Documento - Associazione I Popolari
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L’Enciclica Laudato si’ tra invito alla sobrietà e consumo responsabile di Oreste Calliano, docente di Diritto comparato dei consumi, Università di Torino 1. Perché la Laudato si’ ha suscitato così tanto interesse tra credenti e non credenti? Per comprenderne l’importanza e la novità usiamo il metodo controfattuale partendo dalle critiche che sono stato affacciate: l’Enciclica è moralista, utopista, ingenua. a) L’Enciclica è moralista La crisi finanziario-economica che ha colpito gli Stati Uniti diffondendosi in modo virale all’Europa e ai mercati finanziari di tutto il mondo sviluppato viene considerata una crisi non solo economica, ma soprattutto culturale, che necessiterà di una transizione assai lunga, probabilmente evolventesi per tutta la vita lavorativa di un giovane . Si può ipotizzare che il dibattito sui problemi etici emerga nei momenti di crisi e nelle epoche di transizione da paradigmi invecchiati a nuovi paradigmi. i In queste fasi l’incertezza sulle regole di comportamento giudicate obsolete, ma non ancora sostituite, apre la ricerca di nuove regole fondate su nuovi principi basati su nuovi valori proposti, discussi,condivisi. Tali nuovi valori possano venir elaborati e discussi da soggetti individuali o collettivi morali (filosofici, etici, religiosi) in stato di necessità e in fase di transizione, in attesa che vengano sussunti come base per nuovi principi e nuove regole del comportamento sociale e nella specie nel mercato. Papa Francesco (§13-16 Il mio appello) invita le scienze ed in particolare le scienze sociali (economia, psicologia, sociologia, diritto) a superare la crisi etica della modernità e del paradigma tecnocratico (§ 119) per iniziare a costruire nuovi paradigmi di gestione delle innovazioni scientifiche, economiche e sociali volte al “ bene comune”. b) L’Enciclica è utopista Occorre intendere cosa vuol essere un messaggio utopista. L’“Utopia” fu il messaggio che Tommaso Moro, in carcere perché in opposizione al re Enrico VIII sulla prevalenza della religione rispetto al potere politico, lanciò da un luogo immaginato, l’isola di Utopia appunto, in cui tutto era regolato verso il bene comune. Un messaggio di critica verso l’Inghilterra del tempo e di speranza verso chi intende innovare per “costruire un mondo migliore”. Si obbietta da alcuni liberisti-individualisti che il concetto di bene comune è sfumato è ambiguo: ciò che è bene per un gruppo può non esserlo per un altro (si pensi alla riduzione dei consumi per i Paesi sviluppati e i Paesi in sviluppo). Ma Francesco si riferisce non a un concetto economico, ma a una relazione tra uomini di cooperazione, reciprocità, altruismo che attraverso il dialogo e la negoziazione riescono a perseguire anche i bambini. (Esempio delle due sorelle che vogliono la stessa arancia: una per la polpa, l’altra per la buccia). Non è né distopia, cioè una visione terrificante del futuro (come quelle suggerite dal nazismo di Aldous Huxley in Il mondo nuovo o di George Orwell in 1984 ) o i recenti film sull’esodo dai Paesi africani in guerra, né una extropia che ritiene che l’innovazione tecnologica risolverà tutti i problemi dell’uomo e dell’ecologia terrestre. Si può vivere senza utopia, senza speranza? si chiedeva l’Abbè Pierre1, rispondendo che si può vivere con poche aspettative e molte delusioni, ma non si può vivere senza una qualche speranza. c) L’Enciclica è ingenua Vi è chi ha criticato il linguaggio semplice, l’approccio colloquiale (l’io penso, il noi credenti), non erudito, per approcciare temi che la filosofia (si pensi alla critica alla tecnica di Heidegger, Severino o Natoli), e l’ecologia (si pensi la teoria di Gaia elaborata da James Lavelock) affrontano da tempo con linguaggi specialistici. 