le opinioni - Ordine Avvocati Milano

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LE OPINIONI
LA GRAZIA
DA UN CASO PARTICOLARE
AD UN PROBLEMA GENERALE
Dall'ormai troppo dibattuta questione della «grazia a Sofri», scaturiscono problemi
giuridici che val forse la pena di approfondire; tenendo conto che Sofri rifiuta fieramente di
chiederla e che il ministro Castelli non è affatto disposto a proporla.
L'art. 87 della Costituzione conferisce poteri propri ed esclusivi al Presidente della
Repubblica. Tra l'altro egli: «Può concedere la grazia e commutare le pene».
Dei provvedimenti relativi alla grazia tratta specificamente l'art. 681 del codice di
procedura penale, suddiviso in cinque commi. Il comma 1 stabilisce che: «La domanda di
grazia, diretta al Presidente della Repubblica, è sottoscritta dal condannato, o da un
prossimo congiunto, ovvero da un avvocato...». Nei due commi seguenti si indica la
procedura da seguire allorché il condannato sia «detenuto o internato». In ogni caso la
domanda va presentata al ministro di grazia e giustizia, il quale (si presume!) la
trasmetterà al Capo dello Stato con propria motivata proposta. Ma ecco, perentorio, il
comma 4: «La grazia può essere concessa anche in assenza di domanda o proposta».
Cioè il Capo dello Stato può decretarla liberamente, sua sponte, senza alcuna necessità di
domanda del condannato o di proposta favorevole del ministro.
Tuttavia, per la grazia a Sofri, la presidenza della Repubblica ha comunicato di attendere
la preventiva proposta del ministro Castelli. E ciò perché l'art. 89 della Costituzione
sancisce che: «Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è
controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità».
E siccome, nel caso in esame il ministro si è già dichiarato contrario al provvedimento in
favore del solo Sofri (preferendo un non ben chiarito miscuglio di grazie e amnistie
pacificatrici) dovrebbe concludersi che la vista disposizione del codice di procedura penale
(«La grazia può essere concessa anche in assenza di domanda o proposta») sarebbe in
palese contrasto con l'art. 89 della Costituzione. Ed infatti qui non esiste un ministro
proponente che, controfirmando il decreto presidenziale di grazia, «ne assume la
responsabilità». Ma se così fosse, l'applicazione rigida dell'art. 89 paralizzerebbe la libera
attività del Presidente della Repubblica.
Addirittura, per fare un esempio concreto, rimarrebbe privo di significato il potere a lui
conferito dall'art. 88 della Costituzione, di «sciogliere, sentiti i presidenti, le Camere o
anche una sola di esse». Si tratterebbe, infatti, di atto NON VALIDO, perché sarebbe poi
assolutamente impossibile identificare dei «ministri proponenti» che, controfirmando
l'autonomo decreto presidenziale di scioglimento, «ne assumano la responsabilità»...
Milano, 27 luglio 2003
VINCENZO GIGLIO
avvocato in Milano