La salma a Islamabad portata a spalla da 4 carabinieri La sorella in
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La salma a Islamabad portata a spalla da 4 carabinieri La sorella in
2211IE01.qxd 2 21/11/01 23.12 Pagina 1 Inviati al fronte o LA SICILIA giovedì, 22 novembre 2001 M Il tricolore per Maria Grazia La salma a Islamabad portata a spalla da 4 carabinieri ISLAMABAD – Era già tarda sera quando è arrivata all’ambasciata d’Italia a Islamabad la bara dell’inviata del «Corriere della sera» Maria Grazia Cutuli, uccisa insieme a tre colleghi in un agguato lunedì su una strada dell’Afghanistan sud orientale mentre cercava di raggiungere in auto Kabul. I corpi dei quattro giornalisti caduti nell’imboscata erano stati recuperati a circa 90 chilometri a est di Kabul e portati in un ospedale di Jalalabad, in Afghanistan. Ieri un camion della Croce rossa li ha trasferiti in Pakistan, a Peshawar, la città a tre ore di auto dal confine, dove Maria Grazia aveva festeggiato a ottobre i suoi 39 anni. Nel Centro di medicina legale e tossicologica i medici non hanno effettuato nessuna autopsia, non era stata richiesta e non c’era autorizzazione. Hanno solo ricomposto le salme. Pare che sui corpi ci siano segni di percosse e di colpi di pietra. Il tassista che aveva accompagnato i quattro giornalisti uccisi e che era stato rilasciato dagli aggressori ha riferito all’inviato di un giornale inglese che «i quattro erano stati lapidati». Le dichiarazioni sono contrastanti e poco affidabili. Qualcuno ha raccontato anche che Maria Grazia sarebbe stata uccisa per prima perché «quando è scesa dalla macchina ha preso a fumare nervosamente e i Talebani vietano alle donne di fumare. E poi eravamo all’inizio del Ramadan e questo ha irritato gli aggressori». A Peshawar per l’arrivo delle salme si sono recati anche l’ambasciatore italiano in Pakistan Gabriele de Ceglia e l’ambasciatore spagnolo. Il convoglio è ripartito nel pomeriggio per Islamabad, dove è arrivato alle 21.30 locali (17.30 italiane). La bara di legno grezzo chiaro di Maria Grazia Cutuli è stata scaricata dal camion e portata a spalla da quattro carabinieri nella camera ardente allestita nell’ambasciata italiana, un edificio moderno a un piano, nel quartiere diplomatico di questa città, tutta nuova, di viali senza gente, e piena di militari. Padre Raphael, di Rawalpindi (l’antica capitale pachistana), ha benedetto la bara posta su un piano ricoperto da una bandiera italiana, fra corone di fiori offerti dall’ambasciata e quattro mazzi di roselline rosse. Il sacerdote ha letto in inglese un brano dal capitolo Quindicesimo della Lettera di San Paolo ai Corinzi, e ha ricordato l’impegno di Maria Grazia che «ha dedicato la vita a portare la verità nel mondo». La cerimonia, a cui hanno assistito funzionari dell’ambasciata e alcuni giornalisti, è durata pochi minuti. La camera ardente è rimasta aperta fino all’arrivo dei familiari di Maria Grazia, del direttore del «Corriere« Ferruccio de Bortoli, dei colleghi e del capo ufficio stampa della Farnesina Michele Valensise. Il Boeing dell’Aeronautica italiana è atterrato a Islamabad alle 3 del mattino locali (23 italiane). Ripartirà poche ore dopo. L’assassinio dei giornalisti ha turbato e commosso la comunità di corrispondenti esteri che affolla il Pakistan, in attesa di La bara fasciata con la bandiera italiana e ricoperta di mazzi di fiori e roselline rosse LA PROCURA DI ROMA ASCOLTERA’ I TESTIMONI ROMA – Saranno ascoltati come testimoni dalla Digos di Roma i giornalisti del convoglio di cui faceva parte Maria Grazia Cutuli. La Procura di Roma - che ha aperto un fascicolo contro ignoti per omicidio volontario - ha anche