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N° 9 - SETTEMBRE 2014 - ELUL 5774 • ANNO XLVII - CONTIENE I.P. E I.R. - Una copia € 6,00 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 Roma ISRAELE EUROPA ITALIA LA GUERRA DEI TUNNEL PIACE IL FONDAMENTALISMO ISLAMICO UN’ESTATE DI ANTISEMITISMO SHALOMשלום EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA Voglia di dominare il mondo CALIFFATO ISLAMICO בס’’ד T o v à à n 5 a 7 h 7 5 S I DOLCI CESTI DI Allestimenti eventi con buffet dolci e salati • Dolci per shabbath Kiddushim per i Templi • Torte e pasticceria tradizionale e monoporzioni Torte artistiche • Wedding cakes FORNITURE PER PRIVATI E CATERING Via Michelangelo Pinto 10/16 - Tel. 06.6531328 Piazza Costaguti, 21 - Tel. 06.69309396 Via del Portico d’Ottavia, 1A - Tel. 06.69309396 www.koshercakes.it SOTTO IL CONTROLLO DEL RABBINATO DI ROMA A partire da 30,00 euro EDITORIALE L'Occidente deve svegliarsi: il Califfato minaccia il mondo Non solo Israele obiettivo dell’integralismo islamico ma anche l’Italia è nel mirino SHALOMשלום COPERTINA CHI FERMERÀ L’AVANZATA DEL NUOVO CALIFFO? 6 7 JONATAN DELLA ROCCA ISIS, SEMBRAVA IL FOLLE PROGETTO DI UN FANATICO GUERRIGLIERO NICOLA ZECCHINI ISRAELE GAZA, TUTTO QUELLO CHE AVREBBE POTUTO ESSERE drammatica situazione, ma anche semplicemente a comprendere che effetti essa sarà in grado di produrre. Se l’espansione del Califfato dovesse infatti estendersi e minacciare anche la conquista della Giordania (che all'80% è popolata da palestinesi e dove l'integralismo islamico è forte), le conseguenze sarebbero assolutamente drammatiche: Israele non potrebbe mai accettare una simile minaccia a pochi chilometri dai propri confini. Una minaccia che di fatto si è concretizzata a fine agosto con la conquista, da parte degli uomini dell’Isis, del valico sul Golan di Kuneitra, tra Israele e la Siria. Come insegna la guerra ad Hamas, con il fanatismo islamico - e la disumana violenza degli uomini del Califfato ne è la prova - è semplicemente inimmaginabile lo stesso concetto di pace, perché essi ragionano esclusivamente nei termini di un estremismo religioso che impone, costi quel che costi, l'islamizzazione dell'umanità bollando come nemici dell'Islam gli ebrei, i cristiani, gli infedeli e gli apostati. Chi crede nel dialogo con questa gente è un ingenuo. Ed è un illuso chi pensa che tale violenza possa essere geograficamente relegata a quella zona lontana del Medio Oriente. Purtroppo i jihadisti, alcuni persino europei, sono già fra noi. Sono nelle città europee e in quelle italiane. Sono scesi in piazza per accusare Israele di genocidio, hanno urlato ‘a morte gli ebrei’ e hanno chiesto l’applicazione integrale della shaaria. FIAMMA NIRENSTEIN CINQUE STELLE, QUATTRO IN CONDOTTA, ZERO IN STORIA UGO VOLLI VOLEVANO LA TERZA INTIFADA, HANNO SCELTO LA GUERRA PIERO DI NEPI OBAMA, OVVERO IL NULLA IN POLITICA ESTERA DANIELE TOSCANO LA GUERRA DI HAMAS CONTRO I MEDIA ARIEL DAVID ALL’EUROPA PIACE IL FONDAMENTALISMO ISLAMICO GIORGIO ISRAEL GUERRA A GAZA: OVVERO IL TRIONFO DELLA DISINFORMAZIONE ANGELO PEZZANA AGOSTO 2014: CI RICORDEREMO DI UN SILENZIO ASSORDANTE CLELIA PIPERNO LE LACRIME DI SHIMON, IL ‘PACIFISTA’ DAVID MEGHNAGI ISRAELIANI ALL’ESTERO, COMPORTATEVI BENE! PIERPAOLO P. PUNTURELLO NOA: LA MIA MUSICA PER CURARE L’ANIMA YAARIT RAHAMIM SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 C ome ricordava Magdi Cristiano Allam - in un articolo su Il Giornale dello scorso 7 luglio - la conquista di Roma e la sua sottomissione all'Islam non sono una minaccia lanciata (pochi giorni prima), così tanto per scherzare, dal nuovo auto proclamato califfo Abu Bakr al-Baghdadi. La conquista di Roma, ha spiegato Allam, è una ‘certezza’, è un dovere islamico sulla base del «Hadith Fath al Rum» (detto attribuito a Maometto sulla conquista di Roma) che recita: «Al Profeta fu chiesto: quale città verrà conquistata per prima, Costantinopoli o Roma? Ed egli rispose: La città di Eraclio». Eraclio (575-641) era l'imperatore bizantino. Tutti gli ulema, i giureconsulti islamici, concordano sia sul fatto che si tratta di un hadith «sahih», un detto «autentico» di Maometto, sia sul fatto che Roma diventerà islamica. Con la nascita del Califfato si tenta di sconvolgere l'assetto dell’intero Medio Oriente che è stato fondato sull'accordo Sykes-Picot del 1916 e che, sulle rovine dell'Impero Ottomano, diede successivamente vita agli Stati nazionali dell'Arabia Saudita, dell'Iraq, della Siria, del Libano e della Giordania. Ed è nel 1924 con Abdul Mejid II che finì ufficialmente il Califfato islamico ottomano per volere di Ataturk il fondatore della Turchia repubblicana. La cosa drammatica è che davanti allo scardinamento degli Stati nazionali in Medio Oriente (l'Iraq, la Siria e la Libia hanno di fatto cessato di essere Stati nazionali) e alla nascita di questo sedicente «Stato islamico», l’Europa e l’America sono completamente impreparati non solo a gestire questa 10 12 16 18 19 20 22 23 26 31 32 3 COPERTINA Il califfato islamico è già grande come l'Italia I suoi punti di forza: territorio, popolazione "purificata", risorse finanziarie e militari, indipendenza dai media e soprattutto una brutale e sconvolgente violenza SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 L’ 4 autoproclamatosi 'Califfato islamico' in Iraq e Siria, e che vuole conquistare Roma, occupa già un'area grande quanto quasi tutta l'Italia. Uno 'Stato' di ultra islamici che ha punti di forza del tutto nuovi rispetto alla tradizione guerrigliera di Al Qaeda. Un territorio, appunto grande come tutta l'Italia ad eccezione della Sardegna; una popolazione di quasi 18 milioni di abitanti; un 'Califfo' carismatico autoctono, e non 'straniero' come lo è stato nel passato; una popolazione 'purificata' da una decisa operazione di pulizia etnica su basi identitarie; ingenti risorse finanziarie; salto qualitativo dei mezzi militari. Ecco, punto per punto, le caratteristiche del nuovo Stato islamico. dodici volte più grande di Israele e per giunta con una popolazione stimata in 18 milioni di persone; oltre il doppio degli israeliani che sono circa 8 milioni. Con la grande offensiva lanciata in Iraq all'inizio di giugno, i miliziani fondamentalisti controllano già totalmente o in parte ben quattro province sunnite: Al Anbar, Salhuddine, Ninive e Diyala per un totale di quasi 10 milioni di persone. L'avanzata in Iraq ha permesso al 'Califfato' di consolidare le sue posizioni anche in Siria, arrivando a controllare la parte orientale della provincia di Homs (centro), buona parte delle provincia di Aleppo e Hassakè (Nord) e la totalità dei governatorati di Raqqa e Dier al Zur nella parte orientale della del Paese. TERRITORIO: UNO STATO-NAZIONE Prima di tutto i confini del nuovo stato superano la vecchia concezione postcoloniale e si identificano con una tradizione storica che rinvia all'antico 'Califfato Islamico' degli Omayyadi. Quindi c'è una precisa coincidenza tra l'idea di stato e quella di nazione. Lo 'Stato' ha confini ben tracciati da est di Aleppo in Siria fino alla provincia di Diyala in Iraq a nord est di Baghdad. Un territorio con una continuità geografica, anche se in via di consolidamento, con 100mila chilometri quadrati in Siria e 170mila in Iraq. Insomma quasi la metà dell'intera superficie della Siria e oltre il 40 per cento di quella irachena. La superficie complessiva del territorio controllato dai jihadisti guidati dal 'Califfo' Abu Omar al Baghdadi tra Iraq e Siria è di circa 270mila chilometri quadrati. Un'area LEADER CARISMATICO: UNO DEL POSTO Per garantirsi la lealtà della popolazione, gli ultra-islamici si sono scelti, a differenza di un recente passato un leader del posto: Abu Omar al Baghdadi è infatti un sunnita della città irachena Samara e gode di maggiore credibilità rispetto ad uno 'straniero' come lo fu in passato il giordano di origini palestinesi Abu Musab al Zarqawi ucciso in un raid Usa nel giugno del 2006. Aspetto da non sottovalutare, quello di scegliersi un capo autoctono, vista la diffidenza riservata dalle tribù sunnite locali alle leggi imposte da 'stranieri' come sono la maggior parte dei combattenti del Califfato. Infatti, i combattenti sono in prevalenza algerini, sauditi, libici, marocchini e persino ceceni che non sono arabi. FINANZE: LA NOVITÀ DELLE RISORSE PROPRIE A differenza di altri movimenti integralisti, gli uomini del Califfato beneficiano di una crescente autonomia finanziaria. Sempre ingente il sostegno che arriva dall'estero attraverso donazioni private, in particolare dall'area dei Paesi del Golfo, ma oggi le cose stanno cambiando. I jihadisti, possono contare su risorse inimmaginabili fino ad ora: stanno incassando ingenti somme ricavate dalle vendite del petrolio dei giacimenti di greggio presi in Siria; dalle razzie di antichità in Iraq ed in Siria. Infine, si sono impossessati delle considerevoli somme di denaro contante trovate nelle filiali della banca centrale irachena nelle città espugnate come a Mosul e Tikrit. Lo scorso 2 luglio le milizie jihadiste hanno preso il controllo del più grande giacimento di petrolio della Siria, ad al Omar, nella provincia orientale di Dier al Zur che fino ad allora era nelle mani del Fronte al Nosra (milizia legata ad al Qaeda), senza sparare un colpo. Secondo il Guardian, i jiahdisti hanno venduto parte del greggio estratto da questo giacimento addirittura al regime del presidente Bashar al Assad. E poi ci sono le banche. Il ritrovamento di diversi file informatici da parte delle autorità irachene a Mosul avrebbe permesso di scoprire, nel dettaglio, ogni aspetto finanziario dell'organizzazione. Prima della caduta di Mosul, nelle casse del Califfato c'erano circa 875 milioni di dollari, saliti subito dopo a 2 miliardi con i soldi rubati dalle banche. Una disponibilità finanziaria tale da permettere la distribuzione degli stipendi del mese di giugno agli impiegati pubblici nella città di Mosul, capoluogo della provincia settentrionale di Ninive sottratta al controllo del governo lo scorso 10 giugno. Alcuni degli impiegati hanno riferito in forma anonima all'emittente 'al Arabiya', che 'i miliziani dello Stato islamico hanno distribuito gli stipendi al personale del comune dopo aver controllato i loro documenti d'identità ufficiali'. MEZZI MILITARI: DAI CARRI ABRAHMS AGLI SCUD Non più una banda di sgarrupati guerriglieri ma un esercito vero e proprio, ben armato e organizzato. Elicotteri e missili a lunga gittata (uno Scud esibito in parata a Raqqa in Siria), molto materiale di fabbricazione sovietica (come i carri armati T55 non proprio all'avanguardia), da aggiungere però ad armi Usa come i mezzi di ricognizioni 'Humawee', ed i moderni carri M1 Abrahms sottratti all'esercito iracheno a Mosul e subito ricomparsi in battaglia ad Aleppo. Con un eventuale intervento delle milizie sciite gli ultra islamisti sunniti non potranno probabilmente arrivare a Baghdad, cioè conquistare tutto l'Iraq, ma intanto stanno consolidando la loro presenza là dove già ci sono. INDIPENDENZA DAI MEDIA: ALLAH SU FACEBOOK La nuova generazione di jihadisti sa usare benissimo i social network e le più innovative tecnologie informatiche e mediatiche. 'Grazie ad Allah esistono Facebook e Twitter', avevano postato alcuni islamisti per celebrare la loro liberazione dai mezzi d'informazioni ufficiali come la stessa tv satellitare qatariota al Jazeera che non ha mai lesinato informazioni, interviste e reportage sulla galassia jihadista ai tempi di al Qaeda quando era ancora in vita il fondatore Osama bin Laden. La Rete viene utilizzata dai jihadisti per diffondere il loro credo ma soprattutto per intimorire i nemici, attraverso la diffusione di filmati di incredibile crudeltà con linciaggi, sgozzamenti, lapidazioni e altre violenze efferate. Tutto ciò, come ricorda il Guardian, ha trasformato in breve tempo un gruppo locale in una delle organizzazioni terroristiche più ricche e organizzate, assimilabile ad una forza militare para-convenzionale. Un grande salto, che colloca di diritto lo Stato islamico tra le fazioni più influenti, con un raggio d'azione e controllo che si estende dal bordo orientale di Aleppo, in Siria, fino una sessantina di chilometri dalla frontiera occidentale dell'Iran. E che proietta il suo sguardo fino a Roma. SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 OPERAZIONE DI PULIZIA IDENTITARIA: FUORI TUTTI I NON SUNNITI Per preservare 'la purezza' del loro territorio, lo Stato islamico ha subito messo in atto una sistematica operazione di 'pulizia' su basi identitarie dando la caccia ai potenziali oppositori e ai non-sunniti (sciiti, curdi e cristiani). Lo hanno fatto, soprattutto durante la loro offensiva in Iraq replicandola anche in territorio siriano con deportazioni di massa. E così per rafforzare il 'fronte interno' dello stato i jihadisti hanno deportato circa 150 mila abitanti dalla provincia siriana di Dier al Zur come riportato lo scorso 23 giugno l'Osservatorio siriano per i diritti dell'uomo. Ma, sovente, sono gli stessi abitanti a lasciare le loro case e le loro città: sono oltre un milione le persone fuggite in un mese dalle città cadute nelle mani dei jihadisti, quali Mosul, Tikrit e altre; la stragrande maggioranza degli sfollati sono sciiti, cristiani e curdi. 'Agli sciiti, se non potevano essere scambiati con dei prigionieri, tagliavano direttamente la testa', ha detto Hassan, un curdo che è stato tenuto ostaggio per 16 giorni prima che la famiglia pagasse un riscatto di 51.500 dollari. Bashar al Khiki, un funzionario provinciale scappato da Mosul, ha raccontato che i jihadisti 'hanno raccolto informazioni sulle persone e hanno compilato un database per individuare quanti lavorano per il governo o per le forze di sicurezza', per poi aggiungere: 'Se questi non si pentono e non giurano fedeltà al califfato vengono uccisi'. 5 COPERTINA Chi fermerà l’avanzata del nuovo Califfo? SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 Davanti alla violenza islamica diffusa, manca un gendarme del mondo. Gli Usa tentennano, l’Onu non esiste e l’Europa è bloccata da vecchi e obsoleti schemi politici e culturali 6 I l conflitto dello Stato d'Israele con l'organizzazione terroristica di Hamas e la guerra interna in Iraq hanno presentato un quadro geopolitico totalmente mutato e in continuo dinamismo. Le contrapposizioni prima vivevano sulla guerra fredda, sul bipolarismo Usa-Urss che con la loro influenza hanno determinato i destini dei Paesi mediorientali per molti decenni. E in quelle circostanze il blocco arabo compatto, sostenuto da Mo- sca, si mostrava al mondo come una cortina di ferro invalicabile. Dopo un periodo di transizione oggi assistiamo a quelle che - parafrasando il sociologo Zygmunt Baumann - sono le alleanze e le contrapposizioni "liquide". Cioè, che non hanno una solidità duratura nel tempo come era una volta, ma persistono sino a quando le circostanze che si sono venute a creare, vedi le cosiddette Primavere arabe e l'avanzata del movi- mento Isil, motivano scelte tattiche delle politiche estere di molti Stati coinvolti. In questo senso si possono spiegare la vicinanza dell'Egitto, dell'Arabia Saudita e degli Emirati Arabi alle ragioni di Israele, e la politica estera della Casa Bianca che sebbene decida di finanziare il progetto dell'Iron Dome che ha evitato migliaia di vittime in Israele, tiene stretta l’alleanza con la Turchia sempre più autoritaria di Erdogan e fa l'occhiolino all’Iran di Rouhani per combattere l’esercito di Abu Bakr Al Baghdadi che punta all’instaurazione del Califfato islamico. Davanti a tutto ciò, è assordante il silenzio di un’Europa passiva, sempre più impaurita da un Islam che in Francia diviene sempre più fondamentalista. Così, emerge l'assenza di una vera leadership mondiale che sia garante del diritto internazionale, sia dal punto di vista politico e sia come arbitro della sicurezza mondiale. D’altronde l’Onu è quel che è, e gli Stati Uniti si sono smarcati dal ruolo di gendarme internazionale. E ciò rende ancora incerti i destini della zona, dove Israele è l'unico Paese democratico e civile, baluardo del diritto e ponte tra Europa e Asia, minacciata perennemente dagli attacchi missilistici potenziali che finora, grazie all’Iron Dome sono stati neutralizzati. Ma è una situazione divenuta insostenibile, come ha dichiarato lo scrittore israeliano Amos Oz che ha descritto con lucidità, in una recente intervista al settimanale L’Espresso, la drammaticità che si vive quotidianamente: “Lei cosa fa quando il suo dirimpettaio si mette seduto sul terrazzo con il proprio figlio sulle ginocchia, tira fuori la mitragliatrice e comincia a sparare verso la cameretta dei suoi figli?... E, che cosa fa quando il suo vicino di casa scava un tunnel che dalla cameretta dei propri bambini porta alla cameretta dei suoi per ammazzare o sequestrare la sua famiglia? Lei in quei casi chiama la polizia. Ma qui non c'è polizia. Purtroppo la polizia internazionale non esiste”. Non consola nemmeno la reazione di quella che dovrebbe essere l'intellighenzia mondiale. Il mondo della cultura latita senza profferire. Da parte degli opinion maker occidentali spesso c’è un’analisi e una cronaca faziosa delle guerre mediorientali, che risentono dei ricatti imposti al mondo dell’informazione pena il sequestro e il rischio di morte come nel caso di Gaza da parte di Hamas. Oppure si assiste con indifferenza all'avanzata del terrore islamico che miete migliaia di vittime cristiane e punta su un’Europa più abituata da decenni a far salotto che a difendere a denti stretti le conquiste civili dopo secoli di conflitti. JONATAN DELLA ROCCA ISIS, sembrava il folle progetto di un fanatico guerrigliero S e Iddio vorrà, conquisteremo Roma e il mondo intero. A tanto ammontano le mire espansionistiche e i macabri progetti che il sedicente califfo Abu Bakr al-Baghdadi ha in serbo per medio-oriente, Europa e in breve, per il genere umano. Se non fosse il mandante di persecuzioni e genocidi, il leader e fondatore dell’Isil, l’auto proclamato Stato islamico dell’Iraq e del Levante, farebbe venire in mente l’antagonista di turno di un supereroe della Marvel. Ma qui di finto c’è poco, anzi niente. Da Aleppo in Siria fino a Falluja, alle porte di Baghdad, e a Tikrit, al confine con il Kurdistan iracheno si estende l'avanzata dei miliziani dello Stato islamico, che si muovono compatti, ben addestrati e equipaggiati di armi americane sottratte nei conflitti intestini della polveriera mediorientale e di mezzi blindati presi al fragile esercito iracheno, in perenne dissoluzione. Un progetto di espansione annunciato già nel luglio 2012 dal primo messaggio audio rilasciato da al-Baghdadi, leader dell'Isis dall'aprile del 2010 dopo la morte del predecessore Abu Omaral Baghdadi. Un intento che, quattro anni fa, sembrava l’ennesimo proclama dell’ultimo folle profeta guerrigliero in ordine di apparizione. Un progetto folle quanto lucida è la strategia nel perseguirlo. La creazione del “Califfato” risale al 29 giugno scorso con l’annuncio di un regno tra Siria e Iraq, compreso tra la provincia settentrionale di Aleppo fino a quella orientale di Diyala, vicino all’Iran, che ad oggi è arrivato sino alla provincia irachena occidentale di al-Anbar con la presa della città curda di Mosul. Con Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Sham), i miliziani intendono i territori del Levante che formavano la Grande Siria prima della caduta dell'Impero ottomano e della spartizione territoriale moderna, frutto dell'accordo segreto Sykes-Picot del 1916, con cui i governi di Regno Unito e Francia tracciarono le rispettive sfere di influenza nel Medio Oriente dopo la sconfitta dell'Impero Ottomano nella Grande Guerra. L'Isil promette agli arabi di vendicare l’onta subita dalla potenze coloniali, riunendo il territorio che fu del primo Califfato islamico degli Omayyadi (661-750 d.C.) prima della dominazione ottomana e mongola. Parliamo di 1400 anni fa. Come i Talebani con la distruzione dei Buddha di Bamiyan, i terroristi dell’Isil distruggono ciò che ritengono sacrilego. Ultime in ordine di tempo la distruzione della tomba del profeta Giona, e quella di Seth che secondo Giudaismo, Cristianesimo e lslam fu il terzo figlio di Adamo ed Eva, fratello di Caino e Abele. L’organizzazione persegue popoli e etnie, colpevoli di non convertirsi all’Islam. Come gli yazhidi in Iraq, seguaci di una dottrina Zoroastriana su cui si innestano elementi differenti dei culti monoteisti, come il battesimo cristiano. Donne rapite, uomini giustiziati, bambini sepolti vivi. Un genocidio. Questa è la legge del Califfato. Su croci improvvisate vengono appesi cristiani, musulmani sciiti e sunniti. Una punizione che secondo un’originale interpretazione del Corano va comminata a coloro che non rispettano la legge. Ma non è l’unico orrore che i militanti del Califfato nero si vantano di compiere diffondendo video e foto per fare propaganda. Sono quotidiane le esecuzioni pubbliche con taglio della gola dei “traditori del Profeta”. Sgozzamenti eseguiti senza pietà su giovani e vecchi con coltellacci e scimitarre ripresi da un operatore che inquadra i volti delle vittime e il pubblico che riprende con i telefonini. Come Al-Qaeda l’Isil combatte gli infedeli e considera l’Occidente il male, ma supera l’organizzazione di Bin Laden, la rende più solida e meno dipendente da sovvenzioni esterne. L’isil si autopromuove e sovvenziona attraverso la conquista del territorio, muovendo guerra, prima di ordire attentati. Con un ingente patrimonio e una buona fetta di territorio conquistato, Abu Bakr al-Baghdadi, ha un livello di risorse che al-Qaeda non è mai riuscito ad avere sotto Osama Bin Laden. Il denaro di Osama si basava principalmente su appoggi complici ma “esterni” all’organizzazione. "L’Isil non si nasconde nelle grotte o nei deserti dell’Afghanistan", dice Paul Sullivan, uno specialista del Medio Oriente presso la Georgetown University di Washington, che aggiunge, "l’Isil sta conquistando gradualmente un settore vitale per il mondo, come quello del commercio di petrolio e di gas. Può consolidarsi economicamente nello stesso tempo in cui combatte e conquista altri territori". Al momento “il Califfato” ha conquistato quindici città irachene, pozzi e raffinerie di petrolio in Siria e Iraq. Petrolio che l’Isil vende di contrabbando grazie a mediatori turchi e armeni a prezzi stracciati ma arricchendo le casse del proprio «stato islamico». Padroni ormai di un territorio vasto come il nord d’Italia, ricco di risorse naturali, i terroristi vedono vicina la vittoria finale e la realizzazione del sogno di territorio unificato che comprenda tutto il Medio Oriente. Uno Stato che si fondi sulla sharia ma che non sia condiviso né da Al Qaeda né dai religiosi sunniti. Lo scontro tra i vertici di al-Qaeda e le formazioni siriane che a essa si richiamano è profondo. Infatti in Siria, favorendo così la resistenza del regime di Assad, l’Isil combatte anche contro il gruppo qaedista al-Nusra, mentre un’altra costola dell’organizzazione fondata da Bin Laden, al-Qaeda nel Magreb Islamico, si è affiliata all’Isil chiedendo all’attuale n.1 di al-Qaeda, al Zawahiri di chiarire la sua posizione e quella della miriade di affiliati nei confronti degli uomini dal vessillo nero. Tempi bui ci aspettano, come annunciava quel predicatore medievale nel “Settimo Sigillo” di Bergman. Ma quello era solo un film. NICOLA ZECCHINI SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 Le conquiste territoriali hanno una spiegazione religiosa che risale a 1400 anni fa 7 COPERTINA Abu Bakr al-Baghdadi, terrorista globale Sogna di dominare il mondo U n fantasma si aggira per il medioriente. Ha tanti nomi e una vita passata dietro le quinte del palcoscenico del jihadismo internazionale. Abu Bakr al-Baghdadi, sembra un personaggio uscito dalla penna di uno sceneggiatore di Hollywood. Autoproclamato Califfo dell’Iraq, è insieme miliziano sanguinario, stratega e predicatore. E’ nato a Samarra, una città a maggioranza sunnita a nord di Baghdad, nel 1971, ed ha conseguito una laurea in studi islamici all’Università islamica di Baghdad. È così prudente, racconta un ufficiale dei servizi iracheni al giornale «Al Monitor», «che fino a poco tempo fa, nessuno, persino fra i suoi stretti collaboratori, l’ha mai incontrato a volto scoperto». È l’uomo che impersona il cambiamento di strategia di al-Qaeda. Brutale sharia sì, ma con pragmatismo. Fa accordi con le tribù locali. Fa giustiziare gli ufficiali sciiti dell’odiato governo di Nouri Al Maliki ma salva i soldati sunniti. È la rottura con il leader storico di al-Qaeda, Ayman al Zawahiri. Poco importa. Al Zawahiri è «in una grotta», fra Afghanistan e Pakistan. La sua figura, sia a livello di autorevolezza che a livello mediatico è in forte discesa. Quella di al-Baghdadi è una rivoluzione prima che contro l’Occidente o gli eretici, contro la cupola di al-Qaeda stessa. Vuoi essere il re della famiglia... uccidi tuo padre. È la crisi siriana, alla fine del 2011, ad offrire la grande occasione per le ambizioni di Baghdadi. Il 9 aprile 2013 il nome del gruppo viene cambiato Dal 1982 operiamo con successo nel settore dei traslochi e dei trasporti nazionali e internazionali DIVISIONE TRASLOCHI Trasporti su tutto il territorio nazionale e internazionale PARCO AUTOMEZZI ATTREZZATURE SPECIALI Scale telescopiche fino a 15 piani braccio-gru semovente SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 DIVISIONE DEPOSITO MERCI 8 Magazzino di 18.000 mq coperti 60.000 mq scoperti DIVISIONE ARCHIVI Catalogazione e gestione di archivi cartacei ed elettronici in ambienti sicuri ed idonei DIVISIONE AMBIENTE Gestione dei rifiuti, disinfestazioni, disinfezioni, derattizzazione sicurezza degli alimenti www.devellis.it - [email protected] SEDE DI ROMA: Via Volturno, 7 - Tel. 06.86321958 SEDE DI FROSINONE: Via ASI, 4 Tel. 0775.89881 - Fax 0775.8988211 ancora una volta da Islamic State of Iraq in Islamic State of Iraq and Sham, sottolineando la volontà di integrare sotto la propria giurisdizione anche paesi come Giordania, Israele, Palestina, Libano, e parte della Turchia. Un affronto e un guanto di sfida per tutte le organizzazioni jihadiste che operavano in quell’area: l’Isil sarebbe dovuto divenire l’unico attore jihadista in Siria come in Iraq. Il leader di al-Nusra, ovvero Fronte della vittoria del popolo di Siria, affiliato ad Al Qaeda, Abu M. al-Jawlani, rifiuta di fondere il suo gruppo con quello di al-Baghdadi e poco dopo arriva la “scomunica” pubblica di Zawahiri nei confronti di al-Baghdadi, nel febbraio 2014. Dopo aver posto sotto il proprio controllo durante il 2013 la maggior parte della Siria nord-orientale, l’Isil concentra i propri sforzi in Iraq riuscendo a conquistare nel gennaio 2014 la città di Falluja. Il 9 giugno, lancia un’imponente offensiva che sbriciola le strutture difensive costruite nelle regioni sunnite dal governo di Baghdad e che frutta al gruppo il controllo della città di Mosul e di cinque provincie del nord dell’Iraq, nonché qualcosa come un miliardo di dollari saccheggiati dalle casse della Banca Centrale di Mosul. In pochi giorni, la ritirata dell’esercito iracheno, lasciava dietro di sé munizioni, esplosivi, lanciagranate, mitragliatrici, missili terra-aria Stinger, missili Scud, carri armati, veicoli corazzati Humvies, elicotteri Blackhawks, aerei cargo. Il 29 giugno arriva l’ultima fase del progetto di Baghdadi, la discesa sul proscenio mediatico internazionale: dal pulpito di una moschea di Mosul si proclama nuovo Califfo dei musulmani sotto il nome di Ibrahim, facendosi riprendere dalle telecamere. Il video fa il giro del mondo. Lo Stato Islamico che si configura si estende da Aleppo, nel nord della Siria, fino a Diyala in Iraq. Un vastissimo territorio sotto il pieno controllo della milizia jihadista che include la seconda città dell’Iraq, Mosul, e l’enorme raffineria petrolifera di Baiji, vicino Baghdad. Oggi l’Isil è militarmente e finanziariamente il più potente gruppo jihadista ed esercito non regolare nel mondo. N.Z. L'orologio del califfo Abu Bakr al Baghdadi, autoproclamatosi 'califfo' dello Stato islamico di Iraq e Siria, e leader dell'Isis, nella sua prima apparizione durante una predica nella moschea irachena di Mosul, è apparso con tunica e turbante nero. Ma dal polso destro è spuntato un orologio. Dalla foggia nettamente occidentale. Secondo gli esperti, che hanno visionato gli ingrandimenti, potrebbe trattarsi di un Omega Seamaster, l'orologio utilizzato da James Bond per intenderci. Almeno dal 1995 in poi. Il costo si aggira sui 5 mila euro. Petrolio jihadista: mezzo milione di dollari al giorno per pagare la guerra Il nuovo Califfato vende l’oro nero al suo peggiore nemico e affamato di petrolio lo hanno. In uno dei grandi paradossi medio orientali, segno di cinismo ed i opportunismo tutti arabi, i jihadisti venderebbero il petrolio al loro peggiore nemico: il governo di Damasco, sostenuto dagli sciiti e contro il quale i sunniti come l'Isil hanno proclamato una sorta di guerra santa. ‘Pecunia non olet’, i soldi non puzzano, dicevano i latini. Lo stesso si potrebbe quindi dire anche per il petrolio. Assad ha infatti bisogno del carburante per riempire i serbatoi dei suoi carri armati e lanciarli contro i ribelli. I suoi nemici jihadisti ne hanno bisogno per finanziare la loro guerra in Iraq e il progetto del califfato. Ma l'Isil non vende solo ai siriani. Greggio grezzo viene caricato su camion cisterna e fatti transitare al confine con la Turchia, con un guadagno seppur minore. Il petrocaliffato rischia però di essere un progetto di breve durata e poco più che un mezzo di finanziamento estemporaneo. Lo sfruttamento di un giacimento petrolifero è un'operazione tecnicamente e finanziariamente assai complessa. E, anche se riuscisse a procurarsi i tecnici adatti, l'Isil avrebbe, nel giro di qualche mese, bisogno di macchinari per un verso, e mercati dall'altro che oggi appaiono difficili da ottenere. Soprattutto avrebbe bisogno, come sanno le compagnie petrolifere, di un flusso continuo di investimenti per assicurare il fluire della produzione. E oggi non esiste alcuna compagnia petrolifera disposta ad investire un dollaro in giacimenti che potrebbero cadere sotto il controllo dei jihadisti. Il Califfato ha anche un suo giornale Si chiama ‘Dabiq’ e indica i territori da conquistare, fino a Giordania e Israele I l nome della testata, Dabiq, è quello del luogo della mitica battaglia tra musulmani e pagani prima del giorno del giudizio. Ma è anche la nuova rivista, 50 pagine a colori in inglese e in arabo, del "Califfato islamico". Il periodico, per ora disponibile solo in formato digitale PDF, è rivolto principalmente a potenziali jihadisti occidentali, disposti a combattere nella Guerra santa, contro i miscredenti. Tra messaggi inneggianti alla guerra, foto di nemici uccisi, e proclami di vittoria, Dabiq pubblica una carta geografica dell'area che il gruppo intende conquistare: Siria, Iraq, Giordania, Territori palestinesi e Israele. Un giornale di propaganda nel quale il califfo Baghdadi annuncia l'arrivo di "una nuova era per l'Islam" e ribadisce l'invito ai musulmani di tutto il mondo a sostenere la nuova entità politica. SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 P iù che un Califfato si potrebbe chiamare un Petrocaliffato. E’ infatti sullo sfruttamento dei giacimenti di ‘oro nero’ che si regge l’economia dell'Isil (lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante) fondato, tra massacri e carneficine, dal califfo Abu Bakr al-Baghdadi. Nelle mani dei jihadisti è finito il giacimento siriano di Al Omar, il più importante del paese. Vale 30 mila barili al giorno, ma gli insorti non sembrano in grado di assicurare una produzione superiore a 10 mila barili. È, comunque, il primo mattone del petrocaliffato. Invendibili sul mercato legale, i 10 mila