Laudato si`. Come riconoscere ciò che ci precede

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Laudato si`. Come riconoscere ciò che ci precede
Laudato si’. Come riconoscere ciò che ci precede
Incontro dibattito sull’Enciclica di Papa Francesco con
Carlin Petrini, Fondatore e Presidente di Slowfood
Edward Burtynsky, Fotografo
Padre Vincent Nagle, cappellano Fondazione Maddalena Grassi
Coordina
Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione Sussidiarietà
Sala Sant’Antonio di via Sant’Antonio 5, Milano
Lunedì 12 ottobre 2015 ore 21:00
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Via Zebedia, 2, 20123 Milano
tel. 0286455162-68 fax 0286455169
www.centroculturaledimilano.it
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GIORGIO VITTADINI: Buonasera, per introdurre questo incontro, per capire Laudato si’ come
«ciò che ci precede», voglio leggere un pezzettino di quello che il Papa ha detto ai vescovi
americani perché dice che quello con cui siamo venuti su, le solite certezze di un mondo che
dev’essere codificato come ci hanno insegnato, non è così. Questa enciclica, scritta da un Papa e
non da un ecologista, ci insegna a uscire dagli schemi. Ai vescovi americani ha detto ad un certo
punto: «Per descrivere la situazione attuale sceglierei due immagini tipiche delle nostre società:
da una parte le note botteghe, piccoli negozi dei nostri quartieri, e dall’altra i grandi supermercati
e centri commerciali. Qualche tempo fa si poteva trovare in un medesimo negozio tutte le cose
necessarie per la vita personale e familiare, certo esposte poveramente con pochi prodotti, quindi
con poca possibilità di scelta, ma c’era un legame personale tra il negoziante e i clienti del
vicinato. Si vendeva a credito, cioè c’era fiducia, c’era conoscenza, c’era vicinanza, uno si fidava
dell’altro, trovava il coraggio di fidarsi, in molti luoghi lo si conosce come la bottega del
quartiere. In questi ultimi decenni si sono sviluppati e ampliati i negozi di altro tipo, i centri
commerciali. Il mondo pare che sia diventato un grande supermercato, dove la cultura ha
acquisito una dinamica concorrenziale. Non si vende più a credito, non ci si può più fidare degli
altri, non c’è legame personale e relazione di vicinanza. La cultura attuale sembra stimolare le
persone a entrare nella dinamica di non legarsi a niente e a nessuno, a non dare fiducia, a non
fidarsi. Perché la cosa più importante di oggi sembrerebbe essere andati dietro all’ultima
tendenza, l’ultima attività. E questo anche a livello religioso. Ciò che è importante oggi sembra
determinarlo il consumo: consumare relazioni, consumare amicizie, consumare religioni…
consumare, consumare! Non importa né il costo né le conseguenze. Un consumo che non genera
legami, un consumo che va al di là delle relazioni umane. I legami sono un mero tramite nella
soddisfazione delle mie necessità. Il prossimo con il suo volto, con la sua storia, con i suoi affetti
cessa di essere importante». Allora capite perché il Papa ha voluto fare un’enciclica di questo
tipo, perché ha deciso di mettere a tema l’umano e perché ha voluto che l’introduzione a questa
enciclica la facesse Carlin Petrini, che abbiamo qui come relatore. È fondatore e presidente di
Slow Food, associazione mondiale sul cibo, diciamo, non consumista, che ha appena fatto a
Milano un incontro di 2500 contadini mondiali. Come sentiremo tra poco, è amico del Papa, con
una storia che non è “paolotta”. Il primo che ci parlerà di questa enciclica sarà appunto lui, dal
suo punto di vista. Poi abbiamo padre Vincent Nagle, cappellano della fondazione Maddalena
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Grassi della San Carlo, americano che sa l’arabo, che ha viaggiato il mondo. Anche a lui
chiederemo cosa vuol dire dal punto di vista dell’esperienza della Chiesa, questa enciclica. Con
entrambi i nostri interlocutori usciremo dal cliché dei giornali. Poi vedremo un video del
fotografo che era previsto ci fosse, ma che non può esser presente e di cui avremo un’intervista,
Edward Burtynsky. Darei innanzitutto la parola a Carlin Petrini. Facciamo una domanda che lui
ha già fatto al Meeting: quanti hanno letto l’enciclica? Siamo sempre in minoranza. Quindi,
innanzitutto ci deve spiegare cosa c’è scritto, perché è inutile commentare una cosa di cui non si
sa neanche cosa sia, e dopo vediamo il resto.
CARLIN PETRINI: Teniamo il ritmo. Dopo questo flash interessante, vi dico qual è la mia
missione per il 2016: fare in modo che questo straordinario documento – lo chiamo documento
politico, di rilevanza fondamentale – possa essere condiviso da più gente possibile ed essere
motivo di cambiamento. Io sono fortemente convinto di questo. Ve lo dico, primo, da non
credente – sono un agnostico – e secondo, da colui che essendo chiamato a fare questa
prefazione ha avuto fino all’ultimo momento la convinzione che questa tematica fosse trattata da
Francesco in termini, come dire, più accomodanti. Dovete sapere che io avevo ventiquattro ore
per fare questa prefazione, perché arrivava l’enciclica e dopo ventiquattro ore si andava in
stampa; quindi io avevo preparato una traccia cosciente che le tematiche di questo documento
sarebbero comunque state un po’ stemperate, che quindi non era così radicale, come per certi
aspetti alcune indicazioni di questo ci erano già arrivate – mi riferisco alle indicazioni arrivate, in
maniera molto chiara, dall’incontro e dall’intervento di Papa Francesco alla FAO, quando manda
un messaggio qui all’apertura di Expo – eravamo non so quante migliaia di persone, tutto
l’establishment dell’economia italiana in prima fila, arriva Papa Francesco per un messaggio e fa
un’affermazione: «questa economia uccide». Io dico, «qui chissà che movimento ci sarà», invece
non hanno fatto un plissé , tutti tranquilli come non avesse detto una cosa del genere. Bene, da
queste cose io ero cosciente che comunque, trattandosi di un documento che una volta era
riservato solo ai vescovi, e poi nel tempo è diventato anche aperto a tutta la comunità dei
credenti, e in questo caso non solo dei credenti, sarebbe stata un po’ stemperata. Mi arriva,
incomincio a leggere, pagina dopo pagina, e rimango impressionato dalla sostanza, dalla
determinazione dalla lettura e anche da una cosa che nel mio Piemonte chiamiamo “bel deuit”,
“bel garbo”: dice delle cose durissime, con un garbo meraviglioso, come solo lui può fare.
