di fronte agli altri
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di fronte agli altri
DI FRONTE AGLI ALTRI Andrea Barabino Il confronto con chi ci sta dinanzi e, spesso, rappresenta un “altro” rispetto a noi, è sempre stato oggetto di interesse o curiosità, a volte di paura o rifiuto. La letteratura greca e la latina presentano molti spunti in tal senso, con prospettive che oscillano tra i poli di un embrionale atteggiamento “scientifico-etnografico”: senza soffermarci su quegli autori, come Posidonio e altri, la cui l’opera è andata purtroppo perduta, si può pensare a Erodoto, in diversi logoi dei primi libri; a Cesare nel Bellum Gallicum sui Britanni in V 12 segg., nonché su Galli e Germani in VI 11 segg.; a Sallustio nel Bellum Iugurthinum sull’Africa in 17 segg.; a Tacito nella Britannia e nella Germania (con tutte le cautele legate all’aspetto ideologico della sua opera e alla ripresa altrettanto ideologica di questi testi nel Novecento), ma anche alle pagine sugli ebrei nelle Historiae V 2 segg. Interessante, seppur marginale, può essere anche l’analisi di un passo di Senofonte dell’Anabasi (V 4,30 segg.), in cui i mercenari greci, guardando con sorpresa al limite dell’incredulità i comportamenti del popolo dei Mossineci, concludono che si tratta del popolo più barbaro incontrato, di quello più lontano dai costumi dei Greci. E’ raro comunque trovare, nel mondo antico, atteggiamenti di aperta intolleranza o, come diremmo oggi noi, di razzismo. Forse il caso più eclatante è quello di Catone, ossessionato dal rifiuto dei Greci, salvo poi essersi dedicato allo studio delle lettere greche nella vecchiaia: una tradiva conversione o forse anche un’invenzione biografica di età successiva, quando ormai la cultura greca era stata assimilata e metabolizzata dalla società romana, per stemperare la figura ormai stereotipata del vecchio censore. Per comprendere l’atteggiamento mentale dei Greci è già significativo sottolineare innanzitutto come il termine barbaroi indichi coloro che - e specialmente i Persiani - non utilizzando la lingua greca, sembrano “balbettare” (bar-bar): un chiaro segno di una diversità individuata non sulla base del colore della pelle, ma di una differenza culturale se non addirittura strettamente linguistica. Al di là di ciò, l’atteggiamento verso i “barbari” raramente è connotato da un senso di superiorità: anche quando alcuni autori, come Eschilo nei Persiani, esaltano il senso di libertà dell’uomo greco contrapposto allo spirito servile dei barbari, pronti a effettuare la proskynesis dinanzi al Gran Re, danno l’impressione di cercare motivi di orgoglio patriottico e di ricorrere a una retorica dell’identità in chiave difensiva, più che esprimere uno spirito aggressivo e un malcelato senso di superiorità. Proprio Eschilo è un autore che in varie tragedie propone il tema del confronto tra “diversi”: non tanto i già citati Persiani possono rappresentare un punto di partenza, quanto proprio le Supplici, in cui si insiste ripetutamente sul carattere “esotico” di queste cinquanta donne diverse, strane, dalle pelle scura che si presentano da Pelasgo ad Argo per chiedere asilo. Diversa è, invece, la situazione che si propone in alcune opere di Euripide, come la Medea o le Baccanti, in cui l’integrazione del “diverso” è decisamente più complessa. Occorre, però, analizzare queste due tragedie attentamente. Medea non si integra anche perché viene rifiutata dallo sposo, e solo allora, quasi come pretesto, vengono sottolineati i suoi “difetti”: barbara, maga, donna, quindi inferiore e reietta. Le baccanti, invece, si autoemarginano, in riti segreti e ristretti alla sola cerchia femminile, suscitando così il timore e il conseguente rifiuto degli uomini che hanno in mano il potere e rappresentano l’establishment. Nella letteratura greca ci sono, poi, anche interessanti casi in cui l’integrazione e la comprensione nasce dal confronto, diretto ed esplicito, di chi vede un “altro” dinanzi a sé e cerca di conoscerlo meglio, di