giovannino guareschi ovvero le vocazioni di uno qualunque
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giovannino guareschi ovvero le vocazioni di uno qualunque
Il Novecento GIOVANNINO GUARESCHI OVVERO LE VOCAZIONI DI UNO QUALUNQUE Giulio Iacoli O G. Guareschi, La scoperta di Milano, Milano, Rizzoli, 1941. 1 Si veda, in questo stesso volume, il saggio di Andrea Briganti, Il Futurismo letterario. 2 Si vedano al proposito le ricostruzioni puntuali da parte di Guido Conti (L’incontro con Zavattini; Za scrive, Giovannino illustra; Za e Guareschi: macchiette umoristiche), contenute in G. Casamatti, G. Conti (a cura di), Giovannino Guareschi. Nascita di un umorista. “Bazar” e la satira a Parma dal 1908 al 1937. Catalogo della Mostra (Parma, 19 aprile-1° giugno 2008), Parma, mup, 2008, pp. 100-114. 3 G. Casamatti, G. Conti, Il “Bazar” di Giovannino, in Iidem, Giovannino Guareschi. Nascita…, p. 122; G. Conti, Giovannino Guareschi. Biografia di uno scrittore, Milano, Rizzoli, 2008, pp. 88-105. 4 ggi appare oltremodo necessario sceverare le luci e le ombre nell’opera di Giovannino Guareschi (Fontanelle di Roccabianca, 1908-Cervia, 1968), richiamarne gli spunti innovativi e le emergenze contraddittorie, le trame più memorabili e fortunate, legate in primo luogo ai personaggi del Mondo piccolo, come pure i risultati di un filone maggiormente intimista, costituito dalla disposizione dell’autore a raffigurarsi ironicamente in un durevole quadro autobiografico iniziato con il primo libro, La scoperta di Milano, del 19411. Occorre inoltre inquadrare la ricca vena narrativa dell’autore nella sua più ampia dedizione a un appassionato e instancabile lavoro di organizzazione culturale, coinvolgente in primo luogo la pubblicistica di stampo umoristico, la rappresentazione satirica della vita politica e dei costumi sociali del suo tempo, entrambe condotte con i mezzi della pagina scritta e della vignetta, dell’illustrazione buffa e incisiva, spesso felicemente cooperanti fra loro, e ciò ben prima dell’incontro con l’editoria milanese, ovvero già a partire dagli anni formativi trascorsi a Parma. Qui, nel solco di una prima generazione di ‘pittori umoristi’ di inizio secolo, di un Futurismo parmigiano vivace e dai tratti orgogliosamente autonomi2, nonché proseguendo la tradizione consolidata delle pagine umoristiche dei giornali, oltre a quella dei numeri unici goliardici, il giovane Guareschi prende a collaborare al “Corriere Emiliano” (nel quale è frattanto confluita la “Gazzetta di Parma”) e ad altre testate: decisivo si rivela l’incontro con Cesare Zavattini, suo giovane istitutore al Convitto Maria Luigia (fig. 171), sicuro scopritore di giovani talenti in città, con il quale viene ingenerandosi un rapporto di feconda collaborazione artistica e intellettuale3. L’avvio degli anni Trenta lo vede dirigere la rivista “Bazar” (fig. 182), curandone nello specifico alcuni numeri: è un’esperienza di responsabilità e di sperimentazione creativa, capace di schiudere a Guareschi “un nuovo modo di fare giornalismo […] importandovi la struttura tipica dei numeri unici: grandi pagine pubblicitarie intervallate da racconti, vignette, caricature, poesie e testi parodistici”4. Lo scrittore ha modo di affinare, con “Bazar”, una vis comica mordace e particolarmente intonata al gusto della freddura, dell’illustrazione sapida e del commento icastico, e la saprà trasfondere agli anni milanesi della collaborazione al “Bertoldo” (1936-1943; con il 1937 Guare- 413 Storia di Parma. Le lettere Fig. 182 “Bazar”, XVI (1937). schi diviene redattore capo; fig. 183) e, a seguire, della