Questo mi ha sconvolto, e io ho dovuto ritarare questa mia prefazione, cosciente che mi trovavo
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davanti a un documento di portata storica. E, in questo momento, io avverto che c’è un diffuso,
nella Chiesa e fuori dalla Chiesa, un atteggiamento che si interpreta in una sorta di non presa in
considerazione di queste cose che il Papa ha detto. No, è un pericolo reale la non presa in
considerazione di questo straordinario documento. Vi dico tre cose, che ritengo determinanti:
nella prima parte siamo davanti a un’esposizione di termini ecologisti e di politica ambientale
fatta con estrema lucidità e grandissima capacità divulgativa ̶ consiglio questo primo approccio a
chi comunque ha intenzione di avere un affresco della situazione ambientale di questo nostro
pianeta, delle sofferenze del pianeta, delle determinazioni che questo tipo di realtà sta generando
nel mondo rispetto alla casa comune. Secondo elemento, che è il più rilevante: praticamente cosa
viene fuori da questo documento? Viene fuori che negli ultimi cinquant’anni – il pezzo che è
stato letto prima è significativo del fatto che cerca paradigmi nuovi, non tanto per i supermercati
quanto per il valore del cibo, per l’empatia, per la comunicazione, per il fatto che entro in un
luogo dove c’è umanità non dove c’è solo il business ̶ «l’economia è diventata un feticcio
indiscutibile». Ora, quando dico economia dico mercato; dice espressamente: «economia e
mercato appartengono al mondo dei mezzi, la politica appartiene al mondo dei fini», in questa
situazione in cui noi siamo chiamati a vivere, la politica è diventata il mondo dei mezzi e si usa
la politica per raggiungere i fini dell’economia, del mercato. Al fianco dell’economia e del
mercato c’è un’altra componente che appartiene al mondo dei mezzi ed è diventata dei fini, che è
la tecnocrazia. Ragazzi, parlo a voi giovani: una cosa di questo tipo, credetemi, nella politica
mondiale non è espressa con così lucida determinazione. Questo basta già per cambiare il
paradigma, per dire: per troppo tempo ancora oggi noi siamo determinati da un feticcio, da un
obiettivo, che è l’economia, con tutti i suoi orpelli, il PIL, la crescita, tutte queste cose qui, e la
politica dev’essere al servizio di questo. Non è così. La politica deve essere la nostra idealità, i
nostri fini, gli obiettivi che noi abbiamo per il bene comune, altro grande patrimonio; detta quelli
che sono i fini e utilizza i mezzi dell’economia, del mercato, della tecnica, per ottenere quei fini
lì. Questo è un passaggio che non viene messo in chiara luce, perché è un passaggio
rivoluzionario, si ribaltano i termini. Andiamo a spiegarlo in quei sancta sanctorum dove si
ragiona solo sull’economia che no, prima c’è l’uomo, prima c’è l’umanità, prima c’è la politica
che non può essere a corto raggio, che non può misurare le sue attività rispetto ai tempi delle
elezioni (mancano quattro anni, due anni, un anno all’elezione, io non conto già più niente, sto
già lavorando per il fine di essere rieletto). Questo è uno dei passaggi più straordinari di questa
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enciclica. Terzo elemento, una cosa fondamentale che si chiama “ecologia integrale”: finora tutto
il mondo ambientalista questo concetto non lo ha sviluppato compiutamente. Sì c’era la logica di
ritenere l’ecologia un alveo all’interno del quale l’umanità può trovare, come dire, un rapporto
armonico con la natura, ma l’ecologia integrale parte da un altro concetto: chi paga il danno più
grosso della sofferenza dell’ambiente comune non sono i signori, ma i poveri. Quindi, non è
possibile riconvertirsi in una logica ecologica di rispetto dell’ambiente senza guardare l’umanità
che soffre, senza aver coscienza che l’umanità sta soffrendo perché la casa comune è stata
distrutta, e quando succede questo dire che tutti siamo in sofferenza, ma di più quelli che non
hanno cibo, che non hanno acqua, che sono sottoposti a migrazioni (e qui un altro passaggio
straordinario), che non sono solo migrazioni di guerra; dice qualcosa come: «voi pensate che il
cambiamento climatico non inciderà sulle migrazioni? Sarà una delle componenti più forti di
flussi migratori, perché prima migrano le piante per non seccare, poi migrano gli animali e alla
fine, in una situazione di sofferenza, migrano anche gli uomini». Allora, con che logica noi
possiamo parlare di questi flussi migratori se non abbiamo la capacità di capire che, questa della
distruzione dell’ambiente, è una vera e propria guerra contro la gente che soffre, per realizzare
grandi interessi. Signori, queste tre cose per me bastano e avanzano per impostare, poi ci
sarebbero tante altre cose ma, ripeto, io sono rimasto folgorato dalla capacità politica e anche dal
contenuto che ad oggi nessun leader mondiale riesce ad esprimere con questa carnosità, perché
qui stiamo parlando di ciò. Allora dico subito: sbaglia chi ritiene che questa è un’enciclica
ecologica, sbaglia chi ritiene che questo è un papa verde, non ha capito niente. Questo
documento è un documento di nuovo umanesimo, non c’è solo il bene della casa comune, non è
solo un approccio ecologista, è un approccio di umanesimo. Noi abbiamo fame di un nuovo
umanesimo che parta dalla casa comune, anche con suggestioni bellissime che noi italiani
abbiamo abbandonato – noi abbiamo dato i natali a una delle più grandi personalità del mondo
che guarda caso si chiamava Francesco e aveva un rapporto con la natura, con gli animali, con i
fiori e con la bellezza che in sé era umanesimo, e su quell’umanesimo si è impiantata una delle
componenti della nostra civiltà. Recidere questo umanesimo e mettere l’economia, l’interesse, ci
fa perdere la strada. Io penso che questo documento va discusso in questi termini: un documento
di nuovo umanesimo che, come poi spiegherò nel secondo intervento, ci mette anche in
condizione di conoscere gli strumenti – e lì c’è il capolavoro. Chiunque pensi di essere e vivere
una situazione senza avere l’opportunità, che abbiamo noi in questo momento, di conoscere una
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personalità straordinaria nella storia dell’umanità, ha sbagliato. Questo personaggio qui è un
personaggio che rimarrà nella storia e che lascerà un segno indelebile, non tanto perché
interpreta tendenze ma perché ci ridà la gioia di essere protagonisti.
G. VITTADINI: Prima di far parlare Vincent vediamo il filmato.
CAMILLO FORNASIERI: Il filmato è di Edward Burtynsky, uno dei più grandi fotografi del
mondo attualmente. Burtynsky era qui a Milano perché sta facendo la sua mostra Water Shock a
Palazzo La Ragione, sarebbe stato forse interessante portare le immagini, ma è anche un grande
oratore e un grande ricercatore. È partito fin da giovane dalla sua idea di guardare il paesaggio, a
tanti uomini e tanti artisti ha sempre colpito raccontare il paesaggio, ma si è accorto che c’era
qualcosa che non veniva raccontato e cioè la forza che ha l’uomo di cambiare il mondo, di
servirsene e nello stesso tempo di modificarlo in una maniera dove anche l’errore e
l’esagerazione diventano quasi sublimi. Dunque ci rimette di fronte a delle domande. Ci ha
gentilmente concesso un’intervista molto difficile da realizzare ma, mi pare, molto bella, di cui
vediamo nove minuti. Quella integrale sarà poi disponibile sul sito.
