Laudato si`… Invito alla lettura dell`Enciclica di Papa Francesco sulla

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Laudato si`… Invito alla lettura dell`Enciclica di Papa Francesco sulla
Laudato si’…
Invito alla lettura dell’Enciclica di Papa Francesco
sulla cura della casa comune
Villarica, 20agosto 2015
+ Enrico dal Covolo
“La cultura ecologica… è un pensiero, una politica, un programma educativo,
uno stile [nuovo] di vita e una spiritualità che diano forma a una resistenza di fronte
all’avanzare del paradigma tecnocratico” (LS 111).
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Ho accettato volentieri l’invito a svolgere con voi una prima riflessione
sull’Enciclica Laudato si’, sulla “cura della casa comune”.
Come è noto, il testo magisteriale – che consta di 246 paragrafi, articolati in sei
capitoli: è forse l’Enciclica più lunga della storia della Chiesa! – ha conosciuto una
gestazione piuttosto laboriosa. Del resto, fin dalla sua prima Enciclica, Francesco
aveva preparato il terreno. “La fede”, ha scritto il Papa nella sua prima Enciclica, “nel
rivelarci l’amore di Dio creatore, ci fa rispettare maggiormente la natura, facendoci
riconoscere in essa una grammatica da lui scritta e una dimora a noi affidata, perché
sia coltivata e custodita; ci aiuta a trovare modelli di sviluppo che non si basino solo
sull’utilità e il profitto, ma che considerino il creato come dono, cui tutti siamo
debitori” (LF 55).
1. Per svolgere questa riflessione gli antichi scrittori cristiani e l’elaborazione
teologica successiva, fino alla più recente Enciclica del Papa, hanno scelto come
punto di riferimento privilegiato il primi capitolo della Genesi, cioè i racconti della
creazione e del peccato originale (cfr. LS 65).
Due elementi distinguono questi racconti da narrazioni simili che circolavano
nell’antico Oriente: l’insistenza sulla bontà del creato e la centralità dell’uomo.
La bontà del creato, in primo luogo. L’autore sacro presenta la creazione come
il primo atto dell’alleanza e della storia della salvezza. Colui che ha creato il cielo e la
terra e ogni cosa è lo stesso Signore che ha chiamato Abramo e che conduce il suo
popolo nella terra promessa. Il Dio salvatore è il Dio creatore, perché colui che
all’inizio ha creato il cielo e la terra è lo stesso Signore che con mano forte e braccio
disteso ha liberato Israele dalla schiavitù del faraone. Il Creatore non è “il dio del
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male”, come sostenevano alcuni eretici all’inizio della Chiesa. No, il medesimo Dio è
il creatore e il salvatore. Perciò tutto è buono: anzi, è molto buono.
In secondo luogo, la centralità dell’uomo nel creato. L’uomo è immagine di
Dio, e a lui viene consegnato il mondo con tutte le sue realtà. In un certo senso, Dio
“si ritira” dal mondo per lasciarvi l’uomo padrone, perché egli soggioghi e domini la
terra.
In definitiva, il messaggio della Genesi è molto chiaro. La centralità dell’uomo
(“Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi”,
recita il Salmo 8) dice che in un mondo da cui Dio “si è ritirato”, affidando all’uomo
il dominio sulla terra, ciascuno deve compiere il disegno divino in “religioso rispetto
dell’integrità della creazione” (Catechismo della Chiesa cattolica 2415).
Così, sempre in obbedienza a Dio creatore, all’uomo è affidata l’animazione
delle realtà temporali, in vista di una promozione sempre più piena della persona e
del suo rapporto equilibrato e sereno con l’ambiente circostante. Bisogna riconoscere
piena dignità ad alcuni ambiti, che talvolta noi sottostimiamo, o che consideriamo
con qualche diffidenza, come la sessualità, la politica, il lavoro, l’economia,
l’impegno dell’uomo per l’ambiente… Serve a questo riguardo una sana dottrina
della laicità, intesa come rispetto e sincero apprezzamento delle realtà creaturali e
delle loro leggi e dimensioni proprie, autonome rispetto al religioso e al sacro.
In questa prospettiva, le tematiche che il Papa Francesco ha posto
all’attenzione di tutti – credenti e non credenti –, devono essere prese sul serio in
ogni percorso formativo. Le ricchezze della fede e quelle spirituali, il fine della
ricerca scientifica, l’impegno politico, a vari livelli, per garantire che ad uno sviluppo
equo e sostenibile corrisponda la cura della nostra terra… sono argomenti che non
solo ci interessano, ma che ci interpellano vivamente.
2. Vorrei porre al centro della nostra riflessione questo interrogativo del Papa:
“Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a coloro che verranno dopo di noi, ai
bambini (e – aggiungo io – ai giovani) che stanno crescendo?” (160).
Il Papa Francesco spiega: “Questa domanda non riguarda solo l’ambiente in
modo isolato”, ma impone di interrogarci sul senso che vogliamo dare come singoli e
come famiglia umana alla nostra esistenza, e su quali valori vogliamo porre alla base
della vita sociale. Le domande: “Per quale fine siamo venuti in questa vita? Per che
scopo lavoriamo e lottiamo? Perché questa terra ha bisogno di noi?” non sono affatto
della domande retoriche, ma – come dice il Papa –, senza dare risposte a tali
domande, “non credo che le nostre preoccupazioni ecologiche possano ottenere effetti
importanti” (ibid.).
Su questa base, Francesco propone – mi riferisco in particolare al capitolo
quinto di Laudato si’ – una serie di linee su cui poter fondare un rinnovamento della
politica internazionale, nazionale e locale, dei processi decisionali nelle istituzioni
nazionali e sovranazionali, come pure le attività del mondo dell’impresa. Saper
coniugare politica ed economia, religioni e scienze, economia e impresa: sono queste
le scelte a cui siamo chiamati, attraverso un dialogo trasparente e onesto.
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3. Chi affronta le questioni della cooperazione internazionale conosce bene che
cosa vuol dire l’espressione “in-equità globale”. Siamo coscienti che “il
deterioramento dell’ambiente e quello della società colpiscono in modo speciale i più
deboli del pianeta” (48), che sono poi la parte più consistente della popolazione
mondiale, e questo non può essere considerato “un mero danno collaterale” (49).
Ecco la necessità del concorso di tutte le forze, dal momento che “un vero approccio
ecologico diventa sempre un approccio sociale... per ascoltare tanto il grido della
terra quanto il grido dei poveri” (49). La soluzione – anche quella più semplicistica,
che continuamente ritorna nei dibattiti politici – non è la riduzione della natalità, ma
piuttosto il contrasto di quel “consumismo estremo e selettivo”, che viene operato da
una minoranza della popolazione mondiale (50).
In verità, noi continueremo a sporcare il pianeta che Dio ci ha affidato, se non
supereremo i nostri egoismi miopi; se non ripartiremo con coraggio dalle povertà che
ci affliggono; se non metteremo i poveri al centro delle nostre attenzioni.
Il modello di sviluppo che vive questo ventunesimo secolo condiziona
direttamente la qualità della vita della maggior parte dell’umanità, e mostra “come la
crescita degli ultimi due secoli non ha significato in tutti i suoi aspetti un vero
progresso integrale” (46). Molto spesso le strutture economiche che creiamo risultano
inefficienti, capaci solo di consumare in modo eccessivo – è il caso di risorse come
l’acqua e l’energia (cfr. 44). E questo è vero anche nelle aree più povere del pianeta,
nelle cui città si è ormai trasferita gran parte della popolazione, alla ricerca
dell’indispensabile per vivere, abbandonando terreni e tradizioni agricole. Assistiamo
a una sorta di doloroso restringimento personale. La persona si sente coartata, e le
città diventano ogni giorno di più invivibili dal punto di vista della salute, mentre il
contatto con la natura è limitato, fatta eccezione per spazi riservati a pochi privilegiati
(45).
4. Nel testo dell’Enciclica si dà grande rilievo al fenomeno dei cambiamenti
climatici, che il Papa Francesco indica come “problema globale con gravi
implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche” (25). I
mutamenti climatici toccano intere popolazioni, che molto spesso sono obbligate a
lasciare la loro terra e le loro case; eppure non è rara la nostra “mancanza di reazioni
di fronte a questi drammi dei nostri fratelli e sorelle”, quasi dimenticando “quel senso
di responsabilità per i nostri simili, su cui si fonda ogni società civile” (ibid.).
Solo la globalizzazione dell’indifferenza può consentire l’inerzia di fronte alle
tragedie esistenziali di immani proporzioni, che stiamo vivendo. Dovremmo invece
essere coscienti che il clima è un bene comune, e che la sua tutela “costituisce una
delle principali sfide attuali per l’umanità” (ibid.). Studiare e proporre soluzioni è un
modo per dare alla cooperazione e al diritto internazionale un senso compiuto,
evitando di considerarli come strumenti di mera erudizione.