disposto che vengano sentiti tutti i testimoni che possono chiarire le circostanze dell’agguato. Non è escluso che oggi, dopo l’arrivo della salma in Italia, il medico legale esegua un esame esterno del cadavere prima di procedere all’autopsia. Successivamente sarà data l’autorizzazione per i funerali. _L’INVIATA DI TF1_ «Con un figlio di 9 mesi ho scoperto la paura» La bara di Maria Grazia Cutuli a Islamabad portata a spalla dai carabinieri. Nella foto piccola, il direttore del «Corriere», De Bortoli LO SPAGNOLO JULIO FUENTES RICORDATO IN UN ROMANZO IL CORDOGLIO IL PAPA: «SONO ADDOLORATO PER QUESTA BRUTALE UCCISIONE» CITTA’ DEL VATICANO – Il Papa ha ieri espresso il suo profondo dolore per la «brutale uccisione» dei quattro giornalisti in Afghanistan, tra cui l’inviata del «Corriere della Sere» Maria Grazia Cutuli, ed ha rivolto una preghiera a Dio per loro e per tutte le vittime della violenza. Giovanni Paolo II ha parlato dell’agguato mortale ai quattro reporter occidentali al termine dell’udienza generale del mercoledì, che si è svolta all’interno dell’Aula Nervi in Vaticano. «Sono profondamente addolorato - ha detto - per la recente notizia della brutale uccisione di quattro giornalisti in Afghanistan. Esprimo vivo cordoglio ai familiari e a quanti sono colpiti da un così drammatico evento». «Affidiamo alla misericordia del Signore - ha aggiunto - le anime di questi defunti, e per essi, come pure per tutte le altre vittime della violenza, preghiamo ora». entrare, prima o poi, in Afghanistan per coprire l’avvenimento dell’anno. Non ci sono defezioni, ma forse la perdita di sette colleghi in dieci giorni - due francesi e un tedesco sono stati uccisi una settimana fa nel nord - induce ad una maggiore cautela, degli inviati ed anche dei direttori. Non ci sono ancora risultati definitivi dall’inchiesta che le autorità afghane stanno conducendo sulla vicenda. E nessuno sa quando, e se, ci saranno. Il ministro degli esteri dell’Alleanza del nord a Kabul, Abdullah Abdullah, ha detto che i responsabili sono «quasi certamente» degli ex Talebani. Il capo della polizia della provincia LOMAGGIO DELLA CBS L’ultimo reportage di Maria Grazia Cutuli, nel quale raccontava la scoperta di depositi gas nervino, viene citato dalla stampa americana nei servizi sulla morte dei 4 giornalisti. «I giornalisti uccisi avevano una grossa storia», ha sottolineato il network tv Cbs. del Nangarhar, Hazrat Ali, ha indicato quali colpevoli i legionari arabi di Osama bin Laden. Il comandante delle forze antitaleban, che hanno preso il controllo della provincia, Haji Shershah, sostiene invece che gli aggressori sono comuni banditi. Gli autisti del gruppo hanno raccontato di sei uomini armati che hanno bloccato due dei veicoli, vicino alla città di Sarobi, dove la strada per Kabul si inerpica su per le montagne, tra tornanti e gole. Gli uomini hanno cercato di portare i giornalisti oltre le colline, minacciando la vendetta dei Talebani «che sono ancora al potere». L’unica cosa certa è che la strada, dove ROMA – Nel romanzo «Territorio comanche» dello spagnolo Arturo PerezReverte, che per venti anni ha fatto anche lui l’inviato di guerra, si ricorda a un certo punto il giornalista Julio Fuentes del «Mundo», ucciso con Maria Grazia e altri due giornalisti. Il romanzo è ambientato nella ex Jugoslavia e racconta di una troupe tv spagnola durante l’offensiva mussulmana contro le linee croate. A un certo punto si legge: «Da qui non si esce vivi» diceva Alberto Pelaez osservando i giovani croati in preda al panico. Alberto era un pessimista nato e soffriva la guerra. Ma vi tornava sempre, senza che nessuno lo obbligasse, e quando si perdeva qualcosa