INTRODUZIONE AL PENSIERO POLITICO MODERNO

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INTRODUZIONE AL PENSIERO POLITICO MODERNO
INTRODUZIONE AL PENSIERO POLITICO MODERNO
Un cenno al giusnaturalismo. Si tratta di una concezione politica che si sviluppa nel ‘600 in
modo particolare in Olanda. Secondo essa esiste uno STATO DI NATURA (i diritti naturali,
espressione della ragione universale, preesistono allo Stato civile). Lo STATO CIVILE, poi, non
è che il risultato di un CONTRATTO: proviene, quindi, non dall'alto, ma dal basso. Si tratta,
quindi, di una concezione tendenzialmente democratica (la sovranità appartiene al popolo). Il
giusnaturalismo, inoltre, sostiene che l'uomo è naturalmente socievole per cui la società
organizzata non è qualcosa di convenzionale.
HOBBES
Homo homini lupus. O no?
Hobbes, inglese (già lo conosci), fa proprio lo schema del giusnaturalismo ("stato di natura" "contratto" - "Stato civile"), eppure approda all'ASSOLUTISMO. Può sembrare un paradosso,
ma è così. Perché mai?
Immagino perché secondo Hobbes l'uomo è naturalmente un lupo verso l'altro uomo: come si
riuscirebbe a frenare la belva che vi è nell'uomo se non grazie allo Stato assoluto?
E' così. Per lui lo stato di natura è uno stato in cui vi è una GUERRA DI TUTTI CONTRO TUTTI:
da qui la necessità di un Potere assoluto.
Per Hobbes l'uomo non è un animale politico (non avverte un "amore naturale" per i suoi
simili), ma vede gli altri come strumenti per il suo utile. L'uomo, in altre parole, è
naturalmente mosso dall'istinto di sopravvivenza, istinto che lo porta a prevaricare sugli altri.
Da qui l'idea che nello "stato di natura" non esistono "diritti naturali": il concetto di diritto
nasce solo in uno Stato.
Nello stato di natura di fatto ognuno, mosso dall'istinto di sopravvivenza, ha diritto su tutto,
anche a scapito degli altri. Da qui il BELLUM OMNIUM CONTRA OMNES. Da qui la paura di
soccombere in questa guerra. E' questo timore che è all'origine della "società". Ed è la
"ragione" che, tramite "leggi naturali" (cioè razionali) gli indica la via per uscire da uno stato in
cui la vita è minacciata in permanenza.
Le principali "leggi naturali" sono: CERCARE E CONSEGUIRE LA PACE, STARE AI PATTI. E' solo
seguendo queste leggi che si può spegnere la guerra. In altre parole è solo RINUNCIANDO AL
DIRITTO SU TUTTO (NON FACENDO AGLI ALTRI QUELLO CHE NON SI VORREBBE SI FACESSE
A SE STESSI), che ci si può liberare dal terrore della morte violenta. In concreto gli uomini
possono vivere nella tranquillità solo quando STIPULANO TRA LORO UN CONTRATTO CON CUI
RINUNCIANO AL DIRITTO ILLIMITATO E LO TRASFERISCONO ALLO STATO.
Ti ho presentato la premessa del discorso di Hobbes. Cosa ne dici?
Si tratta di un discorso che ha una sua coerenza, ma che parte da un presupposto erroneo, che
cioè l'uomo è un lupus per l'altro uomo.
E' un'opinione rispettabile condivisa non solo da Grozio, ma anche da molti altri.
Hobbes ha di fronte a sé lo scenario della rivoluzione inglese. Quello che egli vede è
l'ANARCHIA, il disordine, l'instabilità permanente. Quello che egli vede è il costante pericolo
per la pace. Da qui la necessità, per lui, di un Potere Assoluto. Questo significa che è un filomonarchico?
Non credo: i monarchi inglesi (gli Stuart) si considerano di origine divina, mentre per Hobbes
lo Stato nasce dal basso tramite un contratto.
Il tuo discorso è corretto: l'assolutismo teorizzato da Hobbes non ha nulla a che fare con un
assolutismo di origine divina. .
Per Hobbes che il Potere sia nelle mani di una persona o di un'assemblea non è molto
rilevante: che conta è che il Potere sia ASSOLUTO, non vincolato da nessuno. Si tratta, quindi,
di un Potere NON REVOCABILE in quanto il contratto non è stipulato tra i sudditi e lo Stato, ma
dai sudditi tra loro. Se lo Stato fosse vincolato dai sudditi...
vi sarebbe il pericolo permanente di un'anarchia.
Perché anarchia? Noi non abbiamo il potere di non rieleggere più i nostri parlamentari? Questo,
forse, provoca l'anarchia permanente?
In questo caso si tratta di singoli rappresentanti, mentre Hobbes parla del Potere politico, cioè
dello Stato.
Non hai torto: per Hobbes, se il contratto fosse revocabile, vi sarebbe il rischio di una
permanente instabilità, dannosa per la pace e quindi per la tutela del diritto alla vita.
Per Hobbes il Potere dello Stato, proprio perché è assoluto, è INDIVISIBILE. Cosa ne dici?
Non mi convince l'indivisibilità del potere: in uno Stato liberale i Poteri appartengono ad organi
diversi, eppure questo non provoca alcun danno.
La tua osservazione (in chiave attuale) è pertinente. Per Hobbes - che ha di fronte un altro
scenario - la divisione del Potere comporta un conflitto permanente tra i poteri dello Stato.
Lo Stato: “naturale” o “artificiale”?
Per Hobbes lo Stato non ha nulla di... naturale: è qualcosa di ARTIFICIALE, CONVENZIONALE.
Così pure non esistono diritti naturali: il DIRITTO (ciò che è lecito e ciò che è illecito) è tale in
quanto fissato dallo Stato. Cosa ne dici?
Non mi convince che il giusto e l'ingiusto (il lecito e l'illecito) siano determinati dallo Stato: per
me la loro fonte - se escludiamo la sfera religiosa - non può che essere la "coscienza".
La tua osservazione è sensatissima. Per Hobbes, tuttavia, se fosse la coscienza la fonte del
giusto e dell'ingiusto, vi sarebbe una limitazione del Potere assoluto dello Stato (che sarebbe,
appunto, limitato dalle "coscienze" dei sudditi), il che provocherebbe una potenziale anarchia.
Per Hobbes è lo Stato che stabilisce ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, ciò che è reato e ciò
che non lo è. La fonte del giusto e dell'ingiusto non può essere la "coscienza". E non può
esserlo neanche la "chiesa". Cosa ne dici?
Non mi sembra corretto: che chiesa sarebbe una chiesa che rinunciasse ad annunciare un
messaggio morale (ad indicare ciò che è bene e ciò che è male)? Una dottrina del genere di
fatto porterebbe alla demolizione della Chiesa stessa!
Ma, se fosse la chiesa a fissare ciò che è bene e ciò che è male, questa non potrebbe - con i
suoi parametri morali - condannare lo stesso Stato e quindi provocare un conflitto all'interno
dello Stato? Questa è la convinzione di Hobbes.
Nessuno - pena il pericolo dell'anarchia, del conflitto interno allo Stato - deve limitare lo Stato
assoluto: neanche la Chiesa, la quale deve essere subordinata allo Stato come tutte le altre
associazioni private di sudditi. Solo così è possibile GARANTIRE LA PACE RELIGIOSA. Hobbes
arriva a dire che tocca allo Stato regolare - direttamente o con delega ad altri - le funzioni del
culto.
Siamo alla concezione dello Stato come "grande Leviatano" (un mostro di cui parla la Bibbia).
Lo Stato, quindi, non ha alcun limite? Secondo Hobbes dei limiti li ha: ad esempio non può
comandare a nessuno di confessare un delitto. Cosa ne dici?
Se è così, metto in discussione il mio rigetto istintivo del pensiero di Hobbes. Hobbes, sotto
questo profilo, mi sembra più democratico della democratica Italia di oggi: penso alle tante
confessioni estorte, in barba alla dignità personale di ogni singolo imputato, dai vari Pool di
Mani Pulite!
Non entro nel merito del tuo discorso. Ti pongo solo un quesito su cui puoi riflettere: credi che
Tangentopoli sarebbe stata smantellata con un formale rispetto dei diritti dei singoli imputati?
Altri limiti dello Stato-Leviatano: questo non può comandare a nessuno di uccidere, di non
difendersi, di privarsi di ciò che è necessario per vivere. E poi... ogni suddito è completamente
libero di fare tutto ciò che non è proibito dalle leggi dello Stato. Non si può, quindi, parlare di...
totalitarismo o di... nazismo ante-litteram.
LOCKE
Partiamo dalla divisione dei poteri, uno dei cardini di uno Stato liberale. Locke divide
nettamente il "potere legislativo" (del parlamento) dal "potere esecutivo" (del governo). Per
Locke le leggi devono essere "uguali per tutti", devono essere finalizzate al bene del popolo.
Secondo lui, poi, non possono essere imposte delle tasse senza il consenso del popolo stesso.
Cosa ne dici?
Non mi convince il discorso sulle tasse. Se non si potessero imporre tasse senza il consenso del
popolo, non potrebbe essere imposta alcuna tassa: la gente non scende in piazza tutte le volte
che un governo osa proporre dei ritocchi alle imposte?
La tua osservazione non è insensata. Sei proprio convinto che il popolo è contro qualsiasi
imposta? Non è forse contro le imposte ingiuste? Certo il discorso non è semplice perché di
fatto ogni categoria che viene colpita ritiene di essere ingiustamente colpita. Riprenderemo più
avanti il problema
Il principio di cui parla Locke è lo stesso principio su cui è nato il parlamento inglese ("NO
TAXATION WITHOUT REPRESENTATION"), ed è il principio - vedi la "petition of rights" - che
viene rivendicato dal parlamento inglese contro l'assolutismo degli Stuart. Come si esprime il
"consenso" del popolo di cui parla Locke?
Immagino attraverso il referendum che è una consultazione diretta del popolo.
Referendum? Pensa che su problemi fiscali il referendum non è ammesso neanche nell'Italia
repubblicana!
E' lo stesso parlamento che, ritenendosi espressione del popolo, rivendica il potere di imporre
delle tasse: è questa una delle ragioni del match tra il parlamento e il sovrano durante la
rivoluzione inglese. Ma... come è legittimato il parlamento a varare leggi che valgono per tutti?
Ovviamente da un "contratto" che viene stipulato dai cittadini. Si tratta, tuttavia, di un
contratto diverso da quello di cui parla Hobbes, cioè...
secondo Locke i membri dello stato di natura non rinunciano ai loro diritti.
E' vero nel senso che i membri dello stato di natura delegano allo Stato la tutela dei loro diritti
naturali, diritti ai quali non rinunciano affatto.
Col "contratto" i membri dello stato di natura delegano allo Stato il compito di tutelare con la
forza delle leggi i loro diritti naturali. A qualcosa, indubbiamente, rinunciano: di fare giustizia
loro stessi.
“Diritto” alla proprietà?
Lo Stato, quindi, nasce dal basso, non dall'alto. Nasce sulla base di un'esigenza da parte dei
membri dello stato di natura di essere tutelati nei loro diritti. Quali sono questi diritti naturali?
Ovviamente il "diritto alla vita", il "diritto alla libertà" e il "diritto alla proprietà". Quest'ultimo,
però, ha dei limiti, cioè...
immagino che l'uomo abbia naturalmente il diritto di appropriarsi di qualcosa se questo
qualcosa lo si è guadagnato col lavoro, quindi onestamente.
E' quanto pensa Locke. Si ha "naturalmente" il diritto alla proprietà se ciò su cui si vanta tale
diritto è guadagnato col proprio lavoro: se ad esempio coltivo un campo, ho diritto alla
proprietà del raccolto.
La funzione dello Stato? Tutelare i diritti “naturali”!
Per Locke nello stato di natura l'uomo ha diritti "naturali" (in sintonia col "giusnaturalismo").
Esistono, cioè, diritti che antecedono lo Stato. Come potrebbe essere lo "stato di natura"
secondo Locke?
Immagino sia molto diverso da quello ipotizzato da Hobbes: solo se l'uomo non viene visto
pessimisticamente come "lupus" per l'altro uomo, si può teorizzare uno Stato non assoluto.
Infatti è così. Per Locke gli uomini nello stato di natura non si sentono totalmente liberi nel
senso che non ritengono di avere il diritto su tutto (anche a scapito degli altri): per loro la
libertà è limitata dalla legge naturale, cioè dalla ragione.
E' la stessa legge naturale (legge della ragione) che dice agli uomini che la libertà di ciascuno
non è illimitata, ma è limitata dalla libertà degli altri, che il diritto non è un diritto su tutto, ma
solo su quanto è frutto del proprio lavoro. Lo "stato di natura", quindi, è uno stato in cui tutti seguendo la ragione - si sentono "liberi" ed "uguali" - nessuno per natura è subordinato ad un
altro -. Perché mai, allora, si avverte l'esigenza dello Stato?
Immagino perché lo stato di natura può degenerare, può sfociare, quindi, in guerre.
Come potrebbe degenerare uno stato in cui tutti gli uomini vivono secondo la ragione?
Ma un conto sono gli istinti ed un conto è la ragione.
Per Locke le leggi naturali sono conoscibili dalla ragione, ma non è detto che tutti seguano la
ragione, non è detto, quindi, che qualcuno non abusi della propria libertà ricorrendo alla
violenza.
Lo stato di natura ha un LIMITE significativo: può degenerare. Ci può essere qualcuno che non
segue le leggi naturali, attentando ad esempio alla vita, alla libertà ed alla proprietà di altri: da
qui l'esigenza di uno Stato che abbia la forza di intervenire contro coloro che violano le leggi
naturali.
Lo Stato, quindi, risponde all'esigenza di colmare una lacuna dello stato di natura. Col
"contratto", quindi, i membri dello stato di natura non rinunciano ai loro diritti, neanche alle
loro libertà, ma solo al diritto di farsi giustizia da sé. Cosa ne dici?
Non mi convince molto: mi pare riduttivo uno Stato che si... riduca semplicemente a tutelare i
diritti individuali, a fare, cioè, da carabiniere!
Ti sembrerà riduttivo, ma è tale Stato è alla base dello Stato liberal-democratico diffuso oggi
nel mondo occidentale. Vedrai, comunque, che le funzioni dello Stato si dilateranno sempre di
più: di sicuro oggi lo Stato non ha solo la funzione di "carabiniere"!
La funzione dello Stato - ripetiamo - è quella di tutelare i diritti naturali dei singoli uomini. Lo
Stato, quindi, nasce a servizio degli uomini. E nasce dal basso: il principale POTERE dello Stato
(quello legislativo) ha la sua legittimità nel popolo. Locke contesta duramente la teoria
assolutistica formulata da Robert Filmer.
Secondo tale teoria Dio ha affidato ad Adamo, il patriarca del genere umano, un potere
PATERNO, ILLIMITATO, un potere che si trasmette per eredità a tutti i patriarchi e, tramite
questi, ai sovrani. Il potere del sovrano, dunque, è un potere PERSONALE, EREDITARIO,
PATERNO E SENZA LIMITI. Cosa dici di questa teoria?
Non ho mai letto nella Bibbia che Dio ha affidato ad Adamo un potere politico.
E' la risposta di Locke a Filmer: nella Bibbia non vi è scritto nulla di questo. Non sta scritto da
nessuna parte, cioè, che Dio ha affidato ad Adamo questo potere.
Locke, contro Filmer, chiarisce poi che un conto è il potere "paterno" - che deriva dalla
"natura" - ed un conto il potere "politico" che non deriva per nulla dalla natura. Sottolinea, poi,
la difficoltà di riconoscere oggi gli... eredi di Adamo, una difficoltà che porterebbe diritto
all'anarchia!. Lo Stato - ribadiamo - viene dal basso: "sovrano" è il popolo. Cosa dici di questa
"sovranità"?
Non riesco a capire un discorso del genere: se per il liberalismo la sovranità appartenesse al
popolo, allora che differenza ci sarebbe tra il "liberalismo" e la "democrazia"?
La tua perplessità è legittima: indubbiamente per Locke sovrano è il popolo, ma è lungi dal
pensare ad un'espressione della volontà del popolo tramite il suffragio universale.
Ciò che caratterizza la "democrazia" è il "suffragio universale" (il diritto di voto a tutti). E'
questa la ragione per cui, storicamente, il liberalismo non coincide con la democrazia pur
affermando la "sovranità popolare". Riprendiamo il discorso del "potere legislativo" (il potere n.
1 dello Stato).
