l`impresa italiana nell`economia globale

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l`impresa italiana nell`economia globale
L’ I M P R E S A I TA L I A N A N E L L’ E C O N O M I A G L O B A L E
4
Difficoltà e prospettive
dell’industria
F. Onida
Produttività, competitività
e commercio estero:
l’Italia nell’Europa alle soglie
del nuovo millennio
F. Varetto
Redditività e finanziamenti
delle imprese italiane
S. Meacci
Caratteristiche ed effetti
della delocalizzazione
N. Ortin
Il “modello” spagnolo:
una crescita senza precedenti
BIMESTRALE DI POLITICA ECONOMICA
GIUGNO
2006
L’ I M P R E S A I TA L I A N A N E L L’ E C O N O M I A G L O B A L E
Bimestrale di politica economica
n. 4 - Giugno 2006
Comitato scientifico
Paolo Gnes
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Giorgio Mulè
Marco Onado
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Alberto Mucci
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Redazione
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L’impresa italiana nell’economia globale
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‹ editoriale ›
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Riposizionarsi sulla qualità
di Paolo Gnes
Negli ultimi cinque anni l’economia italiana è cresciuta appena dello 0,7 per cento l’anno, collocandosi insieme
alla Germania all’ultimo posto tra le economie europee, a loro volta cresciute nel loro insieme ad un tasso nettamente inferiore a quello degli Stati Uniti, oltre che della Cina e della altre economie dinamiche dell’Asia.
Sia in Italia che in Germania la caduta del tasso di crescita è in parte imputabile al basso incremento demografico
e all’invecchiamento della popolazione. Ma le sue determinanti principali sono profondamente diverse tra i due paesi.
La Germania ha realizzato nell’ultimo decennio un fortissimo incremento delle esportazioni, accrescendo la propria
quota nel commercio internazionale nonostante l’ingresso delle economie asiatiche e diventando dal 2003 il primo
esportatore mondiale di manufatti davanti a Stati Uniti, Cina e Giappone. L’Italia ha subito invece una forte contrazione della propria quota di esportazioni, scendendo al settimo posto nella graduatoria mondiale alla pari con Canada e
Belgio e dietro anche all’Olanda. Il contestuale incremento delle importazioni ha eroso l’attivo delle partite correnti,
cosicché l’aumento del prezzo del petrolio e del gas sta determinando un pesante disavanzo nei conti con l’estero.
Il ristagno dell’economia tedesca riflette quindi la debolezza della domanda interna, mentre
quello dell’economia italiana dipende dalla sua perdita di competitività internazionale. Tale perdita
di competitività ha natura essenzialmente strutturale, in quanto si ricollega alle caratteristiche della
nostra industria manifatturiera, che da un lato è fortemente esposta alla concorrenza asiatica per la
sua specializzazione produttiva, dall’altro stenta a trarre vantaggio dall’apertura dei nuovi mercati
esteri e dalla rivoluzione tecnologica per la frammentazione del tessuto produttivo e la carenza di
grandi imprese.
La nostra industria manifatturiera si trova dunque stretta nella morsa della concorrenza delle
nuove economie asiatiche, che beneficiano di livelli salariali dell’ordine di un ventesimo dei nostri,
e delle economie più evolute, che hanno potuto e saputo trarre maggiori guadagni di produttività
dall’incorporazione delle nuove tecnologie.
Gli effetti sono evidenti. Dal 1996 al 2004 il passivo bilaterale dell’Italia verso la Cina è aumentato da 1 a 7,4
miliardi di euro, con un peggioramento di 6,4 miliardi che è solo la punta dell’iceberg, in quanto il grosso della perdita è nella sostituzione di esportazioni cinesi a quelle italiane nei paesi terzi. Il saldo bilaterale con la Germania, per
esempio, da attivo per 4,4 miliardi di euro è divenuto passivo per 12,5, con un peggioramento di 17 miliardi, sia per
la sostituzione di esportazioni italiane con prodotti a basso costo provenienti dall’Europa orientale e dall’Asia, sia per l’aumento delle nostre importazioni dalla Germania di prodotti di qualità.
Il vero proplema è dunque il collocamento dell’Italia nella divisione internazionale del lavoro. O la nostra industria
(inclusi i servizi aperti alle transazioni internazionali quali il turismo e il suo indotto) riesce a riposizionarsi nei segmenti
e settori produttivi di maggiore qualità, in modo da garantirsi rispetto alle produzioni dei paesi emergenti differenziali
di prezzo corrispondenti ai differenziali retributivi, oppure questi ultimi dovranno prima o poi adeguarsi alla riduzione
dei prezzi salvo la delocalizzazione delle produzioni o la chiusura delle imprese.
Se questo è il problema, non servono politiche di sostegno della domanda, che sarebbero del resto incompatibili con
il riequilibrio del disavanzo pubblico e ora anche dei conti con l’estero, ma un’azione di grande respiro volta a favorire il
riposizionamento competitivo dell’industria e dei servizi esposti alla concorrenza internazionale.
Tale azione dovrebbe mirare, in particolare, a rendere più competitivi i mercati interni dei servizi privati, ad accrescere l’efficienza dei servizi pubblici (istruzione, giustizia, procedure di autorizzazione, etc.), ed accelerare la realizzazione delle infrastrutture (anche con un maggior ricorso al project financing), a razionalizzare e stabilizzare il quadro normativo per quanto concerne in particolare il mercato del lavoro e il prelievo fiscale, a promuovere la crescita delle grandi imprese tecnologicamente avanzate e la diffusione della ricerca applicata e dell’innovazione tecnologica anche mediante progetti mirati allo sviluppo di attività strategiche (nell’ambito dell’energia, della difesa, della
salute, dell’ICT, etc.). Sono interventi che richiedono tempo e che quindi vanno avviati con urgenza. Nel frattempo
occorre promuovere all’interno dell’Unione una politica commerciale che tenga maggiormente conto della specificità italiana, nel rispetto delle regole del WTO.
Un compito estremamente complesso, dunque, non meno impegnativo di quello che l’impresa dovrà svolgere
al suo interno e nel mercato. Ma non abbiamo alternative se vogliamo mantenere nella divisione internazionale del
lavoro un livello coerente con le nostre aspettative di benessere.
sommario
N.
4 -
GIUGNO
2006
Difficoltà e prospettive dell’industria
Fabrizio Onida
Produttività, competitività e commercio estero:
l’Italia nell’Europa alle soglie del nuovo millennio
pag. 3
Franco Varetto
Redditività e finanziamenti delle imprese italiane
pag. 10
Sergio Meacci
Caratteristiche ed effetti della delocalizzazione
pag. 19
Nicasio Ortin
Il “modello” spagnolo:
una crescita senza precedenti
pag. 28
Libri in vetrina
pag. 32