d’importante gli venivano rimorsi. In questo era uguale a Julio Fuentes del «Mundo», che quando era in mezzo alle bombe stava malissimo, ma quando non c’era stava ancora peggio. sono morti in agguati soldati delle forze d’occupazione britanniche e sovietiche, è considerata una delle più pericolose dell’Afghanistan. Le organizzazioni umanitarie delle Nazioni unite hanno detto che non riprenderanno le consegne di aiuti passando da Jalalabad per ragioni di sicurezza e gli stessi autisti afghani si rifiutano di percorrere quella strada. Ma decine di giornalisti, subito dopo la caduta di Kabul, hanno raggiunto da qui la capitale afghana. Alcuni sono stati fermati e derubati, altri presi a sassate. Ma fino a lunedì nessuno vi aveva perso la vita. PARIGI – Per 13 anni, Nahida Nakat, la Christiane Amanpour di Tf1, è stata sul fronte in tutti i conflitti più caldi, senza paura, la valigia sempre pronta, spinta dalla passione per il suo lavoro, dal desiderio di informare, di raccontare. Ora che a 41 anni ha avuto un bambino, ha scoperto la paura di morire. Alessandro ha solo nove mesi, e Nahida è rimasta in redazione a Parigi, da dove segue con trepidazione i servizi dal fronte afghano di JeanPierre About, suo marito, al quale la unisce anche la professione. Si sono conosciuti a Roma, nel 1987, dove Jean Pierre era corrispondente della tv francese, e si sono separati solo quando le guerre li hanno portati su fronti diversi. Libano, ex Jugoslavia, Zaire, Ruanda, Kosovo, Somalia... «Sono sempre partita senza neppure riflettere, quando non hai figli vai e vieni come ti pare - dice - Sono sempre stata fatalista, ritengo che quando dovrà arrivare la mia ora, arriverà, dovunque io sia. Ho vissuto i bombardamenti in Libano, notti intere sotto una pioggia di bombe destinate a uccidere 200mila persone... Perché dovrei morire proprio io? mi chiedevo. E andavo avanti, a raccontare, a raccogliere notizie». Nahida ha visto la morte in faccia, quando nel 1993, in Somalia, il fonico della sua troupe Jean Claude Jumel è stato ammazzato a un metro da lei. «L’Onu ci aveva impedito di atterrare a Mogadiscio, racconta, perciò l’aereo si è posato al km 40. Eravamo su un minibus quando ci hanno fermato, e ci hanno sparato addosso. E’ stato orribile. Ho avuto la conferma che il mio fatalismo era giusto: Jean Claude era con noi per caso, da anni non andava in guerra, era per caso in redazione quando si è decisa la partenza. E non basta: era seduto due sedili avanti a me, quando il cameraman gli ha chiesto di cambiare posto, per poter filmare meglio. Il suo appuntamento con la morte era fissato». Una morte che ha sconvolto la giornalista, che per la prima volta si è sentita «una pazza, un’incosciente». «Da quel giorno la mia vita è cambiata, ho capito che non ero invulnerabile. Ma se ci si sta a pensare, non si parte, perciò ho continuato, con il mio fatalismo». Finché, alla soglia dei 40 anni, si è posto il dilemma. Allora o mai più, per avere il bambino fino ad allora evitato per continuare l’avventura dell’inviata di guerra. «Tutto è cambiato - dice - ho scoperto la paura di morire. E anche Jean Pierre. Quando è partito per l’Afghanistan, gli ho detto “Stai attento”. Mi ha risposto “Stai tranquilla, la sola idea di non vedere più Alessandro mi è insopportabile”». Nahida Nakat per 13 anni è stata sul fronte: «In Somalia sfiorata dalla morte» Antonella Tarquini Barbara Alighiero Sull’aereo militare La sorella in volo per il Pakistan: «Vado a riprendere una parte di me» Mario e Donata Cutuli, fratelli di Maria Grazia EMIRATI ARABI UNITI – Otto ore di volo possono essere lunghe e stancanti, per chiunque, ma diventano interminabili se il motivo del