La legge? Uguale per tutti!
Le leggi - abbiamo detto - devono essere UGUALI PER TUTTI. Cosa ne dici?
Mi sembra un principio meramente teorico: anche in tribunale sta scritto "LA LEGGE E' UGUALE
PER TUTTI", ma sappiamo benissimo che i... potenti sono più uguali degli altri se non altro
perché possono permettersi avvocati di grido!
La tua osservazione è puntuale: troveremo pensatori che sottolineeranno l'esigenza di andare
oltre quella che viene chiamata l'"uguaglianza formale”.
Il "Potere esecutivo" - il potere di mettere in esecuzione le leggi approvate dal parlamento - è
distinto e separato dal "potere legislativo". Oltre a questi due "poteri", vi è, secondo Locke, un
potere "FEDERATIVO", il potere cioè di rappresentare lo Stato di fronte ad altri Stati (al fine di
dichiarare la guerra, di stipulare la pace, di fare alleanze). Si tratta di un potere, secondo
Locke, che deve rimanere nelle stesse mani del "governo". Cosa ne dici?
Mi delude Locke: mi aspettavo di trovare la prima teorizzazione della divisione dei tre poteri
dello Stato (legislativo, esecutivo e giudiziario), ed invece mi sono trovato di fronte ad una
divisione monca!
Indubbiamente la separazione che tu sottolinei è importante. E' un fatto, comunque, che in
Locke non vi è la teorizzazione del POTERE AUTONOMO DELLA MAGISTRATURA.
Per Locke le funzione di amministrare la giustizia appartiene al "potere esecutivo". Cosa ne
dici?
Mi pare coerente il discorso di Locke: che compito hanno i giudici se non applicare le leggi? Si
tratta, quindi, di una funzione che spetta a chi ha il potere esecutivo, cioè a chi applica le leggi.
Ma se la funzione di amministrare la giustizia appartenesse al governo, come si potrebbero
scoprire le malefatte dei governanti?
Il popolo ha il “diritto” alla rivoluzione?
Il popolo - abbiamo detto - è sovrano. Quando chi governa (potrebbe essere un Monarca) non
rispetta il "contratto", va oltre i propri poteri delegati dal patto, quando chi governa non tutela
i diritti naturali, quando agisce secondo il proprio "arbitrio" e non secondo la legge, allora il
popolo HA DIRITTO ALLA RESISTENZA, ALLA RIVOLUZIONE. Cosa ne dici?
Non mi convince. Si tratta di un diritto contemplato neppure dalla nostra Costituzione
repubblicana: se si ammettesse il diritto alla rivoluzione, si ricadrebbe nel caos della
rivoluzione inglese denunciato con forza - e a ragione - da Hobbes!
La tua osservazione è puntuale. Non dimenticarti, tuttavia, che la nostra Costituzione prevede
delle procedure democratiche per rimuovere il... tiranno senza bisogno di ricorrere alla violenza
rivoluzionaria. Devi fare uno sforzo per "storicizzare" Locke.
ILLUMINISMO
Premessa
Cosa sai dell'Illuminismo?
So che è un movimento spudoratamente anti-religioso, un movimento che esalta valori
individualistico-borghesi a scapito dei valori della solidarietà, valori tipici del Cristianesimo.
Non è questo il cliché di certi gruppi cattolici integralisti che vedono l'Illuminismo come fosse il
Demonio in persona?
Sicuramente è anticlericale.
Anticlericale, sì. Anche anti-religioso? La maggior parte dei pensatori illuministici non è contro
la religione, ma contro le religioni cosiddette "positive”. Un movimento che esalta i valori
individualistico-borghesi? Che ci sia un legame tra l'Illuminismo e borghesia è un fatto. Che
l'Illuminismo predichi valori individualistici è da verificare. Lo facciamo quanto prima.
Cosa sai d'altro?
So che è un movimento (lo dice la parola) che ha l'ambizione di "illuminare" gli altri: siamo di
fronte, quindi, ad intellettuali "impegnati", un po’ come gli intellettuali dell'Umanesimo.
Indubbiamente i "philosophes” illuministi sono intellettuali impegnati (possiamo dire alla
francese "engagées"). Il confronto con gli umanisti? In parte è corretto: ci sono stati,
sicuramente, degli umanisti che hanno usato la loro cultura a servizio della politica o contro...
tiranni. Ti ricorderai, poi, l'inno alla "vita attiva" piuttosto che alla vita contemplativa.
Gli Illuministi sono impegnati a diffondere "I LUMI DELLA RAGIONE". Questo in perfetta
sintonia con...
i razionalisti (non certo gli empiristi che pongono alla base di tutto l'"esperienza"!).
I razionalisti? Ti risulta che i philosophes dell'Illuminismo sono dei metafisici?
Perchè allora esalterebbero il ruolo della “ragione”?
E' indubbio che una sintonia con i razionalisti c'è. Cartesio, nel momento in cui pone
l’"evidenza razionale” come l'unico criterio di conoscenza, sicuramente è un... illuminista antelitteram. Gli Illuministi, tuttavia, non seguono il razionalismo nella sua pretesa di fondare delle
metafisiche: in questo seguono la "lezione" degli empiristi.
Gli Illuministi esaltano, sì, la "ragione", ma ritengono che la ragione possa operare solo
nell'ambito dei limiti dell'esperienza. Da qui, in sintonia con gli empiristi, la polemica contro i
"sistemi" costruiti dalla ragione, contro la "metafisica" che pretende andare oltre i limiti
dell'esperienza. In che cosa consistono, in concreto, "i lumi della ragione" da diffondere?
Immagino (da quanto detto) che gli Illuministi intendano combattere l'ignoranza, la
superstizione in particolare, vedi ad esempio i "miracoli".
I miracoli=superstizione? I miracoli non sono qualcosa di soprannaturale?
Per gli illuministi il soprannaturale è qualcosa di irrazionale.
E' vero. Per gli Illuministi i miracoli sono credenze che non hanno alcun fondamento razionale:
si tratta, quindi, di superstizioni.
Scaviamo. In che senso i miracoli sono, per gli Illuministi, delle credenze contro la "ragione"?
Nel senso che violano le leggi - eterne e necessarie - della natura scoperte dalla "scienza".
Questa è la convinzione degli Illuministi, convinti che la scienza (Newton in particolare) avesse
scoperte le leggi immutabili dell'universo.
Gli Illuministi si sentono gli eredi della Rivoluzione scientifica, gli eredi del "metodo scientifico",
gli eredi della lotta di Galileo contro il principio di autorità, contro i dogmi delle metafisiche,
contro la superstizione. Da qui la fiducia - tipicamente baconiana - di liberare l'uomo dai suoi
limiti proprio grazie al potere della scienza.
Eredi del razionalismo e dell'empirismo - la fiducia nella ragione che però non può pretendere
di andare oltre l'esperienza -, eredi della Rivoluzione scientifica, gli Illuministi sono anche eredi
del Rinascimento. In che senso?
La risposta, a questo punto, mi pare scontata: esaltando la ragione, la scienza, il potere della
scienza di liberare l'uomo, l'Illuminismo non può che essere in sintonia con l'esaltazione
dell'uomo "faber fortunae suae" (senza alcun bisogno di Dio) della rivoluzione umanisticorinascimentale.
E' in parte così. Non corretta l'affermazione secondo cui l'esaltazione dell'uomo da parte
dell'Umanesimo e del Rinascimento porta l'uomo a non aver bisogno di Dio. Come sai il
Rinascimento mette sì, sullo sfondo Dio, ma non lo nega come non nega i valori del
Cristianesimo.
Veniamo al pensiero politico degli Illuministi. Cosa ne sai?
So che erano favorevoli al dispotismo illuminato che si fonda sul principio "tout pour le peuple,
rien par le peuple" (tutto per il popolo, niente attraverso il popolo).
E' vero che la prima... ondata degli Illuministi è su queste posizioni (diventare una sorta di
consulenti dei sovrani sul terreno delle riforme). Vedremo, comunque, che successivamente gli
Illuministi abbracceranno posizioni più radicali.
Gli Illuministi fanno della "ragione" anche un'arma critica contro le assurdità della politica e
della società battendosi per il cambiamento. Danno, quindi, alla ragione una valenza ben
superiore a quella che le avevano conferito i razionalisti, gli empiristi e gli scienziati della
Rivoluzione scientifica.
Cosa sai altro dell'Illuminismo?
So che (lo ricordo dalle medie) sono degli intellettuali incapaci di comprendere la storia: per
loro il passato, la tradizione vanno condannati (col metro della ragione), non compresi!
Ma non sono loro gli inventori del concetto di "progresso"? Che significato avrebbe il progresso,
se non si intendesse la storia come un cammino verso il meglio?
Questo non toglie che gli illuministi condannano delle epoche storiche come il Medioevo.
E’ vero. Però il dire che gli illuministi siano anti-storici è un po’ forzato: si tratta di un classico
cliché - sorto nel clima del Romanticismo -, oggi praticamente abbandonato o, comunque,
fortemente discusso.
I pensatori illuministi giudicano tutto col metro della ragione. Anche il passato. Anche le
tradizioni più consolidate. Da qui la condanna di intere epoche come il Medioevo - visto come
un periodo in cui non albergano i lumi della ragione -, ma anche il riconoscimento del valore di
altre epoche (quelle di Pericle, di Cesare ed Augusto, del Rinascimento, di Luigi XIV).
Gli Illuministi, inoltre, hanno l'indubbio merito di aver applicato in concreto un principio
fondamentale della metodologia storica, cioè il VAGLIO CRITICO delle fonti. Hanno, poi,
allargato l'orizzonte della storia (non solo in senso geografico - non più la storia eurocentrica ) dimostrando attenzione anche all'economia, alla cultura, al progresso scientifico e
tecnologico.
A proposito dell'attenzione all'economia, al ruolo delle arti, delle scienze, delle tecniche si veda
il maggiore strumento di diffusione dei "lumi della ragione" che è l'ENCICLOPEDIA (o
DIZIONARIO RAGIONATO DELLE SCIENZE, DELLE ARTI E DEI MESTIERI). Largo spazio è
dedicato alle tecniche. Cosa dici di questa particolare aspetto?
Mi pare dimostri una sensibilità tipica di oggi: un sapere non fine a se stesso, ma mirato alla
tecnologia, cioè a cambiare in meglio la società.
Si tratta, indubbiamente, di una sensibilità che caratterizza la nostra epoca, ma che affonda le
radici nel progetto di Bacone: fare della natura il Regnum hominis!
Se vuoi approfondire il ruolo svolto dalla “Enciclopedia” oltre che i suoi limiti, ti consiglio come
primo approccio le pagine dedicate all'ENCICLOPEDIA (pagine corredate anche da numerose
figure) da parte della "Storia del pensiero filosofico e scientifico" curata da Ludovico Geymonat
(vol. III, Ed. Garzanti). E' un'opera classica che trovi in tutte le biblioteche.
La scienza, la tecnica per cambiare, per costruire il Regno dell'uomo, una società a misura
dell'uomo, a misura della ragione umana. Indubbiamente se il pensiero illuministico per certi
versi è pessimista nei confronti di cadute storiche della ragione, per altri aspetti è ottimista: si
veda la fiducia nella ragione, una ragione capace di costruire un futuro razionale. E' questa
l'idea di PROGRESSO. Un progresso necessario?
Non vedo alcuna necessità: come nel passato la ragione è emersa alla luce del sole, ma è stata
anche offuscata, così non vedo come in futuro non possa succedere la stessa cosa (un ritorno
cioè alla barbarie: in questo mi sento in sintonia con Vico).
Infatti. Proprio perché l'Illuminismo rifiuta la metafisica e rifiuta pure le religioni positive compresa la visione provvidenzialistica della storia tipica del Cristianesimo -, non è in grado di
fondare la necessità del progresso. Lo storicismo degli Illuministi si può chiamare "storicismo
problematicistico".
MONTESQUIEU 1
Probabilmente conosci già Montesquieu: è notissimo (stracitato anche sui giornali) come il
teorico della DIVISIONE DEI POTERI, divisione che è stata fatta propria per prima dalla
Costituzione americana e che oggi è l'anima di ogni Stato liberal-democratico. Il suo vero
nome: Charles-Luois de Secondat. Il nome "Montesquieu" deriva dal suo essere barone di...
Montesquieu.
Il suo capolavoro: "L'esprit des Lois" (Lo spirito delle Leggi, 1748). Nel 1721 pubblica in modo
anonimo le "Lettres persanes" (Lettere persiane): una denuncia delle assurdità della società
francese quali appaiono a due immaginari viaggiatori persiani.
Le "Lettres persanes" rappresentano un genere letterario - la critica al presente messa in bocca
ad ingenui abitanti di territori in qualche modo rimasti "naturali", incontaminati dalla civiltà
europea - che farà fortuna. Affrontiamo ora il discorso della divisione dei poteri, divisione che
lui mutua dal modello inglese (modello che si è costituito dopo la Glorious Revolution), ma che
articola meglio, chiarendo bene la netta autonomia del "potere giudiziario".
Quali i vantaggi della divisione dei poteri?
Quali i vantaggi della "divisione dei poteri" (potere legislativo, potere esecutivo e potere
giudiziario)?
Costituisce un antidoto contro l'Assolutismo: vi è Assolutismo proprio quando i tre poteri sono
concentrati in mano ad un Sovrano.
Ma... il "comitato di salute pubblica”, durante la grande rivoluzione francese, era
"repubblicano" (governava addirittura come l'interprete delle masse popolari), eppure
governava in modo "assoluto"! Non è vero?
E’ vero. Montesquieu, però, ha storicamente di fronte il Modello monarchico di Assolutismo.
Certo. Per Montesquieu la divisione dei poteri è proprio l'antidoto contro l'Assolutismo: col
senno del poi, noi, potremmo considerarlo come l'antidoto contro ogni forma di assolutismo non solo quello di tipo monarchico -.
Approfondiamo: in che senso la divisione dei poteri garantisce le libertà contro l'Assolutismo?
La risposta mi pare scontata: se il governo ad esempio, oltre al potere esecutivo, avesse anche
il potere giudiziario, potrebbe perseguitare l'opposizione politica, minacciando così la libertà di
critica. La ghigliottina di Robespierre insegna!
E', indubbiamente, un'argomentazione valida, in perfetta sintonia col pensiero di Montesquieu;
se il governo avesse anche il potere giudiziario, potrebbe usare tale potere contro l'opposizione
politica, minando così la libertà di critica.
1
Il suo nome vero (se sei curioso) : Charles-Louis de Secondat. Viene chiamato Montesquieu perché barone di Montesquieu. Nasce nel 1689 da una
famiglia nobile. Studia prima in un collegio di oratoriani, poi diritto a Bordeaux. Nella sua prima composizione (Sulla dannazione eterna dei pagani)
sostiene l'impossibilità che i filosofi pagani siano stati dannati perché ignoravano la Rivelazione. Nel 1714 eredita dallo zio la carica di presidente del
parlamento di Bordeaux. Collabora con l'Accademia delle Scienze di Bordeaux. Nel 1721 pubblica le "Lettres persanes" (Lettere persiane) che
costituiscono una vera e propria satira - messa in bocca ad alcuni visitatori persiani - nei confronti dei costumi, della chiesa cattolica e delle istituzioni
francesi. Entra, non senza qualche difficoltà (difficoltà nata in seguito alle "Lettere persiane"), nell'Accademia di Francia. Inizia una serie di viaggi
per l'Europa. Il viaggio che più lo colpisce è quello in terra inglese dove ammira la divisione dei poteri. Nel 1734 pubblica le "Considerazioni sulle
cause della grandezza dei romani e della loro decadenza".
Nel 1748 pubblica anonimo il suo capolavoro: "Lo spirito delle leggi", un'opera che nel 1751 viene messa all'indice. Muore a Parigi nel 1751.
Chi ci tutela dai giudici?
Il Potere giudiziario non può essere esercitato dal governo: il caso sopra citato di Robespierre
& C. è esemplare; possiamo pensare a mille altre casi - si vedano tutte le dittature di destra e
di sinistra -. Tu, però, potrai obiettare: chi ci tutela dal Potere dei Giudici? Cosa risponderesti a
tale obiezione?
Si tratta di un'obiezione seria. I giudici hanno in mano un potere enorme: si vedano i tanti
abusi commessi nelle inchieste dei vari Pool di Mani Pulite, si vedano imputati che sono stati
messi nelle condizioni di suicidarsi, si vedano i tanti imputati che rimangono in galera per mesi
ed anni e poi risultano innocenti. Eppure tali giudici non hanno alcun controllo da parte del
popolo sovrano!
Senti: nell'inchiesta "Tangentopoli" non sono i giudici che hanno tutelato il popolo sovrano
scoprendo le ruberie di politici ed imprenditori?
Ma come l’hanno tutelato? Calpestando i sacrosanti diritti degli imputati!
E’ questa, indubbiamente, un’istanza fondamentale: saper coniugare le esigenze della Giustizia
con il rispetto della dignità dell’uomo (di ogni uomo, anche dell’imputato). Tieni presente, poi,
che non è vero (almeno in Italia) che non ci sia alcun controllo democratico: il Guardasigilli che fa parte di un governo che ha avuto la fiducia del parlamento - ad esempio più iniziare
un'azione penale nei confronti di magistrati sospettati di aver violato la legge.
Coniugare il rispetto dei diritti individuali con l'esigenza di giustizia è, sicuramente, non
semplice. Eppure - dirai - il cittadino deve avere la certezza di non avere a che fare con un
potere "arbitrario". E' quanto sostiene lo stesso Montesquieu che afferma che vi è "libertà" in
un paese laddove i cittadini non hanno da temere nessuno, ma sono soggetti solo alla LEGGE.
E' così in Italia?
No. La discrezionalità della magistratura è immensa: questa può sbatterti in galera anche se
sei innocente, può distruggere la tua onorabilità per sempre passando alla stampa l'avviso di
garanzia nei tuoi confronti prima ancora che tu ne sia al corrente!
I magistrati - dal Pubblico Ministero ai Giudici - hanno come compito unicamente quello di
APPLICARE LE LEGGI. Tutto - anche le condizioni per la carcerazione preventiva - oggi
chiamata "custodia cautelare" -, anche le attenuanti e le aggravanti per la pena - è previsto
dalla legge (codici). Nessun potere discrezionale, allora? Ovviamente l'interpretazione della
legge in relazione al caso esaminato è dei magistrati.
In Italia i magistrati hanno - sulla carta - un potere discrezionale inferiore rispetto a quello
previsto in altri paesi: vi sono paesi in cui i magistrati stabiliscono loro, in certi casi, il tipo di
pena! Questo - dirai - non esclude che i magistrati carichino sopra di sé un ruolo politico,
quello di purificare la società, abbattere la classe politica, colpire a destra o a sinistra a
secondo del proprio colore politico. Cosa dici di tale affermazione?
La condivido: quello che mi preoccupa di più è il magistrato "eroe" che si sente autorizzato a
svolgere il suo ruolo "politico" dal sostegno dell'opinione pubblica. Siamo di fronte a veri e
propri "giacobini" giustizialisti che usano la ghigliottina - si fa per dire - in nome del popolo!
Ma... se dei magistrati hanno messo in ginocchio una classe politica, non l'hanno fatto in nome
della "legge" la quale non prevede cittadini di serie A e di serie B, non prevede, cioè, alcun
privilegio per i potenti, neanche per i presidenti (o ex) del consiglio e della repubblica?
E’ vero che i magistrati non devono guardare in faccia a nessuno (la legge è uguale per tutti),
ma è anche vero che ci sono giudici che usano l’arma della giustizia per scopi politici.
Se ci fossero, la cosa importante è che è in uno Stato liberal-democratico vi è la possibilità di
smascherarli.
Il potere giudiziario - si potrebbe obiettare - ha il limite che non è controllato da nessuno (si
auto-controlla: vedi il "Consiglio Superiore della Magistratura"); le stesse ispezioni operate dal
governo, poi, sono spesso un boomerang per il governo stesso perché sono viste dall'opinione
pubblica come vere e proprie interferenze per ragioni "politiche" nel campo della Magistratura.
Cosa dici?
Un'obiezione che condivido: non è pensabile in particolare che il potere della magistratura sia
controllato dall'opinione pubblica che notoriamente è volubile e spesso forcaiola.
Che l'opinione pubblica sia volubile, questo è vero. Le legge, però, non è volubile ed i
magistrati sono sottoposti - anche loro - alla legge per cui, in caso di violazione della stessa,
sono soggetti alla condanna.
Esiste in Italia la distinzione-separazione dei Poteri?
Il potere giudiziario per Montesquieu deve essere indipendente e separato dagli altri due
poteri: i magistrati non possono essere contemporaneamente legislatori e coloro che applicano
- in qualità di magistrati - le leggi. Così, ovviamente i legislatori non possono essere
contemporaneamente giudici: avrebbero un immenso potere che minaccerebbe la libertà dei
cittadini. Ma anche potere legislativo e potere esecutivo devono essere tra loro separati.
Queste le parole di Montesquieu: "ALLORCHE' IL POTERE LEGISLATIVO E' RIUNITO AL POTERE
ESECUTIVO, NELLA STESSA PERSONA O NELLO STESSO CORPO DI MAGISTRATI, NON ESISTE
LIBERTA': INFATTI SI PUO' TEMERE SEMPRE CHE IL MONARCA O IL SENATO FACCIA LEGGI
TIRANNICHE, PER ESEGUIRLE IN MODO TIRANNICO.
E ancora: "NON C'E' LIBERTA' NEPPURE QUANDO IL POTERE DI GIUDICARE NON E' SEPARATO
DAL POTERE LEGISLATIVO E DAL POTERE ESECUTIVO. SE ESSO FOSSE UNITO AL POTERE
LEGISLATIVO, IL POTERE SULLA VITA E SULLA LIBERTA' DEI CITTADINI RISULTEREBBE
ARBITRARIO: INFATTI IL GIUDICE SAREBBE LEGISLATORE. SE ESSO FOSSE UNITO AL
POTERE ESECUTIVO, IL GIUDICE AVREBBE LA FORZA DI UN OPPRESSORE". Cosa ne dici?
Una distinzione-separazione più che giustificata. Non capisco, per questo, come mai in Italia che pure è uno Stato liberal-democratico - il governo abbia anche il potere legislativo: vedi il
potere di emanare decreti legge o decreti delegati.
Il provvisorio potere legislativo del governo - provvisorio perché, come sai, ogni decreto-legge
deve essere approvato dal parlamento entro sessanta giorni - è motivato proprio dalla
necessità e dall'urgenza. Si tratta di un potere che comunque è sottoposto alla ratifica o alla
bocciatura da parte di chi è il titolato a fare le leggi, cioè dal parlamento. In Italia, come sai, i
governi (almeno negli ultimi decenni) hanno la tendenza a fare un ampio uso dei decreti-legge:
non è un caso che ogni qualvolta arriva un decreto-legge in parlamento, il parlamento pone la
questione della legittimità costituzionale, prima ancora di esaminarne i contenuti. Perchè
questo largo uso?
Perché i tempi del parlamento (due rami) sono eccessivamente lunghi rispetto alla necessità di
affrontare i problemi con tempestività.
Questa è, indubbiamente, la giustificazione fatta dai governi, una giustificazione, però,
tutt’altro che condivisa dall’opposizione.
Le istituzioni di un Paese dipendono dal clima...
Abbiamo trattato a lungo il discorso della "divisione dei poteri". Montesquieu affronta anche
altri discorsi. In primo luogo non crede affatto che le forme di governo di un Paese e le stesse
leggi siano delle mere "convenzioni", qualcosa di meramente "artificiale". Perché mai?
Perché un conto - immagino - sono le leggi adatte ad un paese industrializzato ed un conto
quelle adatte ad un paese del Terzo o del Quarto Mondo.
E' quanto sostiene Montesquieu: le leggi riflettono, ad esempio, il tipo di economia di un paese.
Non si tratta, cioè, di qualcosa di "convenzionale", di "artificiale".
Montesquieu vuole sottolineare il legame che c'è tra le leggi ed il background extra-giuridico:
le leggi, cioè, riflettono una serie di fattori che vanno dal clima, al tipo di economia,
all'ampiezza del territorio, alla religione, ai costumi, alle tradizioni. Cosa ne dici?
Mi pare eccessivo parlare del "clima" come di un fattore che spiega la diversità di istituzioni, di
leggi.
Montesquieu parla, naturalmente, del clima come "uno" dei fattori (non l'unico). E' un fatto che
il caldo eccessivo rende abulici, poco attivi e, quindi, in questa logica, ostacola la
partecipazione attiva dei cittadini, partecipazione che caratterizza un regime democratico.
