CASO, CIOÈ STORIA E DIFFUSIONE DELLO SVILUPPO

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CASO, CIOÈ STORIA E DIFFUSIONE DELLO SVILUPPO
bolenze* economiche e finanziarie degli anni tra il 1913 e il 1950.
A l c w dei maggiori ostacoli, tuttavia, erano diventati meno importanti con gli anni e quel che restava fu superato o ridotto dalle
riforme istituzionali e dalle politiche economiche interne più illuminate del periodo del dopoguerra. Il risultato fu il forte processo
di convergenza e rincorsa di quegli anni e il grande boom della
crescita consentito dall'allentamento delle restrizioni del periodo
precedente.
Secondo logica dovrei proseguire a dirvi perché il boom è stato seguito da un periodo di crescita molto più lenta che sta continuando ormai da 20 anni e ci accompagna ancora. Ma questa sarebbe un'altra lunga storia. Dirò solo due cose.
In primo luogo, benché siano in gioco molti altri fattori, la
forza centrale comune dietro al rallentamento è stata lo stesso
processo di convergenza. Mi riferisco al suo aspetto di auto-limitazione nel tempo. E nella natura delle cose che una crescita rapida basata sulla rincorsa non possa continuare allo stesso ritmo all'infinito.
In secondo luogo - una nota consolante sulla quale chiudere
questa lezione - anche al ritmo più lento degli ultimi due decenni, i tassi di crescita dell'Europa e del Giappone, ma non quelii
degli Stati Uniti, restano in media nettamente più alti di quanto
non fossero prima della guerra e prima del 1913. Hanno alzato il
t w ~ materiale
e
di vita del 60% perfino durante gli ultimi due
decenni di crescita più lenta e, se si manterranno, la prossima generazione di europei, quando sarà cresciuta, avrà un tenore di vita materiale deli'80°/o migliore di quello dei giovani adulti di oggi.
Non è male. Vorrei poter dire lo stesso per il mio paese.
CASO, CIOÈ STORIA
E DIFFUSIONE DELLO SVILUPPO
di Massimo Tamberi
Nel tentativo di spiegare i motivi della concentrazione di attività
economiche in certe aree piuttosto che in altre, quindi dei differenti
gradi di sviluppo di tali aree (regioni o nazioni che siano), si deve
tenere ovviamente conto di una quantità di elementi la cui lista
sarebbe dawero troppo lunga: fattori generali e specifici andrebbero
comunque elencati e ponderati nelle analisi empiriche.
Nonostante questa complessità, di una determinata situazione
reale sembra spesso possibile trovare, a posteriori, la concatenazione di eventi che ha portato al risultato osservato e tuttavia risulta altrettanto spesso impossibile prevedere il succedersi futuro
di analoghi eventi.
In molti casi la spiegazione di tale contrasto viene imputata
appunto alla molteplicità delle forze in gioco e alla ancora imperfetta conoscenza di esse.
C'è tuttavia da chiedersi come mai tale molteplicità di forze
riesca ad oscurare il futuro, mentre risultano chiari a posteriori i
nessi di causalità impliciti.
Questo problema della sostanziale imprevedibilità di molti fenomeni (non solo economici) è stato affrontato secondo due prospettive analitiche, una deterministica ed una probabilistica. Nel
primo caso si tratta dei sistemi cosiddetti caotici, cioè sistemi matematici dinamici strettamente deterministici che, per determinati
valori dei parametri, non convergono verso nessun limite fisso ma
forniscono invece una infinità di risultati possibili: «very simple
functions lead to bizzarre and unpredictable results . . . One gets
dramatically different behaviors depending upon which initial x is
input» (Devaney 1989). Tali sistemi sono soprattutto di derivazione biologica.
I sistemi probabilistici comprendono invece una o più componenti casuali che sono, per definizione, imprevedibili, cosicché lo
ECONOMIA MARCHE I a. XII, n. 2, agosto 1993
.
173
Fin dai primi di questo secolo si è aperto un dibattito sul ruo- '
i
lo e sul peso delle economie di agglomerazione '.
Perché esse possano esplicarsi, è necessario che siano presenti
i economie di scala relativamente alte è costi di trasporto relativamente bassi, cosicché può divenire conveniente servire un'area
molto grande concentrando tutta la produzione solo in un punto \
(i minori costi dovuti alle economie di scala più che compensano i '
maggiori costi di trasporto).
