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Identità in transito
Francesca Gallo
Non è certo un caso che l’uso creativo del video si sia diffuso in Marocco all’inizio degli anni
Novanta, di pari passo con la democratizzazione radicale della vita politica e civile del paese, che
presenta oggi un panorama artistico vivace e dinamico sia a livello istituzionale, sia nel campo
privato e informale.
Fino ad allora, infatti, molti artisti trovavano riscontri prima all’estero che in patria: è nota, ad
esempio, la provocatoria presa di posizione di Mounir Fatmi – oggi uno dei maggiori artisti della
scena internazionale – che nel 1993 si dichiara simbolicamente “morto”, abbandona il Marocco e,
dopo un soggiorno in Italia, si stabilisce in Francia. Artisticamente cresciuto nel clima culturale
postcoloniale, Fatmi ha assunto la critica dell’ideologia e del punto di vista unico come centro della
propria ricerca. L’identità è problematica per lo stesso artista, che si sente «un uomo bianco a
Dakar, un immigrato in Europa e un quasi-terrorista in molti aeroporti del mondo». Nel video Dieu
me pardonne (2004) le immagini dello zapping su canali arabi sono associate a un hadid di
Maometto «Il primo sguardo rivolto alla donna è per te, il secondo è per il diavolo, il terzo è un
crimine», con l’intento di sottolineare che la stessa fruizione televisiva trasforma lo spettatore in
voyeur, qualsiasi sia l’oggetto dell’attività scopica. Il mondo filtrato dai media è tra le fonti di
Fatmi, che spesso ha indagato le verità non dette della storia recente, l’assenza di
autorappresentazione degli immigrati, l’immagine degli arabi schiacciati sullo stereotipo religioso.
L’arte ufficiale marocchina aveva visto le varianti dell’Informale e dell’astrattismo Ecole de Paris,
sostituire l’eredità dell’orientalismo di matrice europea, per volgersi, fin dagli anni Ottanta, verso
l’Arte povera, Joseph Beyus e le installazioni multimedia, soprattutto presso l’Institut National des
Beaux-Arts di Tétouan. A tali nuovi fermenti culturali si somma l’individuazione dei new media –
con la loro capacità di assorbire e assemblare ogni cosa – come riferimento costante della nuova
generazione di artisti, alla ricerca di mezzi espressivi diversi dai tradizionali e in sintonia con il
presente. Da qui la notevole padronanza di tecniche e di soluzioni estetiche specifiche del video e
del digitale, rivisitate creativamente negli atelier universitari e nei laboratori di centri culturali e di
collettivi auto-organizzati: cifra comune l’intersezione di parola e immagine, sia negli esempi
militanti, sia nei lavori più poetici.
La transizione, che il Marocco vive da oltre quindici anni, comporta la scomparsa di molti aspetti
del paesaggio materiale e culturale tradizionale, che lasciano il posto ai segni della modernità.
Terrasse (2004) di Mohamed Ezoubeiri, ad esempio, è una sorta di elegia di uno dei luoghi-simbolo
della vita marocchina, ormai desueto come le sue abitanti, oggi donne emancipate. Intidar (2005) di
Mourad El Figuigui, realizzato insieme agli studenti dell’atelier dell’Università di Oujda, mette in
scena una gioventù stretta nell’ansia del presente, la cui energia trattenuta, evocata dal ripetersi
ossessivo dei gesti, è pronta a liberarsi. Una situazione analoga traspare, fin dal titolo, in Search
(2002) di Hassan Boussuf, dove immagini e sonoro delineano la ricerca di identità che
metaforicamente accomuna autore e osservatore.