barili finiscono sul mercato nero dove spuntano un prezzo pari, mediamente, alla metà di quello ufficiale: 50 dollari a barile invece di 100. E' il mezzo milione di dollari che già arriva, quotidianamente, nelle casse dell'Isil. Destinato ad aumentare, perché i jihadisti hanno assunto, anche il controllo di Tanak e degli altri pozzi della regione. In teoria, l'area siriana di Deir al-Zour può produrre oltre 400 mila barili di greggio al giorno, ma l'Isil non sembra avere le risorse di tecnici e macchinari per reggere questi ritmi di produzione e, soprattutto, il mercato nero non è in grado di assorbire volumi così importanti di greggio. Anche se i jihadisti sunniti, a quanto sostengono i servizi segreti, in particolare francesi, un compratore solido, affidabile 9 Gaza, tutto quello che avrebbe potuto essere Tante le occasioni sprecate dal popolo della Striscia. Invece di cercare il benessere e lo sviluppo, Hamas ha voluto lo scontro militare SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 N 10 iente è stato mai più evidente, più trasparente della guerra Zuk Eitan, ovvero Margine di sicurezza, che stenta a concludersi. Sia le due forze in campo che i motivi dello scontro non lasciano spazio a dubbi, la loro natura e la loro dinamica sono evidenti, quindi tanto più dolorosa è l'ondata di odio, di antisemitismo mai visto prima che ha invaso l'Europa. Che una manifestazione a Berlino potesse inalberare cartelli con scritto "morte agli ebrei" è una vera tragedia per l'Europa, che mostra così di aver perduto la memoria e l'onore. Ho raccontato più volte nei dettagli come la guerra sia scoppiata il 7 luglio senza possibilità di scelta e con molta ritrosia da parte di Israele e come non abbia niente a che fare, come invece è stato suggerito, con un'eventuale "vendetta" per il rapimento e l'uccisione dei tre studenti. In quel caso, l'azione di Israele è consistita in un doveroso rastrellamento del territorio intorno a Hevron, che non ha niente a che fare con Gaza, e che si è fermato esattamente nel momento in cui purtroppo sono stati trovati i corpi dei ragazzi. Bisogna ricordare invece che da Gaza si sparavano già missili sulla popolazione israeliana del sud durante quei giorni, e la loro frequenza si intensificava per mettere con sempre maggiore rilievo l'accento sulla forza militare di Hamas, già esaltata dal rapimento, allo scopo di collocare l'organizzazione islamista in prima fila nella battaglia contro Israele in un momento molto delicato. Infatti si era appena formato un governo di coalizione fra Fatah e Hamas: Hamas, possiamo dire, ha intensificato con l'aggressione a Israele la sua escalation verso la conquista egemonica del mondo palestinese, prima nella West Bank con il rapimento e poi "in progress" con le armi a sua disposizione, i missili, e i razzi a pioggia sulla popolazione civile. Solo un mese dopo Israele ha scoperto una grande congiura armata di Hamas contro Fatah nella West Bank, davvero una bella coalizione. Che Israele non avesse scelta fuorché quella di difendersi, è del tutto evidente: l'hanno ripetuto perfino Obama e l'Unione Europea, e sembra così strano che si debba affermare che se si spara massicciamente sulla popolazione, sta alla base del patto sociale che lo Stato debba affrontare il nemico e bloccarlo con tutte le sue forze. Se poi il nemico usa la sua popolazione, peraltro schiava come nel caso di Gaza, come scudi umani, ogni virgola del diritto internazionale lo ritiene responsabile della loro sorte. Ma di questo abbiamo parlato tante volte. C'è chi addirittura parla di Gaza, totalmente sgomberata dal 2005, come di territorio occupato, sofferente, vittima dell'egoismo di Israele. Ma anche se si va indietro nel tempo, Israele ha già tentato due volte di creare condizioni di normalità per Gaza e il risultato è stato passare dai terroristi suicidi al bombardamento sistematico delle proprie città. Ricordiamo che nel 1993, dopo gli accordi di Oslo, Israele passò all'Autorità Palestinese il controllo civile di Gaza. Lo fece esattamente come lo aveva fatto nella West Bank, da dove ho visto con i miei occhi i soldati che se ne andavano tutti quanti dalle città palestinesi, e Arafat che arrivava con l'elicottero a Betlemme, Gerico, Ramallah... una ad una, di ritorno dalla Tunisia per volontà di Israele. Restò nelle mani dello Stato Ebraico la parte molto minore della Striscia dove si trovavano gli insediamenti. Nel '98 fu aperto un aeroporto a Gaza, nell'estate del 2000 un moderno porto commerciale. Arafat si fece una gran bella villa a Gaza, la signora Clinton vi andò a trovare sua moglie Suha. Nel '99 era stato creato un corridoio per auto, autobus e camion dall'Erez crossing fino alla West Bank, una specie di prefigurazione dello Stato Palestinese, quando sembrava vicino, e questo nonostante numerosissimi attentati. Poi ci fu la Seconda Intifada, con più di mille morti israeliani nei caffè, sugli autobus, per le strade di Gerusalemme. Israele bombardò il porto e l'aeroporto e si difese dall'ingresso dei terroristi ma dopo relativamente poco tempo avviò un altro speciale processo di pace con Gaza. Nel 2005 Ariel Sharon decise di provare una soluzione molto audace: un ritiro unilaterale fino all'ultimo soldati e abitante ebreo della Striscia; l'itnatchtut ebbe luogo nella disperazione di poco meno di diecimila persone, il valico di Erez fu tutto rinnovato. Shimon Peres parlò della novità come dell'inizio di una grande collaborazione scientifica e industriale, immaginò una ferrovia che avrebbe connesso Gaza alla West Bank e uno sviluppo per un nuovo Medio Oriente. Intanto compagnie europee e americane interessate alla pace mandavano aiuti ai palestinesi perché il bel sistema di serre ideato e operato dagli israeliani seguitasse a fornire fiori e pomodorini nelle mani della nuova operosa istituzione autonoma di Gaza. Intanto consorzi internazionali progettavano un nuovo aeroporto, il porto, ferrovie. Ma andò come andò: ho visto smembrare a pezzi le strutture agricole e industriali di Gaza, picconare le sinagoghe, appiccare incendi. Ma più che altro fu il La popolazione di Gaza nel corso di tutti questi anni è stata prigioniera di Hamas, ma una prigioniera volenterosa, spaventata, che ha votato per i suoi aguzzini: sono pochissimi i segnali di ribellione nonostante l'uso spietato dei civili come scudi umani e la distruzione che si è abbattuta su Gaza a causa dell'insistente, reiterato, ostinato uso dei missili il cui silenzio avrebbe in ogni momento ricevuto come Netanayhu ha più volte ribadito (Shechet yaane be schechet, al silenzio risponderà il silenzio) una risposta pacifica. Hamas ha rovinato Gaza e intende continuare a farlo anche se oggi si nasconde dietro l'affermazione che la sua è una richiesta relativa all'apertura dei confini e che si impegna per il bene dei cittadini: Hamas si impegna soltanto per perseguire la distruzione di Israele, per potere ricostruire le gallerie, per avere i soldi per rifocillare la sua riserva di missili. L'apertura dei confini c'è stata, e anche molto di più, su Gaza come abbiamo spiegato è stata investita una speranza di pace che è stata distrutta, perché Hamas mente quando parla di ricostruzione, apertura, libera circolazione di fatto si ripropone senza vergogna come un'organizzazione barbarica religiosa, che ha in mente la distruzione non solo di Israele ma di tutto ciò che ritiene di ostacolo all'imposizione sul mondo del califfato mondiale. Hamas avrebbe potuto provare mille volte di avere un comportamento razionale, teso al bene dei suoi cittadini, e ha sempre reagito in senso opposto. La sua tendenza naturale è quella tipica dell'Islam radicale in Irak, in Siria, in Pakistan, in Afghanistan, in Somalia e in Nigeria, le sue prime vittime sono i musulmani stessi, come si è visto nella guerra con Fatah, e il numero delle vittime lungi dall'essere deterrente è per loro un incoraggiamento. Non c'è accordo con Hamas, solo la deterrenza può funzionare con i terroristi. Non è solo il contesto israelo-palestinese che lo dimostra, ma quello mondiale. E' indispensabile risvegliare chi vuole capire la necessità di un atteggiamento attivo, mai tanti Hamas sono stati in movimento, tanti cristiani e tanti ebrei sono stati in pericolo. La storia di queste organizzazioni è sempre la prova che tregua, pace, accordo, sono parole senza senso per loro. FIAMMA NIRENSTEIN SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 processo politico interno a distruggere ogni possibilità di salvezza di quella tragica lingua di terra. Nel 2000, prima che Israele importasse da Gaza soprattutto terroristi con la cintura esplosiva, ogni giorno mezzo milione di persone lasciava la Striscia e lavorava in Israele. Nel 2005 il numero, scrive Tova Lazaroff sul Jerusalem Post, era calato in maniera drammatica a 31424. Nel gennaio 2006 Hamas vinse le elezioni, poco dopo fu rapito Gilad Shalit, le restrizioni crearono una situazione sempre più drammatica per la popolazione. Nel 2007 lo scontro con Fatah divenne una vera guerra, tutti ricordano come gli uomini di Hamas sparavano ai ginocchi dei nemici di Fatah, li uccidevano senza pietà gettandoli dagli edifici più alti. E le restrizioni di conseguenza divennero sempre più serie per motivi di cogente sicurezza, i valichi di Karni, Sufa, Nahal Oz vennero chiusi, solo Kerem Shalom rimase aperta per il traffico dei camion che portano merci dentro Gaza. Ma anche qui il meccanismo è quello dell'autodistruzione, o meglio la distruzione di qualsiasi rapporto che possa avere una forma umana. Con i miei occhi ho visto che da Gaza anche durante questa guerra, la terza da quando dal 2001 Israele è irrorata di missili, una pioggia di fuoco ha impedito a Kerem Shalom di lasciare entrare i 140 camion carichi di beni che ogni giorno, anche in tempo di guerra, portavano cibo e medicinali ai palestinesi. I tunnel che nel tempo i palestinesi si sono costruiti sia per portare attacchi terroristici che per portare beni vari dentro Gaza senza dover passare dai valichi israeliano e egiziano, sono stati presi di petto, prima che da Israele, dall'Egitto di Abdel Fattah al Sisi, il nuovo presidente egiziano. Sisi dopo aver esautorato la Fratellanza Musulmana del precedente presidente Morsi, il suo nemico, ha distrutto i tunnel e anche le case presso Rafah formando una zona cuscinetto di tre chilometri. Hamas è parte della Fratellanza Musulmana, Sisi lo odia. Gaza è declinata ulteriormente rispetto alla sua condizione sociale, al lavoro, alle condizioni della vita civile via via che Hamas invece incrementava il numero delle gallerie e la qualità dei missili con l'aiuto del Qatar e dell'Iran. 11 ISRAELE Cinque stelle, quattro in condotta, zero in storia La faciloneria e il semplicismo di chi non conosce il passato e giudica i conflitti restandosene comodamente al riparo SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 H 12 a fatto rumore, un paio di settimane fa, l'ennesima sparata del grillino di turno, in appoggio al terrorismo: “Nell'era dei droni e del totale squilibrio degli armamenti il terrorismo, purtroppo, è la sola arma violenta rimasta a chi si ribella. È triste ma è una realtà. Se a bombardare il mio villaggio è un aereo telecomandato a distanza io ho una sola strada per difendermi a parte le tecniche non violente che sono le migliori: caricarmi di esplosivo e farmi saltare in aria in una metropolitana. Non sto né giustificando né approvando, lungi da me. Sto provando a capire. Per la sua natura di soggetto che risponde ad un'azione violenta subita il terrorista non lo sconfiggi mandando più droni, ma elevandolo ad interlocutore”. L'onorevole Di Battista (questo il nome dell'illuminato personaggio) non si riferiva per una volta al terrorismo contro Israele, ma all'Isis, quella funebre formazione che si è proclamata califfato (che per chi non lo sapesse, è un'istituzione religiosa: “khalifa” significa successore, del profeta, naturalmente) e che pratica il genocidio di cristiani, yazidi e altri “infedeli”. Ciò nonostante le sue dichiarazioni sono utili a capire la ragione per cui tanti “progressisti” politici e religiosi si schierano contro Israele e quindi vanno considerate con attenzione. Nell'anti-israelismo e nell'antisionismo c'è spesso una base tradizionalmente antisemita, questo è chiaro. Israele non è solo lo Stato degli ebrei, è l'ebreo degli Stati e viene trattato come gli ebrei venivano trattati durante l'esilio: ghettizzato, discriminato, boicottato, sospettato di crimini ridicoli e spesso infamanti, come “ammazzare bambini”. Grazie a un millennio e mezzo e passa di martellante antigiudaismo cristiano, gli ebrei sono il gruppo che viene facile odiare e il loro Stato, che non doveva mai essere costituito secondo la sensibilità cristiana (perché l'esilio dell'ebreo errante faceva parte della punizione del “popolo deicida”) segue la stessa sorte, unico fra gli stati del mondo. Ma oltre a questa radice teologico-politica, nello schieramento istintivo da parte di molta sinistra a favore del terrorismo arabo vi è qualcosa di più generale, che si ripercuote anche contro Israele: l'idea che bisogna schierarsi con loro, anche se usano metodi di lotta atroci e inumani, perché sono i “più deboli”, “gli oppressi”, e dunque i nuovi proletari, la “moltitudine” di cui parlava Toni Negri nel suo best seller internazionale “Impero”. E' un atteggiamento così diffuso e irriflesso che non si può non farci i conti. Ma bisogna dire che esso è radicalmente sbagliato. E' sbagliato sul piano etico, naturalmente. Il drone o l'aereo che cerca di uccidere il terrorista può sbagliare naturalmente e coinvolgere persone che non c'entrano. In guerra è sempre successo, purtroppo e questo è un buon motivo per cercare di evitare le guerre, per tentare di risolvere le dispute sul piano pacifico. Ma il colpo mira a un bersaglio preciso, a un combattente nemico. Il terrorista suicida che si fa saltare nella metropolitana o, come è successo spesso in Israele, negli autobus nei caffè nei supermercati nei ristoranti non cerca neanche di distinguere, non si dà obiettivi militari, se la prende con la gente qualunque dall'altra parte della barricata. Lo stesso fanno i razzi di Hamas, le molotov e i sassi sulle macchine, gli accoltellamenti casuali, le stragi di civili di altra religione, magari dopo aver marcato la loro casa con un segno infamante come facevano i nazisti. C'è in questo modo di combattere l'idea, tipicamente razzista, che tutto l'altro popolo sia non solo nemico, ma degno di morire in massa, salvo che eventualmente si sottometta e si converta. Questo modo di combattere senza distinzione fra civili e militari è tipico dell'Islam, è all'origine del genocidio armeno e assiro, della distruzione dei greci che abitavano e avevano fondato le città della costa asiatica dell'Egeo che oggi si dicono turche, delle conquiste islamiche antiche della Spagna, dell'Africa del nord, della Mesopotamia. Ma in questo modo di vedere le cose vi sono anche degli errori di fatto. Non è vero che gli arabi siano gli “umili”, i “deboli”. Loro non si vedono affatto così. Storicamente hanno sempre pensato a se stessi come i signori e si battono per riconquistare questo ruolo, che considerano oggi provvisoriamente usurpato. Sono stati storicamente i più grandi colonialisti: partiti dalla penisola arabica deserta e spopolata, hanno conquistato e arabizzato mezzo mondo, accumulando ricchezze gigantesche depredate ai popoli che conquistavano e opprimevano, distruggendo la loro cultura e la loro economia. L'Africa del Nord era il granaio dell'Impero Romano, abitata da popolazioni berbere; la conquista araba le ha reso spopolate, incolte … e arabe; la Mesopotamia era abitata dai babilonesi, la Siria dagli assiri, che parlavano l'aramaico, ora virtualmente estinto. L'Africa nera fu depredata dai mercanti di schiavi arabi, che per un certo periodo fornirono gli inglesi di carne umana per le colonie americane, ma molto più a lungo servirono il mercato domestico arabo. Le regole del Corano sono tipicamente coloniali: gli indigeni conquistati sono inferiori, se non si convertono devono riscattare la loro sopravvivenza con umiliazioni legali e fiscali senza fine. Anche il territorio dell'antica Giudea e dell'attuale Israele è stato sottoposto a queste pratiche di arabizzazione forzata e anche di immigrazione islamica dall'Egitto, dall'Arabia Saudita, perfino dall'Anatolia e dal Caucaso. La “questione palestinese” in buona parte deriva da queste pratiche coloniali. E' facile mostrare che la “Nakbah” palestinese consiste esattamente in questa condizione di non essere più i padroni coloniali del Medio Oriente. Quanto un atto di decolonizzazione sia dagli occupanti britannici che dai colonialisti arabi. Il benessere attuale di Israele è la dimostrazione che un territorio desertico e desolato può essere reso fruttuoso col lavoro e che il fattore umano è almeno altrettanto importante per l'economia della ricchezza delle materie prime. L'odio arabo per Israele è in buona parte invidia, volontà predonesca di prendersi i beni che sono stati accumulati con la fatica di generazioni – invece di rimboccarsi le maniche e costruirli a propria volta. Gli ebrei sono odiati dagli arabi perché erano oppressi erano schiavi e si sono emancipati. I progressisti dovrebbero stare dalla parte di una società di schiavi liberati (come già Israele fu all'uscita dall'Egitto). Ma la miopia ideologica impedisce di vedere le radici storiche dei problemi e ne coglie solo gli aspetti superficiali: i “poveri” palestinesi che rivendicano una terra “loro” (cioè che una volta occupavano come colonialisti, o piuttosto emanazione locale dei colonialisti turchi) e dato che l'esercito israeliano ha il torto di impedire loro di ammazzare liberamente gli ebrei, si danno, poverini, al terrorismo. UGO VOLLI SALMONì OFFICINA SPECIALIZZATA VIA GALVANI 51C/D/E - 00153 ROMA ORARIO NO STOP 8,30 - 18,00 CHIUSO IL SABATO ELETTRAUTO AUTO DIAGNOSI MECCANICA GENERALE DIESEL E BENZINA INIEZIONE BENZINA E DIESEL FRENI ABS - ESP ASSISTENZA SCOOTER AMMORTIZZATORI ALZACRISTALLI ELETTRICI SERVIZIO CARRO ATTREZZI TAGLIANDI PROGRAMMATI E AUTORIZZATI DALLE CASE COSTRUTTRICI SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 alla miseria, essa è essenzialmente autoinflitta: non c'è regione al mondo che abbia guadagnato tanto senza sforzo nell'ultimo secolo, quanto i paesi arabi del Medio Oriente col petrolio. Quel che non ha funzionato è il meccanismo di redistribuzione, di diversificazione, di investimento. I ceti dominanti arabi hanno usato questo denaro per godere di un lusso illimitato e non hanno pensato affatto a far vivere un'economia produttiva, a elevare la condizione di vita dei loro ceti popolari. I poveri arabi sono stati sfruttati, sì, ma dai loro capi, non dall'Occidente o da Israele. Con gli ebrei è accaduto l'opposto. Oppressi per secoli in terra di Israele dai loro colonizzatori arabi, trattati come gli ultimi, oppressi spesso sterminati sia nel mondo islamico che in quello cristiano, quando hanno potuto liberarsi hanno cercato di arrivare in Israele. Ci sono riusciti finalmente in massa a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, arrivando per lo più poverissimi, armati solo delle loro braccia, della loro intelligenza e del loro amore per la terra, aiutati in parte da donazioni degli ebrei europei più benestanti a comprare della terra che hanno sviluppato con straordinario successo. La creazione di Israele è Tel. 06.5741137 Cell. 3394510504 - [email protected] 13 ISRAELE ... e per fortuna che c’è l’Iron Dome Nonostante il lancio di migliaia di missili, il numero delle vittime è stato modesto. Non per l’incapacità di Hamas, ma per la capacità tecnologica difensiva israeliana L’ SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 operazione “margine di protezione” è scaturita dall’intensificarsi del lancio di missili dalla Striscia di Gaza da parte di Hamas, dopo che nei giorni precedenti il ritrovamento dei cadaveri dei tre ragazzi rapiti – Eyal, Gilad e Naftali – aveva acuito la tensione. Tuttavia, la minaccia proveniente dalla Striscia è stata incessante da quando Hamas ha preso il potere nel 2007: gli interventi israeliani “Piombo fuso” nel 2009 e “Pilastro di difesa” del 2012, infatti, non sono stati risolutivi. Dal cessate il fuoco del novembre 2012, gli attacchi sono proseguiti e più volte Israele è stato sull’orlo di una reazione: il mese di aprile del 2013 si era aperto con un lancio di missili su Sderot che aveva danneggiato alcune abitazioni e impaurito la popolazione; gli aerei da guerra israeliani avevano risposto colpendo obiettivi strategici. È stata la prima violazione della tregua di 5 mesi prima, sebbene dei proiettili fossero stati sparati già nelle settimane precedenti, senza creare danni. Appena pochi giorni dopo, due missili provenienti dal Sinai avevano raggiunto Eilat: altro attentato, stavolta rivendicato da militanti islamisti vicini ad alqaeda. Alla fine di aprile altri qassam sono stati sparati nella zona di Shaar Hanegev, proprio mentre si tentavano i negoziati mediati dagli Stati Uniti. La lista di date potrebbe proseguire ancora a lungo, con i missili 14 provenienti quasi sempre dalla Striscia di Gaza nel Sud di Israele, come a dicembre, mentre avveniva il rilascio di 26 prigionieri palestinesi. La conclusione dell’anno non è stata differente, come ha dimostrato, tra gli altri episodi, l’uccisione di un operaio israeliano da parte di un cecchino palestinese, attentato successivamente rivendicato dal Comitato di Resistenza Popolare (PRC). Un’escalation che parte da lontano dunque, a cui Israele ha potuto far fronte grazie all’Iron Dome, la “cupola di ferro”, lo scudo antimissile costruito negli ultimi anni sulla spinta data dal clima d’assedio creato da Hamas e dagli Hezbollah libanesi al nord. L’Iron Dome è un sistema di difesa missilistica in grado di proteggere da razzi di corta o media gittata. Nel 2005 fu pubblicata dal Ministero della Difesa una gara per proporre soluzioni di difesa dai missili: l’allora Ministro della Difesa Amir Peretz, a sistemi basati su raggi laser o su cannoni antimissile, preferì proprio l’Iron Dome, il cui progetto è stato così sviluppato dal 2007 ed è entrato in funzione nell’aprile 2011, con il primo razzo intercettato sui cieli di Ashkelon. Oggi l’Iron Dome rappresenta una risorsa fondamentale per la sicurezza israeliana, nonché una novità strategica, che ha portato l’IDF a investire molto anche sulla difesa. L’Iron Dome è costituito da tre componenti: un radar che individua il razzo e la relativa traiettoria, un sistema che determina dove il missile atterrerà e quale impatto potrà avere e, infine, tre rampe di lancio con i missili destinati a distruggere gli obiettivi. Questi ultimi sono i missili “tamir”, guidati e molto precisi. Il radar vigila in continuazione l’area da cui provengono i missili e quando ne capta uno nel raggio di 40 miglia ne controlla la traiettoria. Non tutti i missili vengono intercettati, ma solo quelli destinati a creare danni ingenti e a minacciare la popolazione. Una straordinaria innovazione nella tecnologia militare quindi, che presto potrebbe interessare anche ad altri Paesi. Tuttavia, si tratta anche di uno strumento costoso, imperfetto e non infinito: il dibattito sugli investimenti per la Difesa resta aperto, strettamente intrecciato con quello sulle strategie militari, discorsi più ampi dove l’Iron Dome rappresenta solo la punta di un iceberg. D.T. Gli eroi di Israele: "Haialim Bodedim" Nessun soldato è mai veramente solo. Ai funerali di questi giovani, decine di migliaia di israeliani hanno voluto testimoniare e onorare il loro coraggio D Oggi nel FDI (Forza di Difesa Israeliane) operano 5.800 "soldati soli", "Haial Boded", di cui la metà effettivamente in corpi combattenti. Una parte di questi ragazzi arrivano dall'estero come risultato dei progetti come "Taglit" e "Masa" dell'Agenzia Ebraica (Hasochnut Haiehudit l'Eretz Israel), che incoraggiano i giovani ebrei dal tutto il mondo ad andare in Israele; per alcuni di loro è la prima volta. Questi giovani "assaggiano" lo stile di vita, la cultura, il cibo, vengono a contatto con il "Kibbutz" ed a volte decidono di ritornare e "fare l'Aliyah". Due di questi soldati sono caduti durante la guerra contro Hamas a Gaza. Il sergente maggiore Nissim Sean Carmeli aveva 21 anni, quando aveva 16 anni ha fatto l'Aliyah dal Texas, raggiungendo le sue due sorelle che già vivevano in Israele. Ha frequentato il liceo Ostrovsky a Raanana e dopo gli studi si è arruolato nella brigata "Golani". La notizia della sua morte il 13 luglio scorso è arrivata alla squadra di "Maccabi Haifa" di cui era tifoso; la squadra ne ha pubblicato la triste notizia sul social network e sui giornali. La famiglia pensava che nessuno avrebbe partecipato al funerale, ma con grande sorpresa e commozione ha visto arrivare 20.000 persone da tutta Israele a rendere omaggio e l'ultimo saluto al giovane eroe. Purtroppo non è stato l'unico eroe caduto; anche il sergente maggiore Max Steinberg era un "soldato solo" caduto nello stesso giorno a soli 24 anni. Nel 2012 aveva deciso di fare l'Aliyah, ha raggiunto i suoi fratelli tramite il progetto "Taglit" e si è arruolato nell’ IDF. Aveva lasciato i suoi studi a Los Angeles per seguire l'ideale in cui credeva, mediante il programma "volontari dall’estero". Anche nel suo caso la notizia della morte, è stata diffusa via internet: più di 30.000 persone hanno voluto dare l'ultimo saluto e far sentire ai suoi genitori la partecipazione ed il ringraziamento di tutto il popolo. I genitori di Max hanno deciso di seppellirlo nel cimitero sul monte "Herzl", che lui aveva visitato durante il progetto "Taglit", dove riposano tutti gli eroi di Israele, come lui. Sulla sua tomba fra le corone di fiori spicca una frase: "nessun soldato è solo in Israele". La massiccia partecipazione della popolazione ai funerali dei due giovani soldati, ha prodotto un'eco nel resto del mondo. Nelle maggiori testate giornalistiche e nei media si è parlato e scritto dei soldati soli e migliaia di persone, pur non conoscendo i due eroi, hanno voluto ringraziarli e piangerli come se fossero stati parte della loro famiglia. YAARIT RAHAMIM UNIONE DELLE COMUNITÀ EBRAICHE ITALIANE DIPLOMA UNIVERSITARIO TRIENNALE IN CULTURA EBRAICA 2014-2015 - 5775 Materie d’insegnamento: Ebraico I, Ebraico II, Ebraico III, Bibbia ed ermeneutica biblica, Talmud, Midrash e Aggadà, Pensiero, filosofia e mistica ebraica, Storia della filosofia ebraica, Storia ebraica moderna, Letteratura ebraica. Corpo docente: Ester Di Segni, Roberto Colombo, Benedetto Carucci, Amedeo Spagnoletto, Gianfranco Di Segni, Katrin Tenenbaum, Piera Ferrara, Myriam Silvera, Roberta Ascarelli. Esami in materie ebraiche sostenuti in altre Università e Istituzioni possono essere riconosciuti come crediti formativi. Il corso è fruibile anche con modalità on-line. Costo dell’iscrizione: 1000 euro; entro il 15 settembre 850 euro. Per informazioni: www.ucei.it/formazione/CollegioRabbinico/ Diploma Universitario Triennale in Cultura Ebraica Myriam Silvera: [email protected]; tel. 339-1350072 (pomeriggio) SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 urante l'operazione "Barriera Solida", "Mivzà Tzuk Eitan", abbiamo sentito parlare delle storie dei ragazzi che arrivano dall'estero per svolgere il servizio militare in Israele, come volontari. La loro è una storia particolare, in quanto partono lasciando tutto: famiglia, amici, affetti, studio, e vanno per un periodo in Israele, per servire il paese unicamente per il senso di appartenenza che viene loro dal cuore. 