viaggio è quello di andare a recuperare la salma di una sorella, una collega, un pezzo della propria vita che ha finito di esistere per un feroce e barbaro omicidio in Afghanistan. A bordo del Boeing 707 messo a disposizione dall’aeronautica militare per il recupero delle salme di Maria Grazia Cutuli e di Julio Fuentes, uccisi due giorni fa in un agguato vicino a Jalalabad, l’atmosfera ha qualcosa di irreale e distaccato. Un volo sul quale viaggiano, in un certo senso, proprio le persone che rappresentano la parte più importante della vita dell’inviata del Corriere della sera: il fratello Mario, la sorella Donata, il suo direttore Ferruccio de Bortoli, l’amica di sempre Barbara Stefanelli, il cugino e maestro Paolo Valentino, corrispondente da Berlino del Corriere e Felice Cavallaro che del Corsera è il corrispondente dalla Sicilia. NERO GIALLO CIANO MAGENTA E così le ore passano scandite dall’attesa e dall’angoscia. Più facili i primi momenti: si parla di Maria Grazia, si beve e si mangia qualcosa, si dorme o si legge, si chiedono informazioni sul tragitto aereo. Poi, via via che ci si avvicina alla destinazione - Islamabad qualcosa «cambia» nei volti, nelle espressioni, nei piccoli gesti. La consapevolezza, forse, di avvicinarsi a quello che non si vuole accettare: dover guardare quei corpi ed essere costretti a fare i conti con la realtà di una morte barbara e violenta ai danni di una giovane donna. «A Maria Grazia - dice la sorella Donata - forse non sarebbe piaciuto tutto questo clamore. Lei era una persona che amava il sole e la vita ma soprattutto era una professionista seria. Quello che in verità Maria Grazia non amava proprio - racconta ancora Donata - era Milano. E per questo motivo che abbiamo deciso di non allestire lì la camera ardente ma a Catania». «Io sto andando a riprendere una par- te di me - continua Donata - vivo a Roma e quando mia sorella non era in viaggio ci sentivamo quattro-cinque volte al giorno. Ci raccontavamo tutto, ci dicevamo tutto. La nostra era davvero una vita in simbiosi». La salma di Maria Grazia - una volta ripartita da Islamabad - rimarrà ferma a Roma per almeno 2 giorni. La magistratura romana ha infatti aperto una inchiesta sulla dinamica della morte e dovrà esaminare le sue spoglie. Probabilmente anche la salma di Julio Fuentes dovrà essere sottoposta al vaglio degli inquirenti. Il fratello della Cutuli appare il più turbato dalla vicenda, cerca di nascondere il suo dolore parlando di altro, ma poi torna quasi senza rendersene conto a ricordare Maria Grazia: «Ero sempre io a dirle di rilassarsi, di godersi questo bel mestiere che faceva. Non essere troppo seria - le dicevo - e non pensare troppo a quello che hai scritto o come lo hai scritto. Solo poche settimane fa avevamo discusso a lungo di questo - prosegue Mario - Maria Grazia era preoccupata se i suoi pezzi non venivano valorizzati dal suo giornale». Il volo per il recupero delle salme è stato messo a disposizone dall’ aeronautica militare, ma la Farnesina ha lavorato a lungo per ridurre al minimo gli ostacoli che spesso hanno caratterizzato le missioni degli aerei messi a disposizione dallo stato per recuperare i corpi di cittadini italiani scomparsi. Dal Pakistan l’ambasciatore d’Italia Gabriele de Ceglie ha fatto in modo che la Croce rossa riuscisse a trasportare stamane le spoglie di Maria Grazia e di Julio da Jalalabad a Islamabad. Parole belle e commosse per i due inviati uccii le ha avute anche il direttore di El Mundo. «Julio era un grandissimo narratore; aveva un modo classico, unico di raccontare le notizie. Maria Grazia era semplicemente fantastica, un’autentica professionista» Nicoletta Tamberlich Y