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660_info terrorismo:Layout 2 6-12-2011 14:45 Pagina 660 Africa Kenya-Nigeria Movimenti di terrore P oco prima della fine, Gheddafi aveva, tra le altre cose, agitato la minaccia di un sicuro dilagare del terrorismo di matrice islamica in tutto il continente africano. Certamente tale minaccia aveva una sua ben fondata radice, visto che ormai da anni si parla dell’esistenza di Al Qaeda nel Maghreb islamico (AQMI) che ha giustificato operazioni militari d’ampia portata, sostenute anche dall’amministrazione statunitense. Comunque, con la caduta del regime libico un enorme quantitativo di armi sono risultate facilmente disponibili e, in parte, hanno già preso la via di alcuni paesi sub-sahariani. Per valutare fino a che punto si è articolata Al Qaeda in Africa si è riunito ad Algeri il 16 e il 17 novembre il Forum globale contro il terrorismo, mettendo a tema l’aggiornamento sui recenti movimenti di AQMI che da tempo è affiliata con gli shabaab della Somalia e oggi anche con il gruppo Boko Haram (letteralmente: «l’educazione occidentale è peccato») che ha la sua base in Nigeria. In questi due stati, infatti, sono stati segnalati violenti scontri riconducibili ad Al Qaeda, anche se le dinamiche sono piuttosto differenti. La scusa del Kenya Nel caso del Kenya, la minaccia del terrorismo, che da tempo colpisce il paese con attentati e rapimenti di stranieri a scopo d’estorsione, è stata dichiarata dal governo non più tollerabile dopo che il 12 ottobre due volontarie di Medici senza frontiere sono state rapite a Dadaab (Kenya settentrionale) nel campo di Ido, laddove vi è la più grande struttura di accoglienza al mondo per rifugiati: lì vivono infatti 400.000 somali, fuggiti dal proprio paese a motivo dell’instabilità e della forte carestia che sta colpendo tutto il Corno d’Africa. Il 16, 4.000 militari kenyoti hanno varcato il confine e intrapreso un’azione militare contro gli shabaab, d’accordo con il governo ad interim somalo che vanamente tenta di arginarli da anni. Ma è difficile pensare che un’azione a cui 660 IL REGNO - AT T UA L I T À 20/2011 hanno partecipato unità navali francesi e velivoli senza pilota statunitensi e che è arrivata a controllare dopo la metà di novembre il porto di Kisimayo sia semplicemente una risposta più robusta all’ennesimo rapimento per creare – secondo la versione ufficiale – una zona cuscinetto al confine tra i due paesi. Per gli osservatori, l’azione militare ha più il segno da un lato del recupero – anche grazie ai finanziamenti statunitensi «contro il terrorismo» (secondo Foreign Affairs 11 milioni di dollari nel 2011) – di un ruolo egemonico regionale (il Kenya ha tra l’altro minacciato sanzioni diplomatiche contro l’Eritrea che appoggia gli shabaab), dall’altro della creazione di un vasto consenso pre-elettorale visto che a gennaio vi saranno in Kenya le elezioni generali. Gli shabaab hanno risposto con diversi attentati: contro un bar-discoteca di Nairobi il 23 ottobre (23 feriti); contro 4 funzionari governativi, uccisi a Mandera il 27; contro una base del governo ad interim a Mogadiscio il 29; contro una Chiesa pentecostale a Garissa il 5 novembre (2 morti e alcuni feriti). Altri morti (5) sono stati poi provocati dal fuoco amico che si è rivolto contro un campo rifugiati a Jilib. Al momento l’operazione è in corso ed è ancora presto per farne un bilancio. Le divisioni della Nigeria Ben più sanguinoso è il bilancio degli attentati compiuti dal gruppo Boko Haram nel Nord della Nigeria, aggravato anche dagli scontri – avvenuti tra le popolazioni cristiane e musulmane degli stati della regione centrale, il Plateau. Boko Haram è un movimento di matrice islamica fondato nel 2002 da tale Mohammad Yusuf, un salafita dello stato del Borno. Scopo dichiarato del movimento è l’imposizione della sharia in tutti gli stati del Nord; in realtà, specialmente dal 2009, quando è stato ucciso Yusuf, esso ha preso una piega marcatamente antioccidentale e anti-sistema, col- pendo anche le forze dell’ordine, prescindendo dall’appartenenza religiosa. Gli ultimi violenti attacchi, che hanno fatto pensare a un’alleanza con l’AQMI, pare siano stati appoggiati anche da politici locali e da gruppi criminali che modificano con rapidità le proprie alleanze in contesti in cui le strutture statuali sono deboli e attaccabili per via anche della corruzione. Boko Haram ha avuto il suo momento di notorietà internazionale con l’attentato compiuto contro la sede delle Nazioni Unite della capitale federale Abuja, che ha provocato 26 morti. La tesi diffusa tra gli osservatori che il movimento operi una mera strumentalizzazione politica della religione è fatta propria anche dai vescovi cattolici locali, in favore dei quali si è unita anche la voce del papa che all’Angelus del 6 novembre ha chiesto di «porre fine a ogni violenza che non risolve i problemi» e che semina «odio e divisione anche fra i credenti». Secondo mons. Doeme, vescovo di Maiduguri (capitale del Borno, nel Nord-est), uno dei teatri degli attacchi terroristici ripetutisi anche ai primi di novembre (oltre che a giugno e luglio scorsi) e che ha portato a un centinaio le vittime in questo stato dall’inizio dell’anno, «la religione è un argomento molto delicato in Nigeria ed è molto facile scatenare nuove tensioni». Moschee e chiese sono state poi prese di mira nella città di Damaturu (capitale dello stato di Yobe), dove un kamikaze si è fatto esplodere in concomitanza con la preghiera del venerdì, causando la morte di 65 persone. Nello stato di Kaduna due donne sono state uccise mentre pregavano in chiesa e 11 persone sono state ferite. La violenza è infine riesplosa nello stato del Plateau, nel centro del paese – stato non nuovo a scontri tra gruppi cristiani e gruppi musulmani di etnie diverse (cf. Regno-att. 6,2010,172) –, dove lo scorso 24 novembre 20 persone sono morte, mentre due chiese, una scuola coranica e altri edifici sono stati dati alle fiamme. Vi è il rischio che si faccia largo l’ipotesi che per pacificare il paese sia necessario dividerlo tra Nord e Sud. Ma questo non farà che moltiplicare i problemi, perché – come ha dichiarato l’arcivescovo di Jos, mons. Kaigama a Fides «vi sono musulmani e cristiani sia nel Nord sia nel Sud. La soluzione quindi non è dividere il paese, ma trovare il modo di vivere insieme in pace e di andare alla radice dei problemi: economici, sociali e di disoccupazione giovanile, che spingono molti giovani nella braccia di leader politici fanatici. Se riusciremo a risolvere questi problemi, potremo vivere in armonia gli uni accanto agli altri». M.E. G.