica
precedente. Nella formulazione del proprio incarico da parte di Picasso, Baxandall
situa, almeno parzialmente, quanto normalmente prende il nome di espressione
dell’artista: fu, infatti, il pittore a scegliere i problemi per i quali stabilire la propria
agenda, in una fase che preesiste al processo di elaborazione dell’opera. Qui, nel
definire il del proprio incarico, il pittore manifesta la sua maggiore libertà rispetto alla
committenza tradiz ionale.
4.1.1
Mercato, baratto, troc
Per un’ulteriore messa a fuoco delle circostanze nelle quali l’opera fu composta e delle
relazioni che Picasso intrattenne con la cultura del suo tempo, in una condizione di
reciproca influenza, Baxandall si confronta, con prudenza, con la definizione del ruolo
svolto dal mercato. Non nelle sue forme generiche definite dalle discipline
economiche, ma nella forma specifica del mercato dell’arte all’inizio del Novecento.
Dobbiamo, infatti, ricordare che la maggior parte della produzione artistica non
avveniva più su commissione, bensì il pittore doveva offrire le sue opere al mercato e
doveva trovare la via per accedervi. Il mercato dell’arte non ha solo nel danaro il
proprio valore di scambio, bensì altri termini di riferimento:
“l’approvazione e l’accrescimento intellettuale, e poi gli stimoli derivati dall’incoraggiamento, dalla
provocazione, dall’irritazione; e l’articolazione delle idee, un vocabolario di abilità visive, l’amicizia e,
particolarmente importanti, cose come la storia del proprio operare, una tradizione, un’eredità e in alcuni
casi il denaro, che alcune volte è un bonus sostitutivo dei suddetti elementi e un mezzo per continuare a
4
Baxandall, op. cit. p. 71.
3
dipingere. E la merce di scambio non è costituita solo dall’oggetto del quadro quanto dall’utile e piacevole
esperienza costituita dai quadri stessi. Il pittore può scegliere il tipo di compenso che vuole, dal denaro alla
possibilità di entrare nella storia della pittura, al consenso del pubblico. Il consumatore può scegliere
questo o quel tipo di appagamento. Ma qualunque sia la scelta, questa si riflette sul mercato. E’ il modello
del baratto: un baratto di beni mentali, principalmente.”.5
Per questa particolare forma di baratto, di un particolare genere di beni, Baxandall
adotta il nome francese di troc. In essa i consumatori non erano in grado di richiedere
quel determinato quadro: l’iniziativa di determinare l’esatta risposta da dare al
consumatore spettava al pittore, che poteva determinarla all’interno delle
sollecitazioni del mercato, oltre la consapevolezza del consumatore. Inoltre la scelta
del come rispondere era immediatamente connessa al perché, inteso come motivo che
spinge a richiedere una determinata opera, in questo caso il Ritratto di Kahnweiler.
All’interno dell’agenda di Picasso, d'altronde, devono essere comprese anche le
istituzioni del mercato reali, che erano più rigide e meno adeguate ad accogliere le
sollecitazioni specifiche dell’ambito artistico del momento, mentre tendevano a
mantenere modelli adeguati ad altre merci interferendo con il troc.
4.1.2
Esposizioni, i mercanti e la stampa culturale
Baxandall descrive le forme del mercato dell’arte ereditate dall’Ottocento: le
esposizioni ufficiali, il Salon annuale, al quale era possibile accedere grazie a selezione
della giuria preposta, che escludeva quadri simili a quelli prodotti da Picasso; le
esposizioni alternative, i Salon ‘neri’, come il Salon des Indipendents e il Salon
d’Automne, nate per accogliere la nuova pittura rifiutata dal Salon, non si
distinguevano però da questo nei modi di selezione, ma solo per la disponibilità ad
accogliere opere più innovative, come quelle dei neo-impressionisti, prima, e ora dei
Fauves; i mercanti d’arte, differenziati secondo il modello dei Salon, che erano assurti
ormai a protagonisti tradizionali del mercato, tra questi era presente Kahnweiler,
accanto a Paul Durand-Ruel, il mercante degli impressionisti, e a Ambroise Vollard che
aveva esposto Cézanne e lo stesso Picasso. Questi si accordavano con il pittore per
venderne in esclusiva le opere, a prezzi stabiliti preventivamente in base alle
dimensioni.
Un ruolo di rilievo era inoltre svolto dalla stampa culturale francese, che aveva una
trazione radicata nel Settecento e orientamenti differenziati. Guillame Apollinaire vi
costituiva una delle voci più autorevoli intese a promuovere la nuova pittura. A lui
spetta il conio del termine Cubismo, oltre che di successivi altri –ismi, la definizione
degli intenti degli artisti con formule esaltanti quanto approssimative, come nel caso
di Picasso e Braque, e delle liste degli appartenenti ai vari raggruppamenti. Il suo
ruolo, nonostante le prese di distanza successive di Braque, Picasso e Kahnweiler, fu
importante poiché espresse un complesso di idee, generiche ma consolidate ed efficaci
di riferimento, dando forma ad un sistema ideologico di riscontro incoraggiante per le
scelte di Picasso:
“i mercati d’arte evoluti sono strutture complesse che offrono al pittore la scelta di agende più generiche
che lui stesso, col suo procedere, rivisiterà in modo personale, mentre, dall’altro canto, sono strutture
troppo elementari per riferire con cura e completezza del ben più ampio traffico che ha luogo nel troc. Il
punto è che gli elementi strutturali del mercato, in genere, riguardano l’articolazione economica di una
società, anche se a volte indirettamente e vagamente, laddove il loro significato si chiarifica solo in
relazione a un orizzonte culturale ”.6
5
6
Ibidem, p. 74.