,'
La presenza di molte imprese è un vantaggio sia per le imprese stesse che per i lavoratori (David 1984; Krugman 1991; Marshall 1961): per le prime, perché la struttura economica si fa più .
7
sofisticata, si formano fornitori specializzati, si sviluppa il settore
creditizio, ecc.; per i secondi perché si abbassa la probabilità di
rimanere disoccupati a lungo (nella misura in cui i cicli delle varie
imprese non risultino esattamente coincidenti).
(9 Inoltre là dove sono presenti molte imprese, l'informazione
( s d e IG&aziani_ tecniche,--sui- mutamenti della domanda, ecc.)
flpiice più rapidamente e in modo più accessibile ai diversi soggetti -fPorter i989 1.
Come accennato esistono due diverse prospettive che rendono
evidente l'esistenza di economie di agglomerazione: una settoriale,
che porta alla concentrazione geografica delle imprese di un particolare settore (è questo, per esempio, il caso dei -stretti industriali monoculturali); una seconda legata a esternalità più generali, che porta alla difTerenziazione dei livelli di sviluppo complessivo di aree più vaste (come nel problema Nord-Sud, inteso in senso sia nazionale, come problema regionale specifico dell'Italia, sia
internazionale, come problema generale del sottosviluppo).
Vale la pena di ricordare che, nel caso, osservato, di pervasività degli effetti cumulativi dello sviluppo, le specializzazioni produttive delle varie regioni (in senso lato) tendono facilmente ad
essere rigide: è noto, ad esempio, il dibattito sulle notevoli caratteristiche di rigidità della specializzazione nel commercio internazionale. È del tutto intuitivo che ciò comporta molti vincoli alle
prospettive di sviluppo delle regioni meno sviluppate.
Recentemente alcuni autori hanno ripreso l'analisi dei temi sopra illustrati, mostrando, anche attraverso l'utilizzo di modelli anaEticamente formalizzati, le qualità ultime di fenomeni di localizza-
stato del sistema ad un certo istante dipende più o meno fortemente da fluttuazioni casuali avvenute nel passato. Questo tipo di
impostazione deriva originariamente dalla fisica.
Entrambi gli approcci sono stati utilizzati nella modellizzazione
della localizzazione delle imprese: in questo lavoro si preferisce seguire la seconda via '.
Per entrare più direttamente nel merito dell'argomento dotalizzazione~,è necessario introdurre una seconda rilevante, ma assai nota, osservazione: nel mondo industrializzato (e, ora, eterziarizzato») le attività economiche tendono ad essere concentrate in
alcune aree piuttosto che diffuse nel territorio (anche se con qualche eccezione). A volte la concentrazione coincide anche con la
specializzazione produttiva, ma altre volte no. Inoltre è nota la
tendenza alla stabilità di tali fenomeni di concentrazione territoriale e specializzazione produttiva: cosicché, ad esempio, aree ricche
(quelle dove le attività sono concentrate) difficilmente divengono
povere e, caso ancor più rilevante, altrettanto dicasi per il processo opposto.
II motivo di questi fenomeni è da ricercarsi nei processi cumulativi dello sviluppo, cioè nel fatto che lo sviluppo tende ad
essere autopropulsivo, attraendo verso le aree più sviluppate anche le risorse di quelle meno sviluppate. m. S i c: ..-p t . L . P
La combinazione di elementi stocastici e di elementi cumulati- ''3'
vi (tecnicamente: fattori di retroazione positiva) può spiegare contemporaneamente l'imprevedibilità della localizzazione delle imprese e la rigidità della concentrazione territoriale, lasciando aperta la possibilità di «spiegare», dopo che si è verificata, la successione dei singoli eventi che ha determinato la situazione osservata.
È proprio in tale direzione che alcune recenti analisi hanno
mosso i loro passi: più avanti ne verrà illustrato un esempio con
le conclusioni principali.
Nel frattempo mi sembra utile un richiamo di alcuni elementi
~ ~ ~ ~ a ~della
~ ~ lorelativi al concetto di « & r o c e s s o O O nell'ambito
calizzazione delle attività economiche.
In generale il termine specifico che si usa in questo campo è
i quello di « g w g g l ~ e ) >per, intendere che la presenza di molte imprese in un'area costituisce un elemento che acq cresce la convenienza di un eventuale investimento.
> ,
I
:
t
/
Per quanto riguarda i modelli deterministici applicati alla localizzazione si veda Puu
(1979, 1990). Lavori che si aflidano a schemi stocastici sono ampiamente citati nel seguito.
1
I
6
.?
