Crestomanzia di opere d`arte

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Crestomanzia di opere d`arte
ARTKEY : n° 6 settembre | ottobre 2008
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CRESTOMANZIA DI OPERE
D’ARTE
NELL’ONFALO CULTURALE
DELLE MILLE E UNA NOTTE!
di Gaia Serena Simionati
“INNA ALLAH JAMEEL WA YUHIBU AL-JAMAL”
“DIO È BELLO E AMA LA BELLEZZA”. (HADITH)
Farhad Moshiri, Love 1963
Courtesy BONHAMS london
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Bill Congdon disse che: “Se l’arte non è una porta aperta sul mistero di Dio, allora è solo
rumore”. Esplorando questi mondi islamici, si scopre, davvero, molto silenzio.
Prendere a prestito il Corano per parlare di arte contemporanea islamica e medio orientale
potrebbe sembrare fuori luogo. Invece non c’è espressione più calzante di questa per testimoniare i numerosi incrementi visivi, offerti e vissuti dalle opere di questi artisti.
L’ennesima ascesa dei popoli pan-arabi, il fatato mondo delle Mille e una Notte, includendovi anche l’Iran, sono tornati quindi alla ribalta delle scene mondiali in diversi campi.
Proprio come fece Salah al-Din. Con grande intelligenza!
Oltre alla innata e fiabesca propensione alla letteratura e alla musica, il mondo artistico
islamico ha iniziato a farsi notare in modo assai inconsueto, data l’ormai sedimentata poca
propensione alle immagini, dettata da ritmi o dogmi religiosi, da mani poco allenate, o semplicemente da un’idea che le arti visive, essendo mimesi della mera realtà, fossero inutili.
Non a torto, per millenni, la cultura islamica, oltre ad un approccio superficialmente definito iconoclasta, riteneva invece inutile e superfluo circondarsi di oggetti, quadri e opere
che copiassero quello che già era visibile e inimitabile, data l’indiscussa bravura del “primo
creatore” - cioè Dio. A differenza di un’Europa tendente al sovraccumulo, il vicino oriente
ne ha fatto volentieri a meno.
Oggi invece le cose stanno cambiando. E se già nel VII secolo Ali ben Abi Taleb, il quarto
Califfo, aveva detto che: “il valore di molti risiede in quello che sanno fare”, a livello creativo l’assioma vale doppio. Vedremo quindi quali sono gli artisti più interessanti non solo dal
punto di vista lirico, nei profili psicologici e produttivi, ma anche nell’offrire opportunità
d’investimento ancora plausibili.
Partendo dall’Egitto i nomi chiave di apertura e innovazione giacciono in una artista giovane: Sabah Naim. Le sue opere, fotografie dipinte su tela delimitate da migliaia di giornali
arrotolati, ricreano l'atmosfera caotica delle vie del Cairo, e dei suoi variegati protagonisti
di strada: personaggi semplici immortalati nella vita di tutti i giorni. L’intento delle sue
opere, sottolinea lo sforzo di avvicinare e unire la vita politica o giornalistica a quella “normale” e di difficile relazione fra tutti gli egiziani. Esiste poi in modo denso Moataz Nasr.
L’artista, nato al Cairo, esplora il silenzio dei dettagli. Nell’evidenza delle cose non viste,
rende vivo il corollario della cultura della tradizione, esplicitando l’antico in tecnologie
moderne come ad esempio nella video installazione, A hear of dough, another of mud. Il
delizioso lavoro, composto da una proiezione video e da una parete fatta di tante piccole
orecchie composte di pane e argilla, racconta la storia egiziana di Goha e, non a caso, ha
vinto il premio come opera migliore nell’VIII Biennale del Cairo. Con il video The Water,
proiettato nell’acqua, Nasr ha vinto inoltre il premio della cultura alla V Biennale di Dakar.
Ça suffit? In un altro video, Father and son, l’artista documenta una relazione tra padre e figlio e, nel dialogo tra
i due, racconta la storia di un non-rapporto, fatto di incomprensioni e nuovamente di “mancato ascolto”. Artista
classico Omar el Nagdi, con la serie Cosmology rientra nelle più tradizionale pittura calligrafica e riesce altresì
ad esplorare universi pittorici paralleli. Interessanti anche Fathi Hassan, Adel El-Siwi, Ahmed Moustafa e la
ormai NewYorkese Ghada Amer.