direzione di “Candido”, settimanale varato sul finire del 1945, mantenuta fino al 1957; nel 1961 la rivista avrebbe chiuso i battenti. Nella sua documentata, appassionata biografia, un altro scrittore parmigiano, Guido Conti, evidenzia a più riprese come le vignette e i pezzi umoristici di Guareschi, in questi anni, siano da leggere a fianco della sua attività di narratore, quali presupposti necessari. Il contenuto derisorio nei confronti degli avversari politici, comune alle prose come alle illustrazioni umoristiche; l’invenzione figurativa dei comunisti “trinariciuti”; la serie Obbedienza cieca, pronta, assoluta, la quale gioca, nelle sue vignette, sulla rettifica del senso di quanto riportato sulle colonne dell’“Unità” (“Contrordine, compagni!”), equivocato per via dei refusi in esse presenti, ed eseguito alla lettera dai “trinariciuti” boccaloni5: sono elementi tutti di una comicità iper-realistica, di un’aggressività diretta e salace, che si propagano, in certa misura, alla raffigurazione del Mondo piccolo. Questo, come è noto, viene ideato fra le pagine dello stesso “Candido”, dove le figure di don Camillo 414 Si vedano le antologie curate dai figli dell’autore, Alberto e Carlotta, a partire dal primo volume (G. Guareschi, Mondo Candido. 1946-1948, Milano, Rizzoli, 1991), per proseguire con le documentazioni dei periodi successivi, edite negli anni a venire; sulla ferocia degli attacchi satirici lanciati dalla rivista si veda ancora Conti, Giovannino Guareschi. Biografia…, in particolare pp. 274-275. 5 Il Novecento Fig. 183 Giovannino Guareschi con la redazione del “Bertoldo” a Milano (1936). Da sinistra: Giuseppe Marotta, Giovannino Guareschi, Carlo Manzoni, Vittorio Metz, Andrea Rizzoli, Mario Bazzi, Angelo Frattini, Marcello Marchesi, Giovanni Mosca, Mario Ortensio, Dino Falconi, Walter Molino. (Archivio Fotografico Guareschi-Roncole Verdi, Parma) e del sindaco Peppone compaiono sin dal finire del 1946, per fare ritorno in innumerevoli puntate successive, in virtù dell’immediato successo fra i lettori. Il Mondo piccolo, lungi dall’apparire un mero contenitore narrativo, va inteso come un coerente ritratto storico-sociale, coeso e nondimeno aperto, suscettibile di arricchimenti progressivi, di una verosimigliante plaga della Bassa emiliana (definita “il Messico d’Italia”, sulle pagine del “Candido” stesso, per via del clima politico arroventato che la agita, nel quale rappresaglie, scioperi e odio tra le fazioni sono all’ordine del giorno) nell’immediato Dopoguerra, stretta fra il Grande Fiume (il Po) e una città elegante e vivace, appassionata di 415 Storia di Parma. Le lettere musica lirica6, distante una quarantina di chilometri dal nostro borgo7, dietro cui appaiono, ben riconoscibili, i tratti di Parma. Se questo è il quadro di riferimento essenziale per cogliere lo spirito e i contorni, geografici ed esistenziali – imprescindibile al riguardo è l’ampia “spiegazione” preposta al primo volume della serie, Don Camillo –, delle vicende raccontate, non meno decisiva è la storia della ricezione del Mondo piccolo: una storia solo apparentemente esterna al testo, dal momento che lo stesso corpus testuale sollecita un atteggiamento di lettura, e dunque una reazione, anche in termini di opinione politica, nei confronti delle storie in esso racchiuse. È ancora Conti a lamentare l’esclusione di Guareschi dal canone della letteratura italiana del Novecento, il suo confinamento in notazioni minime e laterali, operato dalle maglie prescrittive delle storie letterarie8: e nondimeno tali valutazioni sono in parte la risultante, la corretta interpretazione di una serie di strategie messe in atto scientemente dallo stesso scrittore nella sua opera. Cfr. Radamès ed Emporio Pitaciò, fra i racconti di Don Camillo e il suo gregge, Milano, Rizzoli, 1953. 