il Tirreno — 04 novembre 2008 - Associazione Piscicoltori Italiani

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il Tirreno — 04 novembre 2008 - Associazione Piscicoltori Italiani
il Tirreno — 04 novembre 2008
Povero di tutto, anche di proteine
C’è chi ne fa scorta nel freezer, chi lo consiglia nei forum online, chi lo apprezza in cucina per il
sapore delicato. E perché costa pochissimo. Il pangasio, pesce d’acqua dolce da noi sconosciuto fino a pochi anni fa, sta cominciando a invadere il mercato: lo si trova in quasi tutti i
discount, in molti supermercati e in qualche pescheria, persino in città di mare come Livorno.
Venduto in filetti, congelati e senza spine, finisce anche nei piatti delle mense aziendali. Ma
ora da più parti arrivano inviti alla prudenza. Lo si sconsiglia soprattutto ai bimbi, visto che sappiamo poco sulle modalità d’allevamento del pesce. Tra coloro che lanciano l’allarme c’è il nutrizionista Ciro Vestita che oggi sarà in due programmi di RaiUno a esprimere le sue preoccupazioni. Il pangasio - che da noi può essere venduto solo in forma di filetto congelato - arriva
da lontano: abita le acque di grandi fiumi asiatici, in particolare il Mekong e i suoi affluenti. Lo
si alleva in Vietnam dentro grandi gabbie galleggianti, nutrendolo con resti di crostacei o di pesci, scarti di macellazione e vegetali. E’ onnivoro e molto resistente, e dunque capace di vivere
in ambienti compromessi. Già, perché il Mekong è nella lista dei dieci fiumi più inquinati del
mondo e nel suo lungo corso - nasce sull’altopiano del Tibet - attraversa 210 aree industriali,
quasi tutte in territorio cinese, che scaricano i loro reflui nelle sue acque. Una volta pescato, il
pangasio viene comunque ben pulito e poi spellato, filettato, congelato e glassato in stabilimenti enormi «che impiegano anche i ragazzini e dove non esistono tutele né controlli sulle
condizioni di lavoro», denuncia Antonio Trincanato, direttore dell’Api, l’associazione dei
pescicoltori italiani (di Confagricoltura). E dopo un trattamento a base di E451 (tripolifosfato di
sodio) il pangasio prende la via dell’Europa.
Quasi il 45% della produzione - che nel 2008 sarà più o meno di 1milione e 300mila tonnellate
- è esportato nei paesi nella Comunità. La porta di ingresso è di solito l’Olanda o comunque un
paese del nord, dove il pesce viene venduto agli importatori per 1 dollaro e 80, massimo due
dollari al chilo. Meno di un euro e mezzo. Nei supermercati e nei negozi toscani ha prezzi variabili, ma di solito al di sotto dei 10 euro. Da Voliani a Livorno lo si trova per 4,90 e va a ruba:
«Abbiamo clienti che ne comprano anche 5 chili per tenerlo nel congelatore», dice una commessa. Alla Conad costa 7 euro e 90 e si trova sfuso, con l’indicazione della provenienza e
l’etichetta “decongelato”. Esselunga e Coop invece hanno scelto di non tenerlo. Ma naturalmente, quando arriva sui nostri scaffali il pesce ha passato tutti i controlli necessari, prima alla
frontiera, poi le analisi interne delle varie aziende. «Il nostro ufficio fa periodicamente i controlli
qualità - spiega Daniele Bartolomei, direttore “freschi” di Conad - e per il pangasio non c’è mai
stato alcun problema, il nostro prodotto è garantito». Se qualcosa non torna, il pesce infatti viene fermato prima d’entrare in Italia, e a volte succede: «al pangasio va il palmares delle irregolarità scoperte con controlli a campione tramite il sistema di allerta rapido». nota Trincanato.
Ma i nutrizionisti questo pesce lo digeriscono male: contiene tanta acqua, poche proteine e
pochi grassi “buoni” come gli omega3. E poi è carente di vitamina E. Al contrario è molto ricco
di sodio, anche per colpa dell’E451 con cui
viene trattato. Insomma qualità scarse, e la colpa - dicono all’Istituto nazionale di ricerca sugli
alimenti - potrebbe essere del mangime con cui è nutrito, ma forse anche della lunga filiera:
pesca, filettatura, congelamento, trasporto, sempre sperando che la catena del freddo non
venga interrotta. In più il pangasio si presta alle frodi. E’ capitato che i suoi filetti - ultimamente
nel Ravennate e a Roma - siano stati spacciati per sogliola o addirittura per cernia. La Capitaneria di porto nel giugno scorso a Porto Santo Stefano ha scoperto che del pesce etichettato
come passera di mare era invece pangasio. E’ la forma di filetto che semplifica l’inganno. Ma il
pesce del Mekong sta diventando anche un temibile concorrente per gli allevamenti toscani:
concorrente delle trote della Garfagnana come delle orate e delle spigole di Orbetello. E dunque ci si comincia a preoccupare per l’acquacoltura locale. «E tutto per un pesce di cui non si
conosce la filiera - nota Ciro Vestita - non si sa come e in quali acque è stato allevato e come
trattato. Oggi lo troviamo nelle mense aziendali ma io temo che sia anche nelle mense scolastiche. E non è certo adatto ai bimbi». - Gemma Vignocchi
Rassegna Stampa