Ibidem, p. 87.
4
L’attività di Picasso si svolse in questo ambito. Egli articolò la sua agenda cambiando
la storia dell’arte con scelte originali, in primo luogo nel proporsi al pubblico attraverso
la mediazione dei mercanti, i clienti e il giornalismo culturale, mentre rifiutò di
partecipare alle esposizioni collettive, dove erano presenti invece i veri cubisti, ossia i
“cubisti minori”, disponibili ad inviare i loro quadri ai Salon neri. Lì essi potevano
ottenere una migliore visibilità come gruppo. Picasso e Braque evitarono di
confondersi con loro, comparendo in sedi espositive comuni o confrontandosi con le
loro elaborazioni ideali.
4.1.3
Influenza
Un'altra precisazione essenziale, premessa da Baxandall, è utile per evitare una
relazione causale fra un autore che influenza e un altro che ne subisce l’influenza.
Baxandall pone invece il rapporto fra autori in termini diversi. L’autore che
apparentemente subisce compie invece una selezione intenzionale nell’ambito della
storia dell’arte. Ne consegue l’esigenza di indagare le ragioni della scelta condotta che
modifica l’assetto complessivo del quadro storico di riferimento: “Ogni arte è un gioco
di posizionamento e, ogni volta che un artista viene influenzato da un altro, riscrive in
parte tutta la storia dell’arte in cui opera”.7
La premessa permette di ridefinire il rapporto fra Picasso e Cézanne. L’assunzione da
parte di Picasso dei problemi che ravvisava nell’opera del pittore di Aix modifica la
posizione di quest’ultimo conferendogli un’importanza non riconosciutagli altrimenti:
“Picasso vide in Cézanne alcuni aspetti e non altri, dopodiché li estrapolò e li modificò secondo la sua
particolare intenzione e all’interno del suo universo di rappresentazione. Così facendo cambiò per sempre
il nostro modo di guardare Cézanne (o la scultura africana); noi vediamo Cézanne, in parte, attraverso la
lente idiosincratica di Picasso”.8
Questo rapporto fra l’autore che precede e l’autore influenzato, che caratterizza il
processo storico dell’arte, è analogo a quanto riscontrato nella singola opera da
Cézanne, e ripreso da Picasso, e chiarisce il carattere processuale riconosciuto
all’opera pittorica. Ogni nuova pennellata aggiunta modifica l’assetto precedente
presente dell’opera, gli equilibri fra gli elementi già vi sono presenti e mette il pittore
in una posizione nuova nella quale può operare ulteriori scelte. Il carattere
processuale riconosciuto nella storia è quindi presente in ogni singola opera, davanti
alla quale il pittore, dopo ogni suo nuovo intervento, si trova in una nuova situazione
che gli consente di mutare progressivamente l’intenzione iniziale. Baxandall riduce
drasticamente così la supposta distanza fra un momento ideativo preliminare perfetto,
concluso in una preliminare intenzione, e una realizzazione che, poiché successiva, ne
sia copia.
4.1.4
Problemi e soluzioni
La qualità dinamica del processo consiste in una continua riconfigurazione del quadro
storico all’apparire di una nuova opera e, in ognuna di esse, di una nuova azione
dell’artista. L’opera diviene l’esito di una successione innumerevole di momenti
intenzionali.
Lo storico deve presupporre questo carattere processuale dell’azione produttiva, non
per proporne una narrazione che ne colga ogni momento, ma per illuminarne i
passaggi essenziali dalla sua posizione a posteriori, ad iniziare dai tre elementi
problematici già in precedenza individuati e persistenti fra 1906 e 1912: la
discrepanza fra bidimensionalità della superficie pittorica e la realtà tridimensionale; il
7
8
Ibidem, p. 90.
Ibidem, p. 92.
5
rapporto fra forma e colore; la fittizia istantaneità della pittura. Essi non appena messi
in opera pongono a loro volta a Picasso nuove questio ni derivate. Il Ritratto di
Kahnweiler trova la sua collocazione in quegli anni e ne è esso stesso parte.
La distanza fra la ricostruzione di quegli anni offerta dallo scritto di Kahnweiler e le
dichiarazioni successive di Picasso, messe a confronto, aiutano a far capire come la
diversa visuale propria dell’osservatore e dell’autore: il primo interpreta elaborando un
modello formale individuando problemi e soluzioni, il secondo trova una soluzione a
problemi specifici presenti nell’opera, soluzioni parziali che spiegano la difficoltà di
Picasso di licenziare l’opera finita per destinarla al mercato. La formulazione dei
problemi enucleati da Kahnweiler rientra nel troc di Picasso, permettono di capire le
attese di chi allora rappresentava il suo principale mediatore con il pubblico.9
4.1.5
La rappresentazione e la presentazione
Immagini
5.