15 ISRAELE Volevano la terza Intifada, hanno scelto la guerra SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 D 16 Hamas ha voluto lo scontro militare sapendo che comunque avrebbe ‘vinto’. Perché la distruzione delle infrastrutture e la morte dei civili è in ogni caso un successo mediatico urante i primi mesi del 2014 i capi di Hamas avevano ripetutamente chiamato tutti i palestinesi alla mobilitazione contro Israele. Hanno poi ricattato la leadership moderata, nei fatti se non nelle parole, che governa le zone sotto il controllo dell’Autorità Nazionale di Abu Mazen. Infine, invocavano una terza intifada che coinvolgesse non soltanto la popolazione dei territori tuttora amministrati da Israele ma anche gli stessi arabi con cittadinanza e passaporto israeliani. Su questa strada la loro gente non li ha seguiti. Gli anziani sono stanchi di guerra, esattamente come i loro vicini di Tel Aviv e di Haifa, mentre i giovani sembrano meno affascinati dal jihad. E comunque risultano forti e numerosi gli interessi in gioco che ormai legano i palestinesi allo Stato ebraico, a quel tamente e definitivamente sconfitta in quanto la situazione politica internazionale non consente ad Israele l’uso di tutta la forza disponibile. Tanto più che Israele resta quotidianamente vittima di un vero e proprio “corto circuito” mediatico. La storia dell’Occidente si è incaricata di trasformare in realtà sanguinosa il luogo comune dell’ebreo vittima e capro espiatorio di tutto e di tutti. Se la vittima finalmente si difende e impugna le armi, con tutte le conseguenze del caso, questa sorta di sacra rappresentazione deraglia e spiazza lo spettatore. Inoltre, per Israele e per il quadro complessivo del Medio Oriente il problema di Gaza non si è certo manifestato negli ultimi due decenni. Al contrario, è anch’esso vecchio di quasi 70 anni (vedi box nella pagina a fianco). Tuttavia ci sono state crescente benessere distribuito dal dinamismo israeliano. Erano numerosi anche i residenti di Gaza che lavoravano in Israele, dai quali i dirigenti di più alto rango riscuotevano probabilmente una sorta di “pizzo”, restandosene al sicuro presso i paperoni del Qatar tra una comparsata e l’altra sugli schermi di Al-Jazeera. Ma se Hamas ha rivelato una pessima capacità tattica, dimostra invece - purtroppo - valide intuizioni strategiche. Dunque ha scelto questa guerra di piena estate nella consapevolezza del fatto che non ha bisogno di una vittoria militare. La sproporzione delle forze in campo, normale nelle guerre cosiddette asimmetriche, garantisce infatti l’efficacia operativa di ogni organizzazione armata di stampo terroristico, che non può venire comple- guerre che Israele ha perduto sul piano politico dopo averle chiuse con successi sostanziali su quello militare. Guerre nelle quali si rischia l’insuccesso per il fatto stesso di averle dovute combattere. L’efficacia della tradizione militare israeliana si basa sul dettato operativo più semplice: en brerà, “non c’è scelta”. Visto il genere di vicini che Israele ha avuto fino agli ultimi anni della guerra fredda, di alternative non ce ne sono state. Però già nel 1956, e sempre come reazione agli attacchi sul Negev provenienti da Gaza, David Ben Gurion e Moshe Dayan dovettero unirsi alla spedizione militare anglo-francese per il recupero del Canale di Suez espropriato dal presidente egiziano Nasser. Gli USA temevano il confronto totale con i sovietici, allora protettori dell’Egitto, e imposero il ritiro. Risiedeva alla Casa Bianca il Generale Dwight Eisenhower, l’uomo-simbolo dello sbarco in Normandia. Coltivò, per l’intera durata del suo secondo mandato, una cordiale inimicizia per i governi di Gerusalemme. Al tempo dei Sei Giorni di giugno 1967 e del ritorno israeliano su Gaza, il Presidente Lyndon B. Johnson si rivelò un amico affidabile. Sicuramente Hamas ricorda bene i tre anni della guerra di attrito sul Canale si Suez (risolta con gli accordi del 7 agosto 1970), una guerra che costò a Israele la vita di quasi 2.000 soldati e un danno grave nelle relazioni esterne. Poi, fino all’ottobre fatale del 1973 lo Stato Maggiore israeliano ritenne la Linea Bar-Lev sul Canale e gli sbarramenti del Golan insuperabili da un esercito arabo. La Guerra di Kippur colse tutti di sorpresa, anche perché Henry Kissinger e il suo Presidente Richard Nixon ritenevano fosse necessaria una pressione militare per indurre Israele a negoziare con l’Egitto il ritiro dal Sinai. L’Egitto aveva cambiato alleati, passando da Mosca a Washington, ma gli USA si erano dimenticati di avvertire Golda Meir. Così Anwar el-Sadat riprese il Sinai, ma di Gaza non ne volle sapere. Hamas punta oggi a tenere Israele sotto pressione, in conto terzi e con la speranza di infliggere danni più gravi. La testa del serpente si trova a Teheran, forse anche ad Ankara e in Qatar, e per ora nessuno intende neutralizzarla. Comunque le alleanze sono mutate: Russia, India e Cina hanno un conto aperto con l’estremismo islamico armato, e prima o poi lo chiuderanno. L’isolamento di Israele, dovuto anche al pregiudizio antiebraico, non è cosa nuova. Come non è nuova l’ostilità contro gli ebrei della Diaspora che vedono in Israele la propria garanzia d’emergenza. La situazione militare risulta oggi non molto differente rispetto ai lunghi mesi della guerra di attrito di 45 anni fa, in termini generali. Ma dall’altra parte c’era uno Stato, l’Egitto, mentre oggi c’è una struttura in armi non riconosciuta dalle diplomazie dei paesi più importanti. Hamas non manca di appoggi e si finanzia in modi spesso oscuri. Si fa scudo di una intera popolazione, solo in parte consenziente. Proprio come accadde nel ’73 con la Linea di Difesa Bar-Lev, anche Iron Dome avrebbe dovuto servire da deterrente, scoraggiando gli attacchi e i lanci di missili sempre più sofisticati. In entrambi i casi ciò non è accaduto. PIERO DI NEPI La guerra dei tunnel Una tecnica militare che risale ai tempi dei romani M olti israeliani di oggi resterebbero davvero sorpresi scoprendo che durante la rivolta antiromana guidata da Shimon bar-Kochbà tra il 132 e il 136 E.V. i combattenti ebrei fecero largamente uso della tecnica di scavare tunnel invisibili ai legionari chiusi nei campi trincerati, in modo da attaccarli di sorpresa, sbucando dal terreno proprio di fronte al Praetorium dove alloggiava il comandante. Le tribù germaniche che bloccarono l’Impero sulle rive del Reno utilizzavano spesso tecniche analoghe. Lo Stato Maggiore della Difesa di Israele conosce bene la storia del paese, e nel 1947-1948 fu anche grazie al sistema di tunnel degli antichi acquedotti che si riuscì a salvare Gerusalemme ovest assediata dalla Legione Araba di John Glubb “Pashà”. Durante l’estate del 1966 il Generale Moshe Dayan, vincitore della campagna del Sinai di dieci anni prima, trascorse risolsero vittoriosamente non pochi assedi. Nel 1706, durante la Guerra di Successione Spagnola, l’esercito del Re Sole Luigi XIV tentò di strappare ai Savoia la capitale Torino. I reparti di scavatori lavoravano notte e giorno tanto nelle gallerie di mina che in quelle di “contromina”, necessarie per neutralizzare i sotterranei del nemico. E’ celebre l’atto di valore del soldato piemontese Pietro Micca che bloccò un intero reparto francese facendo saltare a costo della vita una galleria che penetrava nella fortezza principale, nella notte tra il 29 e il 30 agosto del 1706. Due secoli più tardi in Belgio, alle 3.10 del mattino del 7 giugno 1917, saltarono in aria simultaneamente 8 km di gallerie scavate dagli inglesi sotto le trincee tedesche di Messines e poi riempiti con 600 tonnellate di alto esplosivo. Morirono 10.000 soldati, dei feriti e dispersi gli storici non conoscono il numero neppure alcune settimane in Vietnam scrivendo corrispondenze di guerra per un gruppo di giornali inglesi e americani. Ma voleva anche osservare da vicino le tattiche dei Viet-Cong, i quali - come oggi i nordcoreani - erano in contatto con gli eserciti dei nemici di Israele e con le organizzazioni palestinesi. Dayan verificò di persona l’efficacia di un labirinto di tunnel (esteso per oltre 250 km) costruito dai Viet-Cong nel distretto di Cu Chi a nordovest di Saigon (oggi Ho Chi Min City). Rangers e Marines, insieme con gli alleati, perdevano centinaia di soldati nel tentativo di distruggerne le gallerie. Inutile. Nel febbraio 1968, la cosiddetta Offensiva del Tet attaccò la capitale utilizzando proprio quei tunnel come base di partenza. Con l’avvento della polvere da sparo la guerra dei tunnel aveva conosciuto un decisivo rinnovamento delle tecniche, sempre più distruttive. Durante la Guerra di Fiandra (1568-1648) le gallerie 1949, dopo l’Armistizio di Rodi, l’Egitto decise di utilizzare Gaza e i suoi abitanti come spina nel fianco più spopolato ed esposto di Israele. La gestione accettabile di Gaza, occupata dagli egiziani fino al 1967, non fu considerata una priorità. La priorità era consolidare miseria, rabbia e collera per colpire Israele a Sderot, a Nahal Oz, fino a Beersheva se possibile. Intanto l’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine) si connotò soprattutto come agenzia di propaganda antisionista. Nella sostanza, è tale anche oggi. oggi. L’esplosione fu udita anche a Londra, al di là della Manica. La memoria dei militari israeliani non si misura, fortunatamente, sul breve termine. E’ tuttavia possibile che negli ultimi due anni siano state in qualche modo sottovalutate le capacità operative di Hamas. Se non da una sorpresa strategica, nei primi giorni di Protective Edge gli ufficiali dell’unità di elite Golani, incaricata di neutralizzare la rete sotterranea, sono stati forse disorientati dall’estensione, dalla mimetizzazione e dalla blindatura, dal numero (decine se non centinaia di tunnel) e purtroppo anche dalle trappole esplosive. Si deve inoltre sperare che la stessa Israele non sia rimasta vittima della dissennata propaganda che descrive come impenetrabile il blocco delle importazioni di certi materiali da costruzione, strumenti ed esplosivi imposto a Gaza. P.D.N. SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 Gaza una striscia nel fianco Confina con Israele per circa 51 km, ha una larghezza media di 8,5 e si estende su 360 km quadrati. Gli abitanti sono 1.645.000. Per gli Ebrei il problema esiste fin dal tempo di Sansone, Dalila e i Filistei. La storia recente però è di tutt’altro genere, e costituisce una delle più ciniche operazioni organizzate dal mondo arabo e dall’ONU ai danni dello Stato Ebraico. Nel 1948 l’esercito egiziano che avanzava verso il Negev bloccò nella enclave di Gaza gli arabi che cercavano di sottrarsi alle operazioni militari. Vi sarebbero rimasti a tempo indeterminato. Nel 17 ISRAELE Obama, ovvero il nulla in politica estera Il disimpegno degli USA nell’area medio orientale ha favorito la nascita del Califfato L a crescita di tensione in Medio Oriente può essere letta anche come un fallimento americano. Una precisa impostazione, data da Obama sin dall’inizio del suo mandato, era proprio quella di effettuare un progressivo disimpegno da quest’area: un po’ per eliminare il fardello delle missioni in Iraq ed in Afghanistan ereditate dall’amministrazione Bush, che ha avuto per gli Stati Uniti costi umani ed economici notevolmente al disopra delle aspettative; un po’ perché, in una fase di crisi economica e in un contesto geopolitico in cui l’unipolarismo con il ruolo predominante degli USA era seriamente messo in discussione, appariva necessario dosare le forze e concentrare le energie in zone potenzialmente più rilevanti. Da questi presupposti è partito l’atteggiamento di fiducia nei confronti dell’Islam moderato ed una serie di tentativi volti a normalizzare le relazioni con vecchi nemici, come dimostrato dall’accordo con l’Iran sul nucleare. Parallelamente, l’attenzione è stata rivolta altrove, in particolare all’estremo oriente e all’Oceano Pacifico, in modo tale da contenere l’influenza cinese in un’area non così distante dagli stessi Stati Uniti. Non si può leggere come un caso, ad esempio, che il 17 novembre 2012, Obama, fresco di rielezione, nel bel mezzo dell’Operazione Pillar of Defense (iniziata il 14 dello stesso mese) fosse in procinto di partire per un viaggio che lo avrebbe portato in Thailandia, Cambogia e Birmania; proprio nello Stato di Aung San Suu Kyi si trovava pochi giorni dopo Hillary Clinton, alle sue ultime missioni da Segretario di Stato, mentre la mediazione tra Israele ed Hamas veniva condotta dal Presidente egiziano Morsi. Una scelta, quella di Obama, certamente razionale, ma che nei fatti si è rivelata disastrosa: gli effetti delle primavere arabe hanno accentuato le tensioni e le divisioni in tutti i Paesi dove si sono verificate queste rivolte; il mancato intervento in Siria ha provocato una crescita delle forze più estremiste, le quali si sono giovate anche della fragilità e della corruzione delle istituzioni in Iraq e in Afghanistan, fino all’ascesa del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi e dell’ISIS. Nei rapporti con Israele, la nuova politica estera statunitense ha significato un raffreddamento, con punte di tensione che hanno portato alcuni analisti a mettere in dubbio la solidità dell’alleanza tra i due Paesi. Nel marzo 2010, l’ambasciatore israeliano a Washington Michael Oren parlò della “peggiore crisi degli ultimi 35 anni” fra i due paesi, mentre l’edizione europea del The Wall Street Journal titolava “La svolta di Obama contro Israele”. Nel maggio 2011, era lo stesso Presidente americano a parlare di divergenze, dopo che nel suo discorso al Congresso Netanyahu aveva replicato al riferimento ai confini del ’67 definendolo come la mancata comprensione della realtà israeliana. Le diverse opinioni sull’atteggiamento da tenere nei confronti dell’Iran sono poi state un motivo ricorrente di discussione degli ultimi mesi. Non si è giunti al punto di un divorzio, come ha voluto sottolineare lo stesso Obama nel suo viaggio in Israele nel marzo 2013. Nuovi interessi si sono fatti però prevalenti. Ciononostante, Obama ha affidato a Kerry il compito di effettuare durante lo scorso inverno una delicata opera di mediazione tra il governo israeliano e l’ANP, senza però riuscire ad ottenere alcun risultato: da parte israeliana non si riteneva sufficiente il piano sulla sicurezza. Le recenti tensioni e la guerra della scorsa estate possono considerarsi la dimostrazione di come questo approccio sia stato fallimentare. Una nuova impostazione della politica estera americana è forse inevitabile, ma è necessaria un’azione più incisiva se Washington non vuole perdere un ruolo di rilievo in Medio Oriente e se intende evitare che i nuovi equilibri, che si stanno creando, degenerino fino a minacciare anche il mondo occidentale. DANIELE TOSCANO L’Onu risolve i problemi di Israele, o è il problema di Israele? “La questione che voglio trattare maggiormente è che noi ci troviamo in una situazione tale per cui i Paesi che ci supportano si sentono obbligati a votare con i Paesi islamici in quanto hanno altri interessi”, aggiunge Roet. “Questo non è solo un problema di Israele, ma diventa un problema più generale, relativo all’uso delle risorse di un Parlamento mondiale: invece di trattare le vere questioni, dov’è l’ONU? È la domanda posta in tutte le maggiori tragedie degli ultimi decenni, come il genocidio in Ruanda del 1994 o negli ultimi anni in Siria, simbolo recente della latitanza delle Nazioni Unite”. Nonostante questi problemi, Roet è fiducioso e conta di poter regalare al suo Paese un ruolo propositivo nell’organizzazione, con il sogno di un seggio come membro non permanente nel Consiglio di Sicurezza nei prossimi anni. “Noi rifiutiamo di essere considerati un Paese di seconda classe, ma crediamo che Israele con la sua conoscenza, la sua esperienza, il suo popolo saprebbe ricoprire adeguatamente il ruolo di membro del Consiglio. Noi crediamo di poter realizzare questa nostra aspirazione, ma sarà molto difficile perché anche altri Paesi partono con questa possibilità, mentre noi dovremo superare il blocco dei Paesi arabi. Lavoreremo molto duramente per riuscirci, in quanto riteniamo che sia un obiettivo complicato ma realizzabile”. D. T. SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 I 18 Intervista esclusiva a David Roet, Vice Rappresentante Permanente di Israele alle Nazioni Unite l rapporto tra Israele e l’ONU è sempre stato molto complesso, non senza momenti di tensione. Pur non scendendo nei particolari, l’Ambasciatore David Roet, Vice Rappresentante Permanente di Israele alle Nazioni Unite, ha spiegato a Shalom le principali difficoltà e le ambizioni che Gerusalemme nutre in questo ambito. “La relazione tra ONU e Israele è veramente difficile. I Paesi arabi e musulmani, infatti, sono numerosi e sempre pronti a criticare Israele in blocco”, afferma Roet. La forza economica e strategica di questi Paesi condiziona spesso anche molti Stati occidentali. Il risultato è che vengono trascurate alcune gravi questioni, come quella della Siria, dove più di 170mila persone sono morte, mentre “ci sono ventuno risoluzioni contro Israele. Senza contare il Consiglio dei diritti umani, dove il 25% dell’attività è contro Israele: così si ha un’idea di quale sia il pregiudizio dell’ONU”. Il Consiglio per i Diritti Umani, infatti, oltre a essersi distinto per la scarsa incisività ed effettività della sua attività, è stato caratterizzato da uno squilibrio diplomatico al suo interno (basti pensare al ruolo di primo piano svolto dalla Libia di Gheddafi prima della caduta del rais). La guerra di Hamas contro i media gni volta che il conflitto tra israeliani e palestinesi s'infiamma, i media diventano un campo di battaglia d'importanza quasi pari a quello reale, con entrambe le parti coinvolte in sforzi per mostrare le proprie ragioni e dipingersi in veste di vittima. L'ultima guerra tra Israele e Hamas non fa eccezione. Sugli schermi televisivi, sui giornali e sui social network si sono susseguite immagini di case bombardate e civili palestinesi morti, seguite dalla risposta israeliana che denuncia l'uso da parte dei terroristi di Hamas di scudi umani e di infrastrutture civili per immagazzinare e lanciare razzi contro la popolazione dello Stato ebraico. Entrambe le parti sono convinte che i media parteggino per l'altro: manifestanti filo-palestinesi protestano a Londra contro la BBC, mentre chi sta dalla parte d'Israele lamenta che l'attenzione dei media si concentra sulla risposta militare israeliana e non sulle azioni terroristiche di Hamas, che hanno scatenato il conflitto. Ma chi ha ragione? Da che parte stanno i media internazionali? Sicuramente israeliani e palestinesi hanno entrambi una folta tifoseria e ci sono giornalisti, analisti e opinionisti che hanno scelto ideologicamente di stare da una parte o dall'altra. Vi sono però almeno due elementi che pesano su tutti i media, anche sui più benintenzionati e votati all'imparzialità, e che inevitabilmente influenzano la copertura della guerra a Gaza. Questi due elementi rovesciano la tradizionale idea della sproporzione tra le forze in campo, spesso invocata a sostegno delle tesi palestinesi, e mostrano che, almeno nella guerra mediatica, il disequilibrio è tutto a sfavore d'Israele. Il primo punto riguarda la natura del lavoro giornalistico e delle fonti d'informazione. Nell'epoca dell'informazione immediata, ventiquattro ore su ventiquattro, i media devono scegliere se pubblicare subito una notizia, magari non verificata, o rischiare di essere battuti sul tempo dalla concorrenza. Non c'è tempo per un approfondimento o un controllo, e la pressione è resa ancor più insostenibile dai tanti tagli al personale operati da giornali e televisioni che attraversano un momento di forte crisi. Questo clima favorisce quei giornalisti che non mettono in dubbio le proprie fonti, anche quando si tratta d'informazioni provenienti da Hamas, e che non resistono alla tentazione di pubblicare immediatamente nuove immagini e notizie di morte e distruzione. Così, ad esempio, fonti palestinesi hanno potuto diffondere nel mondo la notizia che, durante l'offensiva su Gaza, dieci bambini erano stati uccisi da un raid israeliano mentre giocavano in un campo profughi. Quando, dopo lunghe verifiche, le più attente fonti dell'esercito israeliano hanno dichiarato che si era trattato invece di un missile difettoso di Hamas caduto all'interno della Striscia, era ormai troppo tardi: la notizia era già stata diffusa e i media erano già alla ricerca della prossima storia. A questa rapidità e spregiudicatezza nell'utilizzare la sete di notizie dei media, si aggiunge un secondo elemento che mina alla base l'attendibilità di quasi tutti i reportage provenienti dalla striscia di Gaza. È un segreto di Pulcinella che gli operatori dei media conoscono, ma che non rivelano quasi mai al proprio pubblico. Questo segreto è che Hamas, come ogni regime totalitario, mantiene un controllo totale sulle informazioni che escono dalla stri- scia, utilizzando intimidazioni e violenze per filtrare le notizie sfavorevoli. Solitamente i media sono restii a denunciare pubblicamente queste pressioni per il timore di troncare i rapporti con fonti importanti e soprattutto per paura di ritorsioni contro i propri corrispondenti e contro lo staff locale che continuerà a vivere e lavorare nella Striscia anche quando le acque si saranno calmate. Nel caso del conflitto di Gaza, qualcosa si è mosso. Alcuni giornalisti, una volta usciti da Gaza, hanno denunciato di aver subito minacce da parte di uomini di Hamas per aver filmato il lancio di razzi dalle vicinanze di edifici abitati da civili. Il Washington Post ha sfidato la censura per raccontare come i sotterranei dell'ospedale Shifa, il principale della città, siano stati trasformati nel quartier generale di Hamas. Un giornalista franco-palestinese, Radjaa Abou Dagga ha dichiarato al giornale Libération di essere stato arrestato, interrogato e infine espulso da Gaza. L'articolo che racconta la sua storia è stato poi rimosso dal quotidiano francese su richiesta dello stesso Dagga, che ha famiglia a Gaza. Anche la portavoce del Ministero dell'Informazione di Hamas, Isra al-Mudallal, ha inavvertitamente ammesso in un'intervista con la TV libanese al-Mayadeen che i militanti dell'organizzazione hanno tenuto "sotto sorveglianza" diversi giornalisti scomodi, deportandoli da Gaza o "convincendoli a cambiare il loro messaggio in un modo o in un altro". Di fronte al moltiplicarsi di episodi simili, l'Associazione della stampa estera, che raccoglie i giornalisti stranieri che lavorano in Israele e nei territori palestinesi, ha protestato in un comunicato contro gli "evidenti, incessanti, violenti e inusuali" metodi messi in campo da Hamas contro la stampa. Israele, dove l'informazione è libera e non risparmia critiche ai governanti, non può competere con le pressioni e le manipolazioni messe in campo di Hamas. L'unica risposta possibile è spingere il mondo dell'informazione a denunciare la guerra silenziosa che a Gaza si combatte contro la libertà di stampa. Purtroppo, le proteste come quella della stampa estera sono ancora poche, e la maggior parte dei lettori e spettatori dei media internazionali rimane ancora all'oscuro del fatto che quella proveniente da Gaza sia un'informazione attentamente controllata, pilotata, se non in molti casi direttamente orchestrata, dagli esperti propagandisti di Hamas. ARIEL DAVID SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 O Intimidazioni, minacce e violenze: come il movimento islamico ha usato il terrore per vincere la guerra mediatica 19 EUROPA Una follia che non si riesce a comprendere: all’Europa piace il fondamentalismo islamico SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 D 20 alil Boubaker, rettore della Moschea di Parigi, ha rilasciato un’intervista a Il Mattino, il 21 luglio 2014, che avrebbe dovuto ricevere maggiore attenzione sia per il prestigio di chi l’ha rilasciata sia per il suo contenuto. Richiesto di commentare il contributo delle comunità religiose europee nella presente critica situazione – l’esplicito riferimento era alle violente manifestazioni di importanti fasce della comunità musulmana francese contro l’intervento militare israeliano a Gaza intrise di accenti antiebraici e anche di atti di violenza contro sinagoghe e persone – Boubaker ha ricordato che le comunità religiose debbono essere «organi di uno spirito di fraternità e di compassione», mentre accade che «ognuno è troppo preso dai problemi del proprio culto, e si occupa troppo poco degli altri». Boubaker ha dichiarato il suo pessimismo perché le «religioni sono senza più dialogo» e, di conseguenza, «anche l’Europa sarà coinvolta». E all’intervistatore che ha osservato: «Pessimista e quasi in collera. È così?», ha risposto: «Sì, perché la religione che vogliamo, quella che è la mia, per cui mi sono battuto, una religione di spiritualità e di fraternità, è oggi soprattutto una religione di fondamentalisti». Sarebbe importante se ognuno facesse la sua parte combattendo ogni sorta di fondamentalismo religioso e quindi tentando di prosciugare questa sorgente di intolleranza che rischia di trascinare le nostre società in conflitti di imprevedibile drammaticità; anche se, sarebbe ipocrita non dirlo, la parte che spetta al mondo islamico, in questa fase storica, è quella decisiva. Proprio per questo, dichiarazioni come quella di Boubaker sono importanti ed è grave che non abbiano l’eco dovuta. Boubaker, per il suo ruolo, dovrebbe rappresentare l’opinione dominante nella comunità musulmana francese; purtroppo, troppi sintomi indicano che le cose non stanno in questi termini e che una componente rilevante vada invece nella direzione del fondamentalismo, alimentando così una faglia della società francese che rischia di trascinarla sull’orlo di una vera e propria guerra civile. Sarebbe irresponsabile far uso di un termine tanto pesante se l’adesione al fondamentalismo fosse soltanto una questione interna alle comunità musulmane presenti sul suolo europeo, il che sarebbe già assai grave tenendo conto dell’entità numerica che queste hanno assunto in diversi paesi, e che va rapidamente crescendo con le recenti ondate di immigrazione. Il problema è che il fondamentalismo, malgrado i suoi aspetti più efferati, tra cui il violento antisemitismo, non soltanto non provoca un generale rigetto nell’insieme delle società europee, ma trova anzi tolleranza e persino consensi. Il buon senso lascerebbe credere che la coscienza morale debba prima o poi sollevarsi di fronte a stragi inaudite. E invece prevale la più ottusa ideologia, per cui migliaia e migliaia di vittime in Siria non bastano neppure a sollevare un sopracciglio, mentre l’attenzione è riservata esclusiva- mente ai “crimini” perpetrati dagli “occupanti” israeliani a Gaza. Ci si chiede: «Ma come è possibile restare inerti di fronte a decine di migliaia di cristiani costretti a fuggire o a morire se non accettano di essere convertiti all’islam, a centinaia di donne schiavizzate e sottoposte a violenza?». Ebbene è possibile. I telegiornali mostrano combattenti del califfato islamico che, agitando i mitragliatori, promettono alle televisioni occidentali: «Stiamo arrivando da voi». E un sacerdote cattolico intervistato conferma che la vera intenzione, la più profonda ambizione è di venire a Parigi, Roma e Londra – un’intenzione che riecheggia nei proclami degli imam londinesi che promettono di sgozzare a Trafalgar Square chiunque non accetterà il primato della sharia. Qualche anno fa si poteva cavarsela ridendo di fronte a queste rodomontate. Ma ora è difficile considerarle tali, solo se si guardi all’estensione fisica di un integralismo che si radica in territori sempre più vasti, che vanno dall’Iraq al Mediterraneo e coinvolgono diverse nazioni africane. A questo punto riderci sopra è da imbecilli. Ma il guaio è che in Occidente, e in Europa in particolare, c’è chi non soltanto non ride, ma anzi manifesta simpatia per le bandiere nere sulla base dell’inesausta mitologia della rivoluzione dei poveri che, evidentemente, non solo si è fatto ben poco per sradicare, ma che è stata alimentata in correnti neanche tanto sotterranee. Solo così si può capire che un rappresentante di un movimento che ha raccolto un terzo dei voti in Italia abbia potuto aprire una “riflessione” sull’Isis e l’avanzata dello stato islamico, arrivando a dire che oggi il terrorismo è l’unica arma rimasta a chi si ribella. Né consola che vi sia stata un’ondata di reazioni scandalizzate, e non solo perché questa ondata non si è manifestata in quel movimento, ma anche perché da altre parti politiche c’è chi se l’è cavata dicendo che «il terrorista è altrettanto disumano quanto i droni» e non ha evitato la solita giaculatoria contro i crimini dell’imperialismo e dell’occidente. In epoca di rottamazione troppi hanno dimenticato il vecchio slogan «né con lo Stato né con le Brigate Rosse» e forse non riescono neppure a vedere come l’unica cosa che non venga rottamata è la continuità nell’alimentare l’odio di sé delle società occidentali, il disprezzo per la democrazia e la pulsione all’autodistruzione. Di che stupirsi se una città come Livorno, un tempo considerata un baluardo della sinistra democratica, sia finita in mano a un sindaco che ha recalcitrato di fronte alle proteste per uno striscione intriso di simpatia nei confronti dei movimenti terroristi, espressione di quella ipocrisia morale che identifica nel sionismo tutti i mali del mondo? Il rettore Boubaker ha fatto la sua parte e si è espresso con coraggio, ma il lavoro da fare per non sprofondare nella catastrofe dovrebbe mobilitare ben altre forze “laiche” che sono invece attente a diseducare nelle forme più irresponsabili le giovani generazioni. Quando in televisione vediamo un capitano curdo dirci «dateci le armi, combatteremo anche per voi», è difficile non provare vergogna e sconforto. GIORGIO ISRAEL Nella foto in alto: Dalil Boubaker Un’estate segnata dall’antisemitismo A ssalto alle sinagoghe, vetrine di negozi in frantumi, cortei di persone che inneggiano all’odio razziale e addirittura locali che vietano l’ingresso a persone ebree. Persecuzioni razziali del ‘38? No, Europa del 2014. Già all’inizio di quest’anno si era assistito a molteplici manifestazioni di antisemitismo in concomitanza della Giornata della Memoria (dagli insulti verniciati sulle serrande dei commercianti ebrei, alle teste di maiale recapitate davanti al Tempio Maggiore), fino a raggiungere, ad oggi, livelli incomparabili dal dopoguerra. In altre parole, sembra che la situazione, oltre che a degenerare, stia diventando sempre più incontrollabile. A seguito dell’operazione militare israeliana “Margine protettivo”, l’Europa è diventata teatro di pregiudizio e intolleranza razziale. Sicuramente le manovre dell’esercito, da alcuni definite sproporzionate, hanno dato il via ad una propaganda anti-israeliana confusa e sfociata nell’antisemitismo. In realtà sarebbe più corretto sostenere che, proprio quest’antisemitismo, che non ha mai smesso di serpeggiare in Europa, si sia palesato camuffandosi subdolamente da antisionismo. Il primo paese ad aprire il sipario sulla scena di tali dimostrazioni è stata la Francia che, lo scorso 13 luglio ha assistito ad un vero e proprio assalto ad una sinagoga di Parigi, con tanto di ebreo accoltellato, a seguito di una manifestazione pro-palestinese che inneggiava testualmente “Juifs à la mort!”, “Morte agli ebrei!”