Mostra a Venezia e a Basilea

Transcript

Mostra a Venezia e a Basilea
Untitled (I shop therefore I am),
Barbara Kruger, 1987
Commenti spassionati sul meglio dell’arte
contemporanea in mostra a Venezia e a Basilea.
Di Gaia Serena Simionati
“Solo quando il
martello distrugge,
la sua vera essenza
viene rivelata”
Martin Heidegger
Le rouge et le noir, Andrei Molodkin
Multimedia Art Museum Moscow
˜ 68 ˜
Nello splendore del rinnovato palazzo Querini Stampalia a Venezia, delle cui opere (Federico Cervelli,
Giovanni Bellini, Vincenzo Catena e Bernardo Strozzi, solo per citarne alcune) ora tutti possono
approfittare, si è distinta anche la mostra di Mona Hatoum che, sullo stesso selezionato registro,
ricercava la poetica dell’invisibile nel silenzioso accostamento tra antico e moderno. Mostra non perdibile
non solo per i capolavori della collezione antica permanente, la forza immaginifica, politica e poetica
di Mona, ma anche per il delicato, misterioso e imperscrutabile accostamento di opere nuove e antiche,
insediato dall’artista palestinese contemporanea.
˜ 69 ˜
Giocando sullo stesso effetto di spiazzamento il padigione nordico
(che contempla sia una parte danese che una parte finlandese),
rappresentato da Elmgreen e Dragset, in cui si ricreava l’esperienza
della casa di un collezionista in vendita, ricca di opere d’arte degli
amici degli artisti tra cui Cattellan e la villetta vicina in cui si è messo
in scena il suicido di uno scrittore erotico gay anch’egli collezionista,
il cui cadavere galleggiava nella piscina della finta villa di L.A, tra le
molte opere della sua collezione, per lo più omoerotica.
Altra cosa da vedere, intrisa di poesia, la mostra In-finitum a
palazzo Fortuny che, grazie alla raffinatezza di Axel Vervoordt e a
uno spazio icastico, presentatava un pot-pourri da collezione di opere
che spaziavano dal giovane John Gerrard a Fontana, da Giovanni
Anselmo a Hans Op de Beeck, da un irriconoscibile e misterioso
Hayez a Berlynde de Bruyckere, e ancora dai cieli di Thomas Ruff,
Grazia Toderi, Anselm Kiefer o Vik Muniz per non parlare del Sole
nero di Otto Piene o dei Soli verde blu ciano di Dana Thater in un
attraversamento di luce ed ombre attraverso installazioni, sculture,
pitture e che, dalla terra, si sviluppano in verticale nei quattro piani
del palazzetto. Verso il cielo. Infinito appunto.
Un salto al volo, che va fatto anche per chi ha poco tempo, al
padiglione olandese con i video di Fiona Tan, a quello serbo con
le raccolte di capelli di Zoran Todorovic, a quello polacco con
Krzystof Wodiczko e le sue spaziali video installazioni di lavavetri,
all’Irlanda con Kennedy Brown, o in Germania con Liam Gilllick.
E se François Pinault stupiva con il nuovo spazio restaurato da
Tadao Ando alla Dogana, la mostra a palazzo Grassi appariva
meno riuscita rispetto alle precedenti, priva di identità, di filo
conduttore, ad esclusione di artisti piú intimisti e silenziosi come
Gober e Lo Savio. O di quelli concettualmente potenti come Adel
Abdeseemed. Per il resto il pavimento colorato, la musica a mo’ di
discoteca privavano del tutto di sacralità un luogo che, come dice il
termine, dovrebbe essere dedicato alle Muse. Ahimé, forse non tutti
sanno il latino.
Questi sono solo tre degli innumerevoli
eventi corollari che hanno aperto la
53º edizione della Biennale di Venezia, il
cui titolo È Making world, fare mondi.
In corso fino al 22 novembre, curata da un direttore un po’ freddino
come Daniel Birnbaum, questa Biennale ha visto 77 paesi presenti
ai Giardini e all’Arsenale, molte mostre in palazzi e spazi esterni che
hanno reso la settimana veramente densa.