Pablo Picasso, Les Demoiselles d’Avigon
La svolta nella produzione di Picasso si riscontra fra il 1906 e il 1907. Egli abbandona i
temi narrativi con figure, ancora presenti in Les Demoiselles d’Avigon, di ispirazione
tardo-ottocentesca - dove i protagonisti erano colti in meditazione davanti alla vita per privilegiare temi “sotto-narrativi”, come i nudi, le nature morte, i ritratti. Le opere
comprese fra il 1906 e il 1912 “inscenano la performance stessa di Picasso, il ripetersi
del ‘trovare-il-problema’ e di ‘risolvere-il problema’. Il pittore si fa acrobata
conoscitivo, di un genere sostanzioso e stupefacente”.1 0 Il tema scelto divengono le
questioni formalizzate da Kahnweiler e sorte all’interno della produzione pre-cubista
del 1905-06. Fu il suo stesso linguaggio pittorico a costituire il tema delle opere
successive, come ebbe già modo di riflettere Filiberto Menna richiamando le parole di
P. Reverdy (1918): “Un’opera d’arte non può accontentarsi di essere una
rappresentazione: deve essere una presentazione. Un’opera d’arte”. 1 1
4.1.6
Le parole e le opere
La lettura offerta da Baxandall dell’opera di Picasso, della quale qui si è tentata una
sommaria sintesi, rivela l’efficacia di un atteggiamento storico-critico che tiene
presente, nel considerare il rapporto fra l’opera e la cultura d’origine, la necessità di
analizzare nel dettaglio la connessione fra le idee e i quadri. Altrimenti, se le
informazioni circostanziali sono generiche, si perdono di vista le finalità del lavoro
interpretativo, che ha come scopo primario l’affinamento della percezione dell’opera:
“Quello che cerchiamo di spiegare è il quadro come lo descrivono le nostre parole e la
spiegazione diventa parte di una più ampia descrizione del quadro, ancora nelle nostre
parole”.1 2
In Baxandall sembra risuonare la consapevolezza di Konrad Fiedler nell’affermare la
specificità del linguaggio visivo, nell’esclusione di ogni possibilità di giungere ad una
comprensione totale dell’opera attraverso l’interpretazione verbale, che, se attuabile,
renderebbe inutile l’esistenza dell’opera: “ogni singola forma d’arte è giustificata solo
in quanto sia necessaria per la rappresentazione di qualche cosa che non sia
9
Vedi: Daniel Kahnweiler, La via al Cubismo. La testimonianza del gallerista di Picasso, Milano, Mimesis, 2001.
Baxandall, op. cit., p. 106.
11
Vedi: Filiberto Menna, La linea analitica dell’arte moderna. Le figure e le icone, Torino, 1975: “Con l’abolizione
della similarità e della metafora, il quadro non rinvia ad altro da sé, diventa un oggetto intransitivo, che non
rappresenta ma presenta se stesso”, p. 32 -33.
12
Michael Baxandall, op. cit., p. 160.
6
10
rappresentabile in un’altra forma. E’ ingiustificata invece se rappresenta qualcosa che
sia rappresentabile anche in altro modo”.1 3 Si iscrive quindi in quel versante critico che
riconosce l’autonomia del linguaggio visivo e, tuttavia, vi si accosta con le parole,
strumento proprio della storia e della critica, risalendo dall’oggetto al processo
creativo, del quale è l’esito e che possiamo richiamare nel nome dell’autore. Le parole
vanno a modificare la percezione dell’oggetto, che rimane lo stesso, mentre la sua
fisionomia muterà alla vista dell’occhio. L’attività storico-critica di ricostruzione del
processo produttivo, interponendosi fra il fruitore e l’opera, ne muterà la ricezione.
La radicale revisione operata da Baxandall all’approccio sociologico all’opera d’arte
muove da una consapevolezza della specificità della forma dell’opera, simile a quella
che ha permesso di ridimensionare l’approccio iconologico. In questo senso è utile il
confronto con il pensiero di Otto Pächt:
“le arti figurative - al pari della musica – possono dire nel loro linguaggio cose che le altre forme espressive
non sarebbero mai in grado di dire. Ed è per questo, in ultima analisi, ciò che s’intende quando si parla
dell’arte come ‘sfera espressiva autonoma’. Ma se le cose stanno così la ricerca delle fonti extralinguistiche
dell’opera d’arte non potrà mai fare luce sul contenuto specifico della creazione artistica, senza contare
che sono sempre possibili invenzioni originali, del tutto estranee al linguaggio della parola e consustanziali
con il ‘mezzo’ figurativo. Contro le affermazioni dei Padri della Chiesa e dei teologi medievali, anche il
ruolo dell’arte sacra cristiana non si esaurisce affatto in un linguaggio per immagini, destinato a sostituire
la scrittura come biblia pauperum. […] Anch’essa è in gran parte delle sue manifestazioni un discorso sui
generis sul mondo e l’esistenza, sulla vita quotidiana e sulle cose ultime, non riducibile a un mero
surrogato e a sua volta intraducibile”.14
4.1.7
La discontinuità
Il modello di Baxandall permette di uscire sia da una storia dell’arte come storia delle
forme, dello stile e degli autori, intesa come percorso autonomo rispetto alla
complessità della storia generale, senza smarrire la specificità dell’oggetto nel
rapporto con il mondo della sua origine, sia di illuminare le circostanze nelle quali
furono possibili le scelte dell’artista, sia di restituire al committente e al pubblico una
posizione attiva, e offre la possibilità di “ricostituzione del legame fra arte e
pubblico”.1 5 La crisi consumata fra Ottocento e Novecento del rapporto fra immagini
artistiche e pubblico è, d'altronde, relativa soprattutto alle forme tradizionali. Le
immagini, viceversa, intrattengono inconsuete e intense relazioni con il pubblico nelle
condizioni di esistenza offerte dalle nuove tecnologie.
Quali indicazioni pratiche possono discendere da questo esempio che ben difficilmente
può trovare immediata applicazione in un aula scolastica? Innanzitutto è necessario
convincersi che da un’efficace analisi discende la possibilità di apprezzare un’opera,
soprattutto se di origine lontana dalla nostra cultura.
Esercizio:
Un semplice esercizio per cercare di intuire l’efficacia dell’analisi consiste
nell’osservare, prima, un’immagine, come la riproduzione che segue, e quindi
procedere alla descrizione propostane. Quindi tornare nuovamente
all’immagine. Anche se durante la lettura della descrizione qualcuno sarà forse
già tornato più volte ad essa.
Immagine
13
Konrad Fiedler, Aforismi sull’arte, Milano, 1945, p. 206.
Otto Pächt, Metodo e prassi nella storia dell’arte, Torino, 1994, p.75.
15
Hans Belting, op. cit., p. 4.
14
7
6.
Giorgione, Doppio ritratto Ludovisi
“Alle spalle della figura è un parete grigia, schiarita da un fiotto di luce fredda che spiove in diagonale
dall’alto, evidentemente da una finestra aperta sulla parete di sinistra della stanza la cui presenza,
immediatamente al di là del margine della tela, percepiamo meglio che se vedessimo figurata entro il
quadro. Una zona di penombra, più densa sotto la finestra e poi sempre più incerta, si spegne lentamente
sulla destra, ma per riaccendersi poco oltre sulla colonnina che chiude la parete e al di là della quale è il
varco da cui appare in una situazione di luce diversa un altro giovane. Quel lume radente ha la capacità di
evocare su quel breve tratto una straordinaria situazione d’interno. Lo spazio ne risulta qualificato in
senso intimistico. […] La testa del giovane è piegata di traverso in modo di coricarsi sulla diagonale della
luce, e mentre essa si disegna delicatamente in controluce sulla parete, dal giro elegante del cappello blu
scuro, guarnito di due fiocchi dal puntale dorato che cadono paralleli in ordine impeccabile, alle chiome
inanellate disciolte sulle spalle il viso sfiorato dalla luce radente, gli occhi affossandosi nell’ombra delle
arcate sopraccigliari, la bocca celata dalla lunga ombra del naso, scoprendosi alla carezza del lume solo da
un angolo. E’ un raffinato equilibrio tra il rilievo della testa sulla parete che ne sottolinea i valori
disegnativi, e il rapimento della stessa nel fiotto di luce. Il giovane si abbandona al conforto della luce.