EDWARD BURTYNSKY: Penso che una delle cose che ho scoperto subito nel mio lavoro di
fotografo è che all’inizio cercavo di fotografare le bellezze della natura solo apprezzando cosa
c’era prima che noi arrivassimo e cambiassimo il mondo. E il Canada ha molti spazi dove puoi
gustarti quel tipo di paesaggio, quel paesaggio puro, perché in Canada ci sono poco più di 30
milioni di persone e abbiamo uno dei più grandi paesi per quanto riguarda la quantità di terra e
paesaggi, quindi ci sono molti posti in cui uno può immaginarsi come era il pianeta prima che lo
modificassimo. Quindi credo che questa percezione era importante quando ho iniziato a guardare
alle grandi mente e alla grande industria e a come le grandi metropoli stanno cambiando aspetto;
ho iniziato a capire che siamo come un organismo, un organismo biologico che sta crescendo e
sta sfruttando sempre di più il mondo naturale. E quello che ho iniziato a pensare quando avevo
venti, trent’anni era che il mio lavoro non mi sarebbe piaciuto se mi fossi focalizzato soltanto
sulla natura di per se stessa, capiamo quella storia, capiamo la bellezza della natura tramite i
film, la fotografia, gli spettacoli naturali e andando fuori, ma la storia che non veniva narrata era
la storia di come l’abbiamo cambiato, dove prendiamo quei materiali con cui costruiamo le
nostre case, i nostri jet, i nostri edifici nella nostra città? Quindi come viviamo? Come esistiamo
in questi ambienti e qual è l’impatto di questo stile di vita nel mondo naturale? Così ho iniziato a
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rimodellare il mio lavoro per cominciare a osservare dove questi eventi umani entravano nel
paesaggio attraverso sistemi giudiziari, economici, attraverso la tecnologia e spostando il
materiale a un livello senza precedenti nella storia, dunque per me quella era una storia più
precisa del tempo che sto vivendo, dato che stiamo ottenendo sempre maggiori effetti e la natura
sta venendo ridotta. C’è un equilibrio, e noi stiamo velocemente portando il mondo fuori asse
come tanti pezzi, e una forza che la natura non può completamente assorbire, quindi corriamo il
pericolo di rovesciare il pianeta in un altro stato portando possibilmente alla nostra stessa
estinzione o almeno a una vita diminuita e impoverita se non facciamo la cosa giusta. Porto con
me, per fare il mio lavoro, una profonda curiosità sul mondo e su come funziona, come noi ci
integriamo in quel mondo, come noi ci integriamo in quel mondo naturale, e questa è una
profonda curiosità. E per cercare di spiegare quel concetto di stupore, io lo vedo molto come un
senso di meraviglia, la possibilità di farsi un’immagine di ciò a cui stai davanti pensando:
«Com’è possibile questo? Chi ha creato questo spazio? E a cosa serve?». E per me quando inizi a
farti queste domande e quando sei di fronte a un’immagine, queste domande possono iniziare a
condurti lungo un cammino di altre domande e ti fanno dire: «Bene, cos’è questo posto?» e poi
inizi a farti domande su cosa stia facendo in questo luogo ed è davvero una relazione complicata
perché, come ho detto, abbiamo bisogno della natura, tutti gli esseri viventi hanno bisogno della
natura, hanno bisogno di acqua dalla natura, hanno bisogno di legna, cibo, noci, caldo, un riparo,
tutte queste cose sono essenziali per qualsiasi vivente. Ma il nostro mondo è così vasto, così
complicato e potente grazie alla rivoluzione industriale che l’impatto che abbiamo non è che
necessariamente lo vogliamo fare di proposito o che vogliamo essere cattivi, lo siamo e basta…
noi siamo numerose specie, abbiamo bisogno di molte cose per andare avanti. Ma metterci faccia
a faccia con questi paesaggi industriali da cui siamo disconnessi è un modo che ho trovato, un
significato più profondo nel fare i miei lavori, ed ecco perché ho avuto un’idea. Dove vanno a
finire i nostri computer quando non li usiamo più? Facendomi quella domanda e dedicando anni
di ricerca e dicendo: «Ah, in Cina circa il 30% di tutti i computer vengono riciclati». A quel
punto ho passato anni cercando di arrivare in quel posto per fare quella fotografia a cui ho
pensato quattro anni prima. A partire dal pensare dove vanno le cose e da dove vengono ho
iniziato a fare le mie ricerche nel mio lavoro, per poi trovare quei posti che sono dilatati per una
vasta attività, e definiscono quella relazione che abbiamo con il nostro mondo naturale. E credo
che devi avere un certo tipo di curiosità, devi andare alla ricerca di un significato e un senso di
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meraviglia riguardo a questa diversità. Quello che vedo è un’incredibile diversità nel mondo:
diversi tipi di animali, alberi, tropici e vita desertica, e allo stesso modo diversità umana, quindi
diversi tipi di cultura, con diversi sistemi di credenza. Viviamo in un mondo così vario, ma
quello che sta succedendo è che la diversità sta iniziando a restringersi e noi restringiamo quella
diversità. Internet e un sistema di valori che si propaga dall’America o dalla società occidentale
proprio del consumismo e di questa forma di capitalismo, è come se si estendesse in tutto il
mondo e mentre fa questo, le lingue scompaiono, le culture scompaiono, così come i modi di
vivere. Allo stesso modo connettiamo il mondo insieme e diventiamo un unico spazio: succede
qualcosa in Afghanistan o Pakistan o Cina e cinque minuti dopo su Twitter ognuno lo viene a
sapere e poi l’ora dopo è sui tutte le radio e poi in televisione… quindi subito ci stiamo
connettendo in quello che Marshall McLuhan chiamava “villaggio globale”, che ora ci sovrasta.
Con i nostri computer, gli smartphone, siamo sempre connessi ed è qualcosa di molto diverso ed
è qualcosa che restringe l’ampiezza della complessità, il fatto che viviamo in un mondo molto
più complesso rispetto a questi eventi di cronaca, le cose che i media vogliono farci vedere come
le cose più importanti che accadono nel mondo oggi. Quindi quello stupore ha bisogno di essere
nutrito, ha bisogno di essere coltivato. Ho trovato nuovo questo papa e la sua enciclica e sono
molto entusiasta a riguardo. E dal momento che lo seguono quasi due miliardi di persone, è un
messaggio davvero forte che sta mandando ai suoi fedeli, che può avere un risultato molto
positivo. In questa circostanza temporale questo può essere un esempio cosicché i leader
musulmani possano annotare e iniziare a parlare con i loro seguaci a loro volta riguardo a questo,
perché inizi davvero a essere un argomento di conversazione anche tra quelli che sono religiosi,
in modo che non eviti quel gruppo: per me è molto importante mobilitare tutti i livelli possibili. E
quello che trovo rigenerante qui nell’enciclica è come mostra i problemi in modo molto conciso
e equilibrato e guarda noi stessi, ciascun essere umano, con i propri bisogni e guarda come
l’influenza collettiva e i sistemi che costruiamo intorno a noi iniziano a deluderci e abbiamo
bisogno di capire questi difetti. Per me questo sta davvero portando la chiesa cattolica a un
dialogo attuale davvero critico del nostro tempo.
VINCENT NAGLE: Introduco dicendo che io sono cresciuto in un ambiente dell’ambientalismo
più spinto, più puro, più agguerrito anche. Io sono nato a San Francisco, ma sono cresciuto nelle
foreste delle grandi sequoie, nel nord della California, in un paese che, quando siamo arrivati
aveva solo 60 abitanti, tutti poveri, poi con gli anni è cresciuto fino a più o meno 150, ancora
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tutti poveri, e che era una comunità dei figli dei fiori. La mia mamma era una degli iniziatori del
movimento New Age e ci hanno veramente educato tantissimo in questi temi, però con uno
slancio in cui non mi riconosco più, e questo è dove centra quello che dice il Papa. Cioè che alla
fine l’uomo è un male, l’uomo distrugge, e curare l’ambiente vuol dire salvare l’ambiente
dall’uomo, cioè ridurre, far sì che ci siano meno uomini, nascano meno bambini, che si mettano
delle riserve dove gli uomini non possono e non devono entrare in una parte del mondo sempre
maggiore. È un modo di vedere la natura senza un rapporto con l’uomo, che l’unico buon
rapporto con l’uomo per la natura è nessun rapporto. E adesso con questo, quando ho sentito che
il Papa aveva scritto sulla natura…! Fino a 25 anni ho letto centinaia di libri e non ero più
interessato a sentire molto su questo tema, anche perché quando vado a casa, onestamente,
questo è l’unico tema, e quanto io sono un agente del male perché per me… per esempio, al mio
paese il grande santo del paese, che tutti lodano, è una donna che è andata su una sequoia per
non farla tagliare e è rimasta lì per tre anni, e lei è la grande santa del paese. Quindi aprendo
questa enciclica, anche con un po’ di trepidazione, avendo già pareri miei nel campo, ero colpito
da una delle prime cose che ha detto il Papa. Il Papa ci sfida, ci sfida, e dice: «per affrontare
questi temi dobbiamo osare a trasformar in dolore personale quello che capita nel mondo».