. Il secondo grave scontro avvenuto nella capitale francese, si è verificato a meno di dieci giorni di distanza; centinaia di persone che hanno preso parte a un corteo, dopo aver incendiato alcune automobili alla periferia di Parigi si sono scontrate con le forze dell’ordine. In questo contesto è stato assalito nuovamente un tempio da alcuni facinorosi che hanno anche distrutto e incendiato le attività commerciali di alcuni ebrei. Successivamente a quanto accaduto, il ministro dell’Interno, Bernarde Cazeneuve, ha dichiarato che chiunque inneggi alla morte degli ebrei nel corso dei cortei a favore del popolo palestinese è accusabile penalmente. Altro attacco ad una sinagoga si è verificato in Germania, a Berlino, il 29 luglio. Senza recare feriti né danni alla struttura, la sinagoga è stata colpita da diverse molotov. Tale atto, accompagnato dalle minacce a diverse istituzioni ebraiche, tra cui quelle al rabbino di Francoforte, ha portato i membri delle comunità ebraiche della Germania a consigliare ai propri iscritti di non farsi identificare o riconoscere come ebrei in quanto potenziali bersagli per attentati. Anche l’Italia non ha tardato a tirar fuori il suo lato peggiore, a cominciare dallo striscione che riportava la scritta “Stop bombing Gaza, Israele assassini, free Palestine”, appeso ai cancelli della sinagoga di Vercelli, la notte del 18 luglio, impedendo l’indomani l’ingresso ai fedeli. Analogamente, a Livorno, durante una festa estiva, è stato appeso su un palazzo del centro cittadino, uno striscione che riportava la scritta “Fermare il genocidio a Gaza, Israele vero terrorista”. A poco sono servite l’indignazione della comunità ebraica locale e la lettera di protesta inviata dall’ambasciatore di Israele in Italia, Naor Gilon, tanto che, a quattordici giorni dall’affissione, lo striscione è rimasto a sventolare sul muro di quel palazzo. Ad aggiungersi a questi deplorevoli gesti sono state le dichiarazioni radiofoniche su Radio 24 dell’ex parlamentare europeo Gianni Vattimo, che dopo aver vomitato insulti e ingiurie su Israele, l’ha paragonata ad Hitler, se non peggio. A queste offese si sono sommate anche quelle di Lanfranco Lancione, ex consigliere di Rifondazione comunista a Teramo, che, sul suo profilo Facebook ha lanciato una proposta: “Riaprire i campi di sterminio, subito!” e, per rendere l’idea più chiara ha affiancato a quanto scritto la foto del cancello del campo di Aushwitz Birkenau. Come se tutto ciò non fosse abbastanza vergognoso per l’Italia, la mattina del 28 luglio, Roma si è svegliata con i muri tra Via Appia e Via Cola di Rienzo imbrattati di svastiche e scritte antisemite tra cui “ Giudei la vostra fine è vicina”. Le oltre settanta scritte sono state rimosse la mattina stessa. L’ultimo episodio di odio razziale e di antisemitismo conclamato risale ai giorni a cavallo tra luglio e agosto, in cui, durante il sermone recitato in un venerdì di preghiera davanti a centinaia di fedeli tra cui bambini, l’imam di San Donà di Piave, in Veneto, invoca Allah affinché uccida tutti gli ebrei “fino all’ultimo, senza risparmiare uno solo di loro”. L’appello è stato reso noto da una videoregistrazione postata sui siti di propaganda islamista e resa nota dal sito del Memri (Middle East Media Research Institute) al fine di far presente quanto accade in Italia in certi luoghi di culto islamici. Conseguenza di tali dichiarazione è stata l’espulsione dal territorio nazionale dell’imam da parte del Ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che ha ritenuto il comportamento del sacerdote islamico inaccettabile. Nel frattempo a Istanbul è stato attaccato il consolato israeliano da centinaia di manifestanti e ad Anversa un medico si è rifiutato di curare un’anziana signora perché ebrea. Tutti questi eventi sono stati accompagnati da richiami e da invocazioni, sempre più indegne, alla Shoà e alle campagne di boicottaggio contro Israele ormai attecchite in ogni paese. Sembrerebbe che all’Europa, la “Culla della civiltà”, di civile, sia rimasto ben poco. YAEL DI CONSIGLIO SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 Cronaca di un odio antiebraico riapparso in molte città europee 21 EUROPA Guerra a Gaza: ovvero il trionfo della disinformazione In un momento così drammatico per il destino di Israele, le critiche sproporzionate allo Stato ebraico e al suo diritto a difendersi, hanno un solo nome: antisemitismo SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 A 22 due mesi e più dall’Operazione “Tsuk Eitan”, o Margine di Sicurezza, abbiamo assistito, sui nostri media al solito carosello di appiattimenti sulle posizioni palestiniste più estreme, quelle di Hamas, in una guerra che anche un digiuno di storia mediorientale avrebbe capito chi a buona ragione si difendeva e chi invece attaccava. Non sto quindi a riassumere gli avvenimenti ai quali ho assistito essendo stato in Israele mentre accadevano. I lettori di Shalom li conoscono bene. Mi interessa invece capire come sia stato possibile leggere analisi, commenti e cronache partoriti dai tasti di giornalisti già ben conosciuti come nemici dello Stato ebraico, ma non fino a questi livelli. Era già difficile accettare l’equidistanza tra la democrazia israeliana e l’autoritario regime di Abu Mazen, ma in nome di un improbabile ravvedimento ce l’abbiamo sempre messa tutta per non togliergli quel minimo di credito indispensabile per averlo come partner nei cosiddetti colloqui da pace, ma mai avremmo immaginato di assistere alla più farabutta comprensione verso un movimento che persino la schieratissima Unione Europea e il più che sbilanciato Onu avevano classificato come terrorista. Eppure è quanto è avvenuto, anche se il biglietto da visita di questi signori e signore iniziava sempre con una condanna dell’antisemitismo, come se fosse ancora una moneta spendibile. Purtroppo dobbiamo ammetterlo, spendibile lo è ancora, di questo dobbiamo prendere atto. Israele può essere cancellato dalla faccia della terra, l’importante è inventare colpe che lo inchiodino sul banco degli accusati, menzogne dopo menzogne, basta ripeterle, ripeterle, come diceva Goebbels, uno che se ne intendeva, diventeranno verità. Ma c’è una novità, infilatasi in mezzo a “Tsuk Eitan”, che avrebbe dovuto far crollare il castello di bugie diffuse a piene pagine dai nostri media (non da tutti, s’intende, ci sono giornalisti ai quali stringere la mano per la correttezza dei loro servizi, ma la maggioranza, Tv e giornali, anche online, è rimasta quella di sempre, anzi, peggiorata). La novità è l’arrivo del califfato sulla scena mondiale del terrorismo, con stragi di cristiani che avrebbero dovuto far ricredere quanti l’avevano finora ignorato o sottovaluto. Quando nel lontano 1985 Bat Ye’or iniziò a scrivere con profonda conoscenza quella che era l’essenza stessa dell’islam, di tutto l’islam, facendoci conoscere parole quali eurabia, dhimmitudine, califfato, i cosiddetti esperti nostrani, tutti, fecero finta di niente, lo ignorarono, niente recensioni, anche se i suoi libri più importanti sono usciti in italiano. Ci sarà stata sicuramente dell’invidia, ma non solo, le idee di Bat Ye’or non vennero giudicate credibili, per cui i suoi libri non meritavano neppure di essere criticati. Andavano ignorati e basta. Eppure contenevano, raccontata nei particolari, l’avanzata del califfato, e con esso il destino dell’Europa prossima alla islamizzazione. Tutto si sta puntualmente verificando, adesso gli esperti del giorno dopo tessono inutili analisi dell’Isil, il nome dell’esercito terrorista che è riuscito persino a impaurire quell’addormentato di Obama grazie ai massacri di cristiani, oltre che di musulmani, compiuti senza alcuna intenzione di nasconderli, lo dicono apertamente, nessun piede non islamico deve camminare sulle terre dell’islam. Di israeliani non sono ancora riusciti a farne fuori nessuno, ma il merito non è loro, è di Israele che saprebbe difendersi, non certo a colpi di comunicati o invocazioni alla pace. Nel loro mirino c’è Israele, ci sono gli ebrei, anche se la manodopera di cui si servono per raggiungere il loro obiettivo spazia un po’ ovunque, convertiti europei all’islam, musulmani che non aspettano altro che il martirio, imam che invitano ad uccidere gli ebrei, come è successo in Veneto, estremisti della destra neo-nazi che invitano, per ora è ancora solo un invito, a non comprare nei negozi degli ebrei, come è successo a Roma, ma l’obiettivo è una nuova notte dei cristalli. “Kauf nicht bei Juden”, chi avrebbe mai immaginato che l’orrenda scritta sarebbe riapparsa di nuovo? Eppure è successo, sta succedendo. Mentre gli organi stampa più prestigiosi, come Le Monde, scrivono che “la tregua Israelo-palestinese regge malgrado le violazioni da entrambe le parti”, riportando le richieste di Hamas ma non le motivazioni di Israele che le rifiuta, i morti sono stati 2000 fra i palestinesi, facendoli apparire tutti come civili, e solo 67, tra i quali 64 soldati, fra gli israeliani, ecco la dimostrazione della mancanza di proporzionalità che dovrebbe condurre Israele sul banco del tribunale internazionale, e poi il fotografo italiano ucciso dallo scoppio di un missile israeliano, senza dire che lo stavano disinnescando senza prendere nessuna precauzione, tutte queste perle di disinformazione le ho prese da Le Monde del 15 agosto a pag.3, ma le abbiamo lette tali e quali su molte testate italiane. Perché allora stupirsi se Israele, dico Israele, non i falchi, che pure ci saranno, ma la maggioranze dei cittadini che si avvicina quasi al 90% è d’accordo su come il governo ha gestito Tsuk Eitan? Perché è così che funziona una democrazia, ma ai nostri esperti del giorno dopo questo non basta, Israele deve avere torto comunque. Guai se li chiamiamo antisemiti, si offendono, querelano, respingono al mittente l’accusa, mentre dovrebbero solo prenderne atto e gettare finalmente la maschera. Gli ebrei vi sono sempre stati sui cosiddetti, e adesso potete scriverlo convinti di farla franca. Certo, qualche ebreo vi può anche piacere, quelli che sanno stare al loro posto, quelli fiduciosi che l’Europa e l’America non permetteranno più bla, bla bla… quelli vanno bene, criticano Israele mentre è in guerra, suscitando persino i rimproveri di A.B.Yehoshua e Amos Oz, ma non ci fanno caso, il repertorio dei pacifisti israeliani, come in tutte le democrazie che si rispettano, è lì pronto per essere sfogliato, di altri nomi se ne trovano sempre. Intanto cominciamo noi a non concedergli più nessun alibi. Se non stai con Israele e il suo diritto a difendersi sei un antisemita. Basta con gli sconti, la stagione è finita, torna il prezzo pieno. ANGELO PEZZANA Agosto 2014: ci ricorderemo di un silenzio assordante D G R D W O G S T H F A T T I CORSI DEL PITIGLIANI 5775 T G J H C A O V D D U P A M F A Z F C S Z R F F F L F D H D R N B V S S E J M H F H J D X T R O E A L U X Y E J K G R O E C S X D E T S U L S L P L G E F T E R A M E S E B R A I C O P N Y G S R E T I A B L A E A K Q C C S O T V A N O N T G R E M U T U U B P O S T U R A L E A E K S D T W D O T F I D G D I A D F H F Q U P G S A J B N S I nostri insegnanti: B. Carucci Viterbi, I. Habib, E. Meghnagi, G. Ciccarone, A. Goldman, A. Tedeschi, C. Terracina Via Arco de’ Tolomei, 1 - 00153 Roma • tel./fax 065897756 065898061 - [email protected] - www.pitigliani.it di 4 anni perché non sono bastati 15 secondi per portare i suoi fratelli e lui nel rifugio. Il silenzio nasce da tanti diversi fattori e gioca su molte componenti, nasce dalla mancanza di solidarietà o addirittura dalla cecità di persone con cui si sono condivise parti di vita e che non riescono a decidere di vedere, perché per vedere c’è bisogno anche di mettere in discussione il proprio pensiero e smuovere le montagne alcune volte può sembrare meno faticoso. Il silenzio di chi non ha più parole perché la Storia dovrebbe avere insegnato a tutti che il razzismo e le sue perversioni non colpiscono solo da un lato, ma si abbattono a 360°, dobbiamo forse ricordare tutti i giorni che nei campi di concentramento i colori della discriminazione erano anche altri oltre il giallo. L’estate ha mandato in ferie lo sdegno l’indignazione la possibilità di lanciare una dimostrazione incisiva di cosa pensi l’Europa su quello che accade oltre il Mediterraneo, e non solo nella striscia di Gaza. Non c’è stato il silenzio della riflessione e questo mi fa paura. Quando il 30 agosto ci sarà il nuovo vertice UE verranno nominati i ministri europei uomini e donne di cui ignoriamo i programmi. Di nuovo silenzio. La politica è una cosa troppo importante per poter consentire che venga svolta senza coinvolgere i cittadini, il timore è che tagliare il silenzio possa essere pericoloso. Per chi? Perché? Domande dalle risposte troppo articolate o responsabilità che non si vogliono assumere? La definizione perfetta della situazione attuale che ha dato Papa Francesco è straziante: siamo di fronte alla terza guerra mondiale a puntate, e fra una puntata e l’altra sembra che vada in onda solo la pubblicità. La nostra piccola comunità è stata capace di essere vicina ad Israele nei giorni più difficili, come nella quotidianità, condividendo anche la terribile trasformazione della quotidianità dei nostri fratelli, per cui se in un giorno cadono solo dieci missili è andata bene, ma in tutti noi c’è la coscienza che non è così. Ognuno ha cercato di dimostrare l’essenza stessa della propria identità ebraica nelle maniere più diverse ma tutte ugualmente valide ed efficaci, ma tutti abbiamo percepito il silenzio di una grossa parte della classe politica di questo paese e la difficoltà dei suoi pronunciamenti a favore di Israele. Del resto dov’è il problema, Hamas lancia i missili, ma Iron Dome li distrugge, quindi non si capisce il motivo di tutto questo rumore. Certo dobbiamo lasciare tutti in pace, in silenzio, ma noi che amiamo i nostri figli sappiamo che la vita spezza il silenzio. CLELIA PIPERNO SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 Q uando nei prossimi giorni dovessi cercare la cifra di questa estate 2014, la troverei nel silenzio. Il silenzio della trepidazione intorno a ciascuno prima delle telefonate o dei collegamenti skype con Israele durante il conflitto, il silenzio del dolore dei familiari per i figli che non torneranno, il silenzio assordante dei politici che difficilmente decidono di prendere posizioni su un terreno come quello del conflitto in Medio Oriente, sui tunnel, che ancora oggi qualcuno pensa siano fuori dai luoghi abitati. Il silenzio sulle diverse ONG che decidono di supportare i terroristi nascondendo le loro armi negli strumenti di pace e dialogo di prima linea come dovrebbero essere le scuole. Il silenzio sulle donne vendute per 12 dollari a Mosul. Il silenzio come risposta ad una situazione geopoliticamente molto complessa e con interessi talmente confliggenti tra di loro da risultare difficili da spiegare anche per gli esperti. Il silenzio nel cuore di una madre cui è stato strappato un figlio 23 ITALIA Un cinguettio minaccioso Analisi statistica della parola “ebreo” su Twitter nei giorni della guerra P SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 oche, pochissime soprese e tante, tantissime conferme a quanto da tempo si andava ripetendo. Agli italiani l’ebreo sembra proprio non piacere e, se proprio si deve, piace quando prende le distanze dai trend dominanti all’interno delle nostre comunità, oppure quando chiede perdono, oppure quando si presta come oggetto di scherno in qualche battuta o barzelletta di terz’ordine. Questa, in estrema sintesi, il risultato dell’analisi dei tweet contenente i termini “ebreo” o “ebrei” condotta dalla Quality & Managemente Engineering nel corso del mese di luglio-agosto Limitandoci al solo mondo di Twitter, nei giorni normali il numero complessivo dei tweet contenenti uno dei due termini ebreo o ebrei si attesta intorno ai 30-40 messaggi con contenuti sostanzialmente eterogenei. Di norma c’è un po’ di politica e un po’ di storia che vanno ad affiancarsi a cultura e religione. È bastato il solo avvio dell’operazione Protective Edge da parte di Israele per veder letteralmente schizzare il numero di messaggini di massimo 140 caratteri su medie giornaliere superiori di almeno 15-20 volte. E la stessa misura si è osservata sugli altri ambienti social, primo tra tutti Facebook. La percezione era quella di una netta 24 radicalizzazione dei contenuti dei messaggi ma per poterne avere conferma e valutarne la portata era necessario approfondire. Di qui l’idea di applicare le stesse nostre metodologie di analisi che tradizionalmente utilizziamo per valutare il gradimento di imprese e prodotti con lo scopo di capire non solo il sentimento prevalente degli italiani su ebrei e mondo ebraico ma anche per valutare principali contenuti e modalità delle discussioni. L’esame condotto dalla Quality & Mangement Engineering si è sostanziato nell’analisi e classificazione rigorosa dei quasi 4000 messaggi (in gergo tweets o “cinguettii”) transitati nella settimana tra l’8 ed il 15 luglio, successivamente ripetuta secondo un analogo protocollo sugli oltre 3000 messaggi scambiati in quella compresa tra il 28 luglio ed il 3 agosto ed ha evidenziato in entrambe i casi un “sentiment” nei confronti del mondo ebraico nettamente negativo. In corrispondenza della prima settimana analizzata i messaggi di tenore negativo o molto negativo si sono attestati su oltre il 65% e bilanciati in misura contenuta dal 23% di tweets contenenti attestazioni positive o molto positive per il mondo ebraico. Per memoria si ricorda che la settimana fosse stata caratterizzata non solo dal fitto lancio di missili su tutta Israele e dalle operazioni mirate alla distruzione dei tunnel scavati da Hamas ma anche dallo svolgimento di semifinali e finali dei mondiali di calcio. E con una Germania in grande spolvero l’occasione è stata ghiotta per qualcuno per tirare fuori dal cassetto barzellette di pessimo gusto ed antichi stereotipi. Sentimento a parte, ciò che ci ha realmente colpito nei tweet di questa prima settimana è stata l’enfasi attribuita dagli utenti di Twitter alle prese di distanza quali quelle di Moni Ovadia o di Gad Lerner, subito assunti dalla rete quale simbolo dell’ebreo che piace da contrapporre a quello che governa il mondo e che si vorrebbe animato da sensi di vendetta per bilanciare il torto dello sterminio subito per mano nazista. Non è un caso riscontrare in questa settimana l’uso distorto della memoria di Primo Levi. Nel contempo non ci aspettavamo nel 2014 di dover essere ancora protagonisti di barzellette stupide e abominevoli che, invece, abbiamo trovato non solo citate ma persino ripetutamente ritwittate. Almeno in termini di “sentiment” i risultati della prima rilevazione hanno trovato conferma anche a distanza di due settimane nonostante il meritorio sforzo intrapreso dal Progetto Dreyfus per riportare i termini del confronto entro confini di correttezza e veridicità. Va ricordato che proprio nel corso di questa seconda settimana si sono verificati i primi segnali di minaccia testimoniati dalla comparsa di svastiche e scritte su serrande di negozi. Rispetto alla rilevazione di due settimane prima, nonostante una diminuzione di circa il 25% dei tweet, quelli contenenti minacce sono risultati addirittura triplicati. E ci ha lasciato esterrefatti vedere ancora alcuni utenti utilizzare Internet come uno spazio al di fuori delle regole in cui poter dare libero sfogo a qualsivoglia idea, anche quando in aperta contraddizione rispetto al codice penale. In analisi di questo genere è importante il confronto tra più ambienti social e la ripetizione delle valutazioni dopo un certo margine di tempo. Contano infatti sia i valori assoluti dei risultati ma anche, e soprattutto, le differenze. Il mondo di Facebook poco si presta per analisi di questo tipo. La sostanziale assenza di vincoli per i messaggi Facebook consente di poter affermare tutto ed il contrario di tutto all’interno di un medesimo post. Di converso, la possibilità di poter replicare virtualmente a tutti nel rispetto del vincolo dei 140 caratteri spinge l’utente Twitter a esprimere in maniera più netta il proprio umore, senza alchimie. ROBERTO E BRUNO DI GIOACCHINO CATENA DI COLLEGAMENTO If I were a rich man, Ya ha deedle deedle, bubba bubba deedle deedle dum. È l'inizio della concatenazione di pensieri di Topol, il celebre violinista sul tetto. Cosa si potrebbe fare avendo una somma a disposizione, un pò per sé, ma anche per gli altri? Agli ebrei da sempre non manca la fantasia, l'altruismo, e la volontà storica di lasciare una traccia del proprio passaggio su questa terra. Questo è anche lo spirito del Keren Hayesod, i cui progetti di Lasciti, Donazioni e Fondi nascono per dare pieno valore alle storie personali e collettive. Sostenendo tra l’altro progetti per Anziani e sopravvissuti alla Shoah, Sostegno negli ospedali, Sviluppo di energie alternative,Futuro dei giovani, Sicurezza e soccorso, e Restauro del patrimonio nazionale. Tu con il Keren Hayesod protagonisti di una storia millenaria Giliana Ruth Malki - Cell. 335 59 00891 Responsabile della Divisione Testamenti Lasciti e Fondi del Keren Hayesod Italia vi potrà dare maggiori informazioni in assoluta riservatezza KEREN HAYESOD Milano, Corso Vercelli, 9 - Tel. 02.4802 1691/1027 Roma, C.so Vittorio Emanuele 173, - Tel. 06.6868564 Napoli, Via Cappella Vecchia 31 - Tel. 081.7643480 [email protected] ISRAELE Le lacrime di Shimon, il ‘pacifista’ SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 G 26 Peres è stato l’interprete di una rivoluzione del pensiero e di una visione del futuro profondamente ottimista nei rapporti con il mondo arabo li ultimi giorni della sua presidenza, Ahimon Peres li ha trascorsi visitando le famiglie dei caduti, abbracciando le madri dei soldati, partecipando personalmente al lutto, seduto accanto ai genitori, in stanze “disadorne”, come prescrive il rituale ebraico della Shibbah. In un paese dove ogni persona che abbia un minimo di dignità, anche se critico, o contrario, alla politica del governo, compie il servizio militare, e oltre i quaranta è richiamato per quaranta giorni a compiere il suo dovere, i soldati sono i figli più cari, spesso i migliori, che compiono il loro dovere anche quando potrebbero evitarlo, sacrificando la loro vita per gli altri. A differenza che in molti altri Stati, anche democratici, in Israele non si finisce di fronte a una corte marziale, per non avere indossato la divisa. La possibilità di evitare il servizio militare, è molto ampia. Al punto che di recente si è posto il problema di come introdurre degli obblighi, anche per chi in nome di ragioni di ordine religioso, fruisce di un privilegio che lascia ad altri il sacrificio più grande. Visitare le famiglie dei caduti non è solo un atto politico. È un atto morale dovuto, frutto di un sentire comune, in un paese tragico dove i genitori convivono con l’angoscia di dover essere loro a dare sepoltura ai figli e non viceversa, come dovrebbe essere invece in un mondo normale. Il segreto dell’amore che i genitori hanno per i figli in Israele, della loro dedizione assoluta ha come sfondo questo spaventoso pensiero. In Israele i bambini hanno tutto dai loro genitori. C’è qualcosa di commovente nel modo in cui le madri e i padri si svenano per i bisogni dei loro figli. Sanno che dopo quella breve parentesi, i figli dovranno indossare la divisa rischiando la morte per salvare la vita dei loro genitori e garantire che la zolla di terra strappata al deserto non ridiventerà tale. Il gesto di Peres che abbraccia una madre in pianto e piange con lei per il figlio caERRATA CORRIGE L’inchiesta sull’influenza della cultura ebraica nella musica contemporanea, pubblicata lo scorso numero, è stata redatta con l’aiuto insostituibile di Miriam Brindisi. Per un errore il suo nome era stato omesso. Ce ne scusiamo con l’autrice. duto, non ha nulla di retorico. E’ anche il pianto di “un nonno” della nazione, piegato come noi tutti dal dolore, che vede allontanarsi l’idea in cui ha maggiormente creduto e per cui lottato negli ultimi tre decenni, aprendo un varco nel cuore della nazione araba in nome di una visione del futuro improntata al riconoscimento reciproco, alla composizione dei conflitti e alla elaborazione del dolore e dei lutti. Ideatore degli accordi di Oslo, tragicamente falliti, Peres non è di certo un politico ingenuo. È anche colui, che più di ogni altro, ha fatto per lo sviluppo dell’industria israeliana degli armamenti e per la creazione del reattore nucleare di Dimona. All’Università Luiss, dove negli anni Novanta, gli fu consegnata la laurea honoris causa, invece di diffondersi sulle ragioni storiche del conflitto mediorientale e sul processo di pace allora in atto, preferì paradossalmente parlare di rivoluzione informatica e di bit d’informazione. Aprendo il suo intervento con un riferimento a Freud, si dilungò su temi apparentemente estranei al suo ruolo politico e alle ragioni per cui era stato premiato. Con l’animo rivolto agli scenari nuovi che si erano aperti con la globalizzazione e alle nuove sfide che ponevano al mondo intero e al futuro di Israele, concentrò il suo intervento su una grande rivoluzione tecnologica. Per quanto importante la profondità di un territorio, non era più sufficiente a garantire la sicurezza del paese. Peres non lo disse in modo esplicito, ma il senso di quelle parole era chiaro, anche se in molti non capirono e focalizzarono poi la loro critica in privato al fatto che in Israele la profondità si riduceva, come in un’antica canzone degli ebrei di Libia, a “un fazzoletto di terra”. Un po’ come se i confini della Francia all’epoca della Grande guerra passassero per il quartiere latino e quelli dell’Italia nella guerra con l’Austria per il quartiere di Trastevere. Per chi sapesse leggere tra le parole il messaggio era chiaro. Tanto se si pensa agli scud irakeni, piovuti sul territorio israeliano in una guerra in cui gli israeliani, per “non mettere in crisi” la coalizione internazionale di stati per la liberazione del Kuwait, erano obbligati a subire gli attacchi contro le loro città, senza poter rispondere. I missili furono “pochi”, i danni “limitati” e la minaccia delle tesate chimiche, con le immagini delle case con una stanza ermeticamente chiusa, che facevano il giro del mondo, “rimase” per fortuna solo una minaccia. Ma il trauma fu grande. Per la prima volta, dalla guerra del ’48-49, quando gli eserciti arabi invasero il territorio israeliano per gettare a mare i suoi abitanti, gli israeliani sperimentavano un pericolo nuovo, legato allo sviluppo delle nuove tecnologie, che in un futuro prossimo avrebbe obbligato gli israeliani a ripensare la difesa militare del paese, nei suoi rapporti con la politica, con l’etica, con la cultura e con l’uso del diritto nell’arena internazionale. Per chi avesse saputo leggere il senso di quell’intervento era chiaro. Era il richiamo implicito alla necessità di una rivoluzione nel pensiero. Nella dottrina militare israeliana l’idea cardine era di impedire a qualunque costo al nemico di portare la guerra dentro confini di Israele. Israele è uno stato piccolo, dove i confini passano per la capitale. Israele non ha un fiume o un mare che separi. Non ci sono montagne in cui rifugiarsi. Dal Golan e dal Giordano si plana rapidamente sino ai luoghi più bassi del pianeta. Una situazione al limite dell’impossibile, che non poteva in nessun modo essere trascurata, indipendentemente dall’esito di accordi, condannati in partenza per il fatto che le decisioni più importanti erano state rimandate a un futuro incerto, legate ai progressi dell’intero processo. Come poi è tragicamente accaduto, con i sanguinosi attentati contro i civili e gli autobus che saltavano per aria. Rappresentante di una generazione che ha contribuito in modo decisivo alla nascita dello Stato, Peres incarna col pensiero e con l’azione una complessità irrisolta che nonostante le impossibilità cumulative, cui è andata incontro la società israeliana, non colpa” in più. Poco importa se Hamas usa in modo programmatico i civili palestinesi come scudi umani, minaccia e scheda i giornalisti che non si adeguano ad una falsa narrazione degli eventi bellici e nel suo statuto dichiaratamente antisemita, afferma che l’obiettivo è la distruzione di Israele. Nella tragica conta dei morti, abilmente manipolata da una stampa compiacente, le vittime di ieri, diventano i “carnefici” di oggi. La falsa equazione delle vittime che si trasformano in “carnefici” non è solo un’infame menzogna. Esprime in realtà un desiderio degli antisemiti europei e islamici. Se Israele fosse colpevole, come viene fol- lemente e falsamente descritto dalla nuova accusa antisemita, i conti col passato sarebbero per tutti “pareggiati”. In questa logica, le colpe del passato non sono più tali. “Confessando” le colpe del passato, presentandosi come schierati dalla parte dei più “deboli”, gli europei sarebbero “liberati” delle colpe passate per il genocidio e per il colonialismo. La falsa rappresentazione di Israele come Stato occidentale ed europeo, mediante il quale l’Europa ha scaricato su altri le proprie colpe, è un tassello importante di questa costruzione. Israele diventa il capro espiatorio di tutto ciò che non funziona nei rapporti tra le due sponde del Mediterraneo. In realtà israeliani e palestinesi hanno terribilmente bisogno l’uno dell’altro per costruire un futuro diverso per i figli. Non perdere questa capacità di visione del futuro è per Israele essenziale per aprirsi un varco nel cuore della nazione araba. Per giungere alla pace non basta purtroppo avere siglato accordi che definiscano i confini presenti e futuri. Ci vuole una visione condivisa del presente e del futuro che faccia da sfondo per il recupero del passato. Altrimenti l’accordo rischia di essere solo una hudna coranica, una “tregua” per attaccare poi da posizioni più vantaggiose, come teorizzò Arafat all’indomani della firma di Oslo in una moschea a Sidney. Per utilizzare un’immagine di Amos Oz, israeliani e palestinesi sono condannati come divorziati a dividersi i pochi spazi a disposizione. Tocca alla cultura preparare il terreno, ma è la politica a doverne fissare i termini. Quanto allo Shalom biblico, cui aneliamo, è un’altra cosa. Non appartiene alla politica. E’ in primo luogo una categoria interiore dello spirito, qualcosa che ha a che vedere con l’utopia messianica e non con la realtà della storia e della politica. DAVID MEGHNAGI SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 ha mai cessato di interrogarsi su un futuro possibile misurandosi con le sfide più difficili. Il “pacifismo” di Peres è la ricerca di un compromesso politico sostenibile, che apra orizzonti nuovi in un’area del mondo segnata da un secolo di guerre. Dove tutti i problemi lasciati aperti dalla Prima guerra sono rimasti aperti: la questione dell’acqua e dei rapporti fra popoli e culture religiose, la questione dei kurdi sparpagliati in quattro diversi stati, il conflitto storico fra sunniti e sciiti, la tutela delle minoranze religiose, il problema dell’uguaglianza tra persone di fedi diverse. Per non parlare degli assetti di potere autoritari e che oggi esplodono spaventosamente. Molto più di quanto Peres immaginasse allora, nel suo intervento alla Luiss, occorreva allora come oggi, una rivoluzione del pensiero che assumesse in pieno le sfide del futuro sul piano culturale, politico e diremmo oggi giuridico, e non solo militare. In molti, guardarono illusoriamente al ritiro israeliano dal Libano, come al ritorno di una condizione che avrebbe restituito a Israele un diritto pienamente riconosciuto di reagire in caso di attacco. Le cose si sono poi rivelate molto più complesse e difficili. Nonostante il diritto a reagire, nello scontro con Hizbullah prima, e con Hamas oggi, gli israeliani si sono ritrovati sul banco degli accusati, nonostante abbiano fatto di tutto per evitare di colpire i civili utilizzati programmaticamente come scudi. Il fatto che Israele riesca a impedire la strage dei suoi cittadini diventa perversamente “una 27 ISRAELE La cultura è il vero biglietto da visita di Israele Lo spiega Ofra Farhi, che dopo cinque anni di grande impegno, termina il suo mandato diplomatico presso l’Ambasciata israeliana a Roma “N SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 on chiediamo alla gente di venire da noi, ma andiamo noi dalla gente”. Con queste parole Ofra Farhi ha descritto il lavoro svolto nel corso del suo mandato di addetta culturale presso l’Ambasciata d’Israele in Italia, in scadenza proprio in questo mese di settembre. Giunta a Roma alla fine del 2009, ha basato il suo lavoro sulla ricerca di relazioni stabili con istituzioni ed enti italiani, al fine di far comprendere le risorse culturali di cui dispone Israele. “Avrei potuto organizzare eventi tramite l’Ambasciata”, ha dichiarato intervistata da Shalom, “ma sarebbero rimaste iniziative isolate, senza continuità, senza un seguito. I miei sforzi sono stati investiti nel creare rapporti duraturi con direttori artistici, organizzatori e curatori di mostre”. Un lavoro intenso, finalizzato a dare risultati nel lungo periodo. La diffusione in Italia della cultura israeliana in ogni sua forma è però la dimostrazione di come sia stato un percorso vincente. La strategia di Farhi è partita dalla necessità di far conoscere e apprezzare lo Stato di Israele: da qui l’organizzazione di viaggi in Israele per direttori di musei e organizzatori di eventi, dove è nata una curiosità presto trasformatasi in interesse concreto. Per scegliere su quali ambiti investire maggiormente, Ofra Farhi ha varato una duplice impostazione: da un lato sono state proposte quelle discipline dove gli israeliani eccellono, come la dan- 28 za contemporanea o la musica classica e il jazz; dall’altro lato, sono stati consolidati quei campi di cui le abilità israeliani erano già note, come la letteratura. Le iniziative si sono così via via moltiplicate. Ballerini e coreografi israeliani hanno presto conquistato la scena, dal festival Romaeuropa a Torinodanza, che ha già accordi per la partecipazione di artisti israeliani nei prossimi anni. Le tre grandi compagnie, Batsheva, Kibbutzit e Vertigo hanno così affascinato anche il pubblico italiano. Un’altra sfida vinta è stata nell’arte contemporanea. La collaborazione con curatori molto interessati ha portato a risultati importanti. Uno degli esempi di cui Ofra può dirsi orgogliosa è il rapporto instaurato con la Galleria Marie-Laure Fleisch, dove nell’anno 2012 sono state ospitate ben 4 mostre di 7 artisti israeliani, poi raccolte in un catalogo oggi disponibile al Macro, il Museo di Arte Contemporanea di Roma. Ma non è stato questo l’unico successo: basti pensare alla mostra di gennaio 2013 di altri 24 artisti israeliani, tenutasi proprio al Macro, o alla recente esposizione che ha raccolto le opere di Tsibi Geva, invitato anche alla prossima biennale di Venezia. Un settore che in Italia non aveva bisogno di presentazioni era la letteratura: “I libri di Oz, Grossman e Yehoshua sono sempre tradotti in italiano e sono presenti ad ogni festival di letteratura in Italia”, ha ricordato Farhi. In questo campo si è proposta così una sfida diversa, quella di promuovere scrittori meno famosi, giovani e donne: da qui la scelta di puntare su autori come Lizzie Doron o Etgar Keret, oggi noti al grande pubblico. Dal Festival di Venezia all’Isola del cinema, passando per il Pitigliani Kolnoa Festival, anche il cinema israeliano è stato protagonista in Italia. Senza dimenticare la musica: oggi cantanti come Asaf Avidan, Noa, Sarit Hadad o Idan Raichel sono estremamente popolari, ma il contributo israeliano è visibile in molti generi, come dimostra ad esempio il jazzista Daniel Zamir. Far conoscere Israele in ogni sua sfaccettatura è un modo alternativo di fare diplomazia: chi conosce la cultura israeliana sa che la realtà è più ampia e più complessa di quanto passa attraverso i tradizionali mezzi di comunicazione. È un lavoro continuo, una coltivazione profonda per far conoscere un mondo poco noto a cui la gente spesso non è abituata. “Israele si trova continuamente ad affrontare sfide”, conclude Farhi “e da queste sfide nascono invenzioni”. La cultura fa parte della vitalità di Israele: non si può scindere dalla vita quotidiana e rappresenta uno dei migliori strumenti per promuovere l’immagine dello Stato ebraico all’estero. D. T. Nella foto in basso, da sin: Tsibi Geva e Ofra Farhi Cambio alla guida dell’Ufficio Nazionale del Turismo israeliano Dopo nove anni