Una complicità altamente poetica si realizza fra le qualità intimistiche e intellettuali della luce e quella
sentimentale a fior di pelle. La luce, cadendo sulla manica, rivela la bellezza del blu scuro dell’abito, lo
stesso del cappello, in rapporto al grigio freddo della parete; fa brillare le guarnizioni dorate, di un oro che
scintilla freddo, e accende crudo, rispetto all’incarnato un po’ terreo del polso, il bianco della camicia al
collo e all’uscita della manica. Il rapporto tra la luce acuta, fredda, di questi bianchi e il colore basso,
terreo dell’incarnato è come nella nuda della Tempesta. Accanto a questi accordi sono quelli appena
indicati, di grigio e blu, di blu e oro: un cromatismo, per così dire, sacrificato ad un luminismo freddo che
è lo stesso della tempesta. Le luci di giallo freddo delle guarnizioni dell’abito sono vergate su un fondo di
giallo più caldo su cui si frangono variamente, perché i valori intermedi del fondo sono ripresi da ultimo
di tocco a schermare e frazionare le pennellate di massima luce. E’ la tecnica del luminismo
cinquecentesco che si prepara a raggiungere i suoi vertici. La finestra si percepisce non propriamente di
lato alla figura, ma appena più arretrata, perché la luce si infila appunto da dietro fra il busto e la manica,
ma ricreando qui dei colori di controluce analoghi a quelli della testa sulla parete, ma subito si perde in un
riverbero fioco dentro alla penombra in cui sono immersi il busto e il davanzale, cioè la zona centrale e il
primo piano del quadro. Lo spiovere netto della luce sulla camicia è sempre dettato dalla stessa sottigliezza
del disegno: si consideri come esso sia coinvolto nella stilizzazione che presiede a tutto il dettaglio della
mano piegata ad angolo retto sul polso, dal profilo in controluce tirato sul regolo, ancora una volta
l’equilibrio è estremamente sapiente fra sottigliezze luministiche che aprono la via ai grandi naturalisti del
Seicento e sottigliezze disegnative stilizzanti da smaliziato ‘primitivo’ nazareno. I bianchi della camicia,
così crudamente accesi di luce diventano nell’ombra improvvisamente spenti, sgradevolmente sordi ed
opachi, dei grigio-azzurri animati dal sommesso vibrare della luce sulle piegoline e sulle guarnizioni del
colletto; ma è una povertà geniale, fino in fondo cosciente di sé, se è vero che non teme di esibirsi in
quello che è il centro tradizionale del quadro, il suo centro geometrico: perché è lì che appunto avviene
quella brusca sospensione di luce e, con la luce, della preziosità della materia e della stesura. Come
Giorgione non ha esitato a irrigidire il profilo del polso, così ora non si esita a svuotare queste zone
centrali del quadro. Questo vale anche per la pittura del collo interamente in ombra e appena modellato
da un riverbero di luce, e per quella dell’abito, dove analogo valore di un qualche animazione della
penombra hanno le bordure d’oro e su queste i quattro nastrini viola che lo chiudono sul petto. Questa
povertà è del tutto funzionale all’idea coraggiosa e assolutamente senza precedenti sta sperimentando di
una zona di penombra che involga il primo piano e il centro del quadro, il davanzale come il busti stesso
della figura, una penombra riverberata e trasparente, ma dove nulla succeda. La vita riprende ai margini
del quadro, la dove la raggiunge la luce. E infatti sulla diagonale luminosa che scende dalla finestra, e che
di fatto coincide con la diagonale del quadro, attraverso quello spazio d’ombra, una bolla si accende
sull’angolo del davanzale, e qui lo schiarirsi della pietra sotto l’incidenza della luce, con quello sfumare
lento dell’alone nell’ombra del piano e troncarsi netto lungo lo spigolo, anzi intensificarsi sul filo di quel
contrasto con l’ombra come ad assaggiare l’argine ultimo, lì sul primissimo piano, del nostro percorso, è
8
cosa degna di un olandese del secolo dopo, come il pensiero stesso di quella nuova vita della luce dopo la
grande pausa dell’ombra. La mano appare entro quel breve ritaglio di luce, talmente breve che le due
superbe foglie del melangolo restano nell’ombra, realizzate solo dai riverberi della luce, dai mezzi toni,
mentre dietro la mano stupendamente scorciata gli ori della bordatura della manica sul limite dell’ombra e
di contro al blu che si indovina carico, hanno uno splendore fermo, più fermo di quelli dall’altra parte,
immessi in una situazione di luce appunto diversa. Non si può non insistere sull’audacia di questo
immergere in ombra il davanzale e il centro del quadro, anche perché questo vuoto è proprio quello che ci
dà tutta la magia di quel venire innanzi della mano, uscendo fuori dall’ombra lì nell’imminenza del primo
piano. Grazie a questa soluzione il viso segnato dalle stimmate della malinconia, e la mano che porta
l’emblema d’amore, vengono a trovarsi in straordinaria rispondenza l’uno dall’altra, legati, oltre l’ombra,
dal tragitto della luce. Queste due aree, oltre che da questo artificio, che è il piano della verità di natura,
sono connesse tra loro sul piano della composizione delle forme da altri che hanno il loro fulcro nella
colonna. Questa struttura, non certo esornativa, vale intanto quale asse verticale contro cui apprezzare
quel sentimentale inclinarsi del giovane, non diversamente dunque dallo spadone e dalla lancia nell’Uomo
d’armi degli Uffizi; ma qui anche quale registro di partizione della luce, perché il colmo tracciato sulla
colonna, proprio sulla linea mediana del quadro segna il limite di esposizione della figura, della testa e del
busto, sul quale si allinea anche la punta della manica in penombra, sulla cui bordura dorata corre un
tenue filo di luce, mentre il profilo in ombra di quella colonnina individua il limite di accensione della
luce sul davanzale – ancora un pensiero di composizione e di stilizzazione e da un lato suggella in modo
perentorio, con la perentorietà dei fatti che competono alla forma di contro alla natura, la gravitazione
della testa verso la fonte di luce, dall’altro contribuisce non poco a dare a quel ritagli di luce sul primo
piano e al gesto della mano un’analoga presenza ferma , sospesa e come sottratta al tempo della natura.” 16
4.1.8
Spiegazione e produzione
Possiamo concludere: la spiegazione dell’opera è, fin dall’atto descrittivo, un attività
che la inserisce in una rete di riferimenti, tessuta di parole e concetti. La spiegazione
storica, che fonda la possibilità del fruitore di avvicinare l’opera e il suo produttore,
stabilisce relazioni fra l’opera e un ambito temporale di appartenenza. Ne possiamo
distinguere due tipi: causale e finale.