Infatti direi che, mentre le encicliche di Giovanni Paolo erano opere mistiche con un rigore
teologico impressionante, e mentre quelle di Benedetto erano sintesi liete di teologia e cultura
vasta con un approccio amichevole a ogni contributo possibile, dentro uno sguardo comunque
sistematico ineccepibile, questo è molto più poetico. Non è che manca la teologia, ma non è
senza perplessità, perché lui vuole buttare tutta la sua esperienza dentro, e non si preoccupa
troppo di dare sistematicità alla cosa, ma espressione di un grido al cuore. E lui apre questo grido
del cuore, come ho detto, però dicendo anche, prima di cominciare, facciamo questa nota, che il
mondo, l’ambiente, non è un problema da risolvere. Noi parleremo di tanti problemi ma non è un
problema, è un miracolo è una avvenimento da cui stupirsi e contemplare. Quindi non si
comincia da un atteggiamento che dice: abbiamo un problema, risolviamolo, ma dice che noi
siamo uomini, quindi ci lasciamo stupire, e così sapremo cosa fare e vedremo molto di più per
questo stupore. Allora entrando nell’enciclica - ovviamente la prima parte, molto interessante
perché lui dice: «Io scrivo questa enciclica per tutti»; cioè è la prima enciclica che io conosco
che non è scritta principalmente per la Chiesa, ma per il mondo, in cui viene messa dentro anche
la Chiesa – la prima parte parla dell’ambiente che soffre, ma al centro c’è sempre la sfida
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all’uomo. Il Papa distrugge ed è ostile a questa visione. Egli ha due visioni che non può tollerare.
Una visione, come lui dice tantissime volte, è quella dell’uomo tecnocratico, che vede il mondo
come un luogo in cui si può esercitare il proprio potere, sperimentare le proprie tecniche, andare
avanti con i propri progressi nelle tecnologie ecc. e tutto si riduce a questo. L’altro estremo a cui
si oppone è quello che divinizza la natura, mettendo l’uomo da parte, come se non ci fosse. Lui
invece dice di no a entrambi: l’uomo è fatto per un rapporto con la natura e la natura è fatta per
un rapporto con l’uomo. Però per questo dobbiamo cercare di capire, dice il Papa, che la vera
ecologia deve cominciare con la vera antropologia; queste sono le sue parole. Con questo si entra
nella seconda e terza parte, che per me è la più bella, in cui si chiede dove l’uomo venga ferito
causando una ferita anche nel rapporto con la natura. Tra l’altro lui mette anche una priorità:
prima di parlare o di poter curare l’ambiente, prima ancora si devono affrontare tutti i rapporti
umani di qualunque tipo per essere curati, tutti. Usa questa parole “tutto” e “tutti” tantissimo.
Anzi, dice - io l’ho contato - sei volte «Tutto è connesso». Dov’è la rottura di questo? Che
l’uomo non sa più dove sono i suoi limiti. Infatti con la sua tecnologia, con i suoi processi che
riescono a fare cose fantastiche, comincia a immaginare che questi limiti non ci siano e perciò
diventa un pericolo per se stesso, per gli altri, e per il mondo. Come l’uomo può curare questo
sbaglio? Il Papa ci chiede di guardare a Dio e afferma che Dio stesso, creandoci, ha deciso di
limitarsi. Onnipotente per natura, creando il mondo, Lui stesso stupiva le sue creature volendo
dare loro una certa giusta autonomia. Quindi Dio si è autolimitato, proprio per far bello il
rapporto con le sue creature. L’uomo impara di nuovo questa cosa in un rapporto con Dio. Come
Dio si autolimita per dare la giusta autonomia ed aver quindi un rapporto bello con l’uomo,
anche l’uomo in imitazione di Dio, impara a conoscere, ad amare e ad agire con coscienza dei
suoi limiti e ad averne, quasi come un dato, un bene. E da questo comincia a rapportarsi.
Francesco dice sempre “tutto connesso”, “tutti noi”, “casa comune”. Lui cosa intende con
questo? Uno se non ha in mente tutti non fa nulla di vero; se non ha come desiderio che ogni suo
azione e gesto porti il bene per tutti, nessuno escluso, non è veramente umano. I rapporti umani,
infatti, ci dicono tutto. L’uomo ha tre tipi di rapporti; questo è classico. Prima però dico questo:
questa enciclica, come si chiede il Papa stesso all’inizio, a che cosa serve? Le cose che dice la
Chiesa, se la Chiesa stessa poi non si lascia provocare da quello che sta capitando, diventano
aride, stanche e pesanti. Quindi Francesco si lascia provocare da quello che il mondo sta
sperimentando per presentare di nuovo quello che la Chiesa dà sempre, però con vita, rilevanza e
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pertinenza. E per questo ci ripresenta nella Genesi tre tipi di rapporti: uomo con dio, uomo con
uomo, uomo con natura. Ci fa contemplare la figura di Caino che uccide suo fratello, rompe il
rapporto con Dio, perverte il rapporto con la terra. Comunque sono lunghe queste linee che lui ci
porta, mettendo dentro tantissime cose; non è necessariamente che l’una non sia in
contraddizione con l’altra, essendoci così tante cose. È come se dicesse: «Mettetevi davanti al
tutto. Capite che non sapete mettere tutto insieme, siate umili e procedete in un riconoscimento
della vostra piccolezza, però nella grandezza della vostra vocazione». Concludendo, il Papa
vuole ripresentare la bellezza della vita umana, tant’è che proprio riguardo a questo porta dentro
anche quei temi scottanti di cui nessuno più parla senza essere condannato. Eppure lui parla in
modo molto esplicito e nessuno lo condanna. Per esempio, leggo due frasi: «Imparare a
raccogliere il proprio corpo - sotto il titolo “ecologia umana” -, averne cura e rispettare i suoi
significati è essenziale per una vera ecologia umana. Anche apprezzare il proprio corpo nella sua
femminilità o mascolinità è necessario per poter riconoscere se stessi nell’incontro con l’altro
diverso da sé. In tal modo è possibile accettare con gioia il dono specifico dell’altro o dell’altra,
opera di Dio creatore, e arricchirsi reciprocamente”. Dice anche esplicitamente - io non leggo,
ma credo di citare praticamente parola per parola – che chi dice di commuoversi per le povere
creature che soffrono per incoscienza o violenza e potere dell’uomo, eppure non si preoccupa
dell’embrione o del feto ucciso in grembo non può chiamarsi ambientalista. Quindi, attraverso
questo lasciar trasformare in sofferenza personale quello che capita nel mondo, vuole riportarci
ad un’umiltà che non ha paura di dire il vero.
G. VITTADINI: Allora vorrei tirar le fila fino adesso per partire dalla seconda domanda. Io da
quello che avete detto e da quello che ho letto dico che il nemico del Papa in questa Enciclica è il
“meccanicismo”, il fatto che c'è un mondo che è "meccanico". Perché noi abbiamo imparato, io
stesso, una "economia meccanica", come fosse la traduzione ultima del pensiero di Comte.
Sapete che Comte costruisce la sociologia come fosse la fisica e tutto è "meccanico": non c'è
l'uomo; è inevitabile che per costruire il sistema economico moderno e lo sviluppo debba essere
così. Non c'è possibilità che sia diverso. Infatti l'alternativa non è un altro modo di far
l’economia ma le "barbarie", l'antichità. Il Papa comincia a dire: «Chi l'ha detto? Questa non è
l'economia inevitabile di mercato; questa è un tipo di economia perché nasce da un certo tipo di
uomo». É inevitabile che per il progresso bisogna distruggere l'ambiente. E il Papa dice: «Chi
l'ha detto che per costruire il progresso bisogna distruggere l'ambiente? Questo è il frutto di un
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certo tipo di uomo». Quello che il Papa fa - e io sono d' accordo con Carlin Petrini, c'è una
differenza del mondo accademico - è mettere in discussione che ci siano dei sistemi - l'ecologia
umana, l'economia o l'ambiente - che non possono avere al centro - tutto quello che diceva
adesso Vincent - un io che possa generare lo sviluppo o la distruzione. Non esistono scienze l'economia è uno strumento, non è uno scopo - che sono in sé. Questa è una menzogna, questa
non è scienza, questa è Ideologia. Questo mi sembra il punto unificante di quello che è stato
detto fin ora. Dicendolo come lo diceva Carròn in un incontro un po' di giorni fa, il tema della
generazione del soggetto ha a che fare con quel che viene costruito, mentre noi abbiamo
imparato per anni che non è così e non può che non essere così.
