Scenari Immobiliari : la prima giornata del - ASPESI

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Scenari Immobiliari : la prima giornata del - ASPESI
Scenari Immobiliari : la prima giornata del Forum, tra
urbanistica cristallizzata e salvifiche ricette.
di Francesco Tedesco(*)
Si è svolto il 18 e 19 settembre a Santa Margherita Ligure , sotto un tradizionale cielo blu e “sole a pioggia”, il 23° Forum di Scenari Immobiliari,
appuntamento principe per il settore immobiliare, nonché momento di aggregazione per la community con la “A” maiuscola. Quell’evento
insomma «dove non si può non essere»,almeno per i top player.
Santa Margherita è infatti il momento in cui il settore si riunisce per fare il punto sull’andamento dei vari comparti e del mercato in generale,
incontrare chi conta – sempre splendida la location con tanto di tuffo in piscina per i più audaci- e per “serrare le fila” in vista della ripartenza.
Una ripartenza -quella vera- che il settore si aspetta da tempo e che tuttavia, puntualmente, viene rimandata di anno in anno. Che il 2016 sia
finalmente la volta buona?
Il grande tema affrontato quest’anno dal Forum è stato “Il futuro delle Città, le città del futuro”.
«Abbiamo scelto questo tema» ha spiegato in apertura Mario Breglia, Presidente di Scenari Immobiliari, salutando con calore gli ospiti «perchè
le città sono il nostro mondo, il nostro futuro, sono il luogo della trasformazione dove già oggi si attesta il 90% della ricchezza del mercato
immobiliare. Dobbiamo quindi ripartire dalle città e puntare sulle grandi innovazioni che il futuro ci riserva».
In questo modo la ripartenza -quella vera- arriverà. Parola di Scenari, il cui Forum è stato quindi incentrato su alcuni esempi di eccellenza nel
mondo in quanto a città che hanno primeggiato nel governo della trasformazione urbana e nel rilancio del proprio territorio: Singapore (con il
grande e avveniristico progetto visionario di “Marina Bay Sands” che ha creato dal nulla un nuovo pezzo di città sull’acqua), la città di Amburgo
(con l’ormai famosissimo progetto di “HafenCity”) e -sorprendentemente- la città di Matera, che sarà capitale europea della Cultura per il 2019.
«Ciò che è avvenuto a Matera» ha spiegato un appassionato Mattia Antonio Acito,di Acito & Partners « è una rivoluzione avvenuta dal basso
grazie al lavoro di recupero e trasformazione della città da parte della gente comune che ha puntato sull’ospitalità e sul turismo diffuso, andando
a realizzare stanze, piccoli B&B, ristoranti, cantine e botteghe, occupandosi anche del risanamento di piazze, e di alcune chiese per riportare la
città a uno splendore antico». L’operazione ha funzionato e questa “rinascita dal basso” ha portato Matera a un incremento delle proprie
presenze turistiche del +170% dal 2000 a oggi.
Le tre esperienze hanno suggestionato molto la platea del Forum, anche se -forse questo il sentore della sala- sono apparse un po’ troppo
difficili da riproporre nelle città italiane. Il Bel Paese sembra cristallizzato, non si muove, conta appena per il 3/4% sul totale del “fatturato” del
Real Estate in Europa (dove Francia, Germania, UK e Spagna la fanno da padroni); ed è oggi assai difficile pensare che sia possibile lanciare
grandi progetti di trasformazione urbana di ampio respiro, così come avviene invece all’estero.
«L’Italia fa fatica a competere con gli altri Paesi europei» ha confermato Emanuele Caniggia, AD di IDeA Fimit SGR «Le nostre città hanno finito
una fase di espansione mal controllata e oggi sembrano un museo a cielo aperto. Rischiamo di diventare obsoleti proprio nel momento in cui la
grande flessibilità del mondo del lavoro impone nuove sfide alle nostre città. Servirebbe una rapida presa di coscienza da parte della Politica» ha
attaccato il manager «per sbloccare al più presto la situazione e permettere di fare grandi interventi di rinnovamento del patrimonio esistente.