Un clima temperato o freddo agevola l'attività dei cittadini e, quindi, agevola la partecipazione
attiva alla vita pubblica che caratterizza la democrazia. Lo stesso eccesso di estensione del
territorio e l'assenza di chiari confini (come grandi fiumi o catene montuose) condizionano il
tipo di governo: in tali condizioni, se si vuole evitare uno smembramento dello Stato, è più
adatto un regime dispotico. Anche la religione condiziona le stesse leggi. Cosa dici?
Condivido il discorso sulla religione: i regimi teocratici o ierocratici che si sono avuti nella storia
dei paesi arabi sono una chiara testimonianza del fondamentalismo tipico della religione
islamica.
Il riferimento è pertinente. Va chiarito, però, che la religione è uno dei fattori: vi possono
essere altri fattori che hanno più peso rispetto alla religione. Tieni presente che la teocrazia - o
ierocrazia o integralismo o fondamentalismo - non caratterizza tanto la religione islamica,
quanto alcune sette estremiste che interpretano in modo teocratico l'Islamismo.
Per Montesquieu, in altre parole, le leggi non sono delle convenzioni dettate dalla astratta
"ragione", ma norme che riflettono una serie di fattori (climatici, geografici, economici,
culturali...) che caratterizzano un popolo. E' questo l’"ORDINE" che Montesquieu afferma di
aver scoperto: la varietà di regimi e, ancor di più, la varietà di leggi hanno una loro ragione
"storica". Non ha senso parlare di un "contratto", di una "convenzione" che avrebbero stipulato
gli uomini nello "stato di natura".
Un discorso interessante Montesquieu fa a proposito delle forme di governo. Non basta,
secondo lui, la classica suddivisione in governo monarchico, tirannico e repubblicano. Questa è
una suddivisione che si basa solo sulla "natura" dei regimi. Occorre andare oltre e spiegare il
"principio" (il motore, la "passione") che è alla base della diversa attività legislativa.
Qual è il motore (l'energia) che è alla base del regime repubblicano? Per Montesquieu è la
"VIRTU'". Cosa ne dici?
Mi pare una risposta corretta: siccome nella repubblica il potere - la sovranità - appartiene al
popolo, e' il popolo che deve avere la capacità (capacità che è una virtù) di sottostare alle leggi
emanate dallo stesso popolo.
E' questa sostanzialmente la risposta di Montesquieu, il quale però, fa la distinzione tra la
repubblica "democratica" - in cui la virtù deve essere di tutto il popolo - e la repubblica
"aristocratica" in cui è sufficiente che la virtù l'abbiano solo gli aristocratici.
Qual è il motore (l'energia) che è alla base del regime monarchico? Per Montesquieu è l’"onore"
cioè "la consapevolezza che ognuno ha della propria persona e della propria condizione". Cosa
ne dici?
Mi pare una risposta ovvia: in un regime monarchico non è necessaria la "virtù" (nell'accezione
di cui sopra), ma è necessario che ognuno - vuoi il re vuoi i sudditi - abbia la consapevolezza
della propria condizione.
E' quanto sostiene Montesquieu. La consapevolezza della propria condizione può spingere il
sovrano a realizzare "le azioni più belle". E' appunto l’"onore" a spingere il re.
Il motore del regime dispotico (governo di un uomo solo non sottoposto ad alcuna legge) è la
"PAURA". In che senso?
Nel senso che tale governo si regge solo finché i sudditi hanno paura del tiranno.
Si tratta, ovviamente, della paura che incute il tiranno nei sudditi.
Si tratta di principi, secondo Montesquieu, che dovrebbero esserci sempre (non che ci siano
sempre). La democrazia si corrompe - specifica Montesquieu - quando il popolo non sopporta
più il potere che ha affidato ai suoi rappresentanti e "vuol fare tutto da solo". L'aristocrazia "si
corrompe allorché il potere dei nobili diventa arbitrario: allora non può più esserci virtù né nei
governanti né nei governati".
La monarchia, poi, si perde "allorché il principe, richiamando ogni cosa unicamente a se stesso,
concentra lo stato nella capitale, la capitale nella corte, e la corte nella sua persona". Il
governo dispotico, infine, si corrompe "senza sosta, poiché è corrotto per sua natura". L'ultimo
quesito: per quale forma di governo prova simpatia Montesquieu? Prova ad intuire.
Io credo per la Monarchia: i philosophes illuministi sono tutti abbagliati dal modello della
monarchia costituzionale inglese.
Montesquieu dimostra simpatia sia per la Monarchia costituzionale sia per la Repubblica. Che
conta, per lui, è che si garantisca - con la divisione dei poteri - la libertà dei cittadini.
ROUSSEAU 2
Siamo al teorico della "democrazia": Rousseau. Prima di addentrarci nel suo discorso,
analizziamo i termini del problema. Cos'è per te la "democrazia"?
Il... governo del popolo: è la stessa etimologia che lo dice!
Governo del popolo! Neanche in un piccolo "comune" il popolo governa direttamente!
E’ vero. L’etimologia non è sufficiente.
E allora? Cos'è allora, in concreto, la "democrazia"?
Dato che il popolo non governa direttamente, credo per "governo" si intenda che al popolo
appartiene la "sovranità": non quindi "il popolo governa", ma "il popolo è sovrano".
Ma non sarebbe una beffa avere la "sovranità" e poi farsi "governare" da qualcuno?
Beffa o no, non vedo come possa il popolo governare direttamente!
Per Rousseau l'... anima della democrazia è proprio la "sovranità del popolo". Per Rousseau
non vi è altro sovrano che il "popolo". Ma come esercitare tale sovranità? Condivido la tua
opinione secondo cui non è facile che il popolo governi direttamente. Riprenderemo il discorso.
La “delega” significa espropriazione della “sovranità del popolo?
Vi è democrazia laddove la sovranità appartiene al popolo. Questo è ciò che caratterizza la
democrazia sia secondo la nostra Costituzione (vedi secondo comma dell'art. 1) sia secondo il
teorico della democrazia Rousseau. Per Rousseau la sovranità è indivisibile, inalienabile. Cosa
ne dici?
Se è inalienabile, vuol dire che è il popolo che deve governare, ma questo è il... Regno
dell'Utopia.
Perché mai il popolo non potrebbe delegare la funzione del governo ad altri, conservando nello
stesso tempo la sovranità? Con le elezioni non deleghiamo qualcuno a legiferare e, proprio
perché noi siamo sempre sovrani, non possiamo al turno elettorale successivo togliere detta
delega?
Ma se la sovranità è “inalienabile”, come potrebbe esserci una delega?
Per Rousseau, infatti, la sovranità NON PUO' ESSERE DELEGATA, RAPPRESENTATA, PROPRIO
PERCHE' NON PUO' ESSERE ALIENATA. Cosa ne dici?
Si tratta di una democrazia non solo utopistica - se non in piccolissime comunità -, ma anche
pericolosissima: è noto a tutti che il popolo è irrazionale, volubile, passionale, incompetente.
Indubbiamente una democrazia diretta è realizzabile solo in piccolissime comunità, ma perché
dovrebbe essere pericolosa? Se non si credesse nella capacità del popolo - tanto più se si
tratta di una piccola comunità - di fare le scelte più idonee per se stesso, non si dovrebbe
tornare alla monarchia o all'oligarchia oppure alla utopica aristocrazia platonica?
Rousseau pensa alle piccole "comunità" della sua Svizzera, alle città-Stato dell'antica Grecia. Ti
invito a riflettere: la delega è proprio un’autoespropriazione della sovranità del popolo?
A pensarci bene, mi pare di sì. Noi di fatto diamo una "delega in bianco" ai nostri
rappresentanti (i programmi dei partiti sono, come è noto, generici, spesso demagogici) i quali
per alcuni anni - fino alle elezioni successive - prendono decisioni per cui non hanno avuto
alcuna delega, anche perché possono sorgere situazioni imprevedibili durante la legislatura.
Ma durante la "legislatura" il popolo non può sempre intervenire direttamente per far sapere la
sua opinione con referendum, petizioni popolari, disegni di legge di iniziativa popolare?
E’ vero, ma è anche vero che - al di là dei diritti costituzionali del popolo - sono numerosissime
le decisioni che i parlamentari prendono senza avere avuto, su quelle scelte, alcuna delega da
parte del popolo.
E’ vero.
2
Jean Jacques Rousseau nasce a Ginevra nel 1712. La madre muore nel parto. Il padre è un artigiano di confessione calvinista. Costretto ad emigrare,
il padre lo affida ad uno zio. Il giovane Rousseau ha una vita difficile. Riceve l'educazione da un pastore. Incontra in Madame de Warens una
protettrice che poi diventerà pure l'amante. A Parigi entra in contatto con gli intellettuali dell'Illuminismo (gli vengono affidate delle voci - le voci
musicali e la voce di Economia politica - per l'Enciclopedia). Si innamora di una giovane cucitrice da cui ha ben cinque figli, tutti e cinque
abbandonati. Vince il primo premio di un concorso indetto dall'Accademia di Digione col saggio "Discorso sulle scienze e sulle arti", saggio che gli
dà subito la celebrità. Sempre per l'Accademia di Digione scrive "Discorso sulle origini della disuguaglianza fra gli uomini". Le sue opere più
importanti: "Il contratto sociale" e l'"Emilio". A mano a mano - a causa anche del suo carattere e del suo credersi eccezionale - rompe con gli
Enciclopedisti. Rompe perfino con Hume. Vive gli ultimi anni della sua vita praticamente isolato. Muore nel 1778.
Per Rousseau ciò che caratterizza la democrazia è il superamento della disuguaglianza tra
"governanti" e "governati" nel senso che i governati sono gli stessi governanti e che ad
ubbidire alle leggi sono gli stessi che fanno le leggi. Solo nella democrazia, quindi, i cittadini
sono UGUALI e sono nello stesso tempo LIBERI (sono subordinati solo a se stessi).
L’”interesse generale” si identifica con la “somma degli interessi particolari”?
Non solo. E' nella democrazia che si realizza l'AUTENTICA LIBERTA' nel senso che solo in
questo regime i cittadini, grazie al loro PATTO DI UNIONE (che non è un patto di
subordinazione), perseguono il bene generale - quello che Rousseau chiama VOLONTA'
GENERALE - e non gli interessi individuali e di parte. Cosa ne dici?
Non vedo perché i cittadini, in una democrazia, debbano perseguire l'interesse generale:
perché mai le decisioni a maggioranza non possono essere l'espressione di tanti interessi
particolari e quindi egoistici?
La tua osservazione è pertinente. Rousseau distingue la VOLONTA' GENERALE dalla VOLONTA'
DI TUTTI: è quest'ultima la somma degli interessi particolari.
Ti convince la distinzione tra "volontà generale e "volontà di tutti"?
Mi pare una distinzione puramente teorica: come si fa a distinguere in concreto, nelle scelte
della maggioranza, ciò che costituisce l'interesse generale da ciò che costituisce la somma di
interessi particolari?
Sei molto realista: forse non hai torto o non hai del tutto torto. Tieni presente, comunque,
anche l'obiezione che hai già incontrato: il gigantesco debito pubblico che la classe politica ha
lasciato in eredità alle nuove generazioni - prodotto di tanti interessi particolari - è un "bene
pubblico"?
Scaviamo ancora un po’. In una società esistono cittadini individui ed esistono categorie
economiche: ogni categoria vede i privilegi degli altri e non i propri per cui ogni categoria
avanza rivendicazioni ritenute sacrosante per un riequilibrio generale (in nome quindi
dell'interesse generale). O non è così?
E' così: gli operai reclamano la cassa integrazione nei casi di crisi aziendale, gli agricoltori
reclamano agevolazioni fiscali per avere una protezione dalla concorrenza estera, gli
industriali-commercianti-artigiani reclamano meno tasse per poter sopravvivere... e tutto a
carico della collettività!
Ti si può obiettare, però, che il parlamento poi non accetta automaticamente queste
rivendicazioni di parte, ma arriva ad una sintesi che va bene per tutti. O no?
Dopo quanto detto, cos'hai ancora da dire a proposito di detta "volontà generale"?
Indubbiamente "l'interesse generale" è un concetto chiaro, ma non è di facile traduzione
perché ogni categoria - ed ogni movimento politico che ne esprime gli interessi - vede il
proprio interesse non come un interesse particolare, ma come un bene in sé: non è un "bene"
che i lavoratori di aziende in crisi non siano lasciati sul lastrico, ma siano coperti dalla "cassa
integrazione"? Non è un bene - al fine tra l'altro di tutelare l'occupazione - che gli imprenditori
paghino meno tasse?
Non hai torto nel dire che la singola categoria non riconosce mai i propri privilegi come tali, ma
trova sempre una giustificazione. Stiamo facendo, ovviamente, un discorso generale. Non è
escluso, cioè, che vi siano eccezioni.
Secondo Rousseau la volontà generale non è tale perché voluta dalla maggioranza (il numero
delle persone che esprimono tale volontà non ha influenza): per Rousseau è UN ATTO PURO
DELL'INTELLIGENZA, CHE RAGIONA NEL SILENZIO DELLE PASSIONI SU CIO' CHE L'UOMO
PUO' ESIGERE DAL SUO SIMILE, E SU CIO' CHE IL SUO SIMILE PUO' ESIGERE DA LUI". Cosa
dici?
Sono letteralmente sconcertato. Se viene meno il principio della "maggioranza", viene meno la
stessa democrazia: mi pare di essere di fronte all'"aristocrazia" platonica, non alla democrazia!
Ma... se viene meno "l'interesse generale", non viene meno la stessa democrazia?
Rousseau: teorico della “democrazia” o del “totalitarismo”?
E' proprio perché per Rousseau la "volontà generale" è "l'atto puro dell'intelligenza" (libero da
passioni) che l'ubbidienza alla volontà generale costituisce l'AUTENTICA LIBERTA': libertà dalle
passioni, dagli egoismi, dagli interessi particolari. Per questo chi non riconosce la volontà
generale, deve essere costretto all'ubbidienza, deve essere costretto ad essere "libero". Cosa
ne dici?
Mi pare di essere di fronte non al teorico della democrazia, ma al teorico del totalitarismo!
C'è chi, infatti, ha visto in Rousseau - forse con un po’ di forzatura - il teorico del totalitarismo:
nella sua concezione, infatti, il popolo non è tanto un insieme di individui, quanto un
organismo, un'unità profonda.
E' un fatto, però, che Rousseau non sposa il modello "liberale" secondo cui la società è in
ultima analisi un insieme di individui: per lui la società è un organismo, un'unità profonda.
Inoltre per Rousseau lo Stato ha un valore morale che non troviamo nello Stato liberale: per
Rousseau, cioè, compito dello Stato è liberare lo schiavo, liberare i cittadini che sono prigionieri
dei propri interessi particolari.
Per Rousseau lo Stato nasce grazie a un "contratto" (CONTRATTO SOCIALE è l'opera politica
immortale di Rousseau) col quale gli uomini si uniscono (patto di unione) e decidono di
sostituire agli interessi individuali il bene della volontà generale. Nello Stato gli individui, di
fatto, scompaiono come singoli formando una sorta di IO COMUNE, di una sorta di CORPO
MORALE E COLLETTIVO. Siamo, quindi, lontani dal modello liberale, un modello che prevede
essenzialmente la tutela dei diritti individuali.
Da qui l'accusa di essere il teorico del "totalitarismo". Abbiamo detto che anche per Rousseau
lo Stato nasce da un "contratto" (in sintonia col giusnaturalismo). Aggiungiamo che anche lui
parla di "stato di natura": uno stato di natura in cui l'uomo è "naturalmente" buono, socievole,
libero, in cui vi è la perfetta uguaglianza. E' la "civiltà", secondo, lui, che ha corrotto l'uomo,
che ha introdotto la disuguaglianza tra gli uomini.
La nascita della proprietà privata: la fonte della disuguaglianza degli uomini?
Quale la causa della disuguaglianza tra gli uomini, della schiavitù, dell'abbrutimento dell'uomo?
In uno dei suoi primi scritti (Discorso sull'origine e le fondamenta della disuguaglianza - 1753 ), Rousseau risponde dicendo che si tratta della nascita della proprietà privata. Cosa ne dici?
Non mi convince. La nascita della proprietà privata è un fatto naturale, non ha niente di
negativo in sé. La proprietà privata, infatti, è nata quando la popolazione è cresciuta per cui i
beni della Terra non erano più abbondanti: nessuno si sogna di privatizzare l'aria proprio
perché questa - almeno per ora - è abbondante!