6 Non il natio comune di Roccabianca, si badi, con i suoi caratteri esatti: “Il piccolo mondo del Mondo piccolo non è qui però: non è in nessun posto fisso: il paese di Mondo piccolo è un puntino nero che si muove, assieme ai suoi Pepponi e ai suoi Smilzi, in su e in giù lungo il fiume per quella fettaccia di terra che sta tra il Po e l’Appennino: ma il clima è questo. Il paesaggio è questo, e in un paese come questo, basta fermarsi sulla strada a guardare una casa colonica affogata in mezzo al granturco e alla canapa, e subito nasce una storia”; “Qui, con tre storie e una citazione, si spiega il mondo di ‘Mondo piccolo’ ”, G. Guareschi, Don Camillo, Milano, Rizzoli, 1948, pp. 5-6. 7 Conti, Giovannino Guareschi. Biografia…, pp. 569-570, nota 2: si può concordare sull’inadeguatezza del giudizio di Giulio Ferroni qui riportato; ben più misurate e condivisibili, invece, appaiono le considerazioni formulate da Alberto Casadei. 8 Fig. 184 Giovannino Guareschi con il numero del “Candido” che riproduce la vignetta Al Quirinale disegnata da Carlo Manzoni relativa al Nebbiolo prodotto nei “Poderi del Senatore Luigi Einaudi” (1950). (Foto Palmas, Archivio Fotografico Guareschi-Roncole Verdi, Parma) 416 Il Novecento Innanzitutto, un paradosso per così dire ‘strutturale’ interviene a relativizzare la tenuta dell’impianto narrativo: se fra gli intenti primari dei racconti che vedono protagonisti don Camillo e Peppone vi è quello di mostrare le contraddizioni e la furente ansia rivendicativa proprie del pensiero “frontagno”9, mettendo a nudo, in continuità con quanto dispiegato coerentemente nel “Candido”, la scarsa libertà dell’‘elettore comunista tipo’, pronto a seguire ciecamente le direttive del Partito, le preoccupazioni di ordine ideologico vanno a sovrapporsi a quelle stilistiche, talora prevaricandole. Non vuole essere, questa, una difesa strenua dell’art pour l’art, naturalmente, quanto il rilevamento di come la reiterata volontà intrusiva da parte di un narratore esterno ma non troppo – un abitante del Mondo piccolo che si suppone al corrente di un ampio numero di dati (alcuni dei quali pertinenti al surreale, come i colloqui tra don Camillo e il Crocifisso) – sottentri al contenuto dei dialoghi, per sintetizzarne una morale esemplare, o in ogni caso rivelando lo scarso grado di emancipazione ed elaborazione, nel narratore, di un punto di vista anche solo in parte alternativo rispetto a quello autoriale. Lo si evince da un passo come il seguente: Era morto un rosso, un vecchio di settantaquattro anni, e gli avevano organizzato il funerale senza preti e con bandiere rosse, garofani rossi, fazzoletti rossi e altre porcherie rosse10. 9 Relativo ovvero al Fronte Popolare: neologismo, questo, registrato già da Bruno Migliorini nelle sue appendici al Dizionario moderno di Alfredo Panzini; cfr. F. Marri, “Avrò sì e no duecento parole: dal rést, a ne m’pos miga lamintär”, in A. Bergogni (a cura di), 100 anni di Guareschi. Letteratura, cinema, giornalismo, grafica. Atti del Convegno (Parma, 21-22 novembre 2008), Parma, mup, 2009, pp. 73-75. G. Guareschi, Civìl e la banda, in Idem, Don Camillo e il suo gregge…, p. 144 (corsivo mio). 10 Fig. 185 Illustrazione di Giovannino Guareschi realizzata per il cofanetto della saga di Don Camillo, Milano, Rizzoli, 1965. 