Bisogna pensare già oggi che tipo di città vogliamo avere tra 20 anni e incominciare a lavorare in quella direzione. Non è più possibile operare
con piani regolatori obsoleti tipo quelli che si facevano negli anni sessanta».
«Anche perchè c’è davvero tantissimo lavoro da fare» ha incalzato Giovanni Maria Paviera, AD di CDP Immobiliare «una cosa che ci è di grande
conforto. CDP Immobiliare detiene attualmente ben 136 asset per complessivi 2,7 milioni di metri quadrati pari a un valore di circa 2,1 miliardi di
euro». Si tratta di un patrimonio di pregio che dovrà essere valorizzato e immesso sul mercato nei prossimi anni, ma già molte operazioni
importanti sono in itinere. A Milano, ad esempio, CDP ha già ceduto immobili a uso ufficio e residenziale per 125 milioni di euro. A Roma è
appena stata venduta la “Beirut romana”, ossia le torri ex sede dell’ENI all’Eur, che sono passate a Telecom per un prezzo pari a circa 50 milioni
di euro. «Sempre a Roma» ha ricordato Paviera «sta andando avanti il progetto di cessione della ex-caserma “Guido Reni”. A Venezia siamo
invece impegnati con Hines in uno degli investimenti più importanti -del valore di circa 100 milioni di euro- per la ristrutturazione del complesso
dell’ex “Ospedale al Mare”, al Lido di Venezia. Abbiamo moltissimi altri immobili su cui intervenire, e siamo alla ricerca continua di partner con cui
collaborare».
Roberto Reggi,DG dell’Agenzia del Demanio, ha poi osservato che «tutte le Amministrazioni sanno ormai che le nostre città sono piene di vuoti
da colmare e che il futuro sarà lavorare sul recupero del già costruito e ora abbandonato. Con lo “Sblocca Italia” sono già state introdotte norme
semplici per razionalizzare l’utilizzo degli immobili pubblici» (art. 24 e 26, ndr) tanto che la stessa Agenzia del Demanio ha avviato operazioni di
recupero e razionalizzazione degli spazi occupati a Torino, Bologna e Bari. L’idea è quella dei “Federal Building”, ossia grossi edifici in grado di
ospitare sia la PA centrale che la PA locale in maniera integrata. «Il pubblico deve poter mantenere la regia di queste operazioni, che offrono
grandi spazi ai privati che possono giocare un ruolo da protagonisti nel governo della complessità dei nostri territori».
Ed è proprio sulla valorizzazione dei patrimoni pubblici che, anche secondo Elisabetta Spitz, alla guida di Invimit SGR, si gioca il futuro delle città
italiane, e in definitiva del Paese stesso. «Il Governo è consapevole di questa sfida» ha tranquillizzato la Spitz «e sta ripensando il modus
operandi di una Pubblica Amministrazione che non può più permettersi certi costi per i propri spazi. Occorre tagliare le spese e valorizzare il
patrimonio attraverso fondi immobiliari ad-hoc, come appunto quelli gestiti da Invimit, che ha tre diverse linee per operare con interventi di
valorizzazione: la razionalizzazione degli edifici pubblici, l’efficientamento energetico e la rigenerazione urbana. Ad oggi» ha reso noto la Spitz
«Invimit ha già valorizzato otto edifici pari a circa 540 mila metri quadrati».
Al di là di queste esperienze positive che interessano il mondo del “pubblico”, quello che tuttavia si è levato da parte dei “privati” è stato un coro
abbastanza unanime di insoddisfazione generalizzata nei confronti della politica.
«In Italia abbiamo la necessità di eliminare norme obsolete e superare una normativa urbanistica cristallizzata per riuscire a prendere decisioni
che sono nell’interesse generale delle nostre comunità» ha notato Umberto Borzi, Partner dello Studio Legale Chiomenti. «A Singapore e
Amburgo, ad esempio, si è riusciti a fare quei progetti proprio perchè esiste una pianificazione urbanistica di altissimo livello, unita alla possibilità
da parte del pubblico di decidere sulle questioni urbanistiche autonomamente, gestendo in maniera ottimale l’intervento dei privati».