Pensiamo al tema di qualche anno fa della questione finanziaria che era così, era inevitabile fosse
così e poi abbiam visto cos'è. Quindi a me sembra che al centro di questa Enciclica ci sia il tema
dell'io che genera, è l'io che può fare la distruzione o lo sviluppo. Può fare qualunque cosa.
Seconda domanda: mi piacerebbe Carlin che in base alla tua esperienza umana, anche mettendo a
tema questa cosa che hai accennato e raccontando di te e del rapporto col Papa, ci dicessi cosa
vuol dire il nuovo umanesimo. Perché per esempio tu hai organizzato questo incontro a Milano
con i contadini di tutto il mondo dicendo: «Non è detto che l'agricoltura sia quella cosa per cui
anche in Italia non si può più fare l'agricoltore perché i prezzi sono uccisi e uno non può più
vivere». Chi l'ha detto? Nel tuo percorso umano, cosa vuol dire “Nuovo umanesimo? Cosa vi
trovi in questo e nel modo del tuo rapporto personale da cui è nata anche l'implicazione col
Papa?
C. PETRINI : Voglio finire il mio ragionamento che aveva un suo filo. Riassumo, primo
elemento: capacità divulgativa e analisi della situazione dal punto di vista ambientale. E qui
parliamo della perdita di biodiversità problemi di cambiamento climatico, degli elementi di
perdita di fertilità dei suoli, della carenza d’acqua; qui parliamo di cose concrete. Secondo
elemento: il ragionamento del feticcio “economia” e “tecnocrazia” rispetto al primato della
politica. Il terzo elemento su cui mi sono fermato era il discorso dell’ecologia integrale. Adesso
arrivo ad altri due aspetti. Primo, l’elemento di superamento di un antropocentrismo moderno
che sta generando una distorsione nei nostri rapporti umani e anche di rapporto con la natura.
Sull’aver posto l’uomo al centro di tutto in virtù della sua primogenitura, sugli animali, sul
benessere animale, sul diritto delle piante e della natura, c’è molto da riflettere per tutti, anche
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“Laudato si’. Come riconoscere ciò che ci precede”
per i cattolici, non solo per il mondo laico. Secondo elemento, la concezione che tutto questo si
può cambiare, e aveva ragione Vincent, attraverso un processo di trasformazione, che ci vede
tutti coinvolti, e che, rispetto a quelli che sono i canoni classici dei cambiamenti di paradigmi e
di sistemi è una cosa interessante. Noi per cambiare un sistema che non funziona abbiamo allo
stato attuale della storia tre metodi. Da un lato, la rivoluzione, una rottura, un taglio verticale che
cambiano le cose, in cui succede quello che succede e poi via. Secondo, un approccio di tipo
riformista, c’è questa giacca che non funziona mettiamogli una pezza, va bene, dopodiché si
straccia qui, mettiamogli un’altra pezza. Il riformismo è un modo di risistemare le cose ma non
definitivo. C’è un terzo metodo, e questa è la cosa interessante che peraltro era già nell’enciclica
di papa Benedetto, che è un concetto di trasformazione diverso che, ad esempio, vede tutti i
nostri rapporti economici non in modo lineare ma basati sulla reciprocità. Tutto si connette e la
reciprocità determina quel cambiamento, quella trasformazione, per cui le cose cambiano
veramente. Allora lui dice, come si può realizzare una trasformazione in una situazione come
questa? Dialogo, dialogo, dialogo. Questo per me è un passaggio straordinario, ve lo dico come
laico, non credente, questo è l’aspetto che spiritualmente (visto che vorrei che fossimo tutti
chiari, la spiritualità come diceva Pasolini ce l’abbiamo tutti, non è che sia prerogativa di
qualcuno) mi ha toccato di più, la capacità di dialogo. Perché dialogo vuol dire ascoltare,
dialogo vuol dire mettersi in crisi, dialogo vuol dire arrivare alla fine tirando le cose, dove
magari non ci lasciamo d’accordo su tanti aspetti, ma in tanto abbiamo dialogato. Il dialogo è
una medicina in cui
in questo momento l’umanità ne ha estremamente bisogno. Questo
passaggio del dialogo come oggetto della vera trasformazione chiede a noi di cambiare certi
paradigmi. Siamo depositari di verità, ma anch’io ogni tanto ho dei dubbi. Ho avuto dei bei
dubbi. E nello stesso tempo io sono cresciuto, nel dialogo cresce un atteggiamento, voi pensate
che in questo momento una civiltà che rifiuta aprioristicamente il dialogo con il diverso sta
generando uno sconquasso di proporzioni bibliche. Mentre invece il dialogo è l’elemento
distintivo. Questo è fortissimo, è fortissimo questo passaggio. E dico di più (mi permetterete
questo, pendant molto personale), il dialogo non è la verifica della tua conversione. Per tanti anni
ho distribuito l’Unità e il manifesto, adesso faccio da distributore dell’enciclica. Molte volte
quando vado ad assise cattolica tutti mi guardano e mi dicono : Ti stai convertendo? Sei lì? Sei
sulla strada di Damasco? No, non è il caso che a ogni più sospinto dichiariamo la nostra diversità
per non dialogare. La nostra diversità è il fermento del dialogo e, poi, ognuno vedrà come va a
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finire la storia. Ma io questo l’ho trovato e, badate bene, è uno dei tratti distintivi di questo papa:
dialoga con tutti. Per cui, non capiscono niente quelli che quando lui va a Cuba a parlare con
Castro gli dicono che è comunista. Ma tu sei fuori di cervello! Lui parla con e nello stesso tempo
va nell’assisa del congresso degli Stati Uniti. È sempre lui non cambia d’una virgola. Ma nello
stesso tempo il dialogo smussa certe cose, facilita anche processi di pace, e questa è una cosa
straordinaria. Ultima questione che ritengo importantissima, è il metodo. Vi dico, ragazzi, voi
specialmente giovani, andate a comperarla, veloci, veloci.
V. NAGLE : è disponibile anche in forma elettronica e anche in audio libri.
G.VITTADINI: e anche i supermercati si vende, meglio negozietti però.
C. PETRINI: La questione è questa, lui dice alla gente normale: «Tu puoi cambiare le cose
partendo dalle cose più semplici.» Arriva addirittura a dare delle indicazioni, spegni la luce,
mettiti in una situazione di non sprecare, fai attenzione alle piccole cose. Uno potrebbe chiedersi
cosa stesse dicendo. Lui gli risponde che queste cose possono cambiare il mondo. Siete dei
consumatori, bene, scegliete cosa comperare. Nel modo in cui scegliete cosa comperare
determinate anche la politica di chi fa i prodotti. Quindi praticamente ci dà degli strumenti dove
io, che conto niente, nel momento in cui assumo questo ruolo divento protagonista. Una volta la
mia amata sinistra queste cose ce l’aveva e le teorizzava dicendo: « la crescita dal basso verso il
cambiamento». Oggi il basso conta come il due di picche, mentre invece non è vero perché il
basso determina quei movimenti, uno di questi si è chiuso l’altra sera qui, proprio a Milano con
questi duemilacinquecento giovani contadini e pescatori che arrivavano da centoventi paesi del
mondo, alcuni dei quali non potevano permettersi neanche il viaggio per venire a Milano.