Englander e Palander (in Isard 1956), Weber (1909).
back» positivi (economie di agglomerazione). l risultati principaii
di tali studi (Arthur 1988, 1988b, 1990; David 1988; Krugman
1991, 1991b) sono riassumibili in pochi punti: T- !"L+ C -! . ,
a ) la presenza di elementi stocastici e la possibilità di equilibri
multipli rendono il risultato finale imprevedibile a priori. Questo
dipende daila intrinseca aleatorietà.delle sequenze degh eventi: se-
&l-seguito ne saranno illustrate in generale le caratteristiche e i
risultati salienti, per gli aspetti formali e per altri approfondimenti
si rimanda ai lavori appena citati.
I modelii di cui sopra prevedono l'esistenza di vari tipi di impresa e di varie regioni; ogni tipo di impresa ha una probabilità
di nascita data a priori; le imprese nascono in modo sequenziale e
.ogni nuova nata deve decidere in quale regione localizzarsi, confrontando i «pay-off» complessivi relativi a tutte le regioni. Questi
.ultimi sono dati da una componente esogena (vantaggio regionale
dato), specifica per ogni coppia di tipo di impresa e regione, più
una componente che dipende dal numero di imprese presenti nelle varie regioni (economie di agglomerazione).
I risultati di tale modelio «base» sono che in una prima fase i
vantaggi regionali dati in partenza giocano (o possono giocare) un
ruolo determinante nelie decisioni localizzative delie imprese; successivamente, però, l'accumulo di un certo numero di imprese in
una certa area, guidato dal processo casuale, raggiunge una massa
critica che innesca il prevalere delle economie di agglomerazione
sui vantaggi iniziali. Una regione accumulerà dunque tutte le imprese, di qualsiasi tipo, che da quel momento in poi nascono, divenendo così la regione «monopolista» (attira tendenzialmente il
100°/o di imprese). Come è illustrato daile simulazioni riportate nel
grafico 1, dopo un primo periodo di incertezza, durante il quale
ogni regione mantiene le «proprie» imprese, la regione Nord si
sviluppa a scapito delle altre.
Naturalmente questa fase di dominio risulta (in genere) solo
temporanea se esiste un qualche tetto alle economie di agglomera-
L
priori quale deile regioni prevarrà: ciò dipende dalla caratteristica
discussa al punto precedente.
L'azione del «feedback» assicura la stabilità dell'equilibrio selezionato («lock-in»1.
C) In termini assai generali, sistemi di questo tipo possono
condurre a equilibri sub-ottimali, specialmente quando non sia
possibile conoscere a priori il vantaggio relativo («pay-off») di
lungo periodo di ogni scelta.
d ) Le caratteristiche illustrate rendono legittima l'azione deila
politica economica, nel senso che essa può essere utilizzata per
evitare che il sistema economico si orienti verso un equilibrio subottimale; tuttavia la politica economica deve essere assai tempestiva per evitare di essere poi troppo costosa o inefficace.
2. «PATH-DEPENDENCED
SENZA «LOCK-IN»:STORIA
PASSATA
E --
STORIA FUTURA
In un certo senso, l'affermazione che «la storia conta», quando ci si riferisce alla imprevedibilità a priori dell'equilibrio che
verrà raggiunto (path-dependence), contrasta con la staticità del
risultato finale di monopolio Ilock-in) previsto dagli studi citati: la .
storia conta d'inizio del gioco e poi scompare di scena.
In un recente lavoro (Tamberi 1993) ho ripreso un modello
localizzativo probabilistico con economie di agglomerazione, svi,
'
I risultati esposti in precedenza sono la replica di quelii di
Arthur (cit.), ma sembrano, per così dire, ad un livelio ancora
didattico, nonostante evidenzino alcune importanti caratteristiche,
già sottolineate nel precedente paragrafo.
Sembra però opportuno un arricchimento delle ipotesi già
esposte. Nel lavoro sopra ricordato (Tamberi, cit.) si è tenuto
conto di almeno tre varianti: l'esistenza di effetti diffusivi legati a
..
~~~d ---..- sud
.---..-&t
---- Nord -sud ---.--.
Est
---- Ovest
-..-..-
Ovest
GRAFICO
3. Localizzazione in presenza di tecnologia, effetti diffusivi e onde lunghe
Questo introduce ad una discussione dei limiti entro cui vanno interpretati i risultati del modello.