Nel primo caso l’oggetto è spiegato come esito di cause, in modo simile a quanto
avviene nelle scienze naturali, nel secondo lo si spiega come prodotto di un’azione
dotata di scopi. Nel primo caso si procede verso l’individuazione di leggi generali,
simili a quelle fisiche. Ciò comporta una limitata efficacia in ambito artistico, dove lo
storico è interessato alle ragioni del specifico prodotto, non al cosa ma al come quella
cosa si è prodotta.
Nel secondo invece è possibile individuare le caratteristiche del prodotto, esito di
un’azione intenzionale, ponendo attenzione alle singolari caratteristiche formali delle
opere. L’attenzione dello storico dell’arte è rivolta all’oggetto prodotto, al quale noi
riconosciamo un valore specifico di opera d’arte, per comprendere il quale noi
risaliamo all’azione che lo ha prodotto. Lo storico si occupa del processo produttivo, di
relazioni fra problemi e loro soluzioni in circostanze materiali e intellettuali
determinate, il cui esito è l’opera oggetto di descrizione. Interpretare un’opera d’arte
comporta un’indagine che dall’opera, dal testo, risale al contesto nel quale fu prodotta
e da qui propone un percorso che consenta di illuminare le strategie attraverso le
quali l’opera soddisfa un’intenzione creativa. L’opera risponde a delle sollecitazioni,
storicizzabili e non determinate solo all’interno dell’ambito artistico, con una forma che
rappresenta una visione originale di quanto è già esistente. L’equilibrio fra quanto è
già prima dell’opera e che l’opera adotta come contenuto e strumento - per esempio
le convenzioni iconografiche o le soluzioni tecniche e formali già esistenti e che
16
Alessandro Ballarin, Giorgione e la Compagnia degli Amici: Doppio ritrattto Ludovisi, in Storia dell’arte Einaudi,
Torino, Einaudi, 1983, vol. 5, p.500-503.
9
costituiscono il codice da cui l’opera prende forma - e la nuova soluzione propria
dell’opera specifica è ogni volta rideterminato.
Le analisi esemplari prodotte da Baxandall non si rivolgono alcuno scopo didattico
diretto, ma noi possiamo assumerle come modello per una didattica che si ponga lo
scopo di porre gli alunni in grado di interpretare correttamente un’immagine, un’opera
che abbia un intento visivo. Quali indicazioni pratiche possiamo ricavare da questo
modello?
4.2
Tre fasi dell’interpretazione
La descrizione del Doppio ritratto Ludovisi di Giorgione prima proposta è parte di un
saggio dedicato all’opera. Qui ne abbiamo citata solo la parte centrale, dove Ballarin
esamina accuratamente ogni aspetto del dipinto. Prima di questo brano il saggio
presenta un percorso di avvicinamento all’opera, una sua contestualizzazione nella
cultura neoplatonica veneziana di inizio Cinquecento, impegnata in una complessa
riflessione sull’amore che trovò una forma verbale negli Asolani del Bembo. Lo storico,
dopo la descrizione, riprende l’esame dei rapporti che l’opera di Giorgione intrattenne
con la cultura di quel torno di tempo, e proietta le qualità emerse per illuminare le
ulteriori vicende della storia dell’arte. La descrizione è quindi inserita in un più vasto
disegno, che nella descrizione lì incastonata trova un proprio esito e dalla descrizione
trae ulteriori informazioni utili a comprendere sia il quadro storico generale, sia altri
esiti artistici.
Consideriamo per questi motivi il saggio di Ballarin esemplare. Esso raduna in sé tre
possibili fasi del lavoro didattico che pone al proprio centro la descrizione analitica. La
prima fase articola le competenze relative al contesto di origine, la seconda afferma la
centralità dell’opera specifica e ne costituisce l’interpretazione, la terza raduna tutte le
possibili esperienze compiute per preparare il terreno ad ulteriori analisi. Questi tre
momenti costituiscono quindi un percorso esemplare riconducibile e adeguabile
all’attività didattica che voglia essere attività storica, analisi critica dell’opera, e si
presti a intrattenere un approccio interdisciplinare. D’altra parte questo saggio ha un
carattere esemplare anche perché esalta e non sacrifica le qualità visive dell’opera,
sfugge al pericolo di fare della cultura visiva e di ogni singola opera un “sintomo” fra
gli altri di una cultura che in altre forme trova già una perfetta espressione.
4.2.1
L’insegnante e l’allievo, due diversi ruoli
Le tre fasi che abbiamo individuato nel saggio di Ballarin possono dare vita a tre
momenti distinti della didattica nei quali trovino differente espressione le competenze
dell’insegnante e le capacità degli alunni.