Ancora fantascienza per l’Italia? Così parrebbe in effetti, anche se Alessandro Cattaneo, Presidente di Fondazione Patrimonio Comune di ANCI,
ha tenuto a precisare che «semplificazione urbanistica e maggiore autonomia del territorio sono cose giuste, ma forse non proprio sul modello di
Singapore dove c’è un “signore” che regna da 60 anni con un certo “vuoto democratico”… Certamente la polverizzazione degli enti è un tema da
affrontare, ma un primo passo culturale importante è stato fatto, e bisogna averne consapevolezza».
Di diverso avviso, invece, Cesare Ferrero, a capo di BNP Paribas Real Estate Italia, il quale ha attaccato a testa bassa le amministrazioni dei
Comuni dove la sua Società opera. «In Italia c’è ancora una grossa “confusione” politica nella gestione delle città, pensiamo ad esempio
all’emblematico caso dello Stadio di San Siro. Il futuro delle città è prima di tutto avere le idee chiare a livello politico. Ci troviamo oggi in una
condizione di mercato molto difficile, con clienti che compiono scelte razionali e responsabili, non più emotive. Siamo in presenza di un processo
di responsabilizzazione collettiva per quanto riguarda i consumi, e in particolare il bene casa» ha osservato il top manager. «Oggi non possiamo
più permetterci di “sbagliare” un intervento e occorre essere molto, molto selettivi».
Anche secondo Stefano Boeri, notissimo architetto e Professore al Politecnico di Milano «bisogna facilitare al massimo le operazioni di
rinnovamento e rigenerazione dell’obsoleto patrimonio immobiliare delle città italiane, che va incontro a condizioni di degrado inaccettabili e costi
energetici insostenibili». La ricetta salvifica proposta da Boeri per uscire da questa impasse sono l’eliminazione degli oneri di urbanizzazione per
gli interventi di rinnovamento del tessuto urbano, e la questione ambientale: «Dobbiamo poter costruire città con maggiore compenetrazione tra
natura, agricoltura e architettura. Per far questo occorrere introdurre nuovi standard urbanistici per le aree a verde, uno strumento che all’estero
ha dimostrato di essere particolarmente efficace».
Le rassicurazioni agli operatori da parte del “pubblico” non sono certo mancate, anche se forse sono rimaste un po’ troppo vaghe. «Pensare ad
una strategia urbana per la città del futuro è possibile: possiamo uscire dalla confusione di cui parlava Ferrero costruendo una visione comune»
ha commentato Alessandro Balducci, neo-Assessore all’Urbanistica del Comune di Milano, e da sempre docente al Politecnico di Milano.
«Sembra che un nuovo ciclo immobiliare sia alle porte e dobbiamo superare la logica del “Piano Casa” e guardare invece ai grandi progetti di
trasformazione urbana» ha convenuto Giovanni Caudo, Assessore all’Urbanistica del Comune di Roma. «La questione urbana dovrebbe tuttavia
essere una questione nazionale e non del singolo Comune. Abbiamo bisogno di un grande piano di rigenerazione urbana a livello Paese come
hanno fatto Francia e UK, non è accettabile che ogni Comune si muova singolarmente».
Qualcuno che si muove singolarmente,però,esiste. Come ad esempio il Comune di Lecce, che grazie anche all’interessamento di Invimit SGR è
l’unico Comune del sud-Italia ad aver lanciato un Fondo immobiliare con diverse proprietà pubbliche, e che ha recentemente adottato sette
importanti varianti urbanistiche che hanno permesso di realizzare alcuni interventi immobiliari con cui avviare il processo di risanamento delle
casse del Comune stesso.