Ai giardini, memorabile il padiglione cecoslovacco. Assolutamente
sorprendente nella semplicità di una poiesi naturalistica dove la
natura è la più alta forza estetica (inimitabile nella sua bellezza)
è l’illuminato Roman Ondak. Estirpando alla radice il problema
di ego che spesso ammorba gli artisti (perlomeno molti di quelli
presenti a Venezia che non si sono saputi rendere trasparenti) Ondak
bypassa e con la sua sensibilità diviene panico fondendosi con il
tutto in un ultimo abbraccio naturale. Il padiglione ricreava un
giardino e i fruitori che passavano attraverso non ne erano consci del
tutto e rimanevano perplessi nel non trovare opere, convinti di aver
sbagliato posto o strada.
˜ 70 ˜
Solid Light Films Series,
Anthony McCall, 2008,
Hangar Bicocca Milan
˜ 71 ˜
Untitled 3, (Self Portrait Series), Tarek Al Goussein,
2003, Courtesy of the artist
Ai giardini, memorabile il padiglione
cecoslovacco. Assolutamente
sorprendente nella semplicitÀ di una
poiesi naturalistica dove la natura È
la piÙ alta forza estetica (inimitabile
nella sua bellezza) È l’illuminato
Roman Ondak
Come a dire
che le parole
sanno essere
più taglienti dei
pugni, ma anche
riferimento
alla lama e al
coltello che
tanta parte ha
nella cultura
araba beduina sia
come legittima
difesa che come
strumento di
potere
Sia ai giardini che all’arsenale Susan Hefuna al padiglione Italia che vedeva anche Tomas Saraceno
con un’installazione ad effetto sulla tela di un ragno anche simbolo ultimo della materia. Ancora lì, le
opere decontestualizzate come oggetti abbandonati di Richard Wentworth, artista nato a Samoa ma
naturalizzato inglese che da anni collabora con Lisson, e la geniale scultura filmica nata da una scala di
Simon Starling.
All’arsenale in UAE c’è Tarek al Ghussein, e un’interessante mostra turca sui Lapsus del tempo. Sempre
lì, una delle più potenti installazioni di Jan Fabre da vedere. Infine il padiglione palestinese alle zattere,
che offriva opere interessanti degli artisti Taysir Batniji, Emily Jacir e Khalil Rabah.
Ai sopravvissuti alle meraviglie veneziane toccava poi
traslarsi alla rinomata fiera di Basilea in corso dall’ 9 al 14
giugno. Esploreremo quindi il meglio anche di questa.
A Basilea invece, 300 gallerie selezionate su 1100 - le migliori del mondo - in controtendenza rispetto
alla crisi hanno venduto molte opere, seppur non dai costi eccelsi. Tra loro artisti come Barbara Gruger,
Kader Attia, in due stupende installazioni. Specchi girati al contrario, un lavoro sull’identità da Nagel e
un’installazione con lettere arabe, taglienti e affilate da Goodman di Johannesburg. Talmente acuminate
da lasciare un guanto da lavoro di fronte, utile per collocarle. Come a dire che le parole sanno essere più
taglienti dei pugni, ma anche riferimento alla lama e al coltello che tanta parte ha nella cultura araba
beduina sia come legittima difesa che come strumento di potere.
Molti giovani con il tutto esaurito: il giapponese Otani a Liste, Mounir Fatmi a Volta, il turco Baris
Saribas a Scope: le tre fiere corollarie.
Location (6), Hans Op De Beeck, 2008,
Sculptural Installation, Courtesy Galleria
Continua San Gimignano, Beijing, Le Moulin
˜ 72 ˜
Ad Art Unlimited invece, notevole tra le installazioni Hans Op de Beck, che ricreava un paesaggio
innevato, bianco, assoluto e commovente, in cui ognuno ritorna, come in un salto quantico, in qualche
modo, alle proprie memorie infantili. D’effetto i cosiddetti “fasci di luce solida” di Antony Mc Call. Infine
l’opera di Giovanni Anselmo dal titolo emblematico: “Dove le stelle si avvicinano di una spanna in più
mentre la terra si orienta”. Ed anche noi, sotto il peso leggero dell’arte.
˜ 73 ˜