La danseuse (2008) è invece il primo video di Safaa Erraus e Amina Benbouchta, tra i fondatori del
Collectif 212, gruppo di artisti attivi in Marocco, che affiancano alle ricerche individuali confronti e
collaborazioni incrociate. Il video propone una rappresentazione ossimorica del “bello”: un fiore
trafitto e stretto nelle spire del filo spinato, attributo tristemente frequente del paesaggio mondiale
contemporaneo, sullo sfondo di una musica infantile e soave che contribuisce alla sensazione
contrastata dell’insieme. Allo stesso ambito appartiene anche Younès Rahmoun, che usa il video in
performance e installazioni ispirate sia concettualmente sia formalmente alla religione islamica. Il
costante ricorso al disegno si configura come mediazione fra parola e immagine, fra idea e
realizzazione, fra figurativo e astratto, come in Badhra (2007), animazione digitale sul tema del
chicco-seme.
Un punto di osservazione diverso connota, invece, quanti hanno vissuto l’emigrazione, come
Bouchra Khalili e Fatima Mazmouz, professionalmente divise fra Europa e Africa. Khalili ha girato
Staight Stories-In progress (2006) sullo stretto di Gibilterra, topos del Mediterraneo
contemporaneo, confine ideale e materiale fra due mondi in conflitto, fissato nella disparità di
aspirazioni dei “pendolari” intervistati, mentre la telecamera ruotando su se stessa sottolinea la
continuità dell’orizzonte che salda tali contraddizioni. Fatima Mazmouz, invece, ha messo al centro
del proprio lavoro se stessa in quanto donna e artista. Se Mes avortements-l’Expulsion (2006)
declina esplicitamente il nesso biologico e di vissuto fra aborto e rifiuto, con una sapiente
costruzione del quadro visivo che, come un prisma, rimanda immagini diverse eppure simili, Mes
veaux les plus sincères (2004), invece, è imperniato sull’assonanza tra veaux (vitelli) e voeux
(auguri). Il video, infatti, suggerisce l’identificazione della donna con l’animale sacrificale,
attraverso i riferimenti al canone della bellezza classica occidentale (oggi inattuale) e alla ritualità
spesso cruenta che il mito nasconde e tramanda. Una forza dissacrante ancora maggiore caratterizza
la ricerca di Mohamed El Baz (artista non in mostra) autore di complesse installazioni, operazioni
performative e libri d’artista, in cui rovescia sul pubblico occidentale la sua stessa ipocrisia.
Le contraddizioni, le tensioni latenti, i conflitti pronti a esplodere, che accomunano molti di questi
lavori, e che ne hanno motivato la selezione, sono i temi espliciti di un lavoro che è idealmente il
manifesto di questa rassegna, Marocains à deux dimensions (2003), di Brahim Bachiri, attivo anche
nel campo della performance e delle installazioni. Il video – nato dalla riflessione sulla eredità che
si lascia alle nuove generazione – colloca in una prospettiva storica le tensioni politiche e culturali
del presente, evocando, con le domande di un ideale questionario, la storia del colonialismo e delle
lotte per l’indipendenza, delle guerre di religione e del razzismo, del sottosviluppo e delle
rivoluzioni di classe. Le domande senza risposta – quasi un dialogo interrotto, o forse impossibile,
con l’altro – mostrano la parzialità dei fondamenti culturali su cui, per secoli, si è costruito
quell’universalismo che oggi si riconosce drammaticamente eurocentrico.
Le identità in transito, cui allude il titolo della rassegna, non sono solo quelle degli artisti e in
generale dei nuovi cittadini europei, ma anche quelle “occidentali”: in perenne e reciproca
trasformazione, infatti, i paesi delle due rive del Mediterraneo sono chiamati in questi decenni a
nuove sfide, da affrontare insieme con coraggio.
Bibliografia
M. Rachdi (dir.), Interférences. Références marocaines de l’art contemporain, Amiens, 2005.
J. Dakhlia (dir.), Création artistiques contemporaines en pays d’Islam, Paris, 2006.
K. Ströbel, Conversations marocaines, Rabat, 2007.
www.mounirfatmi.com
m.elbaz.free.fr
www.collectif212.com