Il mondo arabo offre altrettanti nomi eclatanti sia per l’ispirazione dei lavori, che per la
sensibilità nel concepirli. In Algeria troviamo diversi spunti di interesse. Esemplare è
Abdel Abdessemed che rappresenta le dicotomie del doppio conflitto in cui l’essere
umano vive oggi: l’identità personale legata al suo inserimento nella società, la vita, la
morte, il sacro e il profano. Poi Abdallah Benanteur o Yazid Oulab che ricorda e reinterpreta le memorie troncate del suo paese. Infine l’ispirato sufi Rachid Koraichi che riflette e richiama la tradizionale potenza dei numeri connessi al destino. Anche in pittura.
Ospitati nella meravigliosa fondazione di Amman, Darat Al Funun, il cui genio creativo
è dovuto ad una donna eccezionale: Shua Shoman, molti e interessanti anche gli artisti
libanesi. Allineati nella loro intrinseca e quasi esclusiva capacità di rendere ancora più
sacrale l’ambiente, nel rispetto, tutto tale, per la guerra e le morti che questa lascia dietro di sé, si annidava la loro riflessione, nella mostra dal titolo Lebanon Now. Fotografie,
video, installazioni e sculture: in ogni forma d’arte gli artisti celano le loro anime per far
riflettere i più. Akraam Zaatari, Jalal Toufic, Joana Hadjithomas, Lamia Joreige che, con
la serie: The End Of, propone fotomontaggi di paesaggi diversi, apocalittici e riflette
sulla violenza, la perdita dell’immaginario anche poetico. Oltre a quello più evidentemente fisico, che la guerra cancella. “L’apologia" toccante di Rabih Mroue è invece un
video penetrante sulla attuale realtà di distruzione e morte. Randa Mirza con le sue
“Abandoned rooms” emana tutto quel dolore vissuto e raccolto, specialmente nella
“black room”. Hussein Badoun riflette invece ancora e non abbastanza sugli orrori della
guerra.
Tra i Palestinesi troviamo invece i grandi nomi come Mona Hatoum, Emily Jacir, Kalil
Rabat. I tre hanno dei lavori densi di sedimentata sofferenza data da scontri civili interminabili, da stadi di estrema povertà e di quello spessore che per noi inizia a diventare
sempre più raro. Laila Shawa (Palestine, 1940) lavora invece nella direzione della sensibilizzazione verso la Liberazione, riprendendo con foto e pittura i graffiti dei muri di
Gaza dove vive per protestare contro l’occupazione Israeliana.
L’Iraq, terra di guerra, produce morte, ma anche arte eccellente. “The daily rhythm of
the Iraqi people is the rhythm of death.” “Il ritmo quotidiano della gente irachena è quello della morte”, con questa citazione, Sadik Kwaish Alfraji, evidenzia quali torture e
dolori il suo popolo sopporti da anni per cause politiche e interessi economici. Alfraji è
uno degli artisti più sensibili e innovativi della sua regione. Nelle sue video istallazioni come in Nato il 9 aprile,
sostiene che, dai tempi di Socrate ad oggi, la mente umana non abbia fatto molti progressi. La filosofia, l’arte, la
musica, tutto questo non ferma i massacri. Solo la politica. Tra gli altri ricordiamo Issam El-Said, morto a soli
50 anni, e Suad Al-Attar, e la geniale Jananne Al-Ani. L’artista, di sangue iracheno e irlandese, cerca nelle sue
performance di minare il rapporto tra finzione, verità e realtà. In Visit fotografa se stessa con le sue tre sorelle e
la madre, attribuendo un ruolo surreale, ironico alla tradizione del velo e alla scissione persistente tra Hijab e
Lubab, cioè tra il velo e la sua quintessenza.
Non si dimentichi affatto l’Arabia Saudita. Faisal Samra, presente alla mostra tenutasi al DIFC di Dubai ad aprile e la fotografa, già al Insitute du Monde Arab, o Reem Al-Faisal, chiamata umilmente “Haj”, la cui precedente
mostra a Parigi si titolava appunto la “Presenza Divina”. O la Turchia, con la bellissima video installazione pre-
Shirin Neshat (Iranian, b. 1957)
Untitled (from the "Turbulent" series)
signed, titled, inscribed and dated 'Shirin Neshat "Turbulent"
series 1997 unique copy' (on the reverse), ink on gelatin silver print
14 x 11in. (35.5 x 28cm.)
Courtesy Christie's
Copyright: © Christie's Images Limited.
Bahman Jalali (Iranian, b. 1944)
Image on Imagination
signed and dated in Farsi (lower right)
colour photographic print
35 3/8 x 35 3/8in. (90 x 90cm.)