417 Storia di Parma. Le lettere In generale, animato da una franca preoccupazione comunicativa più propria del giornalista che del letterato, Guareschi correda il racconto di precisazioni, di sintesi finali e di passaggi narrativi intesi a condurre il lettore per mano, sgombrandogli il terreno da ogni zona d’ombra interpretativa, da quelle sfumature indeterminate che possano rendere ambiguo il valore dimostrativo, la certezza di intenti dell’episodio narrato. Così, in La festa, il pur gustoso ritratto di un don Camillo acquirente occasionale dell’“Unità” da un esasperato Peppone risulta un poco inficiato da una ridondanza finale – e ciò quando già il lettore avrebbe compreso il senso ironico dell’affermazione iniziale –, rivelando forse una maggiore dimestichezza dell’autore con i meccanismi iterabili, seriali e giocoforza tesi a un massimo di incisività, della vignetta e del raccontino umoristico di stampo zavattiniano11, che con la tecnica esatta della psicologia del personaggio, con le opacità di giudizio, le aporie che un’intera tradizione del racconto fra Otto e Novecento aveva provveduto a segnalare ai lettori: «U-ni-tà» sillabò don Camillo. «Oh, che strano! È scritto in italiano.» Peppone muggì brevemente e poi partì rimettendosi a urlare con una rabbia tale che pareva la dichiarazione di guerra alle potenze occidentali. «Mi scusi» balbettò don Camillo. «Non si arrabbi. Credevo in buona fede che fosse scritto in russo»12. Un racconto come L’anello, poi, forse per via della tesa, cruda vicenda postbellica al suo centro (l’uccisione da parte dei mezzadri del podestà e della moglie, avvenuta mentre cercano di mettersi in salvo), volutamente infrange la prevista economia di mezzi rappresentativi, annettendo un segmento ancora ridondante a una dettagliata e chiara ricostruzione delle vicende: i Biolchi, già inquadrati mentre dissotterrano parzialmente una delle loro vittime (“Qui presero a scavare con le unghie: trovarono il braccio sinistro della signora Mimì e tolsero l’anello”), vengono in seguito riconosciuti quali omicidi, per via della prova lampante del monile, esibito con alterigia dalla Gisa (“Era in grande montura”), e uccisi dai carabinieri mentre cercano di opporre resistenza. Segue un periodo dove la congiunzione coordinante al suo interno introduce un registro colloquiale, una scelta arrischiata, questa, forse tesa a vanificare le tentazioni retoriche di un tragico elevato, estraneo alle corde guareschiane: Trovarono la signora Mimì sepolta, insieme al marito, nella stanza delle carabattole e li avevano liquidati tutt’e due i Biolchi, a colpi di scure in testa, la notte in cui si apprestavano a tagliare la corda13. Gli esempi qui addotti parrebbero convalidare il giudizio spassionato su Guareschi dato da un altro scrittore, il modenese Roberto Barbolini, in un saggio originale e colto: se da un lato la sua produzione smisurata, frutto d’un febbrile lavoro giornalistico fatto, come si dice in gergo, ‘sul tamburo’, non può essere difesa in blocco, 418 Cfr. Conti, Giovannino Guareschi. Biografia…, p. 59. 11 12 Guareschi, Don Camillo…, pp. 292-293. 13 Idem, Don Camillo e il suo gregge…, p. 134. Il Novecento insidiata com’è ben più di qualche volta da tentazioni di qualunquismo e patetismo14, dall’altro occorre smarcarsi da una valutazione ancorata al solo e vincolante criterio di una letterarietà intesa in senso classico, normativo, stante l’assenza, in Guareschi, di “un tratto decisivo” per poterlo inquadrare nei canoni e nelle ricerche della narrativa novecentesca: “la preoccupazione per il linguaggio, le ‘angosce di stile’ tanto amate dal grande Manganelli”15. Proprio nell’Anello Guareschi, per bocca del