Tzvi Lotan lascia l’incarico. Gli succede Avital Kotzer Adari D al prossimo mese di agosto, l’ufficio nazionale israeliano del turismo in Italia avrà un nuovo Direttore: Avital Kotzer Adari, giovane ma già esperta di Italia e di turismo. Avital raccoglie l’eredità di Tzvi Lotan, predecessore illustre per il complesso lavoro svolto e per gli ottimi risultati ottenuti. L’avvicendamento è stato presentato ufficialmente sulla terrazza di un hotel del centro di Roma, in cui Lotan si è congedato da amici e colleghi avuti in questi anni di Italia e Kotzer è stata presentata ad operatori e media. “Sono un israeliano nato a Buenos Aires e vissuto in Italia”, ha affermato Lotan nel suo discorso: nove sono stati infatti gli anni passati nel nostro Paese, dal 2000 al 2004 e poi di nuovo dal 2009. Sfide non semplici quelle che ha affrontato: il turismo in Israele allo scoppio della seconda Intifada, infatti, era stato messo a dura prova; il 28 agosto 2000, quando iniziò il suo primo mandato, pochi mesi dopo la prima visita “reale” di un Papa in Israele si poteva contare su dodici voli settimanali di pellegrini diretti in Israele. L’Intifada, iniziata alla fine di settembre, rese la sua strada una salita faticosa, ma i 175mila italiani che nel 2013 hanno visitato lo Stato ebraico rappresentano oggi la sua rivincita. La Kotzer promette di seguire il percorso già avviato da Lotan: inizialmente l’obiettivo sarà quello di un incremento di circa il 5%, dedicandosi alla conoscenza dei meccanismi specifici del settore; per il 2015 sono previsti i progetti più ambiziosi, con l’auspicio di raggiungere i 200mila visitatori. La nuova direttrice dell’Ente si presenta con una preparazione particolarmente valida: è reduce dal corso di formazione per i Cadetti organizzato dal ministero del Turismo israeliano, presso il quale ha anche lavorato per due anni come diretta assistente del direttore generale; all’interno del dipartimento di marketing, nella divisione esteri dello stesso ministero, è stata anche responsabile del desk Europa Occidentale. L’esperienza non le manca, così come è forte già di un’ottima conoscenza dell’Italia e dell’italiano, grazie ai sei anni trascorsi qua. “Sono arrivata nel 2004”, racconta a Shalom “e per sei anni ho lavorato nell’ente del Turismo a Milano, dove è nata la passione per il turismo. Di questo Paese mi sono innamorata dal primo momento in cui sono arrivata: la gente, il cibo, la cultura, l’architettura. Per me è una seconda casa”. Avital è pronta a rimboccarsi le maniche: “devo studiare la materia perché il mercato è cambiato in questi anni”, continua nella sua intervista, “poi il mio sogno è portare più italiani in Israele e ciò è possibile. Ognuno può trovare qualcosa in Israele: il mercato già offre tanto, spero che troveremo anche nuovi aspetti di Israele poco noti in Italia, in grado di attirare ancor più turisti, puntando soprattutto ai giovani”. Non resta quindi che fare i migliori auguri ad Avital Kotzer per questa sua nuova avventura. DANIELE TOSCANO El Al vi augura Buon Anno, ricco di amore e prosperità www.elal.com El Al vi invita a volare in Israele a partire da € 280* fino al 10 ottobre 2014 Info presso agenzia di viaggi, uffici El Al di Roma 06-42020310 e Milano 02-72000212 o sul sito www.elal.com *Le tariffe, soggette a specifiche restrizioni e a posti limitati, sono comprensive di tasse aeroportuali e supplemento carburante (entrambi soggetti a variazione) diritti di emissione non inclusi. SEGUICI SU SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 È PIÙ DI UNA COMPAGNIA AEREA, È ISRAELE 29 ISRAELE Vivere a 15 secondi da Gaza L’esperienza degli israeliani che vivono a ridosso del confine con la Striscia U na giornata nel Sud di Israele, nei pressi del confine con la Striscia di Gaza e con l’Egitto, per comprendere le sfide che quotidianamente, tanto in tempo di guerra quanto in pace, gli abitanti di queste zone si trovano a fronteggiare. È stata una delle iniziative del Jewish Media Summit, proposte dagli organizzatori in collaborazione con il KKL, ai giornalisti presenti, provenienti da venticinque Paesi diversi. “Hamas è un’organizzazione terrorista che controlla le vite di quasi due milioni di persone residenti nella Striscia di Gaza”, ha spiegato ai giornalisti un ufficiale dell’Israel Defense Force mostrando il confine. Per Israele questa situazione genera tensioni continue, visto che chi vive in queste aree non può condurre una vita normale. Ciononostante, il governo israeliano si impegna a sostenere la popolazione della Striscia: il 60% dell’elettricità e oltre la metà dell’acqua provengono proprio da Israele, oltre ai medicinali e agli aiuti umanitari. C’è infatti una netta distinzione masa.pdf 15/11/2013 16:24:44 tra la 1popolazione palestinese e Hamas: quest’ultimo è il vero nemico, un’organizzazione terrorista che ha legami con l’Iran, con Hezbollah e con altri movimenti jihadisti. masa.pdf 1estremamente 14/11/2013 11:15:53 critiche in cui si trova a vivere la Le condizioni popolazione nella parte meridionale di Israele sono state espo- ste anche nelle tappe successive. La scuola di Shaar Hanegev si trova a meno di dieci km dal centro di Gaza. In caso di allarme, in 15 secondi bisogna correre nei rifugi. Nel descrivere al pubblico le difficili condizioni in cui conduce il suo lavoro, una delle insegnanti afferma con orgoglio che i ragazzi pensano anche ai loro coetanei palestinesi, per i quali molti studenti israeliani si sono detti preoccupati e dispiaciuti. È Irit Tarasula, una ragazza di appena 16 anni, a spiegare a Shalom la quotidianità di questi ragazzi: “Abbiamo paura ogni volta che suona l’allarme e siamo costretti a correre nei rifugi. È terrificante. Appena si verifica, bisogna saltare di corsa in un luogo sicuro. La nostra scuola per fortuna è protetta con i suoi rifugi. Tuttavia, questa situazione può danneggiare il nostro studio: nonostante le precauzioni della nostra scuola, non è semplice portare avanti i propri progetti col rischio di dover fuggire da un momento all’altro”. Irit vive in un moshav a venti minuti dalla scuola, anche qui con le sirene che suonano in continuazione. La parte più pericolosa della vita di Irit è però quando compie il tragitto tra i due luoghi principali, sul bus, dove la possibilità di ripararsi dagli attacchi si riduce. Avvicinandosi al confine con la Striscia, si giunge nei nuovi sviluppi residenziali dove si sono stabiliti gli abitanti di Gush Katif, l’insediamento più a Sud nella Striscia di Gaza prima del ritiro ordinato da Sharon nel 2005. Qui racconta la sua storia il rabbino Eli Adler, nel 2005 costretto ad abbandonare la sua casa ad Atzmona: “un’esperienza traumatica: noi diventammo una comunità senza casa”. Tuttavia, Adler e gli altri hanno continuato a credere nel loro sogno, fondando nuovamente la comunità qui nel Negev e affrontando la sfida del clima e i rischi connessi al tema della sicurezza. “Una decisione non semplice”, ha spiegato a Shalom, “ma che alla fine si è rivelata un miracolo” visto che, nonostante le numerose difficoltà, la vita della comunità si svolge regolarmente. Anche nel Sud di Israele vi sono attività economiche, culturali, agricole. Ma con una difficoltà in più, visto che dal 2007 vi è la costante minaccia dei missili di Hamas: una giornata in questi luoghi può aiutare a far capire come vive, lavora e studia la popolazione stanziata in quest’area. D. T. C SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 M Y CM MY CY CMY K 30 Il tuo futuro è qui. Oltre 250 programmi in Israele per i giovani ebrei fra i 18 e i 30 anni Contatti: Gilad Peled 349 251 6993 [email protected] www.masaitalia.org Masa Israele è un progetto del governo Israeliano e dell’Agenzia Ebraica ed é reso possibile grazie al generoso cotributo del Keren Hayesod Israeliani all’estero, comportatevi bene! ‘Shagririm shel ratzon tov’ è una associazione che insegna ai turisti che la responsabilità personale è anche collettiva il giusto comportamento di un turista e la necessità israeliana di questo giusto comportamento, brevi film esplicativi durante il volo, seminari in collaborazione con il Ministero dell’Educazione (sic!) cartelloni pubblicitari e manifesti che invitano tutti a comportarsi bene… do good, come recita in inglese lo slogan dell’associazione. Do good Israel. Chiaro è che l’esistenza di un'organizzazione del genere che ha il sostegno del Ministero dell’Educazione, del Ministero degli Esteri, di molti movimenti giovanili, di tutte le compagnie aeree nazionali, esprime più necessità e manifesta verità incontestabili. Il turista israeliano spesso costituisce un problema anche per la stessa società israeliana a cominciare dalla fila per il check in. Questa realtà problematica non aiuta la nostra immagine all’estero in un momento storico nel quale la mistificazione mediatica non aiuta la nostra immagine come paese in lotta per la propria sicurezza. Un israeliano che rappresenta degnamente Israele probabilmente non cambierà i codici di questa mistificazione ma farà in modo che la società israeliana non paghi anche il prezzo della propria maleducazione, ipotetica o reale che sia. Comportatevi bene voi 4 milioni di turisti israeliani che in media ogni anno andate all’estero. Comportatevi bene perché siamo un paese che non può permettersi di avere cittadini maleducati. Ricordatevi che all’estero voi siete Israele. Ricordatevi che i riflettori del mondo possono illuminare il peggio o il meglio di noi e ricordatevi che kol israel arevim ze la ze. Ogni israeli(ta) è responsabile per l’altro. Quando viaggia, quando è turista, quando cammina per strada, quando si corica e quando si alza in un albergo, quando nuota in una piscina pubblica, quando prende il sole al mare, quando si lega un pareo e quando si sistema gli occhiali da sole tra gli occhi. PIERPAOLO P. PUNTURELLO Prof. Silvestro Lucchese Chirurgo specialista CHIRURGIA ANO-RETTALE • CHIRURGIA DELLE ERNIE IN DAY HOSPITAL CHIRURGIA DEFINITIVA DEL PROLASSO EMORROIDARIO IN 1 GIORNO SENZA MEDICAZIONI - DOLORE E DISAGIO MINIMI RIPRESA DELLA FUNZIONE INTESTINALE IMMEDIATA ED INDOLORE Casa di Cura “Sanatrix” - Via di Trasone, 61 - Tel. 06.86.32.19.81 (24h) www.silvestrolucchese.com URGENZE: 336.786113 / 347.2698480 / 06.86321981 SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 I l conflitto tra Israele e Hamas che ha riempito molti titoli dei giorni estivi ha anche scoperchiato come fosse un vaso di Pandora l’antisemitismo e l’antisionismo (spesso difficile distinguere i due!) di gran parte del mondo Occidentale. Accanto a questi drammatici aspetti della cultura moderna e contemporanea troviamo però un’insofferenza, una profonda antipatia verso lo Stato di Israele e verso gli israeliani in genere cosa che comincia a preoccupare gli stessi israeliani. Al di là delle dure scelte politiche e militari dei governi di Israele che devono preservare la sicurezza dei propri cittadini e solo dopo possono rilevare le eventuali impopolarità globali delle loro azioni, gli israeliani sembrano non essere turisti ben accetti e sempre più strutture turistiche ed operatori del settore indicano la loro presenza come un fattore con basso, bassissimo gradimento da parte di albergatori, ristoratori, animatori di villaggi turistici e simili. Un medio israeliano laico vi racconterà che la colpa è dei turisti religiosi e citerà ad esempio le centinaia di migliaia di dollari di danni che causano ogni anno i turisti chassidim “Breslav” quando vanno per Rosh Hashanà in Ucraina a visitare la tomba di Rabbi Nachman, loro antico rebbe, nel giorno della sua dipartita. Il medio israeliano religioso addosserà tutta la colpa al mondo laico che non avendo nemmeno timore di Dio e delle mitzvot, non è in possesso nemmeno di quella educazione basilare necessaria al vivere civile. L’immagine di un paese passa anche tra i passaporti dei propri turisti e che lo si voglia accettare o meno Israele ha bisogno di avere un'immagine internazionale positiva, accogliente, che esprima il meglio della società israeliana, un'immagine di inclusività, modernità, tradizionalismo ed innovazione. A nulla valgono le folli ipotesi politiche di un paese forte ed isolato come un leone ritirato a vivere sulla sommità di una roccia. I leoni vivono in branco così come le nazioni devono avere relazioni con le altre nazioni e nel mondo, come ben sappiamo, non esistono rocce isolate. Ma come si può insegnare all’israeliano ad essere un buon rappresentante del proprio paese? Come si può inculcare in ogni cittadino di Israele quel senso di responsabilità che lo trasformi in un rappresentante del paese, ovunque e comunque? L’organizzazione “Ambasciatori di buona volontà” (Shagririm shel ratzon tov) ha fatto proprie queste domande cercando di intervenire sui punti critici dell’essere dei buoni rappresentanti per Israele. Si tratta di un'organizzazione senza scopo di lucro che ha come unico scopo quello di migliorare il comportamento dei turisti israeliani all’estero (come se poi in casa possano invece continuare a peggiorare) e quello di insegnare loro una semplice equazione: “Voi siete gli ambasciatori di Israele.” Tutti voi, cittadini di Israele che andate verso “fuori”, chul come si dice in ebraico, “chutz laAretz” fuori da Israele dovete rappresentarci con onore. L’organizzazione si rivolge a chiunque e chiede l’aiuto di chiunque: uomini di affari, studenti, educatori, artisti, tutti gli uomini di “buona volontà” che possano influenzare il proprio comportamento e quello degli altri quando sono turisti all’estero (perché ripeto per questa organizzazione se un israeliano va invece ad Eilat può non migliorare il proprio comportamento). Gli spazi, educativi e fisici, scelti dall’Organizzazione sono molteplici e significativi: depliant in aeroporto che invitano e spiegano 31 MUSICA Incontro con Noa. La mia musica per curare l’anima Il suo ultimo album, “Love Medicine”, è stato prodotto attraverso il sito internet “Headstart”, che consente il finanziamento di un’opera artistica tramite il suo acquisto prima della pubblicazione SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 H 32 o intervistato con enorme piacere Achinoam Nini, in arte Noa, poco dopo la presentazione e l'inizio del tour in Italia del suo ultimo album "Love Medicine". Il primo concerto del 2014 nel "Bel paese" ha avuto luogo ad Ischia il 13 Luglio; il tour è proseguito in varie città del sud e continuerà risalendo le stivale, facendo tappa a Roma il 21 ottobre, per terminare il 30 ottobre a Trieste. Noa è un'artista eclettica, dalle mille sfaccettature, sia come musicista che cantautrice. Nata in Israele e cresciuta negli USA, ritorna in Israele all'età di 17 anni e decide di rimanervi. Ha conosciuto Gil Dor, partner musicale, nella scuola d'arte "Rimon" e da quel momento non si sono più separati. E' stata nominata ambasciatrice della FAO e ha ricevuto numerosi riconoscimenti tra cui un premio artista per la pace nel 2001. L'Italia è per Noa molto cose: il film premio Oscar "La vita è bella" di Roberto Benigni, di cui ha cantato la colona sonora; Napoli e il suo dialetto; i concerti in presenza di Giovanni Paolo II e non da meno il pubblico italiano. Il suo ultimo album "Love Medicine" è un progetto che si è avvalso di numerose collaborazioni ma anche di un grande lavoro "indipendente": è stato pubblicato in modo non convenzionale come "Headstart", grazie alla sovvenzione del pubblico. Nell’ultimo lavoro la sua è voce come una carezza, e come nella canzone "Don't be afraid", induce un senso di serenità. Hai un rapporto molto speciale con l'Italia e con il pubblico italiano: com'è salire sul palcoscenico in questo Paese? Ho un contatto veramente stretto con il pubblico italiano, fin dall'inizio della mia carriera, 24 anni fa. Tutto ha avuto inizio ad un festival in Francia: un impresario a cui ero piaciuta aveva messo in rete il mio nome dicendo di aver scoperto una nuova artista. La notizia è arrivata alle orecchie di un manager catanese; ricordo ancora quando mi chiamò; non conoscevo neanche quella città ma così è iniziata la mia storia d'amore con l'Italia. In quegli anni ho cantato in Vaticano, poi la collaborazione con Nicola Piovani e Roberto Benigni per "La vita è bella"; nel 2006 e nel 2011 ho pubblicato 2 CD di canzoni napoletane del titolo "Napoli-Tel Aviv" e "Noapolis". Ho portato le mie canzoni in giro per l'Italia non solo nelle grandi città ma anche nei paesini meno conosciuti arrivando fino al cuore della gente, ho capito che gli italiani sono persone calde e mi sono innamorata di loro. L'Italia mi ha dato inoltre la grande opportuni- tà di cantare per la pace, cosa che sta molto a cuore agli italiani, come una soluzione pacifica per conflitto Israelo-Palestinese. Qui ho avuto l'occasione di collaborare con artisti palestinesi residenti in Italia, esperienza importante per entrambi. Nel tuo ultimo progetto con Gil Dor, "Love Medicine", hanno partecipato vari artisti, e quindi le canzoni risultano molto varie; quale è il motivo di questa scelta? Quest'ultimo album è il risultato di un lungo processo che ha unito la composizione delle canzoni alla curiosità. Gil Dor ed io abbiamo sperimentato come bambini che "plasmano il pongo"; le canzoni hanno preso forma dal nulla. In realtà abbiamo collaborato con persone che ammiriamo e stimiamo. Ci siamo ispirati ad artisti come Joao Bosco, con cui ho avuto l'onore di cantare, per esempio nella scrittura del testo di "Happy song", e come Bobby Mcferrin, con cui ho fatto un concerto a Tel Aviv, e che mi ha dato il privilegio di poter cantare un meraviglioso brano, rimasto per lungo tempo da parte e che forse aspettava proprio a me. Un altro grande artista è Pat Metheny, il quale ha aperto i confini internazionali alla mia musica nel 1994. Uno dei pezzi di questo album, "You", nato dall'incontro con Joaquin Sabina, artista dal quale sono rimasta colpita per la sua storia, anima e grande creatività (dipinge meravigliosamente); abbiamo cantato insieme al debutto di "Love Medicine" a Tel Aviv, e mi ha invitato a cantare con lui in Argentina. Gil Dor e io abbiamo cominciato la registrazione dell'ultimo album nel mio studio a casa, grazie alla fiducia del mio pubblico, utilizzando una modalità internet "Headstart", sito che consente il finanziamento di un'opera artistica tramite il suo acquisto prima della pubblicazione. Nella canzone "You", duetti con Joaquin Sabina uno dei musicisti più amati in Spagna e in America Latina. Che cosa provi sapendo che tanti artisti vengono in Israele per incontrarti? Joaquin è una delle persone speciali che ho avuto la fortuna di incontrare nella mia carriera ed venuto anche a trovarmi in Israele. Anche altre persone, come Pep Guardiola ex-allenatore del Barcellona, città in cui sono molto famosa, sono venuti in Israele e grazie alla nostra amicizia gli ho potuto mostrare il mio paese; mi riempie di gioia sapere che migliaia di ammiratori, persone comuni e personaggi pubblici che mai avrebbero visitato Israele, imparano a conoscerlo perché sono curiosi di capire da dove vengo. Posso affermare ciò perché loro stessi me lo scrivono, lo faccio con il cuore che ho voluto omaggiare per il grande affetto con il quale mi segue da anni ma è anche un ringraziamento a tutto ciò che offre questo paese, in termini di paesaggi naturali, cultura e molto altro. Nella tua carriera hai avuto la fortuna di cantare di fronte a presidenti, grandi personaggi del nostro tempo e persino davanti al Papa. C'è un evento fra questi che ricordi in modo particolare? L'evento più importante in cui mi sono esibita è stato alla manifestazione di pace prima dell'uccisione di Itzhak Rabin, perché sento di aver fatto parte di un momento storico. La speranza di pace è come un raggio di luce nelle tenebre. Ci sono stati cantanti che non hanno voluto partecipare per non schierarsi politicamente e da una parte posso capirli, ma alla fine tutti paghiamo il silenzio. Sono orgogliosa di me e di Gil Dor per aver partecipato. Dal momento della morte di Itzhak Rabin, la mia vita e quella di tutto il paese è cambiata; la mia lotta è tenace come la visione della pace. Sul palco sei pronta alla lotta, coerente con le tue idee, senza paura, ma nelle tue canzoni traspare un atmosfera d'amore e serenità. Come spieghi questo contrasto? Pago per quello che dico, e mi dispiace che nel mondo un artista debba pagare e non essere premiato per il suo coraggio. Le mie idee politiche tradotte in parole, escono dal lato umano, onesto e sincero, lo stesso lato dal quale nasce la mia creatività. La mia creatività non può essere limitata o chiusa in una scatola; quando scrivo non lo faccio in funzione di creare una "hit" radiofonica; scrivo ciò che sento e credo in ciò che dico, e lo faccio affinché la mia famiglia e la mia comunità possano vivere in un mondo di alti valori umani: "ama il prossimo come te stesso" Progetti per il futuro? Continuare a fare musica nel migliore modo possibile. Gil Dor e io abbiamo fondato una "start up" per scoprire nuovi talenti. Magari vorrei anche studiare all'università. Ma la cosa più importante e crescere i miei bambini nella serenità. Naturalmente continuare il mio impegno politico perché esprimere le proprie idee ed ispirare gli altri con esse è come accendere una candela nel buio. Ho sempre avuto un sogno: cantare in occasione dell'accordo di pace fra noi e i nostri vicini. Sarà mai possibile? Non lo so, ma rimango sempre aggrappata a questo sogno. A CURA DI YAARIT RAHAMIM SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 e sono felice di averne il merito. Tutta la mia attività in favore della pace viene dall'amore per il mio paese. Perché hai deciso di dare il titolo "Love Medicine" al tuo album? Perche la musica è la terapia dell'anima. Nella tua vita artistica, c’è stata una persona che ti ha influenzata ed ispirato in modo particolare? Pat Metheny, molto, perché è una grande artista. La sua musica mi ha sempre influenzata ed in generale le musica degli anni ‘60 come quella di John Mitchell, Paul Simon e Leonard Cohen, i tre che amo di più. Mi piacciano molto i "sing and song writers", cantautori, persone che creano e compongono musica profonda e intensa come io la ricerco. Ma c'è anche una cantante alla quale vengo spesso paragonata, Joan Baez, in quanto entrambe cantanti di temi politici, e ne sono onorata perché ha una voce meravigliosa e una formidabile dote di scrittrice. Erano anni in cui c'era più spazio per i cantautori impegnati e la società capiva che il loro ruolo era anche quello di trasmettere un'ideologia, proprio come cerco di fare oggi. Hai lavorato con artisti al vertice del mondo musicale internazionale; c'è ancora qualcuno con cui vorresti collaborare? Ce ne sono tanti, mi piacerebbe lavorare con i miei miti, ma ciò che mi interessa di più oggi è usare la musica per aprire i cuori e rompere le barriere; il successo materiale aiuta a vivere, ma la motivazione non viene dai soldi. Se potessi scegliere fra far ballare uno stadio intero e toccare i cuori di poche persone, sceglierei la seconda. Hai inciso diversi album da solista in cui hai anche cantato in lingue e dialetti diversi, ad esempio napoletano. Come nasce questa combinazione di musica, parole e in diverse lingue, e sei legata ad un album in particolare? Mi diverte il processo di creazione, ma ciò che preferisco è stare sul palco. Sono "un animale da palcoscenico", quello è il mio posto. Mentre Gil Dor ama stare ore ed ore in studio a curare i minimi dettagli; io sono impulsiva e passionale, mentre lui è più profondo e razionale, una combinazione perfetta. Il risultato che conoscete è il frutto di ore e anni di lavoro profondo, di conversazioni e di musica, la curiosità ci porta alla fine ad ottenere una creazione di alto livello. Ogni album è un mondo a sé. Come ad esempio "Noapolis", un progetto che nasce dal legame con il popolo italiano 33 LIBRI Il fascio a Stelle e Strisce Il giornalista Ennio Caretto indaga sui rapporti, le simpatie e le alleanze che l’America ebbe con Mussolini e con il fascismo S pesso ci si chiede, come nel caso ultimo dell’Iran, come possano i grandi Stati democratici continuare ad intrattenere rapporti economici e diplomatici con i regimi dispotici e tirannici, a dispetto delle loro politiche irrispettose dei diritti civili. Ennio Caretto ce ne dà un esempio nel libro “Quando l’America si innamorò di Mussolini”, edito da Editori Internazionali Riuniti. E’ un testo che va letto proprio perché oltre a rappresentare una testimonianza storica è anche di stretta attualità. Grazie alla lunga esperienza professionale dell’autore che, ricordiamo, è stato corrispondente dagli USA dei principali quotidiani italiani per più di trent’anni, ci viene offerta una ricerca ricca di documentazione storica, politica e diplomatica. Dalle trecentocinquanta pagine del libro emerge che fino alle leggi razziali tra il Duce e la superpotenza americana si stabilì per quasi un ventennio, a cominciare dalla Marcia su Roma del 1922, un forte legame capace di resistere anche alle numerose intemperanze e violazioni del diritto internazionale da parte del governo italiano. Le tesi di Caretto, si incentrano su alcuni fattori che agli Stati Uniti stavano più a cuore: primo, che l’Italia potesse costituire un baluardo contro il potenziale bolscevismo in Europa, che allora era vissuto come il principale spauracchio delle diplomazie occidentali; secondo, di ragione economica, poiché la stabilità e l’ordine garantiti dal fascismo proteggevano il capitale e assicuravano lo sviluppo degli investimenti e dei commerci statunitensi in Italia. Grazie a ciò, Mussolini riuscì a strappare condizioni vantaggiose per un prestito dalle banche americane per rimettere in sesto i bilanci disastrati del Bel Paese e riuscì, nel 1926, a superare il momento più drammatico dell’economia italiana del regime. In nome delle due ragioni, l’America chiudeva più di un occhio alle violenze dello squadrismo e alla repressione delle libertà civili. Giocarono un ruolo di primo piano anche motivi di politica interna americana. Le comunità italoamericane e quelle cattoliche simpatizzavano con il regime fascista e costituivano un bacino elettorale rilevante per i politici americani. A ciò si aggiunse il potere di Wall Street, che in quegli anni visse il crollo della Borsa, e vedeva come il fumo negli occhi un’alternativa al regime. La trasvolata atlantica di Italo Balbo del 1933 suggellò questo rapporto, al quale credeva nei primi anni anche il presidente Roosevelt, nella speranza che “il fascismo sarebbe riuscito a contenere la Germania nazista come aveva contenuto l’Urss, e così disarmare e pacificare definitivamente l’Europa”. SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 Socialdemocrazia: un movimento, con radici anche ebraiche 34 È stato presentato, alla sede nazionale della UIL, il libro di Giuseppe Averardi (parlamentare in pensione già autore di vari saggi di storia contemporanea) "Socialdemocrazia - L'altra voce dell'Europa". Una carrellata su centocinquanta anni di storia delle socialdemocrazie europee, con grande attenzione ai risultati dei loro lunghi periodi di governo; dal Regno Unito, con la grande svolta del "New Labour" di Blair, alla Svezia; dall' Austria alla Germania, dove centrale resta, nella storia del SPD e di tutta la democrazia europea, la storica "resa dei conti" col marxismo fatta a Bad Godesberg nel 1959. Averardi focalizza quello che, nei fatti, è stato il forte contributo dell’ebraismo alla socialdemocrazia moderna: variamente d’origine ebraica, infatti, erano tante sue figure di primo piano, come Diverse pagine del libro vengono dedicate anche a come il mondo ebraico americano visse questo lungo idillio. Addirittura come ci dice Caretto: “Nella prima metà degli anni Trenta, tale è la fiducia della maggioranza degli ebrei americani nel fascismo che essi si appellano al Duce contro il Fuhrer e che gli perdonano l’invasione dell’Etiopia. Nel 1934, Nahum Goldmann sollecita a Mussolini la protezione degli ebrei della Saar, che sta per unirsi alla Germania nazista”. L’autore non manca di sottolineare quanto fosse diffuso negli Stati Uniti il razzismo nei piani alti del potere, che fu uno dei fattori predominanti nel sostegno non solo al fascismo ma anche al nazismo. Ciò allarga gli orizzonti del testo che offre una verità incontrovertibile: è vero che l’America ha liberato l’Europa dal nazifascismo ma è altrettanto documentato il ruolo svolto nella costruzione della macchina di sterminio del terzo Reich. Così vengono annoverati tra i principali fautori e sostenitori dell’impianto hitleriano persone di primo piano dell’establishment politico, economico e mediatico, che si spesero con fervore con posizioni dichiaratamente antisemite, di cui Caretto ci racconta dettagliatamente. Come la figura di Corder Hull, segretario di Stato USA a cavallo tra gli anni ’30 e ‘40, che “nel 1939 respingerà una nave con 936 fuggiaschi ebrei a bordo, la St Louis, e molti di loro periranno nell’Olocausto”; o come il re dei media Randolph Hearst artefice della comunicazione oltreoceano di Mussolini, come anche il rettore della Columbia University Nicholas Butler grande ammiratore del Duce e filohitleriano. Anche nel mondo economico, si evidenziarono per il loro appoggio a Berlino i massimi vertici della Ibm e della General Motors e delle massime industrie statunitensi. Tra questi una figura di rilievo fu l’industriale automobilistico Henry Ford che “aveva idee altrettanto chiare (e sbagliate) sui ‘giudei’ a cui attribuiva tutti i mali del mondo”, tanto che “spronata dalla comunità ebraica, parte dell’America incominciò a boicottare le vetture Ford. Si prodigò negli anni Trenta per sostenere Hitler nella campagna antisemita, mentre crescevano i suoi massicci investimenti in Germania, e Caretto scrive che “non pensò minimamente che potesse sfociare nell’Olocausto, e che quando ne venne a conoscenza ne rimase traumatizzato. Nel 1942 Ford chiese perdono all’America per i propri trascorsi, e probabilmente fu sincero”. JONATAN DELLA ROCCA il padre del revisionismo marxista Eduard Bernstein, e gli austriaci Otto Bauer, Viktor e Max Adler, Bruno Kreisky (cancelliere degli anni ’70 del ‘900). Mentre il programma tracciato da Bauer nel libro del 1907 “La questione della nazionalità e la socialdemocrazia”, ricorda l’Autore, viene adottato da vari altri movimenti d’ispirazione socialista e nazionale, tra cui l’ Unione generale dei Lavoratori ebrei e i sionisti di sinistra, come HaShomer Hatzair. FABRIZIO FEDERICI G. AVERARDI, “Socialdemocrazia l’altra voce dell’Europa - Un’uscita di sicurezza per l’Italia” (Data News, 2014, pp. 327, €. 