Courtesy Christie's
Copyright: © Christie's Images Limited.
sente in fiera ad Art Basel nel 2007 in cui, numerosi schermi proiettavano, in una situazione tridimensionale, dettagli di farfalle giganti realizzate dal geniale vincitore del Turner Prize nel 2004, Kutlug Ataman. Tra i
Tunisini Nja Mahdaoui. Mentre tra i Marocchini Mounir Fatmi che gira le strade con una telecamera domandando alla gente “chi sono gli altri” da cui segue il video “gli altri sono gli altri” , risposta più frequente.
La spiritualità sottostante a tutte queste opere è seguita dall’ovvia conseguenza: artisti medio orientali solleticano sempre più non solo gli intelletti, ma anche i portafogli e le pareti di orde di collezionisti del jet set
internazionale.
A tal proposito, Dubai Art Fair, ha fornito profonde testimonianze che, per il secondo anno consecutivo ha
raccolto in Madinat Jumeirah, la zona più in di Dubai (di fronte all’hotel Burj Al Arab), si tratta di un sito di
investimento ineguagliabile. Nata come melting pot e crogiuolo internazionale, regione di ponte tra oriente
ed occidente con tutto a portata di mano, e spinta dalla lucida gestione inglese di un curatore-direttore eccezionale e gentile come John Martin, la fiera di Dubai ha saputo offrire spunti interessanti spesso seguiti da
acquisti inconsueti. Raddoppiato il numero delle gallerie, ora a 68, provenienti da 28 paesi in cui molti trattavano artisti iraniani. Artisti di fama mondiale sono infatti oggi persiani e cavalcano non più i deserti, bensì
le scene delle mostre mondiali. Un mondo a sé è rappresentato infatti dall’ex Persia. E, di conseguenza, merita un discorso a parte. Il paese, dilaniato dalle guerre intestine, frammiste di religione e politica, di scontri
umani e disumani, arreca nel suo disordine grandissimi gesti creativi. Forse interamente dovuti ad anni di
sofferenze ininterrotte, gli artisti che vivono li oggi, colpiscono e stupiscono per liricità estrema, raffinatezza
Shirin Aliabadi (Iranian, b. 1973)
Miss Hybrid # 4
signed and dated (on a label on the reverse)
inkjet mounted on aluminium
59 x 47?in. (150 x 120cm.)
Courtesy Christie's
Copyright: © Christie's Images Limited.
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dei gesti produttivi e idee nuove nelle realizzazioni. Sono molto spesso fotografi o pittori.
Meno spazio ha la scultura che pare essere strumento secondario, ad eccezione del maestro
ormai ottuagenario e carissimo Pariz Tanavoli.
Una sua scultura nell’ultima asta di Christies ha
raggiunto più di 600.000 euro.
Tutta questa raffinatezza non tarda a farsi sentire anche nei risultati d’asta. Ed è proprio a
Dubai, ad un asta di Christie’s che l’opera di un
artista iraniano Farhad Moshiri, “I love you till
Eternity”, partito da una base d’asta di 200-250
mila dollari ha più che triplicato con 700 mila
dollari. Da Bonhams lo stesso artista aveva solo
dipinto su tela con cristalli Swarovski, la parola
Eshgh. Che in arabo, è vero, significa amore! Un
amore un po’ caretto, diciamo, dato che la base
d’asta tra i 150.000-200.000 dollari ha fatto
invece il record per l’artista raggiungendo ben
più di 1.000.000 di dollari.
Ora sembra essere davvero il momento persiano, le opere dei cui artisti vanno infatti alla
grande. Alcuni esempi? Il raffinatissimo ed iperattivo vincitore di premi d’arte alle Biennali di
tutto il mondo Afshim Pirhashemi, a soli 34
anni, vedeva, all’asta Christies, un suo trittico stimato tra i 30 e 40 mila dollari; il geniale regista Abbas
Kiarostami, vincitore della Palma d’oro a Cannes nel 1997 con “Il gusto delle ciliegie” che è anche poeta, sceneggiatore, illustratore e fotografo propone delle opere meravigliose della serie Snow, in cui paesaggi imperscrutabili e solitari prendono il sopravvento sulla tipica capacità di socialità che hanno invece i suoi film. E, per continuare, la giovane e talentuosa Shadi Ghadirian che presenta opere fatte da situazioni, oggetti, scene antiche tradotte in veste contemporanea e moderna, svecchiando così “la tradizione più stantia” o ironizzando con essa.
Shirin Aliabadi è un'altra giovane e trasversale artista che merita di essere riconosciuta. Last but absolutely not
least, intramontabile e ormai star del sistema dell’arte New Yorkese la bravissima Shirin Neshat. Charles
Hossein Zenderdoudi, Mohammed Ehsai, Farah Ossouli, Reza Derakshani, Farideh Lashai, Hossein Khsrojerdi
sono altresì nomi di interesse eccezionale.