narratore, compie un’affermazione leggibile come una vera e propria dichiarazione di poetica , se si vuole di una poetica ‘negativa’: che “l’anello famoso” appaia “l’insegna del comando” è cosa evidente: Uno capisce subito che queste sono le solite filosofaggini psicologiche dei romanzi e delle commedie, roba da gente di città, insomma: eppure anche la Gisa Biolchi che non sapeva fare una “O” col bicchiere e che era semplicemente la moglie di un mezzadro, ci arrivava benissimo a capirlo. Dove si vede che la filosofia, la psicologia e tutta l’altra merce del genere, guastano la testa anche a chi non sa che esistono. Una specie di bacillo di Koch del cervello16. Tale dichiarazione di sfiducia nei confronti dei presupposti essenziali della letteratura della modernità, della conquista dei mezzi espressivi per la rappresentazione dell’interiorità, non è affatto isolata lungo l’opera di Guareschi; se presa con le debite molle può portare a comprendere altri lati in ombra nella produzione dell’autore: in primo luogo, la concezione statica, tendente alla tipizzazione, dei personaggi di contorno, funzionale, talora, a figurazioni unilaterali, 14 R. Barbolini, La bicicletta di Giovannino. Ovvero: Guareschi scrittore d’avanguardia, in Bergogni, 100 anni di Guareschi…, p. 65; osservazioni non dissimili e un genuino interesse per le contraddizioni dello scrittore sono in R. Rinaldi, Antico mondo piccolo, ibid., pp. 13-25. Barbolini, La bicicletta di Giovannino…, p. 66. 15 Guareschi, Don Camillo e il suo gregge…, p. 127. 16 Fig. 186 Giovannino Guareschi, Vedovone, in “Bertoldo”, 24 febbraio 1939. 419 Storia di Parma. Le lettere frutto di un inequivoco disegno sociologico17: e questo a partire dai Mariolino e Gina al centro della storia di Giulietta e Romeo riscritta in Don Camillo, per giungere ai grotteschi figli malvagi di Maroli in Ognuno al suo posto, a conclusione delle Storie dell’esilio e del ritorno (in Don Camillo e il suo gregge), per tacere dei membri dell’apparato del pci nel Compagno don Camillo (Milano, Rizzoli, 1963) o degli ottusi proprietari agricoli, da un lato, e dei simpatizzanti di Peppone, dall’altro, disseminati lungo la serie. Un altro tratto “massimalista” e controverso, che richiede di essere ben delineato nella sua efficacia comica, ma anche controbilanciato da un’attenzione particolare alla reverente delicatezza, al trasporto sentimentale del fidanzato e poi sposo della Scoperta di Milano, e ai teneri risvolti familiari che seguiranno, lungo l’opera dello scrittore: Guareschi a più riprese dà forma a una sferzante vena misogina, debitrice di lunghi anni di personali contributi alla raffigurazione umoristica degli sgraziati “donnoni” o “vedovoni” su rivista (fig. 186), anch’essa intonata a una deliberata, provocatoria posizione di retroguardia, in questo caso alquanto scettica nei confronti del vigoroso cammino di affermazione soggettiva perseguito dalle donne anche nel nostro Paese (si vedano al riguardo i pepati dialoghi con Giò, la collaboratrice familiare ‘sprint’ che irrompe nei pezzi pubblicati su “Oggi” negli anni Sessanta18), intuibile in generale nella raffigurazione delle comuniste, e alla base del ritratto della yè-yè Cat, nel postumo Don Camillo e i giovani d’oggi (Milano, Rizzoli, 1969), presente inoltre, con una certa persistenza, nella raccolta postuma Gente così (Milano, Rizzoli, 1980). Per converso, è forse quando la tensione politica, riflessa dai testi, si allenta, come avviene negli episodi più riusciti e introspettivi (e ciò a dispetto delle dichiarazioni autoriali sopra descritte) del Mondo piccolo, che