Cari lettori

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Cari lettori
ISSN 1830-6349
Novembre 2012/8 Edizione speciale IT
CESE info
Proposte per costruire
un’Europa più forte
Cari lettori,
la strategia Europa 2020 è al cuore dell’azione dell’UE per superare la crisi, poiché costituisce un modello europeo di crescita dinamico e a 360 gradi meritevole della fiducia di
investitori, produttori, lavoratori e consumatori. Il convegno Per un’Europa più forte,
organizzato dal CESE in settembre, è stato un’ottima occasione per rivolgere 30 raccomandazioni concrete all’Europa affinché ritrovi la strada della ripresa e avvii un «nuovo
corso» (New Deal) a beneficio dei cittadini europei.
I partecipanti hanno esortato i leader a mobilitarsi con determinazione nel definire
un quadro coerente per un’economia di crescita integrata: occorre infatti un approccio
globale, in cui trovino spazio un’unione economica, con un’armonizzazione finanziaria,
fiscale e del settore bancario, un’unione sociale, in cui viga un più rigoroso rispetto dei
diritti fondamentali, e un’unione politica, contraddistinta da una responsabilità e una
capacità di rendicontazione democratiche rafforzate.
La disciplina di bilancio, accompagnata da una condivisione dei rischi e dei benefici,
servirà a ottenere il massimo impatto dall’azione. Avere «più Europa» apporta dei vantaggi
economici, e il bilancio dell’Unione dovrebbe essere visto come uno strumento intelligente
per realizzare economie di scala. Sono inoltre necessarie una vigilanza e una regolamentazione a livello europeo per controllare le attività di banche e istituzioni finanziarie,
che devono contribuire alla crescita in modo equo. Nell’elaborazione delle politiche il
progresso sociale va considerato una priorità altrettanto importante.
Dobbiamo rilanciare e rafforzare il mercato unico, per sfruttarne tutto il potenziale
in settori come il commercio elettronico e l’accesso ai finanziamenti, garantendo un’adeguata protezione dei consumatori. Occorre affrontare il problema delle normative fiscali
divergenti e degli eccessivi adempimenti burocratici in modo da agevolare il commercio
transfrontaliero, soprattutto per le PMI. Va riservata maggiore attenzione al ruolo dei
lavoratori autonomi e delle imprese sociali, e sono necessari progressi verso il riconoscimento delle qualifiche professionali al di là delle frontiere nazionali.
I giovani e la creazione di posti di lavoro sono stati tra i temi principali affrontati
al convegno. La disoccupazione giovanile – che nell’UE si attesta in media sul 23 %,
con punte superiori al 50 % in alcuni paesi – non è solo un tragico spreco, ma potrebbe
anche compromettere seriamente il nostro futuro. L’Unione e i suoi Stati membri devono
mettere in campo le risorse finanziarie e politiche necessarie per rafforzare le competenze
e incrementare l’occupazione. I giovani devono poter godere di diritti del lavoro e di
condizioni lavorative dignitose; occorrerebbe anche fornire un sostegno alle donne giovani perché possano accedere al mercato del lavoro e rimanervi, e andrebbe incentivata
l’imprenditorialità. L’UE deve fare in modo che l’opinione pubblica non la associ più
alle misure di austerità e ai licenziamenti, e deve adoperarsi per realizzare una strategia
di inclusione attiva.
Abbiamo bisogno di una nuova rivoluzione industriale, con misure a favore di una
crescita «verde» sostenibile che siano in grado di abbinare l’innovazione, gli investimenti
e la modernizzazione economica a un uso moderato di risorse naturali limitate. Servono
metodi agricoli sostenibili e innovativi che assicurino prodotti alimentari di qualità, contribuendo nel contempo allo sviluppo rurale. L’innovazione è un fattore chiave: l’Europa deve
quindi evitare di tagliare i fondi per la ricerca e garantire che venga raggiunto l’obiettivo
di investire il 3 % del PIL in ricerca e innovazione.
Comitato economico
e sociale europeo
un ponte tra l’ Europa e la società civile organizzata
C’è posto per le PMI nel futuro
dell’Europa?
Le piccole e medie imprese (PMI) danno
lavoro ad oltre 87 milioni di persone
e costituiscono la spina dorsale dell’economia europea. Nell’UE vi sono
21 milioni di PMI, che rappresentano
più di metà del valore aggiunto totale
dell’economia non finanziaria e sono
responsabili dell’80 % di tutti i nuovi
posti di lavoro creati in Europa negli
ultimi cinque anni.
continuano a restringersi. Nel complesso,
le imprese indicano un calo della disponibilità di prestiti bancari (20 %, rispetto al
14 % dell’indagine precedente). Inoltre, i
risultati dell’indagine segnalano un tasso
più alto di rifiuto delle domande di prestito (13 %, rispetto al precedente 10 %).
La crisi economica ha colpito le
PMI europee?