1 1 Citato nel sito Utopiconlus F.Espamer,Paura di cambiare,Crisi e critica del concetto di cultura,Donzelli, Roma 2010 Anzitutto il primo capitolo “Quello che sta accadendo alla nostra casa” della Laudato si’ (§17-69) non usa affatto un linguaggio semplicistico, frutto di un evidente consulenza di esperti delle varie materie. Certo il linguaggio non è quello di un teologo, ma di un pastore che quindi sta lanciando da un lato un messaggio di urgenza nell’individuare i nuovi problemi dell’uomo in un mondo globalizzato e tecnicizzato, dall’altro uno stimolo a tutti gli uomini di buona volontà (scienziati, economisti, educatori, rappresentanti politici, di associazioni esponenziali, attori economici, cittadini-consumatori, credenti e non credenti ) a operare rapidamente sul piano culturale, politico, formativo e istituzionale. Il “grido di dolore” usa quindi un linguaggio non deontico, normativo (si deve) ma un linguaggio aletico fondato sul senso comune, prescrittivo (si può, quindi si deve eticamente). Ne sono un utile esempio le numerose metafore che Francesco introduce per evidenziare problemi, emergenze, soluzioni. Sorella Terra come “enorme immondezzaio”, che esprime i “gemiti” essendo diventata più “ limitata e grigia”; Bellezza della Natura come “ carezza di Dio”; contemplazione del creato come “ udire un messaggio silenzioso”, la creazione come “i dolori del parto”; La logica individualista come cultura dello scarto “usa e getta”; Informazione scientifica distorta “ chiamare le cose con il loro nome”; Penalizzazione dei paesi più poveri “ Piove sempre sul bagnato”; Concezione “magica” del mercato che richiede un’altra “rotta” e non un atteggiamento evasivo; L’uomo come “amministratore responsabile” del creato. Si tratta di un linguaggio metaforico che, a differenza del linguaggio scientistico (razionalistico) che fotografa situazioni o teologico tradizionale (apodittico) che impone la verità, è aperto a una pluralità di significati, quindi aperto al pluralismo culturale, al dialogo, alla creatività, all’innovazione. Linguaggio adatto a motivare2 più che a giudicare, a incentivare3 più che a sanzionare, a suscitare emozioni più che ragionamenti, cioè a stimolare l’azione e non solo la riflessione. Ne possiamo concludere che la Laudato si’ non è un discorso moralistico, ma un documento eticamente paradigmatico, non è un sogno utopistico, ma un messaggio di speranza, non usa un linguaggio semplicistico, ma un linguaggio evangelico (da buona novella). 2. I valori espressi nella Laudato si’ Per comprendere i valori espressi nell’Enciclica è sufficiente esaminare quante volte i principali valori sono espressi: 1) Bellezza, 28 volte 2) Responsabilità, 18 volte (§ 24,68,69,90,96,105,118,127,161,165,168,175,179,181,192,196,211) 3) Limite, 10 volte. Onnipotenza umana come peccato 4) Spreco, 2 volte 5) Virtù ecologiche: sobrietà, solidarietà, convivialità, umiltà, dignità umana 6) Ruolo dell’intuizione, critica all’eccessiva specializzazione 7) Pluralismo anche nel linguaggio religioso, critica al linguaggio teologico astratto Alcuni di questi valori erano già propri della Dottrina sociale della Chiesa 4, altri sono fortemente ribaditi (responsabilità e limiti), ma è rilevante il contesto in cui sono inseriti, un misto di analisi socio-ecologica e appello all’urgenza delle soluzioni, di rimprovero e di schiaffo paterni, di documento papale e di esortazione poetica. I limiti nell’enciclica, o meglio il rinvio a sviluppi futuri su temi nuovi, emergono in quanto: - 2 Manca un riferimento agli aspetti dell’informatizzazione della società che stanno fortemente incidendo sulla educazione dei giovani, sul divario tra Paesi informatizzati e Paesi a bassa F. Rheinberg, Psicologia della motivazione, Il Mulino, 2^ ed. 2002 R. Thaler and C. Sunstein, Nudge. Penguin Books 2008 4 D. Ciravegna, Per un nuovo umanesimo