20,00) Gli italiani non sanno nulla della religione. Lo rivela l’ultimo libro di Alberto Melloni G iunge opportuna nelle librerie la pubblicazione “Rapporto sull’analfabetismo religioso in Italia” curata da Alberto Melloni con il contributo di diversi docenti e del mondo dei media, editore Il Mulino, che fa il punto sulle problematiche della poca conoscenza nel Paese del tema teologico. Sebbene l’Italia ostenti la forte caratterizzazione cattolica, con tutto l’indotto derivato e un'influenza significativa nella vita sociale in ogni risvolto della vita quotidiana, si fanno i conti con un impressionante deficit di conoscenza religiosa, segnando un punto a sfavore nell’istruzione degli italiani. Diversi fattori potevano far pensare ad un’inversione di tendenza negli ultimi tempi: dal costante flusso di notizie di carattere religioso sui media, alla forte ondata comunicativa sulle attività della Chiesa, sino ai crescenti flussi migratori nel Paese di extracomunitari di altre fedi, o il moltiplicato interesse verso altre confessioni, come l’ebraismo. Ma questi fenomeni toccano il tema dell’informazione superficiale e non della formazione. Cosicché rimane gravoso il perdurare di un’assenza di approfondimento e di interesse sui temi importanti delle fedi e sulle strutture cognitive portanti su cui poggiano. Per rendersi conto di questa grosso “buco” culturale, basta fare qualche numero, riportando alcuni dati statistici frutto di una ricerca presenti nel volume: leggiamo che sebbene “la Bibbia sia posseduta dal 70% degli italiani, al possesso non corrisponde la lettura, dal momento che la percentuale di coloro a cui capita di leggere il libro sacro “da solo” si attesta al 29,3%, mentre il comandamento più conosciuto è: "Non rubare”. “Coloro che sono in grado di mettere nell’esatto ordine cronologico Noè, Abramo, Mosè e Gesù si attestano al 31%. Alla domanda su chi siano gli autori dei Vangeli solo il 30,1 % li sa citare tutti e quattro”. Sono dati preoccupanti che testimoniano un'ignoranza in materia che non accenna a diminuire. Cosicché da questo allarme vengono tracciati tre punti fondamentali per recuperare, dopo che Melloni denuncia che un colpo fatale è avvenuto grazie al “frutto del perverso concerto fra un laicismo sciocco e un clericalismo cieco” che ha portato alla soppressione della facoltà di Teologia. Le soluzioni avanzate possono riassumersi nelle seguenti proposte: una riforma del sistema didattico religioso scolastico, rivisitazione legislativa delle libertà religiose e implementazione nella ricerca e nella docenza universitaria e scientifica tale da aumentare “il bagaglio culturale dei tanti funzionari delle fedi e delle chiese che con mansioni educative e sindacali, caritative, formano l’opinione pubblica”. La ricerca, che dedica diverse pagine anche allo studio interreligioso e delle altre confessioni, oltre ad essere meritoria per la scientificità con cui affronta l’argomento, è un ottimo spunto per gli addetti ai lavori, soprattutto del mondo dell’istruzione, per costruire un programma educativo di formazione per le prossime generazioni. E’ provato che causa primaria dell’intolleranza sia proprio l’ignoranza di questi temi. Urge una riflessione e una conseguente attività di recupero perché il razzismo incalzante, la globalizzazione e un'Europa popolata sempre più di islamici impongono tempi rapidi di azione. J. D. R. Un soldato che servì la Patria ma che non fu amato “Il Generale Roberto Segre”, di Antonino Zarcone, ripercorre le vicende del più alto Ufficiale di religione ebraica del Regio Esercito A ntonino Zarcone, Capo dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, è autore di una interessante opera che ripercorre in 400 pagine, fitte di documenti inediti, arricchite da centinaia di accuratissime schede biografiche, la vicenda umana e militare del più alto Ufficiale di religione ebraica del Regio Esercito, combattente della Prima Guerra Mondiale. Il Generale Segre, già Ufficiale di Artiglieria, nel corso della sua attività operativa, si pose in evidenza per il suo impegno nel perfezionamento tecnico e tattico dell’artiglieria con la conseguente e più utile realizzazione di grandi masse di fuoco. In particolar modo si dedicò, per primo, allo studio e all’esecuzione della contropreparazione preventiva (cioè l’inizio dell’azione di fuoco difensiva, prima dello scatenarsi dell’offesa avversaria). Impegnato prima nella Guerra di Libia e successivamente nella Prima Guerra mondiale, fu, tra l’altro, sottocapo di Stato maggiore alla 3^ armata (Duca d’Aosta) per l’impiego dell’artiglieria. Capo di Stato maggiore di un corpo d’armata sul Pasubio, poi del comando truppe dell’altipiano d’Asiago, comandò (marzo-novembre 1918) l’artiglieria della 6^ armata sullo stesso altipiano. Diresse lo spiegamento delle artiglierie nelle battaglie di Gorizia (agosto 1916), Valbella (gennaio 1918) e – nel settore montano – del Piave (giugno 1918). Il Comando Supremo italiano lo inviò a Vienna come capo della missione militare italiana per l’armistizio. In tale ruolo agì con grande autonomia dai vertici per tutelare quelli che a suo giudizio erano gli interessi italiani, esigendo dagli austriaci il rispetto delle clausole dell’armistizio del 4 novembre, incluse la restituzione dei prigionieri, il sequestro di materiale ferroviario e il ritorno delle opere d’arte italiane. Parallelamente si prodigava per portare aiuto alla popolazione austriaca, duramente colpita dagli esiti del conflitto, facendo giungere derrate alimentari dall’Italia per distribuirle alle mense popolari, agli ospedali e agli orfanotrofi. Al rientro in Patria fu coinvolto in un’inchiesta per illeciti amministrativi che venne usata contro di lui a fini politici. Le indagini condotte dal Tribunale Militare appurarono la sua totale estraneità alle accuse. Ufficiale molto apprezzato da molti per le sue idee innovative scontò, purtroppo, l’ostilità di alcuni ambienti militari che facevano riferimento ai marescialli Giardino e Badoglio. Segre vivrà gli ultimi anni della sua vita cercando di riscattare il suo onore. L’indagine documentale condotta dall’autore ha il merito di percorrere aspetti inediti della storia italiana a cavallo dell’Armistizio e riesce a coinvolgere il lettore con una scrittura accattivante e ricca di spunti, ma cerca anche di rispondere ad una domanda ricorrente nella vita di ognuno: il merito è davvero rispettato o a volte prevalgono intrighi politici o pure e semplici invidie? Edito dall’Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito (pp. 400, € 20), acquistabile su: http://www.esercito.difesa.it/Storia/UfficioStoricoSME/ProduzioneeVendita, oppure telefonando a Ufficio Pubblicazioni Militari: tel. 06.809925068, oppure Ufficio Storico dello SME: tel. 06 47358555 / 06 47358536 / 3351884130. SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 La Bibbia, il libro meno letto 35 CINEMA Quando Tel Aviv prende il posto di Hollywood L’israeliano Gideon Raff è l’autore di alcune serie televisive di grande successo, come Homeland, Tyrant e Dig Q SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 uesto mese va in onda negli Stati Uniti e in contemporanea in Italia sui canali Fox di Sky la quarta stagione di Homeland che nel nostro paese ha come sottotitolo Caccia alla spia. Tra la fine del 2014 e i primi mesi del prossimo anno seguiranno altre due serie legate al cosiddetto genere political drama: Tyrant e Dig. Denominatore comune di questi tre titoli che hanno fatto e faranno parlare ancora la critica e soprattutto il pubblico è uno dei loro autori e produttori esecutivi: l’israeliano Gideon ‘Gidi’ Raff, nato a Gerusalemme nel 1973. Regista cinematografico e televisivo cresciuto tra Washington e Tel Aviv (suo padre era consigliere economico dell’ambasciata di Israele prima di diventare presidente della Bank Leumi), Raff ha servito per tre anni nei paracadutisti prima di diplomarsi in cinema in Israele per poi tornare a studiare negli Stati Uniti. Il suo lavoro ha conquistato la notorietà mondiale grazie alla serie Hatufim che ha girato il mondo con il titolo di Prisoner of War. Il racconto della storia di un soldato israeliano a lungo prigioniero che – al suo ritorno a casa – nasconde di essersi convertito all’Islam ha talmente colpito l’immaginario dell’industria cinematografica internazionale da destare l’attenzione di Howard Gordon e Alex Gansa, autori e produttori della celebrata serie 24 insieme a Joel Surnow, che hanno chiesto a Raff di lavorare insieme a loro al remake americano che ha per prota- 36 gonista l’ex Giulietta del Romeo and Juliet di Baz Luhrmann, Claire Danes. Il risultato è stato un altro grande successo che ha definitivamente aperto le porte di Hollywood a questo intelligente autore che adesso propone altre due serie molto interessanti: Tyrant e Dig emblema di quel political drama che ha caratterizzato le ultime stagioni televisive con serie legate alla riflessione sul potere come House of Cards, I Borgia e l’italiana in arrivo in autunno, 1992. Proprio mentre il pubblico saprà il 5 otto- bre se il soldato interpretato da Damian Lewis è realmente morto in Iran come tutto il mondo ha visto nell’episodio finale della terza stagione di Homeland, Tyrant andrà a concludere la sua prima stagione che racconta il difficile ritorno a casa di un medico mediorientale figlio del tiranno di uno stato immaginario che diventa l’emblema di tutte le contraddizioni e complessità del mondo arabo, viste dallo sguardo lucido e attento di uno scrittore lungimirante come Raff. “Amo raccontare storie e sono stato molto fortunato dall’avere l’opportunità di farlo” ha spiegato il quarantunenne scrittore al mensile Forbes “Sono nato e cresciuto a Gerusalemme e mi piace potere raccontare cosa significa vivere nella mia città e che cosa è in gioco quando sei parte di un paese che ha una vita così difficile. Credo che sia interessante potere esplorare narrazioni che appartengono alla tua terra e che, poi, scopri riguardano tutto il mondo. Hatufim era stato venduto già in venti paesi prima di Homeland e questo è affascinante. Sapere di poter raggiungere tutto il mondo attraverso il tuo lavoro.” Raff adora girare in Israele. Purtroppo a causa del recente conflitto con Hamas la produzione di Tyrant ha dovuto spostarsi altrove seguendo il destino di un po’ tutta l’industria audiovisiva israeliana per la prima volta davvero messa in crisi dalle drammatiche conseguenze della guerra. Lo stesso è accaduto al terzo show creato da Raff, questa volta insieme all’ideatore della serie Heroes Tim Kring: la miniserie in sei episodi di argomento thriller archeologico Dig racconta le indagini di un agente dell’FBI interpretato dall’attore Jason Isaacs riguardo l’omicidio di una scienziata presso uno scavo a Gerusalemme: la produzione, dopo la realizzazione dell’episodio pilota, ha dovuto spostarsi in Nuovo Messico pur mantenendo l’ambientazione mediorientale. “Avere meno soldi non significa fare le cose meno bene.” Conclude Raff rispondendo a chi gli chiede quali siano le differente tra lavorare a casa e negli Stati Uniti: “In Israele i nostri competitor sono le serie americane ed europee e quindi ci sforziamo di fare sempre tutto al meglio, conquistando l’attenzione del pubblico. Nei piccoli mercati possono nascere degli autori, mentre negli USA tutto si basa sulla collaborazione.” MARCO SPAGNOLI Il grande cuore degli ebrei romani La generosità di tante persone ha consentito di accogliere i ragazzi israeliani per una vacanza spensierata lontano dalla guerra di Gaza Turismo con autista, ed ha rappresentato la spesa più onerosa, ma assolutamente indispensabile. Ci hanno riferito che spesso, quando le assistenti sociali incaricate dalle municipalità telefonavano nelle famiglie israeliane per chiedere se volevano fare una vacanza in Italia, molti rispondevano “davvero o è un sogno?” Ed infatti questi ragazzi un po’ timidi il primo giorno, ma sempre più sicuri nei giorni successivi, man mano che acquisivano confidenza con noi e con il luogo, hanno realizzato un sogno, e molti di loro, anzi tutti, ci hanno riferito e promesso che non lo dimenticheranno per tutta la vita. La prima settimana del primo gruppo, dal 23 al 31 luglio, coincideva con l’ultima settimana del Centro estivo a Shirat HaYam e pensavamo di inserire i ragazzi israeliani nelle attività del centro che prevedono prevalentemente mare la mattina e attività ludiche in sede nel pomeriggio: ci siamo accorti però che loro, giustamente, volevano visitare Roma, vedere i monumenti, conoscere. Sempre con l’obiettivo di rendere la loro permanenza allegra, leggera, lontana da ogni pensiero, man mano abbiamo “calibrato” il programma a seconda dei gusti dei ragazzi e dei suggerimenti degli accompagnatori: visite a luoghi di divertimento, a parchi tematici, giornate all’aria aperta e sport, visite a Roma e nei luoghi ebraici, shopping. Per quanto riguarda poi la cucina, Alberto "Gufo", il nostro coordinatore delle attività, si è improvvisato anche “master chef” preparando delle fantastiche colazioni a base di uova, insalate, pane caldo e caffè, definite da un’accompagnatrice come all’Hilton di Tel Aviv! E’ stato anche importante avere una struttura propria: Shirat HaYam dispone di una cucina attrezzata, dove anche le accompagnatrici israeliane a volte hanno voluto cucinare, per far avere ai ragazzi esattamente quello di cui avevano bisogno o semplicemente desiderio: penso che quando si cucina assieme, ci si sente famiglia e noi in questo mese e mezzo, ci siamo sentiti davvero una grande bellissima famiglia! La sera infatti quasi sempre si mangiava a Shirat HaYam, e dopo si ballava in allegria, balli di gruppo italiani (insegnati da noi) o israeliani, o Karaoke. Abbiamo portato i ragazzi alle Terme di Saturnia e a Tivoli. Sono rimasti incantati da Zoomarine, MagicLand di Valmontone ed il nuovo Cinecittà world. Anche l’ingresso ai parchi ha rappresentato una spesa significativa, anche questa indispensabile e sicuramente ben ripagata dal sorriso di soddisfazione dei nostri ospiti al ritorno. Poi le visite a Roma: Tempio Maggiore, Ghetto e Museo, il tradizionale giro Colosseo, Arco di Tito, Mosè di Michelangelo, piazza Venezia, via del Corso, fontana di Trevi, Gianicolo, Pincio… Sono rimasti tutti meravigliati, stupiti dall’acqua delle fontane e dei nasoni romani! Ad un gruppo è stato offerto un giro sulle botticelle. SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 “S ai sono giorni che non dormiamo per via delle sirene!”. Queste sono state le prime parole di Tael appena scesa dall’aereo, una delle tante ragazze che convivono nella loro quotidianità di ragazzi adolescenti con la dura realtà dei lanci di missili. È per questo che la Comunità Ebraica di Roma, poggiandosi sulla struttura organizzativa e di coordinamento dei madrihim di Shirat HaYam, Centro Estivo e Tempio di Ostia, ha dato via al progetto “Vacanze in Italia”! L’obiettivo principale del progetto è stato appunto quello di togliere questi ragazzi dall’incubo dei missili regalando loro una vacanza estiva spensierata, fatta di serenità e svago, una vacanza di gruppo e di amicizia come tutti i ragazzi adolescenti dovrebbero avere. Ci sono tanti modi per aiutare Israele, ed anche a Roma si sono aperte spesso discussioni su quale fosse il modo migliore, ma gli accompagnatori dei ragazzi ci hanno fatto riflettere sul fatto che sostenendo e aiutando i ragazzi, indirettamente abbiamo aiutato famiglie che stavano affrontando il difficile periodo di guerra. Alla domanda, “preferisci che io dia una mano a te o a tuo figlio?” ogni genitore risponderebbe senza la minima esitazione. Dal 23 luglio al 29 agosto sono arrivati, con destinazione diverse località italiane - Roma Ostia Lido e Fregene, Livorno, Trieste - circa 180 di ragazzi, divisi in 6 gruppi, dai 10 ai 17 anni, provenienti dalle città israeliane più bersagliate dai razzi di Hamas, Sderot e Ashdod. Siamo riusciti ad accogliere un così elevato numero di ragazzi grazie alla generosità delle tante persone che hanno contribuito con offerte in denaro o con beni e servizi: abbiamo ricevuto 140 offerte, per un totale di circa 110.000 euro provenienti sia da persone sia da società commerciali, da gruppi di amici e da istituzioni, di importi diversissimi, dai 30 ai 30.000 euro, a dimostrazione della grande partecipazione a tutti i livelli. Hanno partecipato persone di Roma, ma anche di altre città italiane; anche l’El Al ha contribuito al progetto donando 50 biglietti. Ci ripromettiamo di organizzare al più presto una serata per condividere con tutti i benefattori i momenti più significativi e commoventi di questa esperienza. Anche il nostro sforzo organizzativo è stato elevato: abbiamo sistemato 28 letti nella nostra sede, e ci siamo fatti prestare dall’Associazione Pensionati della Polizia di Stato, la cui sede è limitrofa alla nostra, anche una grande camerata dove sono stati posizionati altri 24 letti. Abbiamo montato 4 nuove docce, potenziato la rete wifi per permettere ai ragazzi di collegarsi ad internet con i loro telefoni per parlare con casa, organizzate le attività della cucina per permettere tre pasti, colazione pranzo e cena, predisposta l’accoglienza e le prime attività, stampato le magliette, fatto la spesa, tutto in due giorni. La maggiore difficoltà organizzativa è stata la gestione di due gruppi contemporanei (in un giorno addirittura tre), con conseguente aggravio per tutti: 70-80 pasti per la cucina, appuntamenti, il servizio di sicurezza su più sedi. Per motivi di sicurezza non ci è stato possibile utilizzare mezzi di linea, così abbiamo noleggiato pulman che erano a nostra disposizione per l’intera giornata: si tratta di 48 giorni di pulman Gran 37 ROMA EBRAICA Erano anche incuriositi ed interessati ai centri commerciali, li abbiamo portati a vari centri e outlet, ma si sono davvero divertiti la domenica a Porta Portese! Approfittiamo per ringraziare, e far notare, come i nostri volontari della sicurezza siano stati davvero angeli custodi; si sono organizzati sempre per accontentare i desideri dei ragazzi, anche in situazioni difficili come un affollato mercato cittadino. Ancora una cosa che a loro è piaciuta tantissimo è stato mangiare il gelato personalizzato al “Magnum pleasure store”. Ci fa piacere raccontare, a dimostrazione dell’affetto di moltissime persone della nostra comunità e della partecipazione affettiva, che durante una passeggiata a via dei Giubbonari alcuni negozianti, commossi sapendo che venivano da Sderoth, hanno regalato pasta, offerto coca cola e regalato braccialetti con il nome. Altri negozianti del centro hanno regalato dei bellissimi costumi da bagno, magliette, camice di marca. Per quanto riguarda il mangiare, spesso i ragazzi hanno mangiato nei ristoranti di Portico d’Ottavia assaggiando specialità romane, hamburger, pizza. Ancora una piccola descrizione sulla composizione dei gruppi, vi erano infatti ragazzi fra loro molto diversi, per origini e caratteristiche famigliari: ebrei religiosi e non, un ragazzo cristiano, alcuni di origine russa, marocchini, libanesi, yemeniti, etiopi. Abbiamo accolto anche una ragazza con problemi deambulatori. Mi raccontava un ragazzo ospite di 10 anni, a Shirat HaYam durante una gita a Roma: “Sai, prima della partenza ero molto preoccupato perché non ero mai stato fuori Israele, all’estero”. Ed io: “Di cosa eri preoccupato?” “Ma non so! Mi vergognavo!”. “Di cosa ti vergognavi?”. “Mah, non so, anzi adesso so che venire in Italia è davvero facile!” Ed un altro ragazzo al quale, dopo qualche giorno di vacanza a Ostia, veniva detto di andare a letto, che rispondeva: “Sono tanti giorni che non ho dormito in Israele, ora che mi sto divertendo, proprio non ci voglio andare!” Speriamo che il ponte ed il legame che si è stabilito fra queste comunità di Sderoth e Ashdod con quella Roma rimanga saldo, per continuare ad avere fra noi questi piccoli ambasciatori, portatori di grande vitalità ebraica: abbiamo bisogno l’uno dell’altro. Ci siamo salutati con tutti, blì neder, di vederci il prossimo anno. LORETTA KAJON E DAVID LIMENTANI Il Museo della Shoah di Roma aprirà all’Eur il 27 gennaio 2015 D’accordo sul trasferimento da villa Torlonia anche i sopravvissuti Sami Modiano e Piero Terracina SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 "F 38 inalmente prima di morire vedrò anche io la realizzazione di questo importantissimo progetto, per Roma ma anche per l'Italia intera". Non usa mezze parole Sami Modiano, ebreo di Rodi ma da moltissimi anni trasferito a Roma, sopravvissuto ad Auschwitz, nel commentare la notizia (apparsa sulla stampa) della realizzazione del Museo della Shoah, non più nella sede originariamente scelta di villa Torlonia, ma in un grande edificio già esistente all'Eur. Una decisione, presa insieme dagli enti sostenitori del progetto (Regione, Comune, Comunità ebraica), per accelerare i tempi di realizzazione del Museo e dare ai pochi sopravvissuti alla Shoah la grande soddisfazione di poter vedere con i loro occhi un progetto in cui, dice lo stesso Modiano, "abbiamo sperato e creduto". L'obiettivo condiviso è quello di inaugurare il nuovo Museo il 27 gennaio 2015, una data di straordinario significato simbolico, poiché oltre ad essere il Giorno della Memoria, coincide con il 70mo anniversario dell'apertura dei cancelli di Auschwitz. "Sono senza altro d'accordo - ha spiegato Piero Terracina, anche lui reduce da Auschwitz - visto che io stesso avevo proposto con una lettera al sindaco e al governatore della Regione, di aprire una sede provvisoria che accogliesse il tanto materiale già raccolto, rendendo operativo il Museo il prima possibile. Non credo infatti - spiega sempre Terracina - che il Museo a villa Torlonia si possa realizzare, come molti hanno detto tra cui l'architetto Zevi, in soli due anni. Bisogna aprire 24 buste e ci può essere sempre la possibilità di imprese non aggiudicatarie di presentare ricorsi, con l'inevitabile allungamento dei tempi". "Mi dedico alla testimonianza e alla trasmissione del ricordo di cosa sia stata la Shoah - precisa Piero Terracina - ma ho 86 anni. Per quanto tempo lo potrò fare? Quindi una sede, anche provvisoria, aperta il prima possibile, prima che tutti i sopravvissuti scompaiano, era urgente e vedo quindi come una cosa positiva il Museo della Shoah all'Eur. Se poi il progetto di villa Torlonia andrà avanti, tanto di guadagnato, ma la struttura dell'Eur deve essere inaugurata". Proprio per l'importanza del progetto, che renderà il Museo un luogo centrale nella formazione culturale delle nuove generazioni, "sento il bisogno - spiega Sami Modiamo - di ringraziare tutti coloro che si sono impegnati in questo progetto e in particolare il presidente della Comunità ebraica Riccardo Pacifici, la prof.ssa Elvira di Cave responsabile dei temi della Memoria per la Comunità ebraica, il sindaco di Roma Marino, il presidente della Regione Nicola Zingaretti, Walter Veltroni che dette avvio al progetto, oltre allo staff del Museo nelle persone del prof. Marcello Pezzetti e del presidente della Fondazione Paserman". Nella foto, da sinistra Piero Terracina e Sami Modiano ad Auschwitz R oberto Bonfil, professore di storia all’Università Ebraica di Gerusalemme, ha pubblicato nel quadro delle monografie storiche della rivista Italia, il Pinkas Casale, ovvero il libro dei verbali della comunità di Casale Monferrato tra gli anni 1589 e 1658. L’idea originale di una pubblicazione scientifica del Pinkas Casale era nata oltre trent’anni fa a Shemuel Kurinsky, amante di storia e fondatore della Hebrew History Federation di New York che aveva già pubblicato opere di storia ebraica, quali The Glassmakers, The Eighth Day e Creativity of the Jews, e tutta una serie di articoli ancora disponibili sul sito della Hebrew History Federation (www.hebrewhistory.info). Dopo la morte di Kurinsky, il professor Bonfil ottenne dalla famiglia la concessione dei diritti di pubblicazione, che è stata curata da Isaac Yudlov. Il libro, in ebraico, è stampato in modo chiaro e facile da leggere e le note a piè di pagina forniscono indispensabili spiegazioni e traduzioni dei termini arcaici al lettore. Fin dall’inizio si notano i cognomi dei maggiorenti della comunità come Jona, Rapa, Padova, Luria, Verona, Segre, Bassan, Ascoli e Finzi, solo per citarne alcuni. Già nel 1589, l’anno in cui fu iniziata la stesura dei verbali, una delle decisioni della comunità era di proibire l’eccessivo lusso nel vestire. I maggiorenti della comunità erano in genere persone benestanti che avevano ricevuto la licenza di operare come banchieri in città e non era prudente fare ostentazione di lusso per le strade. Un’interessante decisione della comunità era che gli stranieri che passavano in città venissero ospitati tirando a sorte dei biglietti sui quali erano scritti i nomi dei Ba’ale’ Batim. Altre decisioni riguardano l’assegnazione dei posti al Bet Hakenesset, gli stipendi da pagare al Rav, ai shochetim, al chazan e agli insegnanti del Talmud Torà. Nel complesso questo libro è un tesoro di notizie sulla vita di questa antica comunità che servirà a molti amanti di storia per approfondire la conoscenza della vita degli ebrei in Italia. DONATO GROSSER LA TOP TEN DELLA LIBRERIA KIRYAT SEFER 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 EBREI CONTRO ISRAELE di G.Meotti, ed. Belforte PECCATI D’ESTATE di A.Einhar, ed. Giuntina GHETTI E GIUDECCHE di A.Foa, ed. Il Mulino SOPRAVVIVERE AL GHETTO di S.Di Nepi, ed. Viella NOSTRO FIGLIO di A.Altaras, ed. Atmosphere I MIDDLESTEIN di J.Attenberg, ed. Giuntina CHE SIA CANCELLATO IL SUO NOME di A.Markovits, ed. Mondadori L’UFFICIALE E LA SPIA di R,Harris, ed. Mondadori IL VANGELO DEI BUGIARDI di N.Alderman, ed. Nottetempo RESPONSABILITA’ SOCIALE ED ETICA EBRAICA di G.Cannarutto, ed. Egea Per una politica che aiuti gli immigrati Un Paese accogliente e non discriminatorio proposto nel libro “Accogliamoli tutti”, di Luigi Manconi e Valentina Brinis C he cosa succede agli immigrati una volta entrati in un paese che non è il loro? Quanto sono importanti nella nostra società? Cosa possono fare per ottenere un lavoro che non sia quello di cameriere o donna delle pulizie? Il nostro paese può fare qualcosa per loro? Queste sono alcune delle domande che Luigi Manconi e Valentina Brinis si sono posti nel loro libro “Accogliamoli tutti”, una raccolta di documenti e statistiche che vedono le dure condizioni di vita degli immigrati in Italia, vittime di xenofobia e spesso di razzismo. Il titolo del libro è il risultato di queste analisi, come spiega la coautrice, è la proposta ad accogliere nel paese tutti gli immigrati con una regolare politica sull’immigrazione, e rinnovo del permesso di soggiorno per mantenere il proprio, seppur umile, lavoro. Politica che oggi manca. La presentazione del libro, avvenuta nel suggestivo Tempio di Adriano, ha visto protagonisti non solo i due autori, ma anche due ospiti d’eccezione: Romano Prodi e Sandro Gozi. Dopo l’introduzione di Saul Meghnagi, i due politici sono stati intervistati da Tobia Zevi riguardo la situazione degli immigrati in relazione anche alle tematiche del libro. “Vedendo quello che succede nel mondo - ha spiegato Prodi credo che la contaminazione sia un fattore produttivo. Ogni venti anni la popolazione raddoppia, perché quando le condizioni di vita di altri paesi diventano insostenibili le persone scappano; ci sono inoltre lavori che gli italiani non sono disposti a fare e che invece gli immigrati accettano per sfamare le loro famiglie. Ecco dunque che gli immigrati diventano un fattore necessario nel nostro paese”. Perché l’Italia non è in grado di accogliere un’emigrazione di qualità? “Perché il nostro è un paese molto chiuso dal punto di vista psicologico e anche in calo economico; esiste la convinzione che il paese possa fare qualcosa, ma non utilizza le proprie risorse: la Spagna ad esempio è in una situazione economica peggiore rispetto alla nostra, eppure la simpatia delle persone e la vitalità del paese attira turisti. All’Italia manca quella vitalità per riemergere”. “Questo libro è una boccata d’aria fresca” aggiunge Gozi: “il nostro paese è davvero chiuso e xenofobo. Accogliamo gente che fugge dalla miseria, ma il tema della solidarietà è del tutto scomparso; ecco dunque che il paese contraddice se stesso, perché in ogni trattato europeo compare la parola solidarietà”. GIORGIA CALÒ SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 Il libro dei verbali della comunità di Casale Monferrato 39 ROMA EBRAICA Alla ricerca di un sapere nuovo Il pensiero ebraico a fondamento del metodo rivoluzionario introdotto da Reuven Feuerstein SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 N 40 ell’estate del 1999 avevo da poco iniziato il mio dottorato e andavo cercando modelli teorici capaci di integrare approcci molto distanti tra loro come: il lifelong learning il successo formativo, l’educazione interculturale e i riferimenti all’educazione ebraica. Trovare qualcosa che riuscisse a tenere insieme tutti questi aspetti della mia ricerca stava diventando un’impresa piuttosto ardua. L’occasione per fare ordine nella mia mente sovraccarica di idee mi venne offerta partecipando al seminario sull’intercultura condotto dal Prof. Reuven Feuerstein a Shoresh, in Israele. Il punto di partenza per districare i nodi problematici che riguardano la condizione degli immigrati e la convivenza pacifica tra culture diverse, fu introdotto da Feuerstein con le parole della parashah di Lech Lechà. Per il relatore bisognava comprendere quella esperienza e quel sentire per capire le storie di uomini e di donne che lasciano la casa ed i luoghi delle origini, alla ricerca di un posto dove vivere meglio, realizzare se stessi e dare sicurezza alla propria famiglia. In pochi momenti capii che i problemi riguardanti la convivenza tra le diverse culture avevano bisogno di essere studiati con analisi e prospettive che andavano oltre i temi dell’accoglienza e dell’integrazione. Quel seminario fu per me l’inizio di un sorprendente viaggio dentro i luoghi di un sapere pedagogico capace di rispondere in modo originale alle questioni poste dalle dinamiche selvagge dell’era della globalizzazione, dal diffuso uso di un apprendimento a distanza, dalla necessità di dare qualità e democrazia all’educazione interculturale. Grazie a Jael Kopciowki, con la quale ho condiviso negli anni lo studio delle fonti ebraiche nell’approccio di Feuerstein, ho poi iniziato il percorso formativo sugli strumenti applicativi (il PAS Standard). Il lungo e affascinante viaggio alla scoperta dei significati della mediazione e degli strumenti preparati con illuminante genialità da Feuerstein mi ha chiarito come l’educazione cognitiva possa migliorare le capacità e le competenze di qualsiasi persona, indipendentemente dalla condizione in cui si trova, e favorire un adattamento attivo e creativo nelle società in continua trasformazione. Nel corso di questi anni ogni mio viaggio in Israele aveva un appuntamento inderogabile: andare a Gerusalemme per incontrare il Prof. Feuerstein a casa o all’istituto. Le nostre conversazioni si focalizzavano sull’importanza dell’approccio per formare i futuri educatori, su quali aspetti del metodo stavo sviluppando per la mia ricerca sull’educazione alla pace e di quali aspetti della cultura ebraica avevo collegato con i suoi scritti. Feuerstein mi chiedeva spesso che cosa pensavano gli studenti del suo sistema educativo. E per me era una grande soddisfazione riportare ciò che gli studenti mi dicevano e mi dicono sempre a fine corso: “come mai nessuno ci aveva mai parlato di questo pedagogista e del suo metodo così formidabile e interessante?”