«Avevamo un serio problema abitativo e un bilancio comunale gravemente in sofferenza» ha spiegato Attilio Monosi, Assessore alla Casa del
Comune pugliese «e grazie a una specifica legge regionale abbiamo deciso di puntare tutto sul recupero e la trasformazione di alcune aree della
città. Il riutilizzo è “molto meglio” perchè in una città come Lecce spesso il costo dei vecchi fabbricati esistenti è inferiore al costo di realizzazione
di nuovi fabbricati su terreni non urbanizzati. Si evitano inoltre tutte le solite problematiche legate alla realizzazione di opere nuove, con cantieri
che aprono, soggetti che fanno ricorso, cantieri che si fermano e costi che schizzano alle stelle. Questa scelta ci ha permesso di dare respiro alle
pressioni abitative che avevamo, e oggi i conti del Comune sono a posto. Il nostro Fondo ha in gestione uffici comunali centralizzati, una scuola,
un mercato, edifici residenziali e altro terziario».
Un appello è infine giunto da Stefano Lo Russo, Assessore all’Urbanistica di Torino: «Il riuso di suolo deve esser fatto diventare più conveniente
rispetto a operazioni di consumo di nuove aree. Solo così saremo in grado di favorire la rigenerazione delle nostre città fermando al contempo
l’utilizzo di nuove aree verdi. Diamo quindi corpo alla “riforma Delrio” che può far davvero diventare le aree urbane il volano di rilancio per la
rinascita del Paese».
Il Forum di Scenari Immobiliari , gli highlight della seconda
giornata: prudenza positiva
di Francesco Tedesco (*)
Per il momento , come ha notato anche il Prof. Mario Deaglio nella sua tradizionale e vivacissima relazione di apertura della seconda giornata
Santa Margherita, «il settore immobiliare rimane un “buco nero”: un mercato che in Italia non riparte a causa del peso burocratico e
amministrativo, quando invece siamo assistendo a grandissime trasformazioni che cambieranno la vita di milioni di persone». Prime fra tutte la
«distruzione creativa promossa da Internet, artefice della quarta rivoluzione industriale», ma anche la rivoluzione democratica che sta avvenendo
silenziosamente nel settore energetico, con la fonte solare che passerà dall’attuale 2% al 26% entro il 2040 a livello mondiale «grazie alla
diffusione del fotovoltaico e delle batterie, sia in ambito domestico che… su quattro ruote, visto che in futuro si punterà sempre di più sulle auto
elettriche. E il tema dell’integrazione tra auto elettriche e “smart cities” è sicuramente interessante perchè rappresenta un’enorme opportunità per
ripensare le nostre città pensando al futuro».
Intanto però, mentre l’Europa sta ripartendo con circa 72 miliardi di euro di investimenti nel 2014 (e 36 miliardi nel primo semestre 2015, ndr) che
si stanno riversando sui mercati di Francia, Germania e Regno Unito in arrivo soprattutto da USA e dall’Asia, l’Italia resta ancora abbastanza “al
palo”, con un mercato degli investimenti immobiliari pari ad appena 5 miliardi.
«Qualcosa si muove» ha confermato comunque Alberto Agazzi, Managing Director di Generali Real Estate SGR «e alcuni capitali arrivano
anche qui da noi, ma non perchè l’Italia sia particolarmente attrattiva. Entrare sul nostro mercato è difficile, manca prodotto buono, lo stock è
vecchio e siamo lenti nelle autorizzazioni per facilitare la trasformazione dell’esistente».
«Rimarremo dunque un mercato marginale a livello europeo o riusciremo a fare il salto di qualità?» si è chiesto Alessandro Mazzanti, CEO di
CBRE Italia. «Le vendite pubbliche dal 2003 ad oggi hanno rappresentato circa 6 miliardi di euro ed è un valore troppo basso. Ci deve essere un
maggiore contributo da parte del settore pubblico che ha un potenziale enorme con oltre 55mila proprietà sul territorio. Questa è una delle basi
per far crescere il mercato: l’Italia ha le potenzialità per triplicare il mercato degli investimenti e passare da 5 a 15 miliardi di euro».