nell’economia. L’enciclica Caritas in Veritate nella Dottrina sociale della Chiesa, Elledici, Leumann (TO) 2012 3 - - informatizzazione, ma anche aprendo ai nuovi aspetti del dono, dello scambio gratuito della relazione e dell’uso dei beni comuni. Però Antonio Spadaro S.I. sta aprendo un fronte interessante in tema di Cyberteologia. Si fa riferimento al ruolo insufficiente del diritto negli scambi internazionali (§ 177) e non si apre a un diritto a dimensione mondiale per regolare i problemi globali (ambiente, flussi migratori, cooperazione), anche se interessante è l’invito alle varie popolazioni a fare pressioni per ottenere normative, procedure e controlli più rigorosi, in ciò contrastando la tendenza alla deregolamentazione degli scambi internazionali prevista negli accordi (allo stato semisegreti) USAEuropa nell’ambito della TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership). Si citano correttamente i principi della valutazione dei rischi indeterminati o potenziali e l’applicazione del conseguente principio di precauzione, senza però indicare quali istituzioni potranno regolarli e applicarli (evidentemente non ci si fida più dell’ONU né degli altri organismi economico-finanziari mondiali). 3. Il modello tracciato Correttamente l’Enciclica, in particolare partendo dall’assunto pluralistico di Francesco, non individua uno specifico modello socio-economico. Come è noto, a seguito della crisi ambientale di cui si era già consapevoli nel 1972 ,quando venne presentato il Rapporto sui limiti allo sviluppo del Club di Roma, e poi dopo la crisi finanziario economica iniziata nel 2008, diverse posizioni di modello socio-economico si sono contrapposte : A) La tesi neoliberista attenuata5 in base alla quale il capitalismo non era in crisi, ma aveva subito una delle periodiche crisi di assestamento che sarebbero, nel tempo, state superate dall’innovazione tecnologica e dall’incremento degli scambi globali. B) La contrapposta tesi del declino del capitalismo che vede marxianamente la crisi come il momento finale di un modello che ha ormai esaurito le sue potenzialità in quanto lo sfruttamento dei lavoratori è sostituito dalle macchine e lo Stato non è più in grado di “tenere buono” un grande sottoproletariato, spesso acculturato, in quanto mancano le risorse per il welfare degli anni ’50-’70. Ciò aggravato poi dalla pressione delle immigrazioni che creano scontento sociale e tendenze populistico-reazionarie. Tra queste tesi estreme altre sono state elaborate: C) La tesi neokeinesiana, dello stimolo pubblico all’economia ricorrendo al debito o alle spese militari, per i Paesi dove la cultura liberista impedisce interventi pubblici nell’economia (USA, Regno Unito) , ma non interventi per motivi strategici, quindi bellici. D) La tesi della decrescita felice6, originata dall’assunto che il modello di sviluppo sin’ora perseguito – fondato sulla crescita costante (che esaurisce le risorse planetarie) e quindi sul consumismo compulsivo – non può più essere sostenuto da salari e redditi sufficienti, almeno nei Paesi occidentali, né essere esportato nei Paesi in via di sviluppo, pena una rapida crisi ecologica. A parte il fatto che il neologismo “decrescita” appare infelice (analogamente a “compromesso storico”) e suona un po’ snob – in quanto rivolto ai ceti che, pur decrescendo nei consumi, non resterebbero sotto la soglia della povertà – tale modello penalizzerebbe e non sarebbe accettato dai Paesi che accedono solo ora allo sviluppo, oppure sarebbe indice della decadenza dell’Occidente nei rapporti con i BRIC (Brasile, India, Cina) con pesanti conseguenze internazionali. E) La tesi della crescita felice o qualitativa7, che individuando la crescita non nel PIL, ma in altri parametri che tengano conto del benessere generale dei cittadini (istruzione, cultura, salute) induca attraverso l’educazione, i media, la rete a modificare lo stile di vita trasformando il consumismo degli anni 1950-2000 in un consumo responsabile. L’enciclica con il richiamo alla sana sobrietà, alla responsabilità, alla bellezza pare indicare questo percorso che è individuale, famigliare, di gruppo, di Paese e dell’intera società mondiale. 