. Più volte abbiamo condiviso l’idea di progettare un centro per lo sviluppo della cultura di pace e il dialogo interculturale e interreligioso. L’esperienza di apprendimento mediato e gli strumenti per lo sviluppo delle strutture cognitive, come ha già introdotto su queste pagine da David Meghnagi, sono un fondamentale contributo per costruire con consapevolezza l’educazione alla convivenza pacifica. Un riconoscimento, questo, che ha attraversato i confini culturali, scientifici, politici e religiosi dei continenti, e che si è formalizzato nella sua candidatura a Premio Nobel per la Pace nel 2012. In uno dei nostri incontri della scorsa estate, Feuerstein voleva condividere con me la preparazione degli strumenti per educare alla non violenza e alla mediazione dei conflitti. Erano strumenti in progress con le immagini e le scritte che richiedevano ancora correzioni e precisazioni. Ma anche se non completati, gli strumenti ave- vano, come quelli del Programma di Arricchimento Strumentale, già ben esplicitate e definite le potenzialità e le versatilità necessarie per essere sperimentati e utilizzati in differenti contesti educativi. Feuerstein, per la sua speciale e intuitiva capacità di conoscere le persone nel profondo, sapeva bene quanto io avessi bisogno di riflettere con lui su queste tematiche. Così ci trovammo a progettare su come tradurre tutto ciò per sperimentarlo con gli studenti dei miei corsi accademici. Stavamo quindi vedendo come organizzare le cose al meglio quando, con un gesto rapido come era solito fare quando decideva una cosa importante e risolutiva, telefonò al figlio Daniel esperto di mediazione familiare e civile. Feuerstein voleva che ci si incontrasse per integrare le nostre competenze, approfondire le conoscenze dei nuovi strumenti e programmare di tradurli per iniziare la sperimentazione in Italia. Un invito speciale L’incontro con Daniel, in un beit caffè di Ramat Gan, è stato la scoperta di un mondo di condivisioni e di interessi comuni. Per spiegare cosa pensassi della filosofia del metodo ho cominciato a raccontare a Daniel come inserisco il sistema nei miei corsi universitari per la formazione di educatori e insegnanti e come l’avvicinamento a questo studio coinvolga e appassioni gli studenti. Ma non potevo trattenermi dallo spiegare la mia attrazione per gli aspetti della cultura ebraica che sono impliciti nel metodo. A dire la verità Daniel rimase un po’ stupito, non aveva mai riflettuto abbastanza su quei collegamenti. Ma il massimo dello stupore l’ho visto passare sul suo volto quando ho cominciato a descrivere come avevo interpretato il rapporto tra i parametri della mediazione, i significati della festa di Pesach e la celebrazione del Seder. Devo essere stata abbastanza incisiva e dettagliata, da spingere Daniel a propormi di partecipare al Seder successivo in casa Feuerstein dicendomi: “come fai a sapere tutte queste cose? Quello che stai dicendo è esattamente quello che facciamo durante i nostri Sedarim. Devi assolutamente venire e celebrare con noi il Seder”. La vita mi stava regalando un bellissimo dono, mi sentii presa da un'emozione sconfinata, ma anche dalla sensazione che tutto questo fosse qualcosa di troppo grande per me. Una circostanza così unica mi sembrava impossibile. Così per mesi, racchiuso in una piccola bolla magica, ho custodito nel mio cuore questo invito speciale. A marzo, mentre ero in Israele come visiting professor, ho nuovamente incontrato Daniel. Ero sicura che l’invito si fosse perso dentro una conversazione estiva in un beit caffè di Ramat Gan. Niente affatto. Daniel aveva deciso e, in accordo con il fratello Rafi che era già pronto ad aggiungere un posto a tavola, mi confermava l’invito al Seder in casa Feuerstein. Il prof. Feuerstein rimase sorpreso, meravigliato, ma felice di vedermi a casa del figlio dopo che gli avevano raccontato che nel giro di una settimana ero andata e tornata dall’Italia per celebrare il Seder con lui e con tutta la sua numerosa famiglia. Ero emozionatissima, osservavo ogni gesto ed ogni movimento. Nella sala da pranzo della casa di Rafi a Gerusalemme c’erano tantissime persone. Forse più di 40. Cercavo di capire chi era parente, amico, conoscente. Chi erano i bambini, come si chiamavano, quanti anni avevano. Avrei voluto filmare ogni istante, trascrivere ogni frase, riportare le scene che vedevo, le espressioni di ogni bambino e di ogni adulto quando partecipavano con le loro domande, le risposte, i gesti, i canti e i balli alla lettura dell’Hagadah. Avrei voluto dipingere ogni scena dello spettacolo fatto dai bambini che, divisi per età, presentavano agli adulti le quattro frasi del Ma Nishtanah. E la profonda dolcezza con la quale il prof. Feuerstein recitava il kiddush, cantava le berachot L’attualità del pensiero di Feuerstein Oggi sembra che le giovani generazioni stiano perdendo la capacità di rapportarsi e relazionarsi in modo creativo e costruttivo con le categorie del tempo e dello spazio. Sono proprio queste categorie, filosoficamente così importanti, che Feuerstein considerava fondamentali per lo sviluppo del pensare dinamico e produttivo. In un sistema di educazione della mente, motivato dalla completa fiducia nella educabilità dell’intelligenza, Feuerstein sottolineava quale importanza fondamentale avesse l’educatore nell’attivare i processi di modificabilità cognitiva strutturale. È infatti vero che per quanto gli stimoli socio-culturali e i fattori biologici siano delle ricchezze e/o degli ostacoli per l’apprendimento, la qualità e l’intenzionalità della interazione educativa dell’educatore (genitore, insegnante, parente prossimo ecc.) sono quelle che generano la modificabilità della mente e lo sviluppo della propensione al cambiamento. Feuerstein, nella necessità di fare chiarezza su ciò che caratterizzano la diversità e la deprivazione culturale, precisava la necessità di non confondere queste due condizioni. Mentre la prima rimanda ad una appartenenza ai sistemi culturali, fatti di contenuti, codici, comportamenti, valori, strumenti, manufatti e regole, la seconda ha origini nella mancata possibilità dell’essere umano di conoscere, attraverso l’esperienza di apprendimento mediato (mediazione) i significati, i simboli, i processi, le relazioni che sono proprie del tessuto culturale e sociale dentro il quale cresce, apprende e tra- sforma la realtà. Coloro che nella propria cultura sono stati privati dell’esperienza di apprendimento mediato, mostrano un mancato sviluppo del potenziale di apprendimento e di conseguenza una difficoltà a relazionarsi, comprendere ed interagire in contesti culturali differenti dal proprio. Da qui il richiamo che Feuerstein faceva alle società ricche che rischiano di fare diventare gli oggetti di consumo dei “sostituti genitoriali”. La presenza di deprivazioni culturali è molto forte anche nelle società che si dichiarano ricche e tecnologicamente avanzate. Un ambiente ricco di stimoli non genera di per sé mediazione, l’apprendimento è, invece, qualitativamente valido quando gli adulti sono presenti con progetti e azioni intenzionalmente dirette a modificare e migliorare le strutture cognitive e la propensione all’apprendimento delle persone. L’importanza data alla qualità della relazione educativa che, partendo da un contesto affettivamente caldo e positivo, permette il miglioramento e il successo di ogni essere umano è il meraviglioso insegnamento che Feuerstein ci ha donato per continuare insieme l’opera della creazione. SILVIA GUETTA Università degli Studi di Firenze - Università Ca’ Foscari Università Roma Tre Convegno Internazionale REUVEN FEUERSTEIN: IL FUTURO Metodologie, strumenti di applicazione e pratiche educative Aula Magna Università degli Studi di Firenze 23 ottobre 2014 h 10-18 Con la partecipazione di Ricercatori e Responsabili de The Feuerstein Institute di Gerusalemme della Feuerstein Heritage Foundation Relazioni: Silvia Guetta, Umberto Margiotta, David Meghnagi Workshop con formatori: Jael Kopciowski, Nicoletta Lastella, Sandra Damnotti Il Convegno, è rivolto a Insegnanti, Educatori, Formatori, Mediatori e Studenti. Iscrizioni entro il 15 ottobre, verrà rilasciato un attestato con i Crediti Formativi utili per l’aggiornamento e la formazione al PAS. La quota di partecipazione di 20€ sarà devoluta alla Feuerstein Heritage Foundation. Informazioni: Prof.ssa Silvia Guetta mail [email protected] tel. 0552756090 Gan Eden Agenzia di Onoranze Funebri ebraica Siamo Kosher nei modi e nei prezzi Massimo rispetto per i defunti e per gli avelim Assistenza legale e cimiteriale Via Casilina 1854/c - Roma Tel. 327/8181818 (24 ore su 24) [email protected] - www.ganeden.eu SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 e, preso dal gioco e dallo scherzo, cercava di nascondere l’Afikomen sotto il suo inseparabile e caratteristico basco. Ero affascinata da tutto, come mi aveva preavvisato Daniel, potevo concretamente vedere come veniva stimolata la partecipazione dei bambini tanto che, presi dal gioco e dai cioccolatini che arrivavano tutte le volte che riuscivano a dare una risposta giusta, alle 2 di notte erano ancora tutti belli, arzilli e pronti a continuare a divertirsi. Tutto era pensato e svolto in funzione dei bambini. Era fondamentale avere la loro attenzione, assicurarsi che tutto venisse capito. Ogni fase della lettura e ogni azione era la mediazione di strumenti utili per aiutare a comprendere e sentire il passato, il presente e futuro. Una mediazione fondamentale che nella nostra mente può essere attivata grazie ad un processo educativo intenzionale capace di attivare la modificabilità cognitiva. La celebrazione di tutta la festa di Pesach è una chiara espressione, per il calore umano della famiglia, per i suoi simboli, i suoi gesti e i suoi rituali, di profonda intenzionalità educativa. 41 ROMA EBRAICA L Museo Ebraico, cosa ne pensano i turisti a penultima domenica di luglio, nonostante le strade romane fossero deserte per il caldo, il Museo Ebraico di Roma era gremito di turisti di ogni età e nazionalità. Le guide continuavano ad uscire dall'uscita principale del museo con al seguito folti gruppi di turisti per guidarli nelle strade del ghetto e per raccontargli con grande professionalità la storia della Comunità ebraica di Roma, dopo aver mostrato l'affascinante collezione di tessuti, di argenti e di altri oggetti che rendono così famoso internazionalmente il museo ebraico di Roma. Dopo la fine della visita ho fermato numerosi visitatori curiosa di scoprire cosa li avesse colpiti di più. La maggior parte degli intervistati era a conoscenza della fama del Museo e della sua preziosa raccolta di oggettistica ebraica mentre pochi, soprattutto i più giovani, mi hanno detto di essere rimasti profondamente colpiti della visita nonostante avessero scoperto il museo solo camminando verso il Tempio Maggiore oppure mentre si stavano dirigendo verso uno dei numerosi ristoranti kosher del Ghetto. Cosa vi è ha colpito di più della visita? C'è un oggetto del museo che vi è particolarmente piaciuto? Una coppia di coniugi messicani in viaggio di nozze ha sottolineato la bellezza dei tessuti e delle vetrate di Eva Fischer. Sono vetrate colorate finemente decorate (la vetrata di Gerusalemme, la vetrata di Hebron, di Safed e la vetrata di Tiberiade). Queste sono state realizzate rispettivamente gra- ASSOCIAZIONE D.A.N.I.E.L.A DI CASTRO AMICI MUSEO EBRAICO DI ROMA L’“Associazione Daniela Di Castro Amici del Museo Ebraico di Roma” SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 è nata per aiutare il Museo Ebraico 42 di Roma nella tutela, conservazione, promozione, diffusione e sviluppo della ricchezza del suo patrimonio. PER INFORMAZIONI E PER ISCRIZIONI: www.associazionedanieladicastro.org [email protected] Tel. 334 8265285 I bambini prima di tutto L’ADEI-WIZO schierata in prima linea nella difesa dei bambini L’ zie alle offerte di Nella e Salvatore Fornari in memoria della figlia Vittoria, di Celeste Terracina e di Alberto e Vittoria Fornari in memoria di Raffaele Fornari, di Marcello e Carlo Sestieri in memoria dei genitori e di Sergio Tagliacozzo in memoria di Marcella Ajò. Una giovane ragazza ebrea di Pescara mi ha parlato con grande entusiasmo dell'elemosiniere settecentesco con colonnine tortili che imitano le colonne del baldacchino di San Pietro (realizzate dal Bernini nella prima metà del Seicento utilizzando come modello le colonne del Tempio di Gerusalemme). Una signora newyorkese appena uscita dal Museo con la sua guida privata, mi ha raccontato che frequenta regolarmente la Central Synagogue di New York. Era a conoscenza della bellezza del Museo Ebraico di Roma ed era curiosa di approfondire la storia della Comunità ebraica romana. In seguito alla visita era profondamente commossa per il reparto del museo dedicato all'olocausto (diversi membri della sua famiglia originariamente europea erano stati nei campi di concentramento nazisti). Subito dopo la signora è uscito dal museo un gruppo di quattro amici sempre americani sui vent’anni. Quasi non mi avevano sentito mentre cercavo di fermarli perché troppo intenti discutere sull'attentato al Tempio di Roma del 1982 in cui ha perso la vita Stefano Gaj Taché a soli due anni. All'unanimità erano tutti very moved (molto commossi) dal libro di preghiere con i segni di proiettili grazie al quale si è salvato proteggendosi Nereo Musante. Nonostante le diverse nazionalità, le diverse età, i diversi interessi e le diverse religioni, la visita ha certamente lasciato qualcosa a tutti coloro che sfidando il caldo di un'estate romana hanno deciso di fermarsi incuriositi al Museo Ebraico di Roma per scoprire qualcosa in più sulla storia della Comunità ebraica di Roma, la più antica comunità ebraica europea. SARAH TAGLIACOZZO impegno a proteggere i bambini ha sempre caratterizzato l’attività dell’ADEI-WIZO e mai come in questo periodo il suo lavoro è stato fondamentale ed urgente. L’ADEI di Roma ha moltiplicato gli sforzi per raccogliere fondi da inviare in Israele per questo scopo. Dal 2005 vengono lanciati da Gaza razzi sullo Stato israeliano, quasi sempre intercettati dall’antiaerea, il cui impatto psicologico lascia pesanti tracce nella mente dei bambini. Adesso che il governo di Israele ha deciso di distruggere i tunnel che portavano ingenti quantità di armi a Gaza, le istituzioni WIZO si sono occupate principalmente degli abitanti del sud di Israele, fornendo assistenza materiale e psicologica a bambini ed adulti ed anche ai soldati impegnati nella missione “Protective Edge”. I bambini che hanno mostrato maggiormente i segni della pressione psicologica a causa del lancio dei razzi palestinesi, sono stati spostati in strutture a distanza di sicurezza ed hanno riacquistato lentamente l’equilibrio perduto. Il personale WIZO affianca i piccoli ospiti durante tutto il giorno, in particolare durante la sera, parlando con loro e cercando di riportare lo stress a livelli accettabili; inoltre, tramite l’aiuto di finanziatori privati, cerca di distrarli fornendo loro giocattoli e cibi a loro particolarmente graditi, come la pizza. E’ stata approntata anche una linea telefonica per aiutare adulti e bambini a gestire questo periodo di forte pressione. Spesso sono gli stessi genitori a telefonare per chiedere consigli su come poter spiegare ai propri figli la situazione attuale senza creare maggiore stress. La WIZO è sempre stata attiva anche in ambito culturale, promuovendo la cultura israeliana attraverso concerti, opere teatrali, mostre. Recentemente l’ADEI-WIZO di Milano è stata costretta, per motivi finanziari, ad annullare il concerto della cantante Noa, il cui agente ha protestato affermando che la cancellazione era dovuta a motivi di carattere politico. Si segnala che, purtroppo, non è il primo caso di manifestazioni ebraiche programmate nei prossimi mesi ed annullate per il ritiro dei finanziatori a causa della situazione attuale di tensione tra israeliani e palestinesi; è anche da sottolineare che Noa recentemente ha manifestato la propria critica contro il governo israeliano in modo molto duro e fazioso. SILVIA HAIA ANTONUCCI Io ebreo, io libico, io italiano: la storia di David Gerbi ta, ma venne ritrovata nel 2003 e, dopo innumerevoli vicissitudini per permetterle il trasferimento, le venne permesso di riunirsi con la sua famiglia “romana”. Il secondo miracolo è la fine del coma della Zia, ricoverata a Tripoli, e il terzo è il primo visto di Ebreo Libico con cui David poté fare visita a quest’ultima. L’abbattimento del muro costruito per sigillare la Sinagoga di Tripoli, o il fatto stesso che David sia stato vivo abbastanza a lungo da poterlo raccontare, sono solo due degli ulteriori miracoli che vengono presentati come la base di questa grande fede che lo avvolge sin da piccolo. Alla fine della rappresentazione, il regista Tonino Tosto ha spiegato la difficoltà di raccontare una storia autobiografica attraverso il teatro; perché non scegliere una conferenza? O uno spettacolo messo in scena da più attori? Semplicemente per fare arrivare il messaggio in maniera più diretta, sicuramente più leggero di una conferenza e più adatto ad un pubblico giovane. Uno spettacolo, quello di Gerbi, istruttivo, meritevole di ulteriori spazi all’interno dei teatri Italiani e di tutto il mondo. Insomma un grazie a tutti i collaboratori e alle collaboratrici per questo toccante pezzo di storia delle Comunità Ebraiche di Libia e di Roma, e un forte e sentito grazie a David Gerbi, per non essersi mai arreso di fronte alle difficoltà e per non aver mai perso fiducia né nell’identità di Libico, né nella fede Ebraica. REBECCA MIELI Quando la danza non è solo un gioco lità, c'è una presa di conoscenza delle parti del proprio corpo, si imparano terminologie e articolazioni delle quali loro ignorano la funzionalità. “Basta pensare alla flessione e all'estensione – ci conferma Alessia - Bisogna ricordare ai genitori che muoversi nel tempo senza farsi male è fondamentale e questo potrebbe essere un buon esercizio!”. Tra i molti obiettivi che si prefigge il gioco danza, ce n'è uno che riguarda l'aspetto relazionale e sociale del bambino: il lavoro di gruppo, la presa di coscienza del compagno (ovvero imparare che lì vicino c'è un altro bambino), sapersi muovere in uno spazio condiviso anche attraverso degli attrezzi e sapere dove stare senza occupare il posto di un altro bambino. “Vengono messi a disposizione dei bambini degli strumenti che permettono di creare dei percorsi come, ad esempio, il saltare dentro e fuori dal cerchio e tornare indietro perché oltre all'approccio ludico, i bambini devono imparare a lavorare con il corpo. - ci spiega - Nella fascia 4/5 anni ci si concentra sugli addominali poiché fisiologicamente i bimbi hanno la pancia leggermente protuberante e la schiena lievemente inarcata. Far rientrare gli addominali permetterà in futuro di avere una giusta postura per la schiena”. Questi esercizi vengono visti dal bambino come un gioco e come una sua libera scelta, senza forzature. A quanto pare il gioco danza è l'attività migliore per l'età prescolare. Stiamo parlando di un percorso formativo nel quale sono introdotti tanti elementi che fanno parte di tutto quello che è il complesso di crescita del bambino. MIRIAM SPIZZICHINO La musica, il movimento, il ritmo e le relazioni con gli altri sono tutte esperienze che rafforzano il bambino attraverso il ballo O gni anno ci divertiamo a guardare, nella palestra dell'asilo ebraico, le coreografie dei bambini alle prese con il famoso “saggio di danza”. Alessia Di Castro, coreografa e direttrice della scuola “Amici della Danza”, spiega che dietro quel balletto, che per molti può sembrare semplice, in realtà c'è un duro lavoro di educazione al movimento. Il gioco danza corrisponde alla danza educativa e avviene in età prescolare (dai 4 ai 5/6 anni). “Si pensa che il gioco danza sia solo per le femmine, invece ho riscontrato che molti bambini maschi con un'ottima capacità di coordinazione, grazie a questi esercizi, arrivano a migliorarla e svilupparla maggiormente”, afferma Alessia. Il gioco danza è importante perché, attraverso la musica, i bambini imparano a gestire il proprio corpo seguendo un ritmo musicale. In questi esercizi non è importante solo la coordinazione, ma l'esecuzione di un movimento in un determinato intervallo di tempo dato dal ritmo (camminata lenta o veloce). Si lavora sulla spazia- ADEI WIZO ROMA “CHE BELLO SONO IN CRISI!” Non pretendiamo che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi può essere una grande BENEDIZIONE per le persone e le nazioni, perché porta progressi (A. Einstein) Corso di formazione settimanale (aperto a tutti) condotto dal dott. David Gerbi, psicologo–psicoterapeuta-psicoanalista junghiano Info: Stefania 3286131823 - Rossella 3483013997 Mara 3492961425 SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 D al 22 al 25 Giugno al Teatro “Sala Umberto” è stato presentato lo spettacolo “I LOVE LIBYA”. La rappresentazione è stata scritta ed interpretata da David Gerbi, il quale non solo si è cimentato in questo “one man show” raccontando una storia davvero drammatica e profonda, ma a conti fatti ha rappresentato la storia della sua vita, quindi con duplice difficoltà interpretativa. Lo spettacolo è stato dedicato, in occasione della giornata mondiale dei rifugiati, proprio a questi ultimi, costretti a lasciare il proprio paese a causa delle persecuzioni. David parla della sua infanzia passata tra i quartieri di Tripoli, giorni trascorsi osservando il mondo da una terrazza, tra il brusio dei pettegolezzi e gli schiamazzi delle clienti di sua madre. Dopo la Guerra dei sei giorni e le proteste in seguito alla vittoria dello stato d’Israele, la Comunità Ebraica di Tripoli ha dovuto passare giorni interi nascosta nelle proprie case, quando i cittadini che fino a pochi giorni prima consideravano fratelli, hanno iniziato ad incendiare i negozi e a distruggere il quartiere. Nel giugno del ‘67 il Re Idris I, per far sfuggire gli ebrei ai veri e propri pogrom che si stavano svolgendo, li aiutò ad uscire dal paese, scortando anche le famiglie più agiate al porto e all’aeroporto di Tripoli. La Comunità esiliata si trasferì in parte in Israele e in parte in Italia, specialmente a Roma, dove furono accolti con lo status di rifugiati. David rimase a Roma per tutta l’adolescenza, si integrò perfettamente nella comunità commovente il racconto del suo Bar Mitzva, quando i suoi amici gli regalarono il motorino per farlo sentire davvero parte del gruppo - e studiò per diventare psichiatra. Nonostante il trascorrere degli anni non perse mai il legame con la madrepatria, partecipando anche alle manifestazioni della “Primavera Araba” del 2011. Gerbi racconta la sua storia mostrando una grandiosa forza interiore e una fede che forse in pochi, dopo tragiche vicende come questa, sarebbe rimasta intatta. Alla fine dello spettacolo, accendendo nove lumini, elenca tutti i grandi miracoli della sua vita: il primo è il miracolo del ritrovamento della zia, Rina Debach, ultima Ebrea ancora residente in Libia. Tutti la ritenevano mor- 43 ROMA EBRAICA Quando Maccabi vuol dire sport Dal calcio alla pallanuoto molte le discipline per fare attività sportiva I l movimento sportivo Maccabi nasce alla fine del XIX secolo da una intuizione di Max Nordau, medico, filosofo, scrittore in ordine al pensiero di un "ebraismo muscolare" nell'ambito di un ideale sionistico che si basasse non solo su una forza intelletuale, ma anche su una forza fisica ed agonistica. Il Maccabi, il cui motto è "Hazak Veemaz", "Forza e Coraggio", è l'istituzione sportiva con maggiore presenza nel mondo, infatti in ogni nazione dove il Maccabi è attivo è presente una Federazione nazionale che fa parte del Maccabi mondiale, che promuove ed alimenta le attività periferiche dei vari circoli Maccabi ubicati nelle città con una presenza comunitaria ebraica. L'Italia non fa eccezione; è presente la F.I.M. Federazione Italiana Maccabi, presidente Vittorio Pavoncello, che organizza le spedizioni per le quadriennali sia per le Maccabiadi in Israele, sia per gli European Maccabi Games in una nazione europea prescelta. Il Maccabi di Roma - diretto da Fabrizio Della Rocca, ex-calciatore e con il figlio Angelo, capitano della pallanuoto - svolge la sua attività negli sport del Calcio a 5 dai bambini agli adulti, calcio a 11 per gli adulti, volley femminili per tornei femminili adulti, tennis, karate e pallanuoto che milita in serie C. “Le piccole soddisfazioni sono le più grandi”, spiega Della Rocca, che però ricorda come una ‘missione impossibile’ quella di essere riusciti nel 2007 ad organizzare a Roma le Maccabiadi europee, “grazie allo sforzo congiunto di tutti, anche del Comune, della Provincia e della Regione”. Sono molti i successi che il Maccabi Roma può annoverare. “Nel calcio - sottolinea Della Rocca - abbiamo avuto sempre soddisfazioni sia con le categorie ragazzi che con gli adulti di open. Abbiamo vinto al livello regionale il campionato del CSI (Centro Sportivo Italiano) con la squadra open. Il CSI è una delle organizzazioni più grandi del calcio a cinque. Anche i ragazzi hanno dato soddisfazioni sia nel campionato regionale CSI calcio a cinque, sia nel campionato FIGC (Federazione Italiana Gioco Calcio) 2013/2014. La squadra under 16 di calcio a cinque è stata medaglia di bronzo alle ultime Maccabiadi. Gli under 14 hanno vinto con grande soddisfazione un torneo a Madrid. Quello che è un po' mancato sono i tornei della pallavolo femminile ed in particolare il campionato federale. Vedremo quest'anno se è possibile riportare queste ra- Corso di autodifesa per donne SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 I 44 Il Krav Maga per uscire la sera un po’ più tranquille l Krav Maga è una "tecnica di combattimento" semplice e pratica, è un sistema di combattimento ravvicinato e di autodifesa di origine israeliana. La parola krav maga, in ebraico moderno, significa letteralmente "combattimento con contatto/ combattimento a corta distanza". Il krav maga risponde a criteri di tipo militare quali l'efficacia e la rapidità con cui si arriva al risultato desiderato, che è la neutralizzazione definitiva dell'avversario e per giungere a questo risultato si punta a colpire prevalentemente zone vitali del corpo quali: genitali, carotide, occhi etc, (zone intoccabili negli sport di contatto, e pertanto non può essere praticato in forma sportiva come per tutti gli sport da combattimento). Le tecniche di krav maga trovano oggi particolare riscontro ed applicazione nel campo degli operatori della sicurezza, forze armate e dei corpi di polizia. Oltre che in Israele, esso è ormai diffuso in tutti paesi del mondo, dando vita a numerose scuole. Da alcuni anni il krav maga è divenuto una realtà anche per i semplici cittadini nell'ambito della difesa personale, poiché si adatta gazze a giocare a pallavolo, anche in campionato”. Il Maccabi è una grande famiglia, ognuno ha un ruolo e tutti devono sentirsi importanti, come lo era il massaggiatore Giulio Morelli, recentemente scomparso. “Era il massaggiatore della squadra di calcio, e non era ebreo - ricorda Della Rocca - però se uno spettatore diceva qualcosa contro gli ebrei lui era il primo a difenderli. E’ stata una figura paterna per tutti gli atleti”. Adesso l’impegno del Maccabi è non solo rafforzare il movimento, ma preparare la ‘spedizione’ per Berlino luglio 2015: “tutte le squadre inizieranno gli allenamenti e i tornei da Settembre”, spiega Della Rocca. Quindi in bocca al lupo. YAARIT RACHAMIM ad ogni individuo, di qualsiasi corporatura (donne, uomini e ragazzi), che si prestano all'autodifesa in qualsiasi luogo e situazione (a piedi, in auto, in ambienti chiusi o aperti, etc...). Fabio Di Nepi ha dato vita alla A.S.D. Scuola Krav Maga Roma, di cui è il direttore tecnico, che cura non solo la formazione atletica, ma anche l’aspetto mentale e psicologico della difesa personale, attraverso le lezioni settimanali con l’ausilio di psicologi, avvocati ed appartenenti alle forze dell’ordine. Quest’anno Di Nepi ha organizzato la terza edizione del Corso “DONNA SICURA”, un corso specifico per sole donne di qualsiasi età. Verranno effettuate simulazioni e dati consigli su come comportarsi in auto, in treno, a piedi. Si impareranno ad utilizzare le "armi occasionali" e gli strumenti difensivi che si possono avere sempre a disposizione (chiavi, spazzole, penne sfera, pepper-spray). Verrà data grande importanza ai "confini personali” e al linguaggio del corpo, insegnando a sviluppare una mentalità difensiva che si porterà per tutto il resto della vita. Per info: www.scuolakravmagaroma.it oppure [email protected] Il corso Krav Maga si svolge presso la palestra “Golden Power” il Martedì e il Giovedì dalle 19:00 alle 20:30 in Via Scarperia, 42 Roma (Tel. 06.55.26.86.26) - Palestra Milleluci Sporting Center il Martedì e il Giovedì dalle 21:30 alle 23:00 in Via Aldo Quarantotti, 50 Fiumicino (Tel.06.65.22.632) Cronaca semiseria di una vacanza in Israele sotto attacco missilistico D a tempo avevo deciso di passare le vacanze in Israele. La guerra iniziata a luglio non aveva fermato i miei propositi. Anzi ritenevo che fosse doveroso andare per mostrare un po' di conforto e solidarietà. Avevo tentato di convincere mia moglie a venire con me, ma lei desiderava andare dai miei figli. Io ritenevo invece che fosse importante andare in Israele per tanti motivi, prima di tutto per studiare l'ebraico. Così abbiamo deciso di passare le vacanze separate, ognuno con i propri desideri e obiettivi da seguire. Come l'anno scorso volevo seguire un corso di Ulpan, il mio ebraico doveva migliorare e, dopo i verbi passati, era giunto il momento di studiare il tempo futuro. Per fortuna, proprio il giorno prima della partenza è scattato il cessate fuoco e immaginavo una vacanza serena e rilassata. Difatti, sopratutto nel mese di luglio, dopo il solito intenso periodo lavorativo, mi era venuto un po' di reflusso gastroesofageo. Quindi: dieta, studio e sport sarebbero stati i miei mantra estivi. Il giorno dopo l'atterraggio a Tel Aviv mi presento subito all'Ulpan e subisco un esame che sembrava più che altro un interrogatorio di una poliziotta che aveva davanti un capo di Hamas. Voleva capire in quale classe avrei potuto seguire il corso. Alla fine mi dice: tu sei alef plus plus. Ho subito provato a spiegare che pure l'anno scorso avevo lo stesso risultato e che avrei gradito andare nella classe Bet a studiare il futuro. Mentre parlavo la tizia, senza nemmeno guardarmi in viso, scriveva su un foglietto di presentarmi il giorno dopo alla stanza 22, secondo piano. Poi, poiché insistevo, mi spiega che siccome avevo sbagliato tutti i verbi passati non potevo andare alla classe "Bet". Il giorno dopo mi sono presentato alla scuola. Subito 16 ragazze, tutte dai 25 a 30 anni, tutte bionde e con occhi celesti o verdi o grigio chiaro (siamo daltonici da generazioni) mi fissano stupite. Ho subito richiuso la porta chiedendo scusa e dicendo che avevo sbagliato classe. Un gesto istintivo, che ancora non mi spiego: quei 32 occhi di donne ucraine, moldave, lituane e russe, mi avevano intimorito. Ricontrollo fuori la porta il bigliettino e la classe. Purtroppo coincidevano. Dovevo rientrare. L'insegnante mi fa cenno di sedermi al primo banco libero, vicino ad una che sicuramente aveva vinto il Guinness dell'altezza. Mi siedo al suo fianco e la punta della mia testa arrivava precisamente al suo avambraccio. L'insegnante fissa la mia vicina e le dice qualcosa, che non faccio in tempo a percepire. Le chiede sicuramente di farmi una domanda. La domanda arriva subito. Il suo non era ebraico. Era ucraino, con dialetto russo e forse con qualche cenno della lingua dei nostri Padri. Non capisco quello che dice ma collegando alcune parole e basandomi sull'esperienza passata, ipotizzo che l'insegnante volesse farle chiedere come mi chiamavo. Rispondo con velocità: Claudio Coen mi (da) Roma. Senza usare alcun tipo di verbo, né passato né futuro. Una risata mi fa capire che la domanda era tutt'altra: dovevo dire da quando ero arrivato, usando il tempo passato. La settimana con loro è stata difficilissima: più passavano i giorni e più la lingua russa mi diventava familiare, acquisivo il loro accento nelle discussioni di gruppo. Dopo una settimana di lezione, lo stomaco non stava meglio, anzi lo stress delle interrogazioni, con le domande russo - ebraiche mi rendevano la vita difficile. Una sera decido quindi di andare dal giapponese sulla Dizengoff: volevo mangiare leggero. Mi siedo e una cameriera biondina, molto carina. sui 20 anni, mi chiede cosa desiderassi. Mi ero preparato la frase in ebraico e, prontamente, recito a memoria ordinando esattamente cosa avevo studiato. Lei mi guarda fisso e mi risponde in russo. Mi stranisco e in inglese le dico: I am i-t-a-l-i-a-n. Le chiedo perché mi avesse risposto in russo. Lei candidamente mi risponde che pensava fossi russo. La conversazione riprende in ebraico, ma in quel momento decido di lasciar perdere l'Ulpan per studiare da solo. Dopo pochi giorni e con lo stomaco sempre più in subbuglio scopro che nel centro commerciale vicino a dove abitavo vendevano cibi precotti. Mi presento e compro subito la mafruma, un insieme di patate, carne macinata e spezie varie.. Aveva un aspetto strano ma decido ugualmente di comprarne due. Immediatamente