Lo stesso entusiasmo, se non addirittura di più, ha dimostrato Roberto Busso, AD di Gabetti Property Solutions, in un intervento che si potrebbe
quasi definire “pirotecnico”, e con buona pace degli amministratori di condominio.
«Nel residenziale ci vogliono nuovi strumenti legislativi, altrimenti non si cresce. È vero, stiamo assistendo a un segnale di ripresa, ma i valori
sono bassissimi, non torneremo più alle transazioni di un tempo e siamo consapevoli che il 50% dell’intermediato oggi non passa attraverso le
agenzie. Cresce invece il mercato della manutenzione e dei servizi immobiliari, ed è proprio questa l’area di business su cui stiamo puntando con
la nostra rete di circa 900 agenzie in franchising». L’idea, ha spiegato Busso, è quella di integrare anche i servizi solitamente forniti dagli
amministratori immobiliari e dagli assicuratori, oltre a promuovere interventi di valorizzazione ed efficientamento degli appartamenti. «Oltre alle
solite 4P che gli amici del marketing ben ci insegnano -product, price, place e promotion- oggi ce ne sono altre due di cui dobbiamo tener conto:
P come la “Passione” da mettere nel nostro lavoro , questa a me non manca certo, e la P di “Pedalare”! Dobbiamo pedalare per andare a
prenderci quello che ci meritiamo».
Anche Manfredi Catella, giunto a Santa Margherita sabato mattina dopo aver lanciato il giorno precedente ( in conferenza stampa a Milano, ndr)
la notizia dell’uscita del Gruppo Hines da Hines Italia SGR, ha dimostrato un solido ottimismo per il futuro confermando l’intenzione di voler
rimanere in Italia: «Vediamo delle nuove opportunità che si aprono, sia per un fattore culturale che di mercato. Abbiamo ragionato a lungo in
questi mesi se l’Italia è il posto giusto dove stare, e se esistono delle opportunità da cogliere. È vero, l’Italia fa fatica ad agganciare gli enormi
flussi di capitali che ci sono in Europa, ma abbiamo una forza straordinaria nel nostro patrimonio, negli asset che possiamo proporre. Abbiamo
quindi ragionato su che tipo di asset e che tipo di investitori ci sono oggi sul mercato» ha continuato l’AD della “ nuova” COIMA SGR, con una
sicurezza pacata ed elegante. «Oggi sul mercato l’investitore italiano non c’è più. Ci sono invece molti investitori esteri che tuttavia fanno fatica
ad entrare per diverse ragioni, tra cui anche quella che spesso questi ricercano asset con valore superiore ai 100 milioni di euro che in Italia non
sono molto presenti, vista la natura parcellizzata del nostro patrimonio. Ci sono quindi delle inefficienze, molto interessanti dal nostro punto di
vista perchè laddove esistono inefficienze ci sono sempre delle opportunità da cogliere per investitori “best-class”, come noi intendiamo
continuare a essere».
Prudentemente positivo anche l’intervento di Joachim Sandberg, AD di Cushman & Wakefield, che ha confermato di aspettarsi «un trend
sicuramente positivo per il 2016 anche se ancora volatile con una domanda che eccede l’offerta e gli investitori che piano piano incominceranno
a prendere maggiori rischi. Il problema del mercato italiano» ha ribadito Sandberg «è che oggi gli operatori non sono in grado di realizzare il
prodotto che interessa agli investitori. Siamo nella situazione paradossale che un Paese come l’Italia conta per il 3-4% sul totale degli
investimenti in Europa, mentre una “piccola Nazione ” come la Svezia -che ha meno di otto milioni di abitanti- ha un mercato doppio, che vale il
7-8%».
(*) Francesco Tedesco, collaboratore di www.internews.biz e di ECONOMIA IMMOBILIARE, è ingegnere ambientale esperto in energie
rinnovabili e giornalista pubblicista