Le caratteristiche dei processi di crescita reali che trovano riscontro nel modello sono (per un lungo elenco di supposti fatti
stilizzati della crescita, si veda Dosi, Freeman 1992):
a ) il gruppo dei paesi ricchi e quello dei paesi poveri' sono,
all'ingrosso, rimasti gli stessi dall'epoca della rivoluzione industriale. Anche ali'interno dei paesi più sviluppati le differenze di sviluppo fra regioni diverse hanno avuto un carattere di notevole rigidità, sebbene minore che nel confronto tra paesi.
b ) Alcuni nuovi «decolli» si sono in effetti verificati, ma piuttosto raramente: si tratta di alcuni paesi dell'Europa meridionale,
tra cui l'Italia, e dei cosiddetti Nrc (nuovi paesi industriali) asiatici. In diversi casi i paesi decollati in ritardo hanno tratto vantaggio dalle difficoltà (diseconomie di agglomerazione) dei paesi più
ricchi; se si eccettua il caso del Giappone, lo sviluppo si è propagato senza importanti «salti» geografici. Analoghe considerazioni
possono farsi in un contesto più strettamente regionale: si pensi
per esempio allo sviluppo deiie regioni cosiddette NEC (Nord-EstCentro) dell'Italia rispetto al ritardo del Sud.
C) Si sono verificati fenomeni di convergenza, temporalmente
e spazialmente limitati, dei livelli di sviluppo dei paesi (dei meno
ricchi verso i più avanzati). Se ci si riferisce al contesto internazionale tale fenomeno appare sistematico solo per un ventenni0 a
partire dal secondo dopoguerra, quando si è verificata una netta
correlazione inversa tra livello e tasso di crescita della produttività
e del reddito pro-capite, e limitatamente al gruppo dei paesi industrializzati. Anche nell'analisi regionale esistono indicazioni del
medesimo tipo (per l'Italia: Zamagni 1990).
d ) Si è avuto un solo caso di cambio di «leadership», Stati
Uniti al posto deli'Inghilterra e, alcuni sostengono, ad un altro
stiamo per assistere (Giappone invece di Stati Uniti) 6.
e) Nuovi decolli, convergenza dei livelli di sviluppo e cambi
di leadership sembrano anche legati a qualche genere di discontinuità (di mercato, tecnologiche).
?
e
.
:
,. .- .- - .- - .- - .- .- Iterazioni
N
o
r
d
---- sud ...... Est
v
- - - Ovest
-
tre, costringe una delle restanti tre ad un tasso di crescita inferiore a quello delle altre: in questo caso si tratta deila regione leader
della prima fase (Nord), cosicché il modello evidenzia un esorpasso», che, comunque, è solo uno dei possibili risultati.
Va sottolineato che le tre varianti ricordate, insieme con altre
qui non comprese (soprattutto una forte differenziazione di attrattività delle regioni), rendono meno imprevedibile il comportamento del modello, in particolare nel senso che certi risultati appaiono
assai più probabili di altri.
In ogni caso rimane la rilevanza del concetto di «path-dependente», nel senso che «piccoli accidenti storici», vale a dire fluttuazioni probabilistiche del modello, condizionano $i sviluppi successivi in modo determinante, sia nel senso di selezionare le regioni che decollano, sia nel determinare la leadership.
3. NIC, NEC ED
ALTRE STORIE ~i CRESCITA
I grafici del paragrafo precedente sembrano replicare alcuni
fenomeni osservabili nella rèaltà. Le similitudini sono solo in parte
conseguenza di meccanismi comuni, in parte sono invece apparenti, nel senso che fenomeni simili (deila realtà e del modello) dipendono da cause differenti.
Gli studi empirici s d a crescita di lungo periodo si sono prevalentemente riferiti al
contesto internazionale: per tale motivo ci si riferisce a paesi anziché regioni. I due concetti possono essere parzialmente sovrapposti, e non c'è dubbio che modelli di sviluppo con
processi cumulativi hanno fatto ampio riferimento al quadro internazionale. È anche vero,
però, che i paesi sono regioni un PO' speciali, soprattutto in quanto titolari di forti poteri
di politica economica.
6 In realta si potrebbe trattare di una conseguenza dovuta a specitiche caratteristiche
di quei paesi: l'Inghilterra che, da lungo tempo, ha il più basso tasso di crescita dei paesi
avanzati, il Giappone che ha il più alto.
2. Nel modello, a differenza che nel mondo reale, non esistono barriere alla mobilità delle merci e dei fattori. Ciò va interpretato in almeno due modi diversi.