5 Da ultimo v. E. Colombatto, L’economia di cui nessuno parla. Mercato,morale e intervento pubblico, IBLLibri,Torino 2014 6 S. Latouche, La scommessa della decrescita, Feltrinelli , Milano 2007; M. Pallante , La decrescita felice, Ediz. della decrescita felice, Roma 2011 7 M. Gallegati, Oltre la siepe. L’economia che verrà. Chiarelettere, Milano 2014. 4. Gli stimoli ai gius-consumeristi e alle associazioni dei consumatori L’Enciclica dà alcuni forti stimoli ai consumeristi: a ) Anzitutto parla spesso dei rischi del consumismo, del consumo compulsivo soprattutto nei giovani e di come l’acquisto di beni sia indice di insicurezza e abbia sostituito l’amore, l’amicizia, la solidarietà. Ma non cita il consumerismo né le sue aspirazioni a sostituire la società dei consumi eccessivi con quella dei consumi responsabili. E qui emerge un tema linguistico, ma anche teorico fondamentale. Il termine “consumerism” nasce negli Stati Uniti ed è ambivalente. Da un lato ha indicato per lungo tempo l’ideologia consumista, cioè l’ approccio all’economia di mercato di massa e alla necessità di incentivare consumi crescenti per sostenere l’economia. Dall’altro dagli anni ’70 ha interpretato l’ideologia di contestazione di questo modello di economia americana e collegato al movimento dei diritti civili l’affermazione dei diritti economici, come diritti fondamentali del cittadino-consumatore. Ora questa esperienza, dimostratasi minoritaria negli USA (Ralph Nader ottenne il 2,74 % alle elezioni presidenziali del 2000) pare essersi esaurita. Tale ambiguità si è trasferita in Europa e in particolare in Italia dove il termine “consumerista” si è contrapposto al termine “consumista” indicando quella corrente di pensiero e quei movimenti che vedono nei diritti dei consumatori e nella loro tutela uno degli aspetti della “cittadinanza attiva” e della partecipazione sociale allo sviluppo di un equilibrato ed equo sistema economico. Purtroppo tale approccio sta rivelando tre aspetti deboli. 1 ) Il significato non è compreso in altre esperienze. Perciò sovente – e le critiche di papa Francesco ne sono un chiaro esempio – si confonde consumerismo con consumismo equivocando sull’approccio teorico e sul ruolo operativo delle associazioni. 2 ) Nel XXI secolo tutti gli “ismi” cioè le ideologie, o i pensieri unici, sono in crisi. Mentre il movimento consumerista è attivo soprattutto a livello europeo. 3) La crisi ha evidenziato che non si tratta ormai soltanto più di proclamare e tutelare i diritti dei consumatori, quanto di guardare ad altri tipi di consumo e di utilizzo dei beni sia privati che pubblici. L’economia della condivisione (Sharing economy), l’uso collettivo dei beni pubblici, l’utilizzo efficace della rete ai fini di scambio di informazioni, esperienze, beni e servizi tra i consumatori è ormai un fatto acquisito. Infine i consumatori non sono solo più i native analogic (quindi timorosi di fronte alle innovazioni nella rete), ma sono i native digital (con grande sviluppi potenziali del commercio elettronico) e stanno arrivando al mercato i native networkers (con grande sviluppo potenziale della condivisione in rete di beni e servizi). Occorre quindi che i movimenti dei consumatori cambino linguaggio e approccio. Da consumerismo a cultura del consumo responsabile, da movimenti consumeristi a movimenti dei consumatori responsabili, da affermazione dei diritti dei consumatori a partecipi al processo di mutamento degli stili di vita tramite l’informazione, la formazione, l’esperienza concreta.