Neanche il viaggio di venire a Milano. Sono stati ospitati dai milanesi nelle loro case dal basso
questi giovani, ritornando nei loro villaggi, nelle loro realtà sono andati via con il bene più
prezioso, che è l’autostima. È allora che un contadino del Burchina Faso o delle Ande peruviane
ritorna a casa sua e dice: «ma io che quello che sto facendo, lo so , lo devo fare perché ho vissuto
l’esperienza che una rete, che una condivisione che partendo dal basso, muta le cose.» Ora, io
sento, ed è l’ultimo capito, che lui si dedica a queste piccolezze, che parla di come le persone
umili possano diventare dei protagonisti della trasformazione. Nessuno si dimentichi che umile
deriva da humus colui, che è vicino alla terra. Ultima questione, non è irrilevante in tutto questo
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contesto, ed è il motivo per cui non il papa ma, Don Sciortino, facciamo le cose giuste, poi non
so se don Sciortino ha chiesto la benedizione…
G. VITTADINI: se non c’era l’accordo del papa mica glielo faceva scrivere, dai scusami…
C. PETRINI: bravo, sta proprio lì, bravo. Sia chiaro io nella vita faccio il gas-tro-no-mo.
Nell’immaginario collettivo è quello che trovi accendendo la televisione a qualsiasi ora del
giorno e della notte con delle padelle che delira e che parla a sproposito. No, questo non è un
gastronomo, questo tratta di una parte della gastronomia, che è l’arte di trasformare il prodotto
edibile e ciò che ci dà madre natura. Sarà il dieci percento? Ok, sarà il dieci percento. Ma un
gastronomo – ed è per questo che abbiamo fatto l’università di scienze gastronomiche – deve
conoscere l’agricoltura, deve conoscere la zootecnia, deve conoscere la biologia, la genetica. Se
poi passa sul pendant umanistico deve conoscere la storia dell’alimentazione, deve conoscere
l’antropologia, – perché parla di antropologia il cibo nostro, parla della culture – deve conoscere
l’economia, deve conoscere l’economia politica, il gastronomo è colui che si occupa di tutto ciò
in quanto l’uomo si nutre. Per cui, nella mia esperienza, c’è stato questo fil rouge che mi ha
portato dallo spadellamento alla complessità. E nella complessità io ho capito ci stava una delle
chiavi di lettura dello sconquasso di questo pianeta. Perché sia chiaro a tutti, tutti siamo viventi
perché mangiamo. – Se c’è qualcuno che ha qualche teoria diversa venga a spiegarmela che io lo
ascolto con molta attenzione. – Ma tutti siamo viventi perché quando possiamo mangiamo, per
cui allo stato attuale la vergogna di questo periodo storico è che ci sia ancora la morte per fame
in una situazione di spreco alimentare, di proporzioni bibliche. Questa è la più grande vergogna
dell’umanità! E neanche il nostro bell’appuntamento di Milano in questa fantasmagoria di cose
ecc. Questo gli è passato così. Era presente ma non a sufficienza perché se tu parli di “nutrire il
pianeta, energie per la vita” devi cominciare a passare da dove sono gli sconquassi ambientali,
dove sono gli sconquassi sociali, dove sono gli sconquassi economici e giuridici, e anche umani!
Allora parliamo di questo, sto parlano di gastronomia. Maledetti quelli che hanno ridotto la
gastronomia a questo Circo Barnum di padelle e di deliri. Maledetti! Perché? Perché le nostre
nonne quando parlavano di gastronomia non parlavano tanto per fare ma per risolvere il
problema. Avevano una sapienza da non buttar via niente. I grandi piatti della gastronomia
italiana erano fatti con gli avanzi. Se voi andate in Toscana il piatto principale dei toscani si
chiama Ribollita, è fatto col pane raffermo. Nel mio Piemonte, il piatto della festa sono le
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Raviole. Il ripieno delle Raviole è fatto con gli avanzi. Mia nonna prendeva tutti gli avanzi della
settimana con la mezzaluna e poi chiudeva le Raviole. Vi dico solo questa, sei mesi fa una
grande chef, che voi conoscete Gualtiero Marchesi, mio carissimo amico, mi ha detto: “ Carlin,
ho inventato il raviolo aperto.” Cavolo. L’ho assaggiato, era buonissimo. Allora, dopodiché, sono
andato in Emilia, che dove su trecento chilometri ogni chilometro cambia il tortello. Tortel,
tortellin, tortellà, ogni chilometro, questa è la biodiversità bellissima. E poi quando ti fermi in un
posto dici: “ qui ci sono i tortelli?”, “Si, però la signora Maria li fa così, l’altra li fa cosà…” La
biodiversità. L’ha detto una di queste donne che gli emiliani chiamano “res dore” e che
nell’iconografia classica hanno le gonne lunghe e una cinta di cuoio da cui pendono le chiavi
della dispensa, tanto per fare capire chi comanda. Le ho detto “sai che Gualtiero Marchesi ha
inventato il raviolo aperto?” e lei ci ha pensato un po’ e poi ha risposto “ma se abbiamo messo
quattro secoli per imparare a chiuderlo!” Concludo!
Il dialogo principale del ventunesimo secolo è descritto qui. Sarà tra saperi tradizionali e scienza
ufficiale. Se noi realizzeremo il miracolo di fare parlare la sapienza della nostra tradizione, dei
nostri vecchi, con la scienza ufficiale. Il dialogo, l’ascolto, nessuno ha la verità, insieme
costruiamo la verità, insieme costruiamo un mondo diverso. Se viceversa la scienza ufficiale sta
da una parte e il sapere tradizionale sta da un’altra non c’è dialogo. Il dialogo si fa tra pari. Per
cui io ho iniziato questa prefazione dicendo (il papa dice «vi ho parlato di cose gioiose e anche di
cose tristi») che a me pare che questo sia un documento di straordinaria gioiosità. Perché io sono
gioioso, godo se mi danno degli strumenti e delle cose per cambiare il mondo, io vivo questo
momento qui in cui c’è una carenza politica, ideale tremenda con il piacere di avere una persona
che ci dà indicazioni – chi avrebbe mai detto che un argentino veniva su a insegnarci? – però
questo è successo e questo è quello che dico.
V. NAGLE : Un rapporto con la totalità, a 360° gradi. La trasformazione con cui il Papa ci sfida,
una sfida megagalattica. Come ho detto lui ci ha chiesto di capire questo, la rottura con il fratello,
e con fratello lui intende tutti, cominciando dal più esposto, povero, da chi non ha risorse. Da
questo viene incrinato il rapporto con il creatore e non lo riconosciamo più, lui non ci riconosce
più ma vuole salvarci. E come anche nel secondo capitolo di Genesi quando Adamo ed Eva
peccano e Dio dice alla donna che il travaglio sarà doloroso, e all’uomo dice che il tirare fuori il
frutto dalla terrà sarà con sudore. Il rapporto col creato è compromesso e con Caino è la stessa
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cosa: e la terra stessa che grida contro Caino, è la terra stessa che grida il peccato dell’uccisione
compiuta da Caino. Il Papa dice che infatti questo problema grosso, urgente, catastrofico
dell’ambiente cos’è? E’ un segno. Un segno di come non sono curati i rapporti tra di noi. Lui lo
riduce a un segno, quello che sta al centro, il rapporto tra di noi, che nascono in verità per vedere
che noi siamo figli di Dio e il creato non è nelle nostre mani come un possesso. Infatti, lui riporta
il principio del bene comune dicendo che la proprietà privata è giusta ma solo se chi lo possiede
lo utilizza a favore di tutti. Ci sono due altre cose importanti ma le lascio scoprire da voi. Se non
scopriamo come quello che ci è stato dato da uno che ci sta parlando vuole stupirci, non abbiamo
capito dove siamo e non possiamo capire come andare avanti. Per questo lui dice di scoprire le
leggi che sta a noi. Questa è un’apologia per le leggi naturali.