capirlo: è il primo passo verso l’accettazione e la reciproca integrazione. Utile è la lettura, in questa prospettiva, dei dialoghi di Luciano Tossari sull’amicizia e Anacarsi sull’attività sportiva, da cui emerge un confronto tra le istituzioni e la 2 cultura del mondo greco - e ateniese in particolare - con quello scitico. Un discorso a parte, poi, meriterebbero quelle opere in cui gli “altri” sono i Greci stessi o i Romani. Talvolta sono proprio i Greci a guardare i Romani: con ammirazione, come accade in Polibio, oppure con una netta e inappellabile condanna, come emerge dal Nigrino di Luciano. In altri casi, invece, sono popoli “barbari” a osservare e giudicare i Romani, demistificandone e condannandone il comportamento politico con la connessa volontà espansionistica e imperialistica. Le pagine migliori in tal senso si trovano in Cesare (discorso di Critognato alla vigilia della battaglia di Alesia, VII 77 segg.); nel frammento delle Historiae di Sallustio in cui ci è conservata la Lettera di Mitridate, re del Ponto (IV fr. 69 M.); nel discorso di Calgaco riportato da Tacito nell’Agricola (capp. 30-32). Per tutti questi passi sarà opportuno sottolineare agli allievi che siamo di fronte a un “gioco di specchi”, nel senso che non si tratta davvero direttamente del punto di vista di un antiromano, ma di una deliberata mimesis del pensiero altrui, riprodotta comunque da un romano. Per quanto possa esistere uno sforzo di oggettività, che comunemente è riconosciuto a Cesare, la considerazione non va in linea generale sottovalutata: a maggior ragione per Sallustio, perché la componente ideologica della sua opera può in qualche misura provocare effetti di distorsione che vanno tenuti ben presenti. Ampliando il discorso alle letterature moderne, si potrebbero prendere in considerazione la poesia In memoriadi Ungaretti, dedicata a Moammed Sceab, discendente di emiri nomadi, morto suicida perché non era riuscito a integrarsi nella sua nuova patria, la Francia, oppure il romanzo I cosacchi di Tolstoj, in cui vengono descritti i costumi di questo popolo “di frontiera”, visti con gli occhi di un russo. Pagine significative sul confronto con culture lontane e di difficile decifrazione per l’uomo occidentale vengono anche da Ruesch, Il paese delle ombre lunghe. Più vicini a noi e al tema scottante del razzismo, del pregiudizio e della difficoltà d’integrazione, sono opere come L’amico ritrovato di Uhlman, Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano di E.Schmitt (con l’omonimo film interpretato da Omar Sharif nel ruolo di Ibrahim). Sull’incontro tra mondo latino-americano e occidente può essere preso in considerazione, al di là delle componenti ideologiche che presenta, il film La canzone di Carla, diretto da K. Loach (Nicaragua/Spagna 1996).Una lucida denuncia nei confronti dell’imperialismo cinese che ha schiacciato la cultura e le tradizioni religiose del Tibet si trova nel romanzo dell’austriaco H. Herrer, Sette anni in Tibet, che visse per un lungo periodo in questa regione prima della sua occupazione da parte delle truppe maoiste (cfr. il film interpretato da Brad Pitt, per la regia J.J. Annaud, Usa/GB 1997). Il fascino dei piloti giapponesi esercitato su un bambino occidentale, separato dai genitori dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale, è magistralmente proposto da S. Spielberg ne L’impero del sole (Usa 1987). Interesse per l’affascinante etica militare giapponese arcaica ritorna anche nel recentissimo film L’ultimo samurai con Tom Cruise, per la regia di E. Zwick (Usa 2003). Nelle arti figurative l’esempio forse più noto di sguardo sul lontano e sul “diverso”, che è vissuto nel senso roussoviano del “buon selvaggio”, puro e incontaminato dalla corruzione della società occidentale, sono i quadri di P. Gauguin dedicati da sulla sua esperienza a Tahiti. Interessante anche lo sguardo “esotico” dedicato da E. Delacroix alle donne ritratte nelle serie di Odalische e Donne di Algeri (1834). - www.loescher.it/mediaclassica-