È chiaro che occorre sfruttare al meglio
altri modi di accesso ai finanziamenti, se
si vuole che l’Europa mantenga questa
parte fondamentale della propria economia. Oltre al capitale di rischio e ai prestiti
della Banca europea per gli investimenti
(BEI), che vengono applicati con successo, l’UE dovrebbe incoraggiare modelli
alternativi, ad esempio strutture bancarie partecipative ed etiche, che evitino la
speculazione e adottino un atteggiamento
socialmente responsabile in fatto di investimenti, oppure il crowd funding, un tipo
Purtroppo sì. Drammaticamente colpite
dalla crisi, le PMI non sono ancora riuscite a tornare ai livelli pre-crisi, né in
termini di valore aggiunto lordo né per
quanto riguarda i posti di lavoro. Nella
sola Spagna, il numero complessivo delle
PMI è sceso di circa 30 000 unità nel 2011,
e per il 2012 ci si aspetta un calo di altre
20 000 unità. La stessa situazione si ripete
in diversi altri paesi.
Come possono le PMI ottenere
l’accesso ai finanziamenti?
21 e 22 novembre 2012
CESE, Bruxelles: tavola rotonda
UE-Brasile
26 e 27 novembre 2012
Zagabria, Croazia: Quarto forum
della società civile dei Balcani
occidentali
30 novembre 2012
CESE, Bruxelles: seminario di
alto livello sul tema Rafforzare
l’Europa: con pratiche di lavoro
innovative possiamo riuscirci!
IN QUESTO NUMERO
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L’austerità non è sufficiente:
è ora di creare posti di lavoro!
L’impatto della “primavera
araba” sulla situazione dei mezzi
d’informazione
Aiutiamo i media ad aiutarsi
da soli, intervista a Jan Keulen
La stampa egiziana sotto il
controllo dei Fratelli musulmani
I ciberattivisti contro
l’autoritarismo, intervista
a Sihem Najar
Il vertice euromediterraneo
2012 dei CES e istituzioni
analoghe
Intervista a Brenda King,
membro del CESE
“
I risultati dell’indagine
segnalano un tasso più alto
di riuto delle domande di
prestito (13 %, rispetto al
precedente 10 %).
”
Insomma, c’è posto per le PMI
nel futuro dell’Europa?
I risultati dell’indagine sono in linea con
le politiche e le pratiche correnti nell’UE.
Poiché le PMI forniscono più posti di
lavoro, un’attenzione specifica per questa
categoria d’imprese è giustificata. Le PMI
e gli Stati membri innovativi sono quelli
che meglio possono resistere alla crisi.
Inoltre, le PMI attive a livello internazionale sono più innovative e registrano tassi
più elevati di crescita dell’occupazione.
Invece, molte piccole imprese sono tradizionalmente circoscritte a un determinato
territorio ma, con il calo della domanda
interna, hanno bisogno di una guida e di
consigli esperti per inserirsi nel mercato
globale, se vogliono sopravvivere.
Staffan Nilsson
Presidente
DATE DA RICORDARE
Le PMI europee però sono molto
diverse fra loro, e non è possibile applicare una soluzione di finanziamento unica
alle tante tipologie di impresa esistenti.
«Occorre tutto un ventaglio di misure
diversificate e innovative per raggiungere questo gruppo variegato di soggetti
e tenere conto delle loro specificità. Le
imprese sociali e le professioni liberali,
ad esempio, hanno modelli di funzionamento diversi rispetto alle imprese
‘tradizionali’», osserva Ronny Lannoo,
dell’Unione belga dei lavoratori autonomi e delle PMI (UNIZO), correlatore
del parere del CESE sull’accesso ai finanziamenti per le PMI.
“
Le imprese indicano un
calo della disponibilità
di prestiti bancari (20 %,
rispetto al 14 % dell’indagine precedente).
”
Nel clima attuale, uno dei principali
ostacoli per le PMI è l’accesso ai finanziamenti, data la riluttanza delle banche
a concedere prestiti in assenza di garanzie
inoppugnabili. Secondo l’ultima indagine
della BCE sulle PMI, tra l’ottobre 2011 e il
marzo 2012 il fabbisogno di finanziamenti
esterni delle piccole e medie imprese della
zona euro ha fatto registrare un incremento, ma l’accesso ai prestiti bancari ha
di finanziamento collettivo per le piccole
imprese in fase di avviamento che viene
reperito mediante appelli online.
Come primo passo, la Commissione
europea ha presentato un piano d’azione
per migliorare l’accesso ai finanziamenti
per le PMI. «Il nuovo regolamento proposto per attirare capitale di rischio è
lodevole», afferma Anna Maria Darmanin, vicepresidente del CESE e relatrice
del parere sull’accesso ai finanziamenti
per le PMI. «Diversi strumenti legislativi
scoraggiano le banche, le compagnie assicurative e quanti operano nel settore della
gestione patrimoniale dall’intraprendere
tipi di investimenti spesso diretti alle
PMI. Abbiamo bisogno di strumenti che
rispondano alle esigenze di sviluppo delle
piccole e medie imprese».
L’UE dovrebbe anche rimediare alla
mancanza d’informazione sui finanziamenti che si registra tra le PMI. In giugno
la Commissione ha pubblicato una guida
pratica per consentire alle piccole e medie
imprese di accedere agli oltre 50 miliardi
di finanziamenti pubblici messi a disposizione nei 27 Stati membri, ma occorrono campagne d’informazione molto
più efficaci.
C’è ancora luce alla fine del tunnel,
ma dobbiamo agire in fretta se vogliamo
O
arrivarci. (ail)
www.eesc.europa.eu
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Perché abbiamo bisogno di una strategia macroregionale per l’Atlantico?
“
L’obiettivo principale è
fare della regione atlantica
la punta di diamante della
rivoluzione che interesserà i
trasporti, la comunicazione,
la sostenibilità e la trