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Commentary, 1 febbraio 2016
NEL SAHEL, AL QAEDA RISCOPRE
LA SUA VOCAZIONE “GLOCAL”
ANDREA DE GEORGIO
G
©ISPI2016
li ultimi eventi di cronaca provenienti
dall’Africa occidentale riportano l’attenzione
sulla recrudescenza del jihadismo saheliano,
che risulta tutt’altro che sconfitto dal dispositivo antiterrorismo franco-americano dispiegato da oltre due anni
nella regione. Al Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi) a
differenza del passato sta riuscendo a concentrare sotto il
proprio controllo la pletora di sigle della galassia
neo-jihadista regionale e per farlo sta cambiando strategia, modus operandi e comunicazione. In questa evoluzione gioca un ruolo fondamentale la competizione fra il
brand di Al Qaeda e quello del sedicente Stato Islamico
che negli ultimi mesi in Africa, oltre a confermare la
propria supremazia in Libia, sembra guadagnare terreno e
importanti defezioni in Paesi nordafricani come Algeria e
Tunisia arrivando a minacciare perfino la leadership
qaedista nel Sahel. Confrontandosi con tale concorrenza
Aqmi sembra riscoprire la sua vocazione “Glocal” continuando a tessere relazioni e conflitti etnici locali e giustificando velleità regionali supportate da una
retorica sempre più internazionale, dove il principale
nemico è la Francia e l’Occidente “infedele e crociato”.
Gli attentati di Bamako (al bar-ristorante La Terrasse il 6
marzo e all’Hotel Radisson il 20 novembre 2015) e il più
recente attacco all’Hotel Splendid di Ouagadougou (15
gennaio), in Burkina Faso, offrono preziosi spunti per
tentare di analizzare il cambio di pelle di Aqmi. Tralasciando qui la specificità delle situazioni in Mali e Burkina Faso, Paesi confinanti che vivono momenti storico-politici molto differenti, questi attentati marcano
l’impiego di una nuova tipologia d’attacco che in qualche
modo ricalca quelli di Parigi: piccoli commando molto
mobili di 3-4 kamikaze che, con armi automatiche,
prendono di mira luoghi pubblici ad alta concentrazione
di civili occidentali.
Per organizzare questo tipo di attacchi è necessario un
supporto logistico e strategico di militanti infiltrati che
conoscano nei dettagli i luoghi da colpire, come le cellule
dormienti di Aqmi che, secondo le inchieste in corso in
Mali e Burkina Faso, si nasconderebbero nelle periferie
delle capitali regionali. Questo particolare rimanda alle
misure di sicurezza ancora insufficienti in città come
Bamako e Ouagadougou dove anche dopo quest’ultima
ondata d’attentati i controlli nelle strade non sono ancora
stati sufficientemente rinforzati e dove la presenza di occidentali - operatori delle Ong, personale ONU (Mali) e
soldati francesi (Burkina Faso) - rende particolarmente
efficaci atti terroristici relativamente semplici da portare
a termine. Atti terroristici che moltiplicano i fronti contro
la Francia dimostrando di poter colpire interessi e vite
occidentali anche lontano dall’Europa.
Andrea De Georgio, ISPI Associate Research Fellow and Freelance journalist
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Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI.
Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo.
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Dietro agli attentati di Bamako e Ouagadougou c’è la
mano di Mokhtar Belmokhtar, jihadista algerino attualmente a capo del gruppo Al Murabitun che fin dagli Anni
novanta si è insediato nel nord del Mali intessendo alleanze, matrimoni e traffici illegali con potentati locali.
Se “Il Guercio” (per via di una ferita rimediata in Afghanistan) proprio grazie a tale padronanza del Sahel ha
sempre goduto di una discreta autonomia - che ha rasentato l’ammutinamento nel 2012-13, durante la guerra in
Mali - rispetto alla casa-madre algerina, firmando questi
ultimi attentati Belmokhtar ha mandato un forte segnale
di piena affiliazione ad Al Qaeda. Tale rinnovato matrimonio con Aqmi (che Mr. Malboro ha sempre aspirato a
comandare senza mai riuscire a farsi nominare Emiro)
arriva dopo il tradimento del suo delfino Adnan Abu
Walid al-Sahraoui che a maggio, approfittando di un periodo di vuoto di potere dovuto all’assenza del capo, ha
inviato una richiesta di bay’a (affiliazione) allo Stato
Islamico di Al Baghdadi. Qualora fosse confermata attraverso una risposta ancora non pervenuta, questa defezione eccellente subito smentita da Belmokhtar rappresenterebbe l’entrata nel Sahel di Daesh che in Africa
subsahariana al momento può contare solo sull’appoggio
di Boko Haram, diventato “Stato Islamico in Africa occidentale” nel 2015. Proprio come sta succedendo con Al
Shabab nel Corno d’Africa, nel Sahel l’ISIS cerca di reclutare nel bacino d’utenza di Al Qaeda mentre continua
a erodergli consensi in Algeria e Tunisia.
disson di Bamako, caduto a una settimana da quello di
Parigi e per questo motivo iper-mediatizzato, è stato rivendicato anche da Ansar Addin, gruppo tuareg-jihadista
guidato da Iyad Ag Ghali. Questo capo tuareg terrorista è
rimasto fedele ad Al Qaeda fin da quando nel 2007 ne è
entrato in contatto in Arabia Saudita, ma durante la
guerra in Mali ha manifestato divergenze con Aqmi simili a quelle di Belmokhtar. Oggi, viste le scaramucce al
nord per il controllo di pozzi, villaggi e rotte commerciali
fra jihadisti e indipendentisti tuareg, Ag Ghali ha spostato
la propria zona d’influenza nel centro-sud del Paese
creando Ansar Addin Sud. Nelle regioni di Mopti, Segou,
Bamako e Sikasso (al confine con Burkina Faso e Costa
D’Avorio) suoi uomini alleati con i peuldi Amadou
Kouffa e di Suleiman Keita del Fronte di Liberazione di
Macina minacciano la popolazione con messaggi radio,
proclamano la sha’aria nelle moschee e continuano ad
attaccare posti di frontiera e militari locali.
Se è vero che quello di Ouagadougou è stato il primo
attentato terroristico che ha colpito il Burkina Faso, negli
ultimi mesi si erano moltiplicati gli episodi di violenza al
confine con il Mali. Il pericolo più grosso che questi
gruppi stanno risvegliando è la possibile infiltrazione di
ex-miliziani e mercenari della guerra civile della vicina
Costa D’Avorio rimasti senza guerra né paga proprio in
queste zone. Se i timori di alcuni ufficiali delle forze di
sicurezza maliani venissero confermati, soldati, armi e
conoscenze militari rafforzerebbero le fila di Ag Ghali e,
di conseguenza, di Aqmi.
Alla luce di tale concorrenza interna al panorama jihadista Abdelmalek Droukdel (Abu Musab Abdelwadoud),
Emiro di Aqmi, ha voluto rivendicare personalmente
l’attentato di Bamako del 20 novembre ribadendo in un
video la complicità e la fedeltà di Al Murabitun che, ad
oggi, rappresenta senza dubbio il gruppo più pericoloso
della regione. Nella rivendicazione messa in rete durante
l’attentato di Ouagadougou, invece, Aqmi ha lanciato un
appello diretto ad Al Zawahiri, capo supremo di Al
Qaeda, invitandolo a reclutare nuovi soldati per “la
guerra santa nel Sahel”.
Se il modus operandi di Aqmi e compagni assomiglia
sempre più a quello dei cugini di Al Baghdadi, come
confermato anche dalla nuova ondata di rapimenti di
stranieri in Mali e Burkina Faso, anche lo stile comunicativo non è da meno. Nelle rivendicazione di tali atti
dalla grande eco mediatica, infatti, l’ufficio stampa di
Aqmi, Al Andalus Media, ha ripreso alcuni particolari dei
video dell’Isis come l’uso dell’arabo standard (prima
invece non disdegnavano le lingue locali saheliane) mischiato a un inglese perfetto e l’impiego degli anasheed, canti religiosi cari alla propaganda del Ca-
E’ interessante notare inoltre che l’attacco all’Hotel Ra-
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ricani continuano a sorvolare l’intero Sahel e a colpire
sporadicamente i gruppi jihadisti, nella regione si combatte una battaglia locale fatta di alleanze personali, conflitti etnici e colpi spettacolari che rappresenta l’ennesimo
fronte aperto della guerra globale (mediatica e psicologica) fra Isis, Al Qaeda e l’Occidente.
liffato. Se la lotta resta prettamente locale, il discorso
retorico e ideologico di Aqmi sta diventando sempre più
internazionale facendo leva soprattutto sui sentimenti
anti-occidentali e anti-neocoloniali in crescita fra i più
giovani.
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Mentre i droni di sorveglianza e i caccia francesi e ame-
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