lo scrittore può rifinire spunti interessanti con una maggiore padronanza dei tratti espressivi, delle regole dell’intreccio. Prende così forma un’attenzione al mondo circostante, alle sfumature buffe dell’esistenza quotidiana, reperibile in buona parte dei racconti di vita familiare che formeranno le Osservazioni di uno qualunque (Milano, Rizzoli, 1988), e ravvisabile già nella Scoperta di Milano (fig. 187), dove i tratti del diario si fondono a quelli del romanzo autobiografico in una delicata vicenda di formazione che intreccia fra loro toni di lieve surrealtà (il corteggiamento ‘annoso’ fra l’io narrante e la futura moglie, Margherita; l’Angelo Custode, l’ombra al suo fianco…) e occasioni di arguta rappresentazione in chiave umoristica della realtà vissuta. Se ne può leggere un’illustrazione coerente nella tematizzazione efficace del contrasto fra l’originaria città di provincia, con le sue trame interpersonali fitte e quasi soffocanti, e la metropoli colta nei tratti esorbitanti e proverbiali del traffico e della folla (il Nostro si rappresenta al suo arrivo come “uno spaesato, ignoto, insignificante granello di sabbia nel turbine ambrosiano”19), o ancora nell’‘effetto Rinascente’, nello scintillante mito, nell’immagine pubblicitaria che Milano sembra propagare intorno a sé: Tutto sembra una trovata della Rinascente, qui, in questa straordinaria città. Quando nevica, una trovata pubblicitaria per la mostra del bianco; quando piove, una trovata pubblicitaria per la mostra degli impermeabili20. 420 Conti pensa, direi persuasivamente, a un interesse precipuo dell’autore verso la raffigurazione di tipi e moralità transtorici, nella linea della novellistica italiana piuttosto che in quella del novel europeo (Conti, Giovannino Guareschi. Biografia…, in particolare pp. 345 sgg., ma si vedano anche p. 317, nota 30, e p. 481). Ulteriori spunti sulla questione provengono da D. Marcheschi, Guareschi e il romanzo, in Bergogni, 100 anni di Guareschi…, pp. 27-43. 17 Raccolti poi in G. Guareschi, Vita in famiglia, Milano, Rizzoli, 1968. 18 Idem, La scoperta di Milano…, p. 95; Guareschi scrive, inoltre: “oggi, io non sono più il granello di sabbia in balia del turbine milanese: io sono qualcuno. Sono utente: lo confermano le Parole della Edison e della Volta”, ibid., p. 101. 19 20 Ibid., p. 204. Il Novecento Fig. 187 Giovannino Guareschi, La scoperta di Milano, Milano, Rizzoli, 1941. Si vedano ora le considerazioni di A. R. Perry, ‘Io sono qui muto e solitario’: Giovannino Guareschi’s Prison Writings. 1954-1955, in “Modern Italy”, XVII/1 (2012), pp. 85-102. 21 Cfr. D. Papotti, Geografie della scrittura. Paesaggi letterari del medio Po, Pavia, La Goliardica Pavese, 1996. 22 Di qui è possibile delineare uno spiccato versante personale della narrativa guareschiana, che comprende l’esperienza nel lager, patita in quanto internato militare italiano e raccontata nel toccante Diario clandestino. 1943-1945 (Milano, Rizzoli, 1949). Dalle pagine, trascelte fra le numerose compilate durante la prigionia, proviene un ammaestramento interiore a sopportare la noia e la ripetitività esasperante delle misere giornate, confortate dal solo pensiero affettuoso per i propri cari, e assieme la descrizione vivace del mondo dei prigionieri, dove il contenuto dei pacchi provenienti da casa e le conoscenze personali, il proprio corredo di humanitas (si veda la descrizione della Regia Università di Sandbostel, memorabile episodio di formazione popolare, ‘da campo’), vengono a essere condivisi in uno spirito fraterno tratteggiato per tocchi asciutti e incisivi21. Riflettere