hanno fatto presa rapida tra lo stomaco e l'esofago, cementando tutto in un colpo solo. Dopo due giorni l'intestino era incollato allo stomaco, e quest'ultimo mi faceva fare dei ruttini che per fortuna si confondevano con l'Iron Dome. Dopo lo stress dell'Ulpan, organizzo una gita a Gerusalemme con la famiglia di mio fratello e decido di andare ad osservare il panorama di Gerusalemme dal Monte degli Ulivi. Mi hanno sempre parlato di questa veduta meravigliosa sulla città vecchia e pensavo che, visto che ha un importante cimitero ebraico, fosse israeliano. Dopo poche centinaia di metri una sassata tirata sulla macchina ci da il benvenuto. Lo stomaco mi sale in gola e mi si chiude. Mio fratello di corsa prende la guida e via di corsa. Solo dopo ho potuto vedere che sulla portiera della nostra auto c'era un'enorme bandiera israeliana. Decido così di rilassarmi su una spiaggia di Hertzelia. Qui non potevano esserci stress. Di nessun tipo. L'autobus 90 passa proprio sulla Dizengoff. Mi siedo sulla panchina e guardo le novità sul cellulare. Purtroppo la guerra è ripresa. Mentre aspetto alla fermata, vedo sfrecciare il 90. Con uno scatto felino mi faccio vedere gesticolando. L'autista inchioda dieci metri più avanti. Salgo e gli dico tutto incavolato, in ebraico con accento russo, e tempi presenti: dove stai andando? Il tizio mi risponde male e s'infervora. In Israele gli autisti degli autobus sono di due tipi: o simpatici o antipatici. Non ci sono vie di mezzo. Il mio aveva deciso di dare un colpo mortale al mio reflusso. Urla, capisco dai gesti, non dalle parole, che dovevo farmi vedere e non stare seduto in panchina. In inglese, urlando con i tempi presenti, pur sapendo il passato, gli dico: Vuoi che mi attacco al palo come un panda? La battuta non gli deve essere piaciuta e mi ordina di sedermi. Usa l'imperativo che non è molto difficile da capire in Israele visto che è largamente utilizzato. Mi siedo dietro di lui per vedere bene dove scendere. Proprio in quel momento ricevo una telefonata, il tizio inchioda un'altra volta. Con il dito indice mi fa capire che non potevo stare al telefono. Lo stomaco oramai mormorava continuamente, vuoi per la rabbia, vuoi perché l'autista pensava pure di avere ragione. Al ritorno dalla spiaggia, decido di mangiare qualcosa: niente mafruma, humus o fallafel di qualsiasi genere. Forse la shashuka, fatta di pomodoro e uova cotte su un tegamino, poteva essere la cosa più adatta. Mi siedo e ordino in inglese chiarissimo una shashuka, non piccante. Per farmi capire meglio glielo dico in tre lingue: inglese, ebraico e italiano. Il cameriere capisce benissimo, annuisce e mi conferma: no spicy. Arriva la shashuka, ma aveva un colore strano. E' vero che sono daltonico ed era pure buio, ma quelle forme non sembravano rosse di pomodoro. Aspetto che si raffreddi il piatto e comincio a mangiarle con gusto. Come metto la forchetta sulla lingua sento un brivido in tutto il corpo. Sento una fiammata di bruciore che prende il palato fino a soffocarmi. Il bastardo del cuoco l'aveva fatta no piccante ma piccantissima e aveva usato i peperoni israeliani. Mi arrabbio. Esce fuori il titolare: alto, pelato e con delle mani a forma di pala. Mi chiede cosa c'è che non va, provo spiegare al meglio, in tono molto gentile e in inglese che la shashuka è troppo piccante. Non come avevo chiesto. Lui, avanzando verso di me, mentre io indietreggiavo, mi spiega che le shashuka vengono preparate prima e non si possono modificare. "Ah ho capito" faccio io. Giusto! L'ho mangiata tutta per non fargli dispiacere, e ho lasciato pure il 10% di mancia, dicendo che era molto buona. Dopodomani ho il volo di ritorno per Roma. Dopodomani io vado dal gastroenterologo ma gli israeliani no. Quelli il reflusso non ce l'hanno, semmai te lo fanno venire. Nonostante l'Iron Dome non sono stressati! Io sì. CLAUDIO COEN SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 Gli israeliani non soffrono di reflusso. Io sì 45 DOVE E QUANDO SETTEMBRE 15 17 17.00 Le Palme Attualità - Parliamone insieme L U N E D I ----------------------------------------------- Adei Wizo Un libro al mese: Nostro Figlio di Alon Altars ed. Atmosphere MERCOLEDI Che sia cancellato il suo nome di Anouk Markovits ed. Mondadori ----------------------------------------------- 18 21 17.00 Le Palme Le prossime festività, G I O V E D I con Rav Amitai Sermoneta ----------------------------------------------- Adei Wizo Pic-nic di famiglia: Prepara il tuo DOMENICA pic-nic parve e vieni alla “Collina 27 Via delle Sette Chiese L U N E D I Passeggiata culturale al quartiere Garbatella guidati dalla prof.ssa Paola Sonnino. Info e prenotazioni non oltre mercoledì 24 settembre 21.00 Il Pitigliani Chassidismo e modernità. La scoperta dell’individuo Incontro con Gavriel Levi OTTOBRE 02 17.00 Le Palme La festa di Sukkot, G I O V E D I usanze e tradizioni, 03 04 12 a cura di Rav Roberto Di Veroli ------------------------------------------------- Centro di Cultura Ebraica SHABAT SHALOM Parashà: Nitzavim-Vayelech Venerdì 19 SETTEMBRE Nerot Shabath: h. 18:54 Sabato 20 SETTEMBRE Mozè Shabath: h. 19:55 --------------------------------------------------Parashà: Haazinu Venerdì 26 SETTEMBRE Nerot Shabath: h. 18.42 Sabato 27 SETTEMBRE Mozè Shabath: h. 19.43 --------------------------------------------------Parashà: Yom Kippur Venerdì 3 OTTOBRE Nerot Shabath: h. 18.30 Sabato 4 OTTOBRE Mozè Shabath: h. 19.31 --------------------------------------------------Parashà: Chol ha moed Succot DOMENICA Israele. Adulti € 10,00 - bambini gratis. Sukkot: pranzo e incontro col rav Prenotazione obbligatoria in sede Info e prenotazioni: Diletta entro giovedì 18 settembre. ------------------------------------------------Info: 065814464 - 3246388500 ----------------------------------------------Pranzo sotto la Sukkà dei giardiL U N E D I ni del Tempio Maggiore Al termine della Tefillà MINAG TRIPOLINO ALLO SPAGNOLO Centro di Cultura Ebraica Derashà di Shabbat Teshuvà: “Come si fa teshuvà?” con il Rabbino Capo Rav Riccardo Di Segni SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 10.00 Adei Wizo Asili Infantili Israelitici, storta”, Centro Educativo e didatV E N E R D I Yom Kippur 5775. Come ogni antico all’aperto sulla Via Aurelia. no il nostro Kippur. Tefillà, spieGiochi, intrattenimento, caccia al gazioni e commenti. tesoro, passeggiata sui pony, parInfo: 06 5897589 SABATO tita di calcio e tanto altro.... ------------------------------------------------Il ricavato della giornata sarà devoluto a sostegno dei centri per Pranzo sotto la Sukkà bambini e ragazzi della Wizo in S A B A T O Tempio Maggiore, 46 29 13 13.00 Le Palme Il Pitigliani 13.00 Adei Wizo “Il sinodo delle donne”: giornate di incontri, dibattiti e conferenze tra donne di varie culture sul tema “La famiglia tra tradizione e modernità” Info: 065814464 ADEI WIZO IL PITIGLIANI Dopo i moadim riprenderà il corso di Torà e pensiero ebraico a cura di Rav Chaim Vittorio Della Rocca. ADEI Wizo e Asili Infantili Israelitici Rav Elio Toaff organizzano l'evento "Artisti in erba". Si accettano iscrizioni per partecipanti dai 5 ai 18 anni che possano esibirsi in danza di qualsiasi genere, recitazione, musica strumentale, canto corale fino al 30 ottobre 2014. adeiwizor@gmail. com - 065814464 [email protected] – 065803668 Lunedì 15/09 ore 19.30 muoversi con il Metodo Feldenkrais con I. Habib Domenica 21/09 primo seminario domenicale con il Metodo Feldenkrais del 5775 Martedì 30/09 ore 20.00 lezione aperta del Laboratorio di Vocecanto con E. Meghnagi Lunedì 29/09 ore 9.00 nuovo corso di Ginnastica Posturale con G. Ciccarone Lunedì 29/09 dalle 18.00 presentazione del corso di Ebraico con A. Goldman – per i livelli e gli orari contattare la segreteria Martedì 14/10 ore 16.30 arte con C. Terracina Info e iscrizioni: [email protected] (Diletta o Micaela) Gruppo Ghimel: Lunedì 13 ottobre: rincominciano gli incontri! pranzo in sukkà e attività Programmi educativi: Mercoledì 8 ottobre a partire dalle 15.30 attività su sukkot per bimbi dai 2 ai 10 anni Giovedì 9, lunedì 13 e martedì 14 ottobre opensukkà per fare merenda insieme Lunedì 13 ottobre pranzo in sukkà per bambini CENTRO DI CULTURA EBRAICA Sono ancora aperte le iscrizioni ai corsi di: ebraico moderno ai vari livelli e nelle diverse fasce orarie con Alumà Mieli insegnante di madrelingua ebraico biblico con lettura del testo attraverso le radici delle parole con Hora Aboaf Corso principiante: lunedì tardo pomeriggio/ sera Corso intermedio: giovedì 17.30/19.00 Info: 06 5897589 - [email protected] Venerdì 10 OTTOBRE Nerot Shabath: h. 18.18 Sabato 11 OTTOBRE Mozè Shabath: h. 19.20 --------------------------------------------------Siamo lieti di informare tutti i nostri Correligionari interessati, che per l’anno che sta arrivando B’H’, al Tempio Spagnolo di Via Catalana, si svolgeranno come oramai da più di sessanta anni, le funzioni per lo YOM KIPUR con Minag tripolino. Ci aiuterà anche quest’anno nella lettura delle Tefillot e delle Parashot il Hazan Beno Baadash, proveniete da Israele. Con la certezza di vedervi sempre più numerosi, auguriamo a tutti un sereno e dolcissimo anno 5775. Info: Giorgia Di Veroli 065897756 educazione@ pitigliani.it Attivalamente: Sono aperte le iscrizioni per il recupero e il potenziamento delle abilità di apprendimento. Info: Simona Zarfati simona. [email protected] Save the date: domenica 26 ottobre ore 11.00 Spettacolo teatrale per bambini (3-10 anni) "La torre di Babele" con Graziano Sonnino. Regia di Giordana Moscati. Piccola colazione di accoglienza, spettacolo e per chi lo desidera laboratorio manuale per bambini inerente il testo. LE PALME Durante il periodo dei Moadim, dal 24 Settembre al 17 Ottobre, nel Gazebo situato nel parco dell'Ente, si svolgeranno le funzioni religiose delle festività di Rosh ha-Shanà, di Kippur e di Sukkot. Verrà inoltre costruita una splendida Sukkà nel giardino, ove accogliere amici e frequentatori per merende e lezioni. RINGRAZIAMENTI NASCITE Rachel Benigno di Angelo e Giorgia Mieli Sofia, Rivkà Del Monte di Alessandro e Federica Coen Edoardo, Itzhak Hai Di Porto di Attilio e Letizia Di Veroli Asya Funaro di Rodolfo e Micaela Salmonì Gemma Eden Piperno di Fabrizio e Sharon Hayon Sara Salmonì di Marco e Pamela Salmonì Jacopo Genco di Giuseppe e Grazia Spizzichino Samuel, Leone Sonnino di Andrea e Beatrice Di Cori Elena, Noa Tiberi di Claudio e Gaia Spagnoletto Michelle Fiano di Fabrizio e Giada Di Porto BAR-BAT MIZVÀ Golda Danon Rubin di Enzo e Anna Bader Virginia Efrati di Massimo e Elisa Piroli Arielle Sagi Schlesinger di Nicolò e Roberta Anticoli Allison Zarfati di Mirko e Chiara Sonnino Alessandro Astrologo di Giacomo e Claudia Sonnino Niccolò Spizzichino di Andrea e Fabiana Moscati Il Keren Hayesod e l’Ose Italia Onlus ringraziano i Signori Enrico e Tamara Campagnano per aver voluto in occasione delle loro Nozze d’Argento, devolvere i doni ricevuti da parenti e amici, al progetto Amigour “Case protette per anziani” in Israele ed ai progetti per l’infanzia dell’Ose Italia. Il Consiglio della Deputazione Ebraica di Assistenza e Servizio Sociale di Roma desidera esprimere i suoi migliori auguri e sentiti ringraziamenti a Arnaldo e Anna Coen che in occasione delle loro Nozze d’Oro hanno generosamente devoluto quanto destinato ai loro regali a favore delle famiglie bisognose della nostra Comunità La Comunità ebraica e la redazione di Shalom sono vicine a Claudio Di Segni, Maestro del Coro del Tempio Maggiore, per la scomparsa della madre, Sarina Piattelli Di Segni Lo scorso 21 luglio è venuto a mancare Giorgio Campagnano, per anni presidente del Keren Hayesod. Sentite condoglianze alla famiglia e in particolare al figlio Enrico, attuale presidente del Keren Hayesod. E’ scomparso Angelo Di Cori, padre della morà Alba della Scuola Elementare ebraica. Sentite condoglianze alla famiglia. Lo scorso 21 agosto è venuto a mancare Lello Vivanti (Cioccolato). La Comunità ebraica partecipa al lutto della famiglia ed esprime sentite condoglianze. MATRIMONI Graziano Calò - Sara Anticoli Alberto D’Angeli – Laura Caserta Ralph Di Segni – Alexandra Sciunnacche Fabio Renato Di Veroli – Sara Sciunnach David, Jonathan Halimi – Silvia Tedeschi Gabriel Naccache – Deborah Moscati AUGURI I migliori auguri ad Angelo Benigno e Giorgia Mieli, educatrice presso il Pitigliani, per la nascita di Rachel. È nata Sara Salmonì. Auguri ai genitori Marco Salmonì e Pamela Salmonì, alla famiglia, in particolare alla zia Giuliana Salmonì, dell’Ufficio amministrativo della CER. Si sono sposati Graziano Calò e Sara Anticoli. I migliori auguri agli sposi, alla famiglia in particolare ad Alessandra Calò, sorella dello sposo, educatrice presso il Dipartimento educativo della CER. Auguri a Gabriel Naccache e Deborah Moscati per il loro matrimonio. Agli sposi, alla famiglia in particolare al padre della sposa, Claudio Moscati, assessore al Culto della CER, mazal tov! Roberto Coen, consigliere Ucei, è diventato nonno. Sabato 9 agosto è nata infatti Sofia, di Federica Coen e Alessandro Del Monte. Ai neo genitori e ai nonni Roberto, Tiziana Della Rocca, Vittorio e Marina Del Monte, i più affettuosi auguri. I migliori auguri a Claudio Tiberi e Gaia Spagnoletto per la nascita di Elena. Mazal tov alle famiglie, in particolare alla nonna Alberta Efrati, ex insegnante della scuola elementare ebraica e allo zio Amedeo Spagnoletto, Sofer dell’Ufficio rabbinico. CI HANNO LASCIATO Salvatore Astrologo 27/02/1949 – 17/07/2014 Lalla Blum ved. Cittone 16/12/1921 – 05/08/2014 Giovanna Calabi ved. Piperno 15/11/1925 – 08/07/2014 Graziano Calò 07/05/1934 - 27/08/2014 Giorgio Campagnano 14/01/1929 – 21/07/2014 Aldo Coen 10/09/1946 – 18/07/2014 Elvira Coen 29/11/1941 – 02/08/2014 Crescenzo Di Castro 19/09/1933 – 20/06/2014 Lea Di Castro in Ortu 13/02/1936 – 22/06/2014 Angelo Di Cori 23/09/1930 – 20/08/2014 Cesare Di Porto 07/06/1963 – 29/06/2014 Giuliana Di Veroli ved. Sonnino – 07/03/1926 – 22/07/2014 Giacomina Elkaim in Conca 04/05/1927 -02/08/2014 Rosanna Funaro in Pierangeli 11/09/1943 – 22/06/2014 Elia Giuili 04/03/1940 – 01/07/2014 Gabriele Habib 11/07/1928 – 30/07/2014 Angelo Moscato 23/08/1936 – 08/07/2014 Sarina Piattelli Di Segni 05/10/1925 – 15/07/2014 Letizia Piperno in Sed 04/10/1934 – 24/06/2014 Lidia Piperno ved. Pontecorvo 03/08/1915 – 24/06/2014 Nicoletta Roccas in Di Veroli 09/02/1936 – 30/06/2014 Dora Salmonì in Caretta 18/01/1922 - 19/07/2014 Linda Silva 07/07/1922 – 12/07/2014 Giuseppe Sonnino 03/02/1929 – 22/08/2014 Claretta Spizzichino ved. Della Seta 19/02/1924 – 29/07/2014 Leone Taieb 02/12/1922 – 01/07/2014 Lello Vivanti 27/04/1944 -21/08/2014 Rosa Vivanti in Piazza Sed 19/03/1956 – 22/07/2014 Beniamino Zanzuri 03/11/1928 – 04/07/2014 Emanuele Zarfati 28/02/1949 – 08/08/2014 IFI 00153 ROMA - VIA ROMA LIBERA, 12 A TEL. 06 58.10.000 FAX 06 58.36.38.55 SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 Shirel Ascoli di Dino e Micol Di Veroli 47 ROMA EBRAICA Parola d'ordine: "O' Bischero" Il contributo degli ebrei italiani alla guerra di indipendenza di Israele L SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 o scorso 22 agosto, è scomparso Giuseppe Sonnino noto a tutti come "Papone". Lo vogliamo ricordare con un articolo di Balfour Zapler pubblicato su Shalom di maggio 1998. 48 Giuseppe Sonnino è molto noto in “Piazza”, al Portico d’Ottavia dove è conosciuto con l’affettuoso nomignolo di Papone. Parla bene l’ebraico, scandendo le sillabe con il caratteristico accento degli ebrei romani. Scherza sempre con tutti, e alcune volte i suoi scherzi sono grevi, ma questa è una sua caratteristica. Nei suoi ricordi parla sempre di quando faceva “er sordato” in Israele, cominciando nella “mahteret”, la resistenza, appena prima della proclamazione dello Stato, e poi nell’Haganà, l’esercito regolare. Forse non sa che il caso ha voluto che partecipasse alle più importanti battaglie delle neonate forze armate d’Israele. E non sa neppure di essersi comportato da eroe. L’avventura di “Papone” inizia nel 1945 quando, appena sedicenne, decise di recarsi in Palestina, dove frequentò – dopo un breve soggiorno al campo di transito di Beit Lid – la scuola agricola di Ben Shemen. Da lì entrò a far parte del Kibbutz di Givat Brenner dove, nel 1947 iniziò l’addestramento militare. L’azione per Papone cominciò lo stesso anno quando una nave di profughi proveniente dall’Italia, la “Shabatay Luscinsky”, si arenò sulla costa e fu individuata dagli inglesi, avvertiti dagli arabi di un villaggio vicino. Un centinaio di giovani di Givat Brenner (tra cui il nostro “Papone”) si recarono immediatamente sul luogo dello sbarco dei profughi e scambiarono i propri indumenti con quelli degli immigrati illegali, per farsi arrestare dagli inglesi al posto loro e permettere agli sbarcati di recarsi nei kibbutzim vicini. l giovani di Givat Brenner furono infatti arrestati e condotti a bordo di una nave da guerra britannica a Cipro e poi internati in un campo di concentramento dove fu facile dimostrare di essere legalmente residenti in Palestina ed essere quindi rilasciati e riportati a Haifa. Alla fine dell’anno, quando gli inglesi si apprestavano a lasciare la Palestina e la fondazione dello Stato Ebraico era ormai data per certa, Giuseppe Sonnino venne regolarmente arruolato nell’Haganà. Alla domanda di rito: “Dove preferisci andare?”, questi rispose: “in Marina”; al che l’uffi- ciale arruolatore, con un sorriso: “Quando avremo le navi te lo faremo sapere”. Arruolato nella brigata Ghivati – tuttora uno dei reparti di “élite” dell’esercito israeliano – viene aggregato al 52° reggimento che diverrà famoso nell’epopea militare della guerra di liberazione israeliana per essere stato una delle unità combattenti che ha partecipato alle più numerose e rischiose azioni di guerra del 1948. Sonnino partecipa alle battaglie di Latrun, Nitzanim, Giaffa, Tel Nof, Ramat Hakovesh, Ibdis, Ecron; è tra i primi ad entrare a Sarafand, l’accampamento militare inglese più grande del Medio Oriente; è tra coloro che espugnano la Collina 69 e combattono alla Collina 113 ed espugnano le roccaforti di Kubeba e Saranuga… Nomi e luoghi che ormai fanno parte della storia di Israele. Oggi Sonnino non sa di essere tra i pochi sopravvissuti a coloro che di notte portavano armi, cibo e munizioni al kibbutz Negba, assediato dalle truppe egiziane, attraversando le linee nemiche. Coloro che sono sopravvissuti alle guerre e all’età (sono passati 50 anni!) e che hanno partecipato a quelle azioni, sono oggi onorati e riconosciuti come eroi in Israele. La battaglia della Collina 113 combattuta (e persa) contro un intero battaglione di sudanesi che non fece prigionieri, finendo a colpi di baionetta i feriti, fa parte dei testi militari più importanti della storia d”Israele. Ecco il racconto di quanto accaduto nelle parole di Giuseppe Sonnino. Ricordo l’attacco alla Ghivà 113. Durò tutta la notte iniziando all’una circa. I comandanti ci avevano detto di non preoccuparci poiché si trattava di un’azione molto semplice. Ma non fu così: i soldati arabi erano centinaia. Erano sudanesi che facevano parte dei battaglioni d’assalto dell’esercito egiziano. La nostra unità era invece com- posta di soli trenta elementi. Nei primi attimi di scontro morirono subito 13 dei nostri e vi furono numerosi feriti. Il nostro comandante decise, ad un certo punto, che la cosa più saggia da fare fosse quella di ritirarsi, lasciando a terra i morti e portando con noi solo i feriti fino al posto di raggruppamento a circa due chilometri di distanza. Non fu facile abbandonare i corpi dei nostri compagni, ma il bisogno di sopravvivere era più forte. Tornati indietro e fatto l’appello constatai che il mio caro amico e commilitone, italiano Renzo Sornaga, anch’esso, di Firenze, non c ‘era… Chiesi al mio comandante il permesso di tornare indietro per cercarlo. Il capitano mi disse che avevo solo un’ora e mezza a disposizione, cioè prima del sorgere del sole. Corsi per circa un chilometro e mezzo, dopodiché cominciai ad avanzare lentamente poiché già intravedevo le sagome dei nemici. Vidi che colpivano a colpi di baionetta i corpi prostrati al suolo. A questo punto sparai nel gruppo tutti i colpi dei miei due caricatori lanciando anche l’unica bomba a mano in mio possesso e decisi di avanzare ancora per qualche metro sussurrando la nostra parola d’ordine: O’Bischero… Ad un certo punto sentii afferrare i miei pantaloni e, guardando per terra, vidi con immensa gioia Renzo Sornaga, ancora vivo, ferito all’inguine. Cercai di aiutarlo e, trascinandolo gli dissi. “O’bischero! Se riesci ad aggrapparti a me torniamo indietro!” Finalmente arrivammo al punto di riunione dove mi stavano aspettando poiché avevano sentito il rumore delle mie raffiche. Renzo fu trasportato su di una jeep all’ospedale. Dopo la convalescenza, partecipammo, ancora insieme all’occupazione di Kubeba, dove perse la vita un nostro caro amico, italiano di origine turca, Romano. In seguito ad una ennesima battaglia, vicino a Beer Tuvia, Sornaga fu ferito di nuovo, questa volta ad una spalla. Ora, dopo tanti anni, a Roma, sono stato invitato a partecipare ad una manifestazione per il 50° anniversario della fondazione dello Stato d’Israele, dove ho ricevuto un attestato al valor militare. In questa occasione ho avuto il piacere di rivedere Renzo Sornaga, il mio amico di Firenze, ed è stato bello perdersi nel ricordo del passato fatto di tante forti emozioni. Questa è la storia di Papone… In qualche altra parte del mondo, avrebbe il petto coperto di medaglie. Per Israele è uno dei tanti che hanno partecipato alla lotta per l’indipendenza. Per Papone è giusto che sia così e continua a giocare la schedina al totocalcio perché, se vince, vuole comprare un appartamentino ad Arad, una città nel deserto del Neghev, dove gli piacerebbe trascorrere la vecchiaia. BALFOUR ZAPLER Shalom n°5/1998 LETTERE AL DIRETTORE Gli indignati orbi Caro Direttore Non avevo intenzione di scrivere riguardo i 50 giorni in cui Israele ha dovuto fronteggiare Hamas e i suoi compari che avevano scatenato una guerra folle e criminale contro Israele lanciando migliaia di missili e facendosi poi scudo con i civili di Gaza. Inutile ripetere che l’opinione pubblica, una buona parte della stampa, alcuni partiti di formazioni estreme, personalità del mondo della cultura e del cinema del mondo intero, si sono schierati in maniera acritica con Hamas. Vecchia storia che si ripete da anni, il colpevole a prescindere è Israele, punto. Quindi perché intervenire? La stampa ebraica ne darà e ne da ampio risalto, nei modi più adeguati. Poi ieri leggo su un quotidiano un rapporto dell’ONU: Assad in Siria ad Aprile ha usato i gas lanciati su città e villaggi, asfissiando centinaia di civili; i seguaci del Califfo nelle zone controllate dall’IS, Stato Islamico in Siria e Iraq, il venerdì giorno di festa e di preghiera, lo “santificano” facendo nell’ordine: esecuzioni pubbliche, amputazioni, fustigazioni, crocifissioni. I malcapitati sono prigionieri di guerra, minoranze etnico-religiose da sterminare se non si adeguano al loro Islam rozzo e primitivo. Già hanno trucidato migliaia di persone. I nuovi nazisti. E allora anche solo per scaricare la mia indignazione mi sono messo a scrivere. Non c’è l’ho con Hamas o i psicopatici seguaci del Califfo, ma per tutte quelle brave persone che a tutti questi orrori sono rimasti silenti, non gli interessa, sono distratti, nessun appello, nessuna raccolta di firme, nessuna manifestazione. Si occupano solo dei “sionisti”, il pericolo di questo nuovo nazismo una minaccia reale anche per le nostre democrazie non lo vedono. Ricordiamoci di rammentarglielo quando Israele per difendersi dall’Is che è arrivato ai confini del Golan, dovrà difendersi. Magari iniziando dai “cittadini” deputati della Casaleggio associati, ergo il M5S, i più antisionisti/semiti del panorama politico italiano. ALBERTO DI CONSIGLIO Grazie per le belle vacanze Sono un ragazzo autistico che, grazie all'aiuto della Deputazione, della sig.ra Loretta Kaion, dell'avv. Angelo Sed, del capo-staff Alberto Di Consiglio, ho avuto la possibilità di partecipare al centro estivo Shirat Haiam di Ostia (RM). Un ringraziamento anche a tutti i collaboratori dello staff che, con affetto, mi hanno accolto in un ambiente divertente e amichevole. Un bacio grande. PIERRE DADUSC Validi e bravi medici Gentile Direttore, sono una signora molto anziana (ho 89 anni); circa tre mesi fa sono stata vittima di una brutta caduta che mi ha causato una dolorosa e grave ferita ad una gamba. Con l’ausilio di una infermiera ho cercato di curarla ma senza avere un miglioramento, anzi peggiorando. Sono diabetica, insulina dipendente, ho difficoltà a muovermi e non sono autosufficiente. Mi sono allora rivolta al dott. Claudio Ventura presso l’Ospedale Israelitico. Con sollecitudine e generosità, vista la gravità del caso, mi ha sottoposto alle sue cure coadiuvato dalla dottoressa Valeria Bonato. Con la loro indiscussa professionalità e disponibilità hanno risolto la mia grave situazione in un tempo che non speravo. Vorrei tramite la voce di Shalom ringraziare molto ed esprimere la mia gratitudine a questi validi medici. RENATA SCAZZOCCHIO In ricordo di Lello Vivanti ‘Cioccolato’ Il 21 agosto 2014 – 25 av 5774, è venuto a mancare Lello Vivanti Z.L.. Il nome Lello Vivanti, per molti, soprattutto per i nati dopo gli anni 70, potrebbe non dire molto. Tutto cambia quando al nome Lello Vivanti, si aggiunge, come spesso accade nel nostro ambiente il soprannome, che nel Suo caso era “Cioccolato”. “Cioccolato” è stato e rimarrà per la nostra comunità un pezzo di storia della quale andare fieri ed orgogliosi. “Cioccolato” ha condiviso insieme ad altri suoi amici, per decenni la responsabilità di garantire alla nostra Comunità, istituzioni ed iscritti, la normalità della vita quotidiana. Le riunioni con “Cioccolato” non erano semplici. Lui era, “nel nostro lavoro” un perfezionista, come diciamo noi, un “magagnato”. Quando tutto sembrava pianificato, ecco che “Cioccolato” rimetteva in discussione anche il più piccolo dettaglio, perché era cosciente che da un dettaglio, giusto o sbagliato, poteva dipendere la vita di chi si fidava di lui. Quando, in occasione di una festività ebraica o di un evento, si vedeva “Cioccolato” fermo su di un cancello o in “giro” tutti sapevano che la loro tranquillità era in buone mani. “Cioccolato” ha vissuto nella modestia senza mai ostentare il ruolo di responsabilità che aveva, quella stessa modestia e pacatezza che ha mostrato quando ha ritenuto di dover passare ad altri, soltanto per motivi di età e non per carenza di capacità, la responsabilità del Suo “lavoro”. Nel silenzio e nella modestia nella quale ha vissuto, così, sopraffatto da un male che non lo ha voluto perdonare, con la stessa [email protected] modestia, quasi in punta di piedi, ci ha lasciato. Noi amici, che con “Cioccolato” abbiamo lavorato per anni ed anni insieme, abbiamo di Lui un ricordo fraterno che difficilmente, così come è stato negli anni passati quando ci hanno lasciato Pacifico Di Consiglio “Moretto” Z.L. e Settimio Caviglia ”Aquilone” Z.L. non potremo mai dimenticare. A te Lello, che la terra ti sia lieve I tuoi amici. ANGELO “BAFFO”, BEBBY PONTECORVO, CESARE DI PORTO “CAVALLO”, CESARE DI SEGNI “LEPORINO”, FULVIO GAY, MINO DI PORTO “PETACCUMME”, ROBERTO DI PORTO “PUCCI”, ROBERTO COEN, GIANNI ZARFATI. Seguono altre firme Sara e il suo telefonino Questa storia parte dalla voglia che ha Sara di comprarsi il tanto ambito Iphone. Naturalmente noi genitori vista la giovane età di nostra figlia, cerchiamo di rimandare un po’ la cosa. Forse rimandiamo un po’ troppo e allora Sara, forse spazientita, decide di lavorare per comprarselo da sola. Parte con una produzione artigianale di braccialetti colorati che si fanno con gli elastici, e tutte le sere li prepara con tanta pazienza, per poi venderli in spiaggia a S. Marinella tutte le mattine di luglio. Cominciano le vendite, e gli affari vanno a gonfie vele tanto che Sara guadagna €113.50, tutte di guadagno puro, perché ovviamente gli elastici per i bracciali glieli comprano mamma e papà. E fin qui tutto sembrerebbe normale. Ma poi in Israele scoppia la guerra, e a casa si inizia a parlare di come aiutare Israele in questo momento difficile. Sente dire che ognuno di noi può in qualche modo rendersi utile anche contribuendo un modo semplice, come ad esempio acquistare delle cose di prima necessità che poi vengono date ai soldati. Sara comincia a pensare a SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 vocedeilettori La 49 come poter contribuire, e decide di dare tutto il suo incasso a favore dei soldati di Tzhal, rinunciando al tanto ambito Iphone. E come in tutte le favole sapete come è andata a finire…i soldi sono andati in Israele come voluto da Sara, e papà e mamma gli hanno comprato l’Iphone! E’ sorprendente notare come una bambina di otto anni abbia ascoltato e recepito i discorsi degli adulti, per poi rimboccarsi le maniche, e darsi da fare per contribuire per il bene comune, piuttosto che a un piacere privato. Sono convinta che ognuno nel suo piccolo può fare qualcosa; e tutti insieme possiamo dare la nostra parte, contribuendo a qualcosa di grande. Ed alla fine, anche se rinunciamo a qualcosa, la nostra generosità sarà ricompensata, e moltiplicata, da Qualcuno sopra di noi. Am Israel hai SHARON DI VEROLI Quell’educazione all’odio Difficile dormire, dopo aver saputo del ritrovamento dei cadaveri dei “nostri tre ragazzi”. Tutto il tempo davanti al televisore per cercare di capire, di trovare un motivo sul perché tre studenti adolescenti, che stavano tornando a casa per passare in famiglia lo Shabbat, mentre cercavano un passaggio in autostop, sono stati rapiti e quasi subito uccisi. I rapitori? Altri giovani, cresciuti nell’odio dell’altro, uno dei due con “mamma orgogliosa” del gesto del figlio. Cosa sta succedendo? Dove andremo a finire? Proprio con queste domande in testa e con una grande angoscia nel cuore, ho cercato di prendere sonno. Il vero problema, dispiace dirlo, è l’educazione all’odio che cresce i giovani palestinesi: sui libri di scuola, nei campi estivi, essi imparano che gli ebrei hanno rubato loro la terra e che ucciderli non è reato, anzi è un loro preciso dovere. Fino a che non cambieranno le cose, fino a che non crescerà una generazione convinta che il nemico (che sicuramente non piace) è un essere umano e non discendente di “scimmie e maiali”, con il quale si può anche convivere senza ucciderlo, la vedo dura sulle prospettive di pace. E al popolo ebraico voglio ricordare le parole dei coraggiosi genitori di Eyal, Gilad e Naftalì: preghiamo e comportiamoci bene, non odiamo perché dall’odio non nasce nulla di positivo. ESTER PICCIOTTO Smokéd / affumicato: un gioco di parole. Una sfida nel segno di uno humor che non vuole offendere nessuno, ma sorridere di tutto. Non ci sarebbe riuscito neppure il senatore Mc Carthy, che negli anni più duri della guerra fredda vedeva in ogni ebreo degli Stati Uniti un comunista potenziale da neutralizzare ed isolare. A chiudere in un ghetto 6 milioni di ebrei, 2 milioni di non ebrei che ne condividono cittadinanza e destino, più alcune centinaia di migliaia di visitatori c’è invece riuscita, sotto la presidenza Obama, la Federal Aviation Administration (FAA) con il blocco dei voli verso Tel Aviv: iniziato il 22 luglio, si è prolungato per alcune compagnie fino al 26. Smokéd SETTEMBRE 2014 • ELUL 5774 PER LA VOSTRA PUBBLICITÀ 50 [email protected] Cell. 392.9395910 EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA SHALOMשלום Giacomo Kahn Direttore responsabile Silvia Haia Antonucci David Meghnagi Giorgia Calò Rebecca Mieli Claudio Coen Fiamma Nirenstein Ariel David Angelo Pezzana Jonatan Della Rocca Clelia Piperno Yael Di Consiglio Pierpaolo P. 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