Anche Israele merita un capitolo a parte. Pur non essendo appieno un paese medio orientale, gli artisti israeliani sono anch’essi intrisi di grande spiritualità e liricità. Tra di loro Michal Rovner il cui lavoro concerne la diaspora e il senso di spaesamento che deriva a coloro che l’hanno vissuta. Rovner usa molti media espressivi tra
cui la video installazione, la scultura visiva, la fotografia; altro grande artista è Avner Ben-Gal con i suoi sottili
disegni o le pitture flottanti descrive quel senso di fragilità perenne, alternato a stati claustrofobici, forse direttamente autobiografici dato che è nato in Israele dove è vissuto fin dal 1966. Poesia e similmente liricità dell’erotismo sono gli atteggiamenti predominanti. Infine Zipora Fried produce disegni di grafite sempre di grande formato per innumerevoli volte e ciò richiede diversi mesi. In questo gesto ripetitivo e autistico, in cui il disegno si
unisce alla performance, Fried ridefinisce il concetto di opera “concettuale”.
Assistiti indubbiamente da una grande spiritualità, e in taluni casi, direttamente da Dio, algerini, egiziani, iraniani, iracheni, israeliani, libanesi, palestinesi, tunisini, turchi hanno ormai invaso numerose fiere e Biennali:
da Istanbul a Dubai, da Basilea a Venezia. Oltre ad aver conquistato altresì l’interesse dei musei di tutto il
mondo: da Parigi, Londra, Washington, New York, ora cavalcano anche gli spazi delle case d’asta internazionali: Bonhams, Christies, Art Curial. In breve, lo “Tsunami” pan-arabo ha già sedotto anche le roccaforti occidentali del sapere. Una volta, inarrivabili. O se le è semplicemente costruite.
A Parigi, ad esempio. L’Institute du monde Arab, è un edificio meravigliosamente concepito da Jean Nouvelle.
Costituito da 240 aperture di luce, le cosidette moucharabieh che, calibrandosi alla luce del sole si aprono e
chiudono come una macchina fotografica, a seconda dell’intensità della luce esterna l’Institute, non solo contribuisce appieno a ricreare il mistero delle costruzioni arabe, ma ha un occhio di riguardo verso la crescente arte
con mostre di vari artisti, concerti e conferenze adeguati alla pienezza di quello stesso rigoglio culturale che si
sta proponendo a livello mondiale.
Sempre a Parigi, il Centre Pompidou ha ospitato una mostra icastica dal titolo “TRACES du SACRÉ” che ospitava diversi artisti di matrice islamica. Tra di essi l’opera scultorea sulla vanità “Casse-tête pour musulman
modéré” di Mounir Fatmi o Yazid Oulab con il video Le souffle du récitant comme signe, che vede la meditazione sulla mistica del sufismo secondo cui la poesia costituisce il veicolo essenziale per approcciarne i misteri. O
Abdel Abdessemed con God is design.
Nei musei del mondo gravita quindi un’attenzione tutta speciale al caso islam. Non solo il British Museum che
da sempre segue l’arte medio orientale con una sezione dedicata, ma a Londra anche la Fondazione Parasol, in
uno spazio meraviglioso, propone mostre di alto livello. Tra queste una terminata da poco sulle opere raffinatissime e liriche di Mona Hatoum in cui, bombe di vetro soffiato colorate, alternate a sculture composte di trame
tessili e perline, rappresentano la visione del mondo femminile legata a sofferenza e fragilità.
In conclusione, dato che si è intuito che è soprattutto l’arte medio orientale, con le sue storie retrostanti, emotivamente interessante ed intrisa di fascino esotico, si spera quindi che tutta questa attenzione occidentale al
mercato non vada ad influenzare troppo la poiesi del gesto artistico e ad ucciderne la spiritualità intrinseca.
Alhmdulillah, (se Dio vuole), l’occidente sta imparando ad amare, e capire l’arte. Meglio se contemporanea,
orientale e più intrisa di Dio.
Abbas Kiarostami (Iranian, b. 1940)
Snow
signed, numbered and dated in Farsi (lower centre)
photographic print on canvas, triptych
each 64? x 33?in. (164.5 x 85cm.); overall 64? x 100?in.
(164.5 x 255cm.)
Courtesy Christie's
Copyright: © Christie's Images Limited.
Shadi Ghadirian (Iranian, b. 1974)
Untitled (from the Qajar Series)
signed and numbered in Farsi (lower right)
print on colour paper
35 3/8 x 23 5/8in. (90 x 60cm.)
Courtesy Christie's
Copyright: © Christie's Images Limited.