La tua è un'osservazione sensatissima. Il giovane Rousseau, comunque, quando scrive questo
“Discorso” in occasione di un concorso bandito dalla Accademia di Digione, è dell’avviso che è
la proprietà privata la fonte della distinzione tra ricchi e poveri
Ti cito il brano di Rousseau: "IL PRIMO CHE, AVENDO CINTATO UN TERRENO, PENSO' DI DIRE
'QUESTO E' MIO' E TROVO' DELLE PERSONE ABBASTANZA STUPIDE DA CREDERGLI, FU IL
VERO FONDATORE DELLA SOCIETA' CIVILE. QUANTI DELITTI, QUANTE GUERRE, QUANTI
ASSASSINII, QUANTE MISERIE ED ERRORI AVREBBE RISPARMIATO AL GENERE UMANO CHI,
STRAPPANDO I PIUOLI O COLMANDO IL FOSSATO, AVESSE GRIDATO AI SUOI SIMILI:
GUARDATEVI DAL DARE ASCOLTO A QUESTO IMPOSTORE! SE DIMENTICATE CHE I FRUTTI
SONO DI TUTTI E LA TERRA E' DI NESSUNO, SIETE PERDUTI!". Cosa ne dici?
Mi pare di essere di fronte non a un borghese, ma ad un socialista (un marxista ante
litteram!). Non capisco, allora, come mai si sia sempre dipinto l'Illuminismo come un
movimento culturale della borghesia!
Di sicuro nell'Illuminismo troviamo sensibilità politiche diverse (l'abbiamo già visto). Il maturo
Rousseau, comunque, è ben lungi dall'essere socialista: è favorevole ad un'economia basata
sulla piccola proprietà contadina.
Per il giovane Rousseau tutto l'apparato dello Stato (dalla polizia, alla magistratura alle carceri)
si è costituito proprio per difendere la proprietà privata. La stessa divisione politica - tra chi
governa e chi è governato - nata proprio in funzione della tutela della proprietà privata. Da qui,
secondo Rousseau, la necessità di una sorta di RITORNO ALLO STATO DI NATURA.
Non che lui creda ad un'esistenza storica dello "stato di natura" o all'esigenza di riportare
l'uomo allo stato dell'uomo primitivo. Per lui lo "stato di natura" è una sorta di criterio di
giudizio per condannare le ingiustizie, le disuguaglianze nate con la civiltà. Come allora tornare
allo "stato di natura"? Lui propone due vie per REDIMERE, SALVARE l'uomo: la via politica
(quella che abbiamo analizzato) che restituisce all'uomo la libertà e l'uguaglianza e la via
pedagogica.
Rousseau è celeberrimo anche per il suo "Emilio", un'opera pedagogica con cui Rousseau
intende rieducare l'uomo, restituirgli la sua naturalità, la sua innocenza (l'educazione di cui
Rousseau è il teorico è rispettosa dei ritmi del bambino, della sua psicologia, dei suoi interessi,
delle sue fasi di sviluppo; tutto deve essere fatto scoprire, non imposto dall'esterno). E'
un'opera da leggere. Te la consiglio vivamente.
BECCARIA
SONO DIVERSI ANCORA I PAESI (ANCHE "CIVILI") CHE HANNO CONSERVATO LA TORTURA E
LA PENA DI MORTE. Si tratta di strumenti efficaci oltre che giusti? Interrogheremo Beccaria.
L'Illuminismo parte dalla Francia, ma poi si irradia altrove: dall'Italia alla Germania
all'Inghilterra. In ogni Paese, naturalmente, l'Illuminismo assume caratteri peculiari. Noi qui
non entriamo nel merito della vastità degli interessi culturali (anche economici) dei vari
Illuminismi. - li trovi sul testo di storia -. Qui invece preferiamo fare un cenno a Cesare
Beccaria. Il suo pamphlet "Dei delitti e delle pene" (1794), oltre che presentare aspetti
filosofici, è ancora attuale.
E' stato un vero e proprio best-seller (tradotto in numerosissime lingue). Rappresenta,
indubbiamente, una svolta nel campo del diritto penale. Tra i suoi bersagli: la tortura. Perché?
Perchè (immagino) la dignità dell'uomo va rispettata anche quando si tratta di un delinquente.
La tortura è storicamente usata per strappare la confessione all'imputato. Ora per Beccaria tale
fine non è necessariamente raggiunto con la tortura: uno può essere colpevole e resistere, un
altro può essere innocente e cedere. Vi è però un altro motivo: l'imputato è da considerare
innocente fino alla sentenza di condanna e, quindi, non può, prima di detta sentenza, subire
delle pene.
Esiste ancora in Italia la tortura?
Cosa dici del discorso di Beccaria?
Mi pare attualissimo: in periodi recenti in Italia è stata diffusa la prassi da parte delle procure
della Repubblica di minacciare la galera agli imputati (una vera e propria violenza, tortura
psichica) al fine della confessione!
Che ci sia stata una certa disinvoltura nel ricorso alla custodia cautelare, questa sembra vero.
Che si sia praticata una sorta di violenza psichica nei confronti degli imputati - che per la
Costituzione sono da considerare innocenti - al fine della confessione, questo è il contenuto
dell'accusa ai magistrati (i quali, però, hanno sempre negato tale accusa).
L'altro grande bersaglio di Beccaria: la pena di morte. Cosa ne dici?
Non mi convince: se non ci fosse la pena di morte come deterrente, si commetterebbero molti
più delitti!
E' quello che Beccaria nega. Non è vero, per lui, che sia l'intensità della pena ad avere più
effetto sugli animi dei cittadini: più che l'intensità è l'estensione della pena (la sua durata) ad
incidere di più e quindi a svolgere la funzione di freno, di deterrente (oggettivamente, fa più da
freno un carcere per un lungo tempo che lo spettacolo momentaneo dell'esecuzione della pena
di morte).
La pena di morte, per Beccaria, sarebbe giustificata se fosse l'unico freno in grado di
preservare la società dai delitti. Ma questo non è vero.
Beccaria, comunque, non esclude la pena di morte come extrema ratio, quando cioè la
permanenza in vita di un delinquente è in grado di provocare "una rivoluzione pericolosa nella
forma di governo stabilita". Si tratta, comunque, di un fatto straordinario giustificabile solo con
una situazione straordinaria. In tempi normali la pena di morte non è NE' GIUSTA NE'
NECESSARIA.
Senti, oltre alle ragioni di Beccaria, potrebbero esserci delle altre contro la pena di morte, ad
esempio...
La Giustizia talora sbaglia - non c'è bisogno di citare casi che sono innumerevoli -, per cui, con
la pena di morte, vi è la possibilità di uccidere una persona innocente (un errore, questo, non
più rimediabile!).
Non mi convince del tutto la risposta precedente: la pena di morte dovrebbe essere ammessa
solo nei casi in cui - o per la confessione dell'imputato o nei casi di fragranza oppure nei casi in
cui le prove sono schiaccianti - si ha la certezza matematica della colpevolezza del condannato
a morte.
Mi pare un argomento valido: con la pena di morte si potrebbe sempre rischiare di mandare a
morte un innocente. Anzi casi del genere si sono già verificati.
La lezione di Beccaria è stata fatta propria dalla nostra Costituzione repubblicana. Nell'art. 27 è
detto chiaramente che l'imputato non può essere considerato colpevole se non dopo una
sentenza di condanna definitiva, cioè dopo la sentenza della Corte di Cassazione, quando, cioè,
la Corte di Cassazione a cui si fa ricorso contro la sentenza di primo grado, conferma la
condanna.
Sempre nell'art. 27 si afferma che non è ammessa la pena di morte se non nei casi previsti
dalle leggi militari di guerra. E si stabilisce, inoltre, che le pene "non possono consistere in
trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".
Cosa ne dici?
Sulla base di tale principio (le pene devono tendere alla rieducazione del condannato) non
dovrebbe essere costituzionale l'ergastolo, istituto che, invece, esiste nel nostro ordinamento
penale.
Mi pare legittima la tua interpretazione: la rieducazione dovrebbe avere come fine la
restituzione del condannato alla società, ciò che l'ergastolo non potrebbe consentire!
L'art. 13 (della Costituzione), poi, stabilisce che è "punita ogni violenza fisica e morale sulle
persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”. La lezione di Beccaria, come sai, non è
stata fatta propria - neanche oggi - da tutti i paesi cosiddetti civili (vedi ad esempio alcuni Stati
degli USA).