Jacob Burckhardt STORIA DELLA CIVILTÀ GRECA

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Jacob Burckhardt STORIA DELLA CIVILTÀ GRECA
Jacob Burckhardt
STORIA DELLA CIVILTÀ GRECA (1872-1875)
Al momento di iniziare un corso accademico che avrà per argomento la
storia della civiltà greca, teniamo anzitutto a chiarire che questo corso è e rimarrà
sempre un lavoro di assaggio, e che il docente sarà e rimarrà sempre egli stesso
uno studioso fra i suoi studenti, un compagno di lavoro e di ricerca […].
*
Il nostro compito, quale noi lo concepiamo, è questo: fare la storia dei modi di
pensare e delle concezioni dei Greci, e indagare quali forze vitali, costruttrici o
distruggitrici, agissero nella vita greca. […]. È sulla storia dello spirito greco che si
deve orientare tutto il nostro studio. Il singolo particolare, e più il cosiddetto
avvenimento, sarà citato qui solo come testimonianza dell’universale, non per se
stesso; poiché quella realtà di fatto che noi cerchiamo, è costituita dai modi di
pensare, che anch’essi sono fatti positivi. Naturalmente le fonti, considerate sotto
questo punto di vista, ci parleranno in modo molto diverso che nella semplice
indagine storico-antiquaria.
*
La storia culturale vuol penetrare nell’intimo dell’umanità trapassata e
rivelare ciò che essa era, voleva, pensava, intuiva e poteva. Poiché essa in ciò si riferisce
sempre a qualcosa di costante, questo costante finirà per apparire più grande e più
importante del momentaneo, la qualità ci apparirà più importante e più istruttiva
dei fatti; poiché i fatti sono solo singole espressioni della facoltà interiore
corrispondente, che può continuamente riprodurre di nuovo lo stesso fatto. Ciò
che è stato voluto e permesso è perciò altrettanto importante di ciò che è
avvenuto; l’idea è importante come qualsiasi agire, poiché in un determinato
momento si esprimerà appunto in un’azione:
*
[La storia culturale] pone in rilievo quei fatti che possono trovare un vero
legame interiore col nostro spirito, destare in noi una vera partecipazione, sia per
affinità che per contrasto.
*
Dovremo dunque sempre insistere nel porre in rilievo l’importanza di
leggere gli antichi autori come fonti nel senso più ampio e comprensivo. I frutti –
sostanziali e formali – con un po’ di diligenza e metodicità nelle letture, ogni
studioso potrà facilmente coglierli. Con l’accostamento diretto si giunge ad un
rapporto personale con ogni autore.
[…].
Tutto ciò che riguarda i nostri tempi entra tosto e facilmente in legame
coll’elemento materiale che è in noi, coi nostri interessi; il passato può collegarsi
solo coll’elemento spirituale che è in noi, coi nostri interessi più alti.
Allora la vista si scaltrisce gradatamente e impariamo a strappare fino ad un
certo punto i suoi misteri al passato.
Il fatto che migliaia di noi abbiano già fatto questo lavoro non ci risparmia
la fatica. Questa specie di lavoro non è mai compiuto, non può esser fatto una volta
per sempre. Invero ogni epoca vede il lontanissimo passato in un modo nuovo e
diverso; per esempio in Tucidide potrebbe esser riferito un fatto di primaria
importanza che sarà riconosciuto solo fra cento anni.
Il nostro scopo non è di avviare ricerche per altri, o indagini specializzate
nel senso comune della parola, ossia non di iniziare uno studio o una esposizione
completa di un singolo argomento o di una singola situazione, su cui si debba
concentrare tutto l’interesse; ma di ottenere la partecipazione al tutto, la
comprensione della grecità in genere. All’erudizione provvede la moderna
letteratura storico-antiquaria: noi miriamo a raggiungere un mezzo di formazione e
di godimento che possa durare tutta la vita.
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Il nostro risultato è il seguente:
Non si tratta di una apoteosi e anzi non avremo nessun riguardo per le
entusiastiche esagerazioni. «I Greci furono più infelici di quanto per lo più si
creda» (Böckh).
Ma si deve porre bene in luce la grande importanza storica della posizione
dello spirito greco fra Oriente ed Occidente.
Ciò ch’essi operarono e sentirono, lo operarono e sentirono in piena
originalità, e in modo diverso da tutti i popoli precedenti.
Essi appaiono originali e spontanei e consapevoli là dove presso tutti gli
altri domina una necessità più o meno oscura.
Perciò, con le loro creazioni e le loro facoltà, ci appaiono essenzialmente il
popolo geniale fra tutti gli altri, con tutti gli errori e i mali inerenti.
In ogni sfera spirituale hanno raggiunto limiti a cui l’umanità ormai non
può più restare inferiore, almeno nel riconoscerli e assimilarli, anche laddove non
può eguagliare i Greci quanto a capacità.
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Questa è la ragione per cui questo popolo è riuscito ad imporre lo studio di
se stesso a tutti i popoli della posterità. Chi vuol sottrarvisi, resta semplicemente
indietro.
Ed ora la loro sapienza e la loro visione! Con la loro conoscenza del
mondo di allora essi illuminano, oltre che la loro propria natura, anche quella di
tutti gli altri antichi popoli; senza di loro, e senza i Romani grecizzati, noi non
avremmo alcuna notizia della remota antichità, perché tutti gli altri popoli
guardavano solo a se stessi, alle loro capitali, ai loro templi e ai loro Dei.
Dopo di loro, tutta la conoscenza obiettiva del mondo non fa che
continuare sulla strada che i Greci hanno aperta.
Noi vediamo con gli occhi dei Greci e parliamo con le loro espressioni.
Ora, il dovere speciale dell’uomo colto è di completare in sé il più possibile
l’immagine della continuità dello sviluppo universale; questo lo distingue, come spirito
consapevole, dal barbaro, che è inconsapevole; così come la visione del passato e
del futuro distingue in genere l’uomo dall’animale, anche se il passato può portare
con sé rimpianti, e il futuro preoccupazioni di cui l’animale non sa nulla.
E così noi resteremo eterni ammiratori delle facoltà creatrici dei Greci, e
loro debitori per la conoscenza del mondo. In questa essi ci sono vicini, in quelle
restano grandi, estranei e lontani.
E se la storia culturale porrà in luce questo rapporto più chiaramente che la
storia degli avvenimenti, essa meriterà la nostra preferenza.
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