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5. I cambiamenti climatici e i forzati spostamenti di popolazioni portano la
riflessione dell’Enciclica alla questione della mancanza di risorse, a cominciare
dall’acqua. Non basta affermare che esiste un diritto all’acqua, senza agire per
rendere sostenibile il consumo di questo bene-risorsa e per eliminare ogni spreco. Il
Papa afferma che “l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale,
fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per
questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani” (30).
Dunque, è necessario agire: è questo un monito, per dire che le soluzioni
tecniche non sono utili se dimenticano la centralità della persona umana, che è la
misura di ogni diritto.
La stessa preoccupazione riguarda l’azione dell’uomo che modifica i differenti
ecosistemi, senza prevedere le conseguenze per il futuro. Ed ecco che “ogni anno
scompaiono migliaia di specie vegetali e animali che non potremo più conoscere, che
i nostri figli non potranno vedere, perse per sempre” (33). Non possiamo rassegnarci,
dicendo che sono gli interessi economici transnazionali ad ostacolare ogni possibile
tutela (cfr. 38). Piuttosto, è necessario operare per la cura di strumenti – regole,
investimenti, istituzioni – che assicurino l’equilibrio degli ecosistemi, e quindi della
vita.
In un rapida, ma corposa sintesi, il Papa Francesco ci ricorda che “la terra è
essenzialmente un’eredità comune, i cui frutti devono andare a beneficio di tutti”. Chi
ne possiede una parte è chiamato ad amministrarla nel rispetto dell’ipoteca sociale,
che grava su qualsiasi forma di proprietà (93).
6. Una prima lettura dell’Enciclica mostra come sia necessario pensare a
un’ecologia integrale, “che integri il posto specifico che l’essere umano occupa in
questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda” (15).
Credo che siamo di fronte a un nuovo paradigma di giustizia, non più legata
alla sola dimensione legale, ma necessariamente distributiva e solidale. Giustizia e
misericordia si incontrano. “Forse per tanto tempo”, ha scritto Francesco nella Bolla
di indizione del Giubileo straordinario della misericordia, “abbiamo dimenticato di
indicare e di vivere la via della misericordia”. La tentazione di pretendere unicamente
la giustizia ci ha fatto dimenticare che questa è solo un primo passo… (MV 10).
Questo dobbiamo tenerlo ben presente nei nostri rispettivi campi di attività e di
azione: l’economia, la politica, l’educazione, fino ad ogni attimo e gesto che
appartiene alla nostra quotidianità.
Limitare l’Enciclica alla difesa della natura e alla denuncia degli attacchi alla
sua integrità significa amputarla del suo messaggio più profondo: la richiesta di
modificare lo stile di vita, a cui siamo abituati. Per modificare le decisioni politiche,
le scelte economiche, la dimensione istituzionale e l’intera vita sociale bisogna
anzitutto superare il nostro individualismo, “avendo piena coscienza che si può
effettivamente produrre uno stile di vita alternativo, e diventa possibile un
cambiamento rilevante nella società” (208). Allora vedremo prendere corpo
l’alleanza tra umanità e ambiente (cfr. 211); potremo capire la conversione ecologica
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attraverso la fede e la spiritualità cristiane, per “alimentare una passione per la cura
del mondo” (216), seguendo il modello di san Francesco d’Assisi.
7. In definitiva, l’Enciclica ci chiede di inserire nel nostro agire gratitudine e
gratuità, sapendo che questo sviluppa la creatività e l’entusiasmo (cfr. 220), ma
soprattutto la gioia e la pace che sono frutto di quella sobrietà, che “richiede di saper
limitare alcune necessità che ci stordiscono, restando così disponibili per le molteplici
possibilità che offre la vita” (223).
E’ così che fiducia e speranza si intrecciano.
A dispetto di ogni presunto catastrofismo, il Papa afferma che “non tutto è
perduto, perché gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all’estremo, possono anche
superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi, al di là di qualsiasi
condizionamento psicologico e sociale che venga loro imposto” (205).
Facciamo nostra questa visione, e ciascuno, nella propria responsabilità e
competenza, agisca di conseguenza, con quella libertà e quel coraggio che hanno
caratterizzato “i grandi” che ci hanno preceduto.
Laudato si’!
+ Enrico dal Covolo
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