Vorrei finire. Il Papa ha scritto due preghiere, una lunghetta – ma non troppo! – l’altra corta
corta. Possiamo finire con queste due preghiere con queste stesse preghiere con cui il Papa
finisce questa l’enciclica.
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
«Dio Onnipotente,
che sei presente in tutto l’universo
e nella più piccola delle tue creature,
Tu che circondi con la tua tenerezza
tutto quanto esiste,
riversa in noi la forza del tuo amore
affinché ci prendiamo cura
della vita e della bellezza.
Inondaci di pace, perché viviamo come fratelli e sorelle
senza nuocere a nessuno.
O Dio dei poveri,
aiutaci a riscattare gli abbandonati
e i dimenticati di questa terra
che tanto valgono ai tuoi occhi.
Risana la nostra vita,
affinché proteggiamo il mondo e non lo deprediamo,
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“Laudato si’. Come riconoscere ciò che ci precede”
affinché seminiamo bellezza
e non inquinamento e distruzione.
Tocca i cuori
di quanti cercano solo vantaggi
a spese dei poveri e della terra.
Insegnaci a scoprire il valore di ogni cosa,
a contemplare con stupore,
a riconoscere che siamo profondamente uniti
con tutte le creature
nel nostro cammino verso la tua luce infinita.
Grazie perché sei con noi tutti i giorni.
Sostienici, per favore, nella nostra lotta
per la giustizia, l’amore e la pace.»
E poi l’altra preghiera, più corta:
«Ti lodiamo, Padre, con tutte le tue creature,
che sono uscite dalla tua mano potente.
Sono tue, e sono colme della tua presenza
e della tua tenerezza.
Laudato si’!
Figlio di Dio, Gesù,
da te sono state create tutte le cose.
Hai preso forma nel seno materno di Maria,
ti sei fatto parte di questa terra,
e hai guardato questo mondo con occhi umani.
Oggi sei vivo in ogni creatura
con la tua gloria di risorto.
Laudato si’!
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Spirito Santo, che con la tua luce
orienti questo mondo verso l’amore del Padre
e accompagni il gemito della creazione,
tu pure vivi nei nostri cuori
per spingerci al bene.
Laudato si’!
Amen. »
G. VITTADINI: Per finire, Carlin, stiamo parlando di una relazione diversa, per te anche questa
storia col Papa non è un discorso ma è nata da una relazione…
C. PETRINI: No, è una relazione che condivido con voi, la condivido doppiamente rispetto a
quando è avvenuta e ai contenuti su cui si è basata. Stiamo parlando del settembre 2013, pochi
mesi dopo l’elezione, quando nessuno parlava di una enciclica sui temi dell’ambiente. Lui è stato
eletto nel marzo 2013 per cui nel settembre di quello stesso anno c’era già Laudato si’. Succede
che verso inizio di settembre sollecita tutta la comunità cattolica a fare un giorno di digiuno per
la situazione della guerra in Siria. Ho sentito questa posizione, di pace e di sollecitazione ad
essere soggetti attivi contro la guerra; voi dovete capire due cose: primo, che non sono credente e
secondo che sono gastronomo: chiedere a me di fare un digiuno non ci sta da nessuna parte. Ma
l’idea mi piaceva! E mi piaceva anche il fatto che pochi giorni prima fosse andato a Lampedusa.
Tutti i giornali parlavano di questo suo interesse per la gente che soffre. Io feci allora un articolo
su Repubblica, in cui chiedevo se è vero – ci mancherebbe – che un Pontefice non abbia la
sensibilità spirituale per queste cose. Però, fate attenzione, questo è un Pontefice figlio e nipote
di emigrati, sa cosa vuol dire la propria terra e in più, essendo io Piemontese, ricordo che nel
mare dove oggi muoiono i nostri fratelli neri una volta morivano i piemontesi. 6 agosto 1906
davanti a Cartaghena affondava il bastimento Sirio, 420 morti, donne e bambini tutti delle
province di Cuneo, Asti e Alessandria. 27 ottobre 1927: davanti a Rio de Janeiro affondava la
motonave Principessa Mafalda. 550 morti, donne e bambini, tutti che andavano a Buenos Aires
nelle Americhe. Quindi, io scrivevo in questo articolo: è chiaro che noi italiani dovremmo sentire
nella pelle la sensibilità verso questa umanità dolente, perché in questo mare morivano i nostri
nonni, e morivano per andare nel mondo! So solo un dato: che adesso siamo tutti spaventati da
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queste masse. 1884-1934, l’Italia ha mantenuto una popolazione stabile di 30 milioni di persone;
bene, in quei 50 anni gli italiani che sono andati nel mondo furono 26 milioni. Andavano via
perché qui nella pianura padana si soffriva di pellagra, perché nel meridione d’Italia c’erano
situazioni di miseria senza prospettive e partivano con i bastimenti per le Americhe. Allora io,
che sono di una certa età, mi ricordo che quando ero giovane andavo nelle osterie di langa. Nelle
osterie sentivo i vecchi che cantavano questa epopea delle migrazioni: «l’America l’è lunga e l’è
larga, l’è circundata dai monti e dai mari, con l’industria dei nostri italiani abbiamo fondato paesi
e città. Trenta giorni di nave a vapore, fino in America siamo arrivati, abbiamo trovato né paglia
né fieno, abbiamo dormito sul nudo terreno, come le bestie abbiamo riposà». Quelli erano i nostri
nonni, e io vedo fratelli gli uomini a Lampedusa e gli uomini che stanno attraversando l’Europa.
Sono nostri fratelli. Io sono convinto che queste due canzoni le cantavano a casa Bergoglio a
Buenos Aires. Magari non con la fisarmonica ma con il bandoneon.
Mando questa lettera, passata una settimana, io mi trovavo a Parigi per una riunione di Slow
Food e verso le sette di sera squilla il telefono e vedo “sconosciuto”, pensavo fosse Repubblica
che chiedeva un articolo. «Pronto? Sono Papa Francesco». «Piacere, sono Carlin Petrini», di
tutto uno può pensare nella vita che a sessantasette anni gli telefoni il papa. Primo approccio:
«La ringrazio per quello che mi ha mandato, le voglio dire due cose: primo, quelle due canzoni
le cantavamo in casa. Secondo, mio nonno e mio papà dovevano prendere il Principessa
Mafalda, non avevano soldi a sufficienza, sono partiti con il Giulio Cesare nel gennaio dell’anno
dopo». Io gli dico: «Senta, io sono agnostico, ma questa è una della prove dell’esistenza di Dio.
Più di così!» Continuiamo questa discussione telefonica, che è durata trentacinque-quaranta
minuti. Così il mio amico Enzo Bianchi, che è un monaco della comunità di Bose mi ha detto:
«Ma Carlin, tu non ti rendi conto, il papa che parla quaranta minuti con te, ma di’ se è andata
così!» Di che cosa parliamo? Parliamo di due cose. Per diecimila anni l’agricoltura è stata
governata dall’economia della sussistenza, povera però dignitosa. Io non ho rimpianto per
quell’economia lì, ma senza dubbio noi abbiamo “buttato via il bambino con l’acqua sporca”,
perché tanta di quell’economia della sussistenza era saggia. E oggi avremmo bisogno di
un’economia della sussistenza tarata con i nostri tempi, che possa permettere ai contadini di
avere le vacanze, di mandare i figli all’università. Ma, da tre secoli l’economia che prende e
conquista tutto il mondo, e tu l’hai messo bene in chiaro, è l’economia del capitalismo.
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G. VITTADINI: Calvinista!
