l`impresa italiana nell`economia globale
Transcript
l`impresa italiana nell`economia globale
L’ I M P R E S A I TA L I A N A N E L L’ E C O N O M I A G L O B A L E 4 Difficoltà e prospettive dell’industria F. Onida Produttività, competitività e commercio estero: l’Italia nell’Europa alle soglie del nuovo millennio F. Varetto Redditività e finanziamenti delle imprese italiane S. Meacci Caratteristiche ed effetti della delocalizzazione N. Ortin Il “modello” spagnolo: una crescita senza precedenti BIMESTRALE DI POLITICA ECONOMICA GIUGNO 2006 L’ I M P R E S A I TA L I A N A N E L L’ E C O N O M I A G L O B A L E Bimestrale di politica economica n. 4 - Giugno 2006 Comitato scientifico Paolo Gnes PRESIDENTE Boris Biancheri Patrizio Bianchi Innocenzo Cipolletta Mario Deaglio Alberto Majocchi Giorgio Mulè Marco Onado Guido M. Rey Franco Varetto Direttore Responsabile Alberto Mucci Segreteria di redazione Priscilla Bigioni Redazione Global Competition L’impresa italiana nell’economia globale Via G. B. Morgagni, 30/h - 00161 Roma tel. 06-44110735 - fax 06-44110775 email: [email protected] sito: www.cerved.com Proprietario ed Editore Cerved Business Information SpA Via G. B. Morgagni, 30/h - 00161 Roma Stampa Mondadori Printing SpA - Stabilimento grafico Verona Via Mondadori,15 - Verona Distribuzione Mondadori in abbinamento a Panorama Economy Progetto grafico e impaginazione G&Z - Comunicazione integrata - Roma Le opinioni e i giudizi espressi negli articoli non impegnano la responsabilità di Cerved B.I. SpA Copyright 2005 Cerved B.I. SpA. Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica riservati Testata registrata al Tribunale di Roma al n. 409 del 19 ottobre 2005 ‹ editoriale › ‹ editoriale › Riposizionarsi sulla qualità di Paolo Gnes Negli ultimi cinque anni l’economia italiana è cresciuta appena dello 0,7 per cento l’anno, collocandosi insieme alla Germania all’ultimo posto tra le economie europee, a loro volta cresciute nel loro insieme ad un tasso nettamente inferiore a quello degli Stati Uniti, oltre che della Cina e della altre economie dinamiche dell’Asia. Sia in Italia che in Germania la caduta del tasso di crescita è in parte imputabile al basso incremento demografico e all’invecchiamento della popolazione. Ma le sue determinanti principali sono profondamente diverse tra i due paesi. La Germania ha realizzato nell’ultimo decennio un fortissimo incremento delle esportazioni, accrescendo la propria quota nel commercio internazionale nonostante l’ingresso delle economie asiatiche e diventando dal 2003 il primo esportatore mondiale di manufatti davanti a Stati Uniti, Cina e Giappone. L’Italia ha subito invece una forte contrazione della propria quota di esportazioni, scendendo al settimo posto nella graduatoria mondiale alla pari con Canada e Belgio e dietro anche all’Olanda. Il contestuale incremento delle importazioni ha eroso l’attivo delle partite correnti, cosicché l’aumento del prezzo del petrolio e del gas sta determinando un pesante disavanzo nei conti con l’estero. Il ristagno dell’economia tedesca riflette quindi la debolezza della domanda interna, mentre quello dell’economia italiana dipende dalla sua perdita di competitività internazionale. Tale perdita di competitività ha natura essenzialmente strutturale, in quanto si ricollega alle caratteristiche della nostra industria manifatturiera, che da un lato è fortemente esposta alla concorrenza asiatica per la sua specializzazione produttiva, dall’altro stenta a trarre vantaggio dall’apertura dei nuovi mercati esteri e dalla rivoluzione tecnologica per la frammentazione del tessuto produttivo e la carenza di grandi imprese. La nostra industria manifatturiera si trova dunque stretta nella morsa della concorrenza delle nuove economie asiatiche, che beneficiano di livelli salariali dell’ordine di un ventesimo dei nostri, e delle economie più evolute, che hanno potuto e saputo trarre maggiori guadagni di produttività dall’incorporazione delle nuove tecnologie. Gli effetti sono evidenti. Dal 1996 al 2004 il passivo bilaterale dell’Italia verso la Cina è aumentato da 1 a 7,4 miliardi di euro, con un peggioramento di 6,4 miliardi che è solo la punta dell’iceberg, in quanto il grosso della perdita è nella sostituzione di esportazioni cinesi a quelle italiane nei paesi terzi. Il saldo bilaterale con la Germania, per esempio, da attivo per 4,4 miliardi di euro è divenuto passivo per 12,5, con un peggioramento di 17 miliardi, sia per la sostituzione di esportazioni italiane con prodotti a basso costo provenienti dall’Europa orientale e dall’Asia, sia per l’aumento delle nostre importazioni dalla Germania di prodotti di qualità. Il vero proplema è dunque il collocamento dell’Italia nella divisione internazionale del lavoro. O la nostra industria (inclusi i servizi aperti alle transazioni internazionali quali il turismo e il suo indotto) riesce a riposizionarsi nei segmenti e settori produttivi di maggiore qualità, in modo da garantirsi rispetto alle produzioni dei paesi emergenti differenziali di prezzo corrispondenti ai differenziali retributivi, oppure questi ultimi dovranno prima o poi adeguarsi alla riduzione dei prezzi salvo la delocalizzazione delle produzioni o la chiusura delle imprese. Se questo è il problema, non servono politiche di sostegno della domanda, che sarebbero del resto incompatibili con il riequilibrio del disavanzo pubblico e ora anche dei conti con l’estero, ma un’azione di grande respiro volta a favorire il riposizionamento competitivo dell’industria e dei servizi esposti alla concorrenza internazionale. Tale azione dovrebbe mirare, in particolare, a rendere più competitivi i mercati interni dei servizi privati, ad accrescere l’efficienza dei servizi pubblici (istruzione, giustizia, procedure di autorizzazione, etc.), ed accelerare la realizzazione delle infrastrutture (anche con un maggior ricorso al project financing), a razionalizzare e stabilizzare il quadro normativo per quanto concerne in particolare il mercato del lavoro e il prelievo fiscale, a promuovere la crescita delle grandi imprese tecnologicamente avanzate e la diffusione della ricerca applicata e dell’innovazione tecnologica anche mediante progetti mirati allo sviluppo di attività strategiche (nell’ambito dell’energia, della difesa, della salute, dell’ICT, etc.). Sono interventi che richiedono tempo e che quindi vanno avviati con urgenza. Nel frattempo occorre promuovere all’interno dell’Unione una politica commerciale che tenga maggiormente conto della specificità italiana, nel rispetto delle regole del WTO. Un compito estremamente complesso, dunque, non meno impegnativo di quello che l’impresa dovrà svolgere al suo interno e nel mercato. Ma non abbiamo alternative se vogliamo mantenere nella divisione internazionale del lavoro un livello coerente con le nostre aspettative di benessere. sommario N. 4 - GIUGNO 2006 Difficoltà e prospettive dell’industria Fabrizio Onida Produttività, competitività e commercio estero: l’Italia nell’Europa alle soglie del nuovo millennio pag. 3 Franco Varetto Redditività e finanziamenti delle imprese italiane pag. 10 Sergio Meacci Caratteristiche ed effetti della delocalizzazione pag. 19 Nicasio Ortin Il “modello” spagnolo: una crescita senza precedenti pag. 28 Libri in vetrina pag. 32