sul Diario clandestino permette di variegare ulteriormente il giudizio su Guareschi, di sfumarlo suggerendo un di più rispetto al mero profilo di umorista, inserendo la scrittura diaristica fra le sue multiformi vocazioni. Si aggiungerà che la voga attuale degli studi culturali, vòlti a forzare i canoni accademici, a travalicare i confini dello specifico letterario – e, esplicitamente, le distinzioni fra letteratura alta e bassa –, per mettere in luce gli aspetti ideologici di una poetica, i presupposti materiali, storico-sociali e politici di un’opera, può non solo far rimarcare il preoccupato conservatorismo di Guareschi, ma anche condurre a rilevare il sostanziale interesse delle descrizioni antropologiche contenute all’interno dei suoi libri: è quanto la geografia culturale ha provveduto a fare, situando il Mondo piccolo al fianco di un classico oggi un poco negletto, Il mulino del Po di Riccardo Bacchelli (1957), nel tracciare un racconto storico imprescindibile dell’Italia post-unitaria da una prospettiva regionale complessa e stratificata22. Un ulteriore elemento di interesse, in quest’ottica, è costituito dal rilievo conferito dall’autore al perdurare, nel secondo Dopoguerra, della questione magistrale, già centrale nel tardo ottocentesco Romanzo d’un maestro di De Amicis e motore primario, negli anni a venire, delle cronache di Sciascia e di Maria Giacobbe: la figurazione della maestra rurale ritorna in Guareschi come presenza unificatrice, severa e affettuosa a un tempo, centro morale e culturale dell’Italia dei paesi, legandosi in particolare al ricordo della madre insegnante che compare all’inizio di Vita in famiglia, in due intensi racconti (Signora maestra… e Vino bianco). In Ladri di biciclette, poi, raccolto nell’Anno di don Camillo (Milano, Rizzoli, 1986), l’integerrima e fiera Diva Canetti, moglie del vicepodestà – e per questo a suo tempo destituita dall’incarico –, si staglia come anti-tipo rispetto alla paesana moderna di simpatie comuniste, emancipata e sbarazzina: devota ai fanciulli dell’interclasse ospitata dalla povera scuola frazionale, con la complicità di questi la donna accudisce in segreto, sul luogo di lavoro, il figlio di pochi mesi. La figura compendia in sé i valori borghesi del decoro e della rispettabilità, colta nella sua abnegazione verso la scuola e verso la famiglia, sospesa fra un ritratto intriso di idealizzazione nostalgica e un modello di femminilità moderna operosa e discreta, additato ai lettori. 421 Storia di Parma. Le lettere Fig. 188 Giovannino Guareschi nel 1945. (Foto Libero Tosi, Archivio Fotografico Guareschi-Roncole Verdi, Parma) È un quadro – quello di un Guareschi anni Cinquanta-Sessanta, avvilito per le sorti della democrazia in Italia – delineato con chiarezza da Conti nel suo contributo biografico; si veda l’episodio-chiave della condanna dello scrittore per diffamazione – e della detenzione che ne seguì –, per le note vicende dell’attacco a De Gasperi lanciato dalle colonne di “Candido” (Conti, Giovannino Guareschi. Biografia…, pp. 423 sgg.). 23 Sono i due fronti contrapposti, quello delle virtù passate e quello di un presente politico sempre scrutato con trepidazione e profonda ironia (si pensi all’oggi irripetibile esperimento cinematografico della Rabbia, girato nel 1963 insieme a Pasolini, controparte di sinistra), ai quali l’immaginazione sociologica e narrativa di Guareschi guarda di continuo, ben consapevole dell’irreparabile trascolorare dei contorni vivaci, delle franche baruffe del Mondo piccolo in uno scenario nazionale di scaltre diplomazie, fosco e controverso23. 422