C. PETRINI: È l’economia della accumulazione del denaro e poi dopo reinvesti. Vanno dai
contadini e gli dicono. Tu non sei contadino, tu sei imprenditore agricolo, metti da parte del
denaro, fai degli investimenti e vedrai che vai avanti. Risultato: applicare l’economia industriale
all’agricoltura, guardate in che stato è oggi l’agricoltura! Io oggi ho fatto un discorso con un
contadino, era disperato; non sto parlando del Burkina Faso, sto parlando dell’Italia. Dove si
pagano 7 centesimi al chilo le carote, 35 centesimi il litro di latte; quindi i contadini scappano,
non sto parlando di un altro mondo. E lui mi dice: «Sì, lei ha ragione, perché buona parte del
mondo vive ancora di quella economia lì e va rispettata, non va denigrata. Successivamente mi
dice una cosa simpaticissima, mi dice: «Tutta questa brama che abbiamo di accumulare i soldi,
accumula, accumula poi alla fine ti piglia uno “schioppone”» e lui mi dice: «Sa cosa diceva mia
nonna?», «Cosa diceva sua nonna?» «Mia nonna diceva che quando moriamo, nel sudario non ci
sono le tasche!» Io gli dico cosa diceva una cuoca delle Langhe che faceva da mangiare
benissimo però teneva aperto solo a mezzogiorno. Tutta la gente andava lì e diceva: «Ma perché
non tieni aperto anche la sera, fai più soldi!» La risposta di questa donna, che purtroppo è morta
da un anno, ma era bellissima: «Non voglio essere la più ricca del campo santo!» Quando io dico
questa cosa la platea amabilmente ride, ma l’insegnamento di questa donna è un principio di
economia, perché quella donna dedicava la sera ai figli, ai suoi affetti, magari preparava delle
composte, questa era la sua visione di vita rispetto alla brama di fare i soldi, lei voleva vivere
così. Visto che il papa mi aveva parlato di sua nonna, posso parlare anche io della mia: mia
nonna era una cattolica sabauda, era sposa di un macchinista ferroviere socialista, si chiamava
Carlo Petrini, mio nonno. Carlo Petrini nel 1921 a Bra, dove vivo ancora io adesso, fonda il
partito comunista. Mia nonna tranquilla è rimasta fedele a Gesù Cristo e a suo marito. Lei ha
sempre votato comunista. Nello stesso tempo nell’iconografia dei vecchi socialisti italiani Cristo
era un socialista, era il primo socialista. Arriva il 1948 e Pio XII dà la scomunica a tutti i
comunisti. Che Pio XII desse la scomunica a Stalin mi sta tanto bene ma a mia nonna…
Mia nonna lei che non se ne è neanche accorta, era una persona molto semplice, va nella chiesa
di Bra e va a confessarsi e le viene chiesto: «Lei cosa vota signora?» «Quello che votava mio
marito!» – mio nonno era morto- e l’altro: «Cosa vota suo marito?» A questo punto dice: «Mio
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“Laudato si’. Come riconoscere ciò che ci precede”
marito era comunista», allora il parroco le dice: «Lei sa che l’assoluzione non posso dargliela?»
Mia nonna è stata lì un attimo e ha risposto: «Allora se la tenga!»
Il Papa si è messo a ridere. Allora io incalzo: «Visto che le è piaciuta posso dirle cosa ne penso
dei preti?» E lui dice: «Me lo dica!» «Però è in piemontese» e mi dice: «Ma io il piemontese lo
capisco!» Rispondo: «Chi fa come il prete dice, va in paradiso. Chi non fa quel che il prete dice,
va a casa del diavolo!» E il Papa qui mi dice: «Effettivamente un po’ anticlericale però c’è nel
Vangelo». «Ma come?» «Certo, lei sapesse quanti farisei noi abbiamo che parlano bene e si
comportano male!» A quel punto io dico: «Guardi, io sono qui, non la posso vedere ma potessi io
l’abbraccerei!» E lui mi dice altrettanto e ci lasciamo e chiudiamo il tutto. E qui arriva il bello.
Da un lato telefono a Bra e dico che mi ha telefonato il papa e mi dicono di essere matto e di aver
ricevuto uno scherzo. Ma la cosa più bella, e con questo vi lascio, ma vi lascio pregandovi di
riflettere su che personalità siamo. Passa una settimana e mi arriva la lettera: «Ho ricevuto con
piacere la sua lettera e i documenti che mi ha mandato e la ringrazio vivamente per quanto ha
voluto confidarmi. In pari tempo desidero esprimere la mia gioia per la conversazione telefonica
che abbiamo avuto sabato scorso, quel “se la tenga” mi fa ancora sorridere, rideva la grandezza
di una donna che ha saputo unire in sé religiosità, saggezza e umorismo. Adesso arriva il bello e
tenete conto che questo che vi sto leggendo era in data primo ottobre 2013 e nessuno sapeva
dell’Enciclica. «L’attività di Slow Food e Terra Madre, volta a promuovere metodi di produzione
alimentare in armonia con la natura, suscita nel mio animo sentimenti di sincero apprezzamento.
Incoraggio quindi a proseguire in tale significativa opera, c’è tanto bisogno di persone e
associazioni che favoriscano la custodia e la coltivazione del creato. Coltivare e custodire il
creato è un’ indicazione di Dio data sin dall’inizio della storia (Gen 2,15) ma anche a ciascuno di
noi per fare crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un luogo abitabile per
tutti». Questo è l’incipit di Laudato sì. Arrivo al finale: «Con tale auspicio le confido la mia
spirituale vicinanza», e sentite questa, «e le chiedo gentilmente di ricordarmi nelle sue buone
intenzioni». Conclude non con benedizioni ma dicendo: «Fraternamente, Francesco». E io vi
prego di riflettere su una cosa, che la fraternità è uno dei tre valori della Rivoluzione Francese va
bene? Per il nome dell’uguaglianza abbiamo fatto tanti morti, in nome della libertà di tutto, ma
nessuno era cosciente che la Cenerentola, la fraternità era l’unica che garantiva le altre due. Ora
non è certamente la chiave di lettura, perché la fraternità fa parte del messaggio evangelico, ma
per me, laico, il fatto che anche i socialisti chiudevano con saluti fraterni che cosa significa? Che
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sulla fraternità possiamo ritrovarci, chi crede e chi non crede, nel dialogo onesto e sincero. Siamo
tutti fratelli in questa terra madre e possiamo condividere anche le nostre diversità. Grazie.
C. FORNASIERI: Mi pare che questa sera abbiamo veramente sentito quello che abbiamo
voluto mettere come motto di quest’anno: «La passione per la verità va di pari passo con la
passione per la libertà». Le ragioni di questo le abbiamo ascoltate in tutti gli interventi, grazie
quindi davvero di questa vostra presenza e testimonianza. Volevo fare una comunicazione
relativa a questo anno che si è aperto con due bellissimi incontri, riguarda la nuova sede.
L’abbiamo trovata, c’è. Abbiamo avuto il riconoscimenti di gestori di questo luogo, purtroppo è
anche tutto da ricostruire, da sostenere, avrà anche tante opportunità in più di collaborazione con
la nostra città.
G.VITTADINI: Secondo me basta così. Il tema è, come dicevo prima, che l’enciclica chiede la
nostra responsabilità, perché, come si vede nel dialogo con Nagle, dobbiamo metterci noi da
laici. Il percorso da fare per rendere questo uomo relazionale – che tra l’altro, per riprendere
quello che diceva Nagle, era il tema di Ratzinger, perché nella Deus Caritas est il tema era
l’uomo relazionale – che diventi il protagonista di un mondo che non è detto che debba andare
così. Questa è l’economia calvinista, non è l’economia, questa è l’ecologia della distruzione ma
non è detto che sia così, questa è la relazione di un certo tipo ma non è detto che sia così. A me
sembra che da quanto abbiamo sentito dire oggi – che l’io dal basso è protagonista, che questo è
nello stesso tempo il tema laico e il tema religioso – siamo oltre il mondo che abbiamo visto,
quello delle contrapposizioni tra laici e agnostici, ma in quello che vediamo spesso in Carròn.
Questo dialogo non è per modo di dire e chi invece vuole rimanere negli schieramenti che se li
tenga.
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