La tradizione didattica italiana privilegia la tipologia della lezione frontale. Essa offre
ottime possibilità di riversare in tempi rapidi conoscenze, determinate in modo
univoco dall’insegnante. Soprattutto in presenza di alunni molto motivati e padroni di
una tecnica di assimilazione e rielaborazione dell’insegnamento presenta vantaggi
notevoli. Era questa la condizione normale pretesa da chi voleva frequentare i licei
prima della riforma che liberalizzò, negli anni settanta, l’accesso all’università.
Non credo che la lezione frontale debba essere rifiutata in assoluto, come alcuni
tendono a credere, penso piuttosto che debba essere adottata, dopo averne compresi
i limiti, con più oculatezza e resa problematica, affiancata da altre e adeguata alle
singole situazioni.
La lezione frontale tende a riprodurre le stesse competenze già dell’insegnante e a
porre l’alunno in una posizione subalterna e passiva: egli dovrà provare di aver quanto
più e meglio assimilato quanto già è del docente. Questa tipologia quindi mantiene
l’allievo dipendente dall’insegnante, unico responsabile del prodotto cognitivo. Chi
10
detiene le conoscenze tende ad assicurarsi che queste siano trasmesse e riprodotte,
piuttosto che favorire lo sviluppo di forme di sapere diverse, attraverso l’acquisizione
di competenze che rendano progressivamente autonomo e originale l’apporto
dell’allievo. Questi è concepito come un terreno più o meno fertile dove introdurre una
specifica cultura, già maturata indipendentemente da lui.
Le tipologie didattiche alternative tendono invece a un processo di apprendimento
empirico e induttivo, propongono un percorso didattico che orienta gli alunni a partire
dalle competenze precedentemente acquisite, stimolando l’acquisizione di nuove
competenze attraverso attività che coinvolgano immediatamente gli alunni. Questo
approccio favorisce la partecipazione attiva degli alunni alla costruzione della lezione e
li rende immediatamente protagonisti responsabili della propria formazione. Le
competenze così acquisite sono immediatamente esercitate, assumono quindi un
carattere performativo, permettono di imparare facendo. Un approccio performativo
però richiede ampia disponibilità di tempo e spesso di mezzi, richiede orari flessibili,
laboratori attrezzati e biblioteche ben organizzate. Queste condizioni sono spesso
carenti o addirittura assenti nelle nostre scuole che sono state pensate per la lezione
frontale. Con questi limiti dobbiamo confrontarci nella programmazione didattica. Non
possiamo prescindere dalle condizioni reali, se non vogliamo esporci alle inevitabili
frustrazioni conseguenti agli esiti incerti di progetti velleitari.
Ritengo sia possibile, all’interno di una programmazione modulare, distinguere dei
momenti diversi, alcuni affidati ancora alla lezione frontale, altri nei quali siano
immediatamente protagonisti gli alunni.
Esercizio per il forum:
Propongo qui un possibile nodo storico artistico oggetto normalmente di particolare
interesse in ogni ordine di scuola. Lo propongo come un modulo in cui sono
evidenziate le prime due fasi, delle quali sono individuati alcuni possibili passaggi.
Esaminiamolo e quindi proviamo a cambiarne l’articolazione, sia impostandone
diversamente le categorie interpretative che ne reggono l’incipit, sia inserendo o
togliendo autori e opere e motivandone la scelta. Chi voglia può riformularlo
completamente.
Particolare interesse può avere proporre la comparazione con altre opere
dichiarandone i motivi e la funzione.
1.
1.1.
1.1.1.
1.1.2.
1.1.3.
1.1.4.
1.1.5.
1.1.6.
1.1.7.
1.1.8.
1.1.9.
1.1.10.
Classicismo e anticlassicismo.
L'immagine sacra fra idea, natura e maniera.
Giorgione, Pala di Castelfranco; Tre filosofi; Tempesta.
Tiziano Vecellio, Miracolo della donna ferita e del marito geloso; Assunta dei Frari;
Amor sacro e Amor profano; Pala Pesaro ; Martirio di S. Lorenzo; Diana e Atteone.
Lorenzo Lotto, Annunciazione.
Correggio, Visione di S. Giovanni Evangelista.
Pontormo, Trasporto di Cristo.
Rosso Fiorentino, Deposizione.
Michelangelo Buonarroti, Sagrestia Nuova di S. Lorenzo; Giudizio Universale;
Pietà Rondanini.
Parmigianino, Madonna dal collo lungo.
Romano, Palazzo Te.
Bronzino, Venere e Cupido.
11
1.1.11.
1.1.12.
Jacopo Tintoretto, Miracolo dello schiavo; Ritrovamento del corpo di S. Marco;
Ultima cena di S. Giorgio Maggiore.
Paolo Veronese, Ester incoronata da Assuero; Cena in casa Levi; affreschi di Villa
Barbaro.
La prova della settimana:
Ogni corsista rediga una presentazione di un tema storico artistico concordato con il
tutor secondo il modello qui di seguito indicato.
Ÿ
Come impostare l’introduzione ad un modulo.
1.
Dimensione: da 3000 a 3300 battute (spazi esclusi).
2.
Ogni relazione dovrà presentare un titolo ed essere divisa in tre parti:
dovranno essere distinti almeno tre paragrafi.
3.
Il titolo può essere concepito sulla base delle indicazioni date dal tutor
e dovrà costituire una estrema sintesi del tema, anche una sola parola
può essere illuminante.
4.
La prima parte, introduttiva, dovrà avere carattere espositivo e
un’estensione pari a quinto del totale. La sua lettura dovrà rendere
disponibili tutte le informazioni che il redattore riterrà essenziali,
rispetto all’ambito storico (dove e quando?) e alle problematiche
relative. L’obiettivo è stabilire una relazione immediata fra il
destinatario e l’argomento proposto. Una frase può essere sufficiente
per permettere a chi legge di capire quale sia la tesi principale e
introdurre la materia del modulo e al contesto storico-artistico nel quale
si ritiene debba essere inserito. Il lettore della relazione deve essere
informato fin dalle prime parole dei motivi che rendono importante la
trattazione del tema.
5.
La seconda parte, ancora di carattere espositivo, deve informare.
Dovrà entrare nel merito e proporre un itinerario che metta a fuoco i
concetti, le categorie il lessico specifico necessario per descrivere i
fenomeni artistici esaminati. Data la brevità della composizione,
l’approfondimento dovrà essere relativo, ma dovranno essere colti tutti
gli snodi principali. Dovranno essere posti in evidenza, definiti e spiegati
i termini chiave, specialmente se essi sono introdotti per la prima volta
o assumono un’accezione particolare nello specifico contesto. Non
devono essere presenti giudizi o valutazioni del redattore: lo scopo non
è la valutazione ma l’interpretazione competente.
6.
La terza parte è conclusiva, ha carattere espositivo e argomentativo.
Consentirà al redattore di esporre e motivare le proprie considerazioni
critiche rispetto al tema e alle problematiche presentate. Piuttosto che
delle conclusioni sono opportune delle domande, anche rispetto a testi o
12
fenomeni relativi ad altri ambiti disciplinari strettamente ed
esplicitamente pertinenti. Potrà essere addotto un esempio tratto da
problematiche prossime ai destinatari, che offrano uno scorcio originale
su motivi di immediato interesse, ma senza digressioni che si
allontanino troppo dal tema d’origine. E’ opportuno concludere con una
domanda, che rilanci e riassuma il problema aperto.
Temi proposti
1.
Realtà e simbolo nella pittura ravennate.
2.
L’evoluzione dell’iconografia della crocifissione nella pittura fra Duecento e
Trecento.
3.
La rinascita del ritratto fra Medioevo e Rinascimento.
4.
La tipologia della chiesa longitudinale in Brunelleschi e Alberti.
5.
Il monumento funebre fra Quattrocento e Seicento.
6.
L’evoluzione della pala d’altare fra Quattrocento e primo Cinquecento, da Piero
della Francesca a Tiziano.
7.
L’immagine della città nella pittura di Carpaccio.
8.
La concezione dello spazio prospettico negli affreschi mantovani di Mantegna e
Giulio Romano.
9.
L’immagine sacra nella pittura italiana e fiamminga del Quattrocento.
10. L’Ultima cena nella pittura fra Quattrocento e Cinquecento: A. del Castagno,
Leonardo da Vinci, Paolo Veronese, Jacopo Tintoretto.
11. La nuova concezione della facciata della chiesa introdotta da Palladio.
12. La concezione della piazza rappresentativa nel Cinquecento: Michelangelo,
Sansovino, Vasari.
13. Le tipologie della villa palladiana.
14. Il ritratto nella pittura del Cinquecento: Leonardo, Raffaello, L. Lotto, Bronzino.
15. Lo spazio rappresentativo nella pittura di Tintoretto.
16. La nascita della pittura di genere.
17. La funzione della luce nella pittura di Caravaggio.
18. La concezione scenografica della piazza barocca.
19. La nascita della concezione barocca della città nel piano di Sisto V.
20. Il rapporto fra natura e architettura nelle residenze regali del Settecento.
21. Realtà e invenzione nella pittura vedutista veneziana.
22. La rappresentazione della morte nei monumenti funebri di Bernini e Canova.
23. L’immagine della natura nella pittura romantica.
24. Il soggetto storico nella pittura fra Settecento e Ottocento: David, Goya,
Géricault, Delacroix.
25. La funzione del colore nella pittura impressionista e post impressionista
attraverso il confronto di tre opere emblematiche.
26. Le utopia e progetto nell’urbanistica dell’Ottocento.
27. L’affermazione dei nuovi materiali nell’architettura contemporanea.
28. La crisi della forma rappresentativa nella pittura del primo Novecento: Matisse,
Picasso, Kandinsky, Mondrian.
29. Ecole des Beaux-Arts ed Ecole Polytechnique: storia, utopia e rivoluzione
tecnologica nell’architettura dell’Ottocento.
30. Il nudo femminile nella pittura moderna: Tiziano, Bronzino, Manet.
31. Espressione e concetto nell’arte del secondo dopoguerra.
32. Forma e funzione nella progettazione del prodotto industriale.
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