In primo luogo non sono presenti limiti di tipo legale, come
dazi .doganali, ecc. In secondo luogo non compaiono differenze
istituzionali tra le differenti aree considerate, mentre nella realtà
gli effetti diffusivi, come appena ricordato, si legano anche alle caratteristiche istituzionali e sociali delle regioni. Questi aspetti
(mancanti) del modello rendono i risultati leggibili in un contesto
-- - regionale («dentro», cioè, una nazione) piuttosto
prevalentemente
che internaziCnale,-dove le barriere alla mobilità sono, per definizione, assai più forti.
3. Un altro punto da sottolineare è che la mobilità dei fattori
è limitata alle imprese di nuova nascita (non ci sono fenomeni di
deindustrializzazione) e non ci sono vere «leggi» che guidano la
natalità e la mortalità (assente) delle imprese. Considerare questi
aspetti assai rilevanti modificherebbe sicuramente le dinamiche del
modello (ma forse non i risultati hali) e costituisce un punto che
merita futuri approfondimenti.
4. Sarà già stato rilevato da molti lettori che non si fanno ipotesi sulla natura e sulle caratteristiche delle imprese (dimensioni,
livello tecnologico, ecc.): nel modello esse sono tutte uguali. Questo aspetto limita le capacità esplicative del modello stesso soprattutto in relazione alla dinamica dei processi diffusivi, che qui risultano assai semplificati. Ci riferiamo in particolare alla possibilità
che le aree più sviluppate, in presenza di vincoli allo sviluppo do+
cedendo le altre alle arie periferiche (sUwquesti temi vedi, ad
esempio, Crivellini e Pettenati 1989).
5. Il tasso di progresso tecnologico è un tasso di crescita relativo, visto che sia esso, sia la nascita di imprese sono funzioni
lineari del numero di iterazioni. Con ciò vengono in partenza
esclusi alcuni effetti rilevanti della innovazione tecnologica, in particolare riferibili a processi di diffusione della tecnologia di tipo
schumpeteriano, relativi, cioè, al suo grado di maturità e standardizzazione. Gli effetti delle «onde lunghe* presenti nel modello
vanno quindi interpretati in un senso più keynesiano, come discusso in Tamberi ( 1993).
6. Nel modello la localizzazione delle imprese parte da una
situazione di tabula rasa: quando la prima impresa nasce, le regioni sono completamente «vuote». Questo approccio è già stato discusso criticamente a& albori della storia della Geografia economica (Englander e Palander, citati in Isard 1956); le economie di
agglomerazione, infatti, si manifestano di norma in presenza di
strutture insediative e produttive precedenti, spesso frutto di una
lunga decantazione storica. In tal modo, ed entro certi limiti, l'agglomerazione può avere semplicemente l'effetto di rafTorzare squilibri territoriali preesistenti. In alcuni casi specifici, però, il modello della «tabula rasa» può avere una sua forza esplicativa: potrebbe essere, per esempio, non del tutto fuori luogo nel caso della
industrializzazione di un paese «vergine», come può essere stato
per git Stati Uniti, in cui industrializzazione e colonizzazione sono
avvenuti in tempi molto ravvicinati (e non è un caso, forse, che
tali modelii siano stati ripresi proprio da studiosi di quel paese).
i . Per finire, sono assenti nel modello le aspettative-de&-.aperatari. Krugman (1991a, 1991b) ha dimostrato come la loro presenza può, insieme alle economie di agglomerazione, essere causa
profonda della direzione della diffusione dello sviluppo e, in ultima analisi, della struttura regionale della industrializzazione.
4. CONCLUSIONI
La discussione appena conclusa evidenzia, in modo persino
incompleto, le manchevolezze del modello proposto, almeno per
fini di interpretazione delia realtà.
Tuttavia le sue semplici caratteristiche, il relativo realismo delle sue ipotesi, la ricchezza e la plausibilità dei risultati lo rendono
abbastanza interessante. Per di più, molti degli aspetti della realtà
non considerati dal modello e più sopra ricordati non appaiono in
contraddizione con quelli contenuti in esso.
In definitiva si potrebbe considerare il modello simulato una
specie di base sulla quale ancorare altri elementi che ne potenzino
la ricchezza esplicativa: l'imprevedibilità sostanziale di molte dinamiche, la presenza d i feedback positivi (cumulatività dello sviluppo) e gli elementi di dinamicità del modello (diffusione, tecnologia) sono largamente riconosciuti come fondamentali elementi di
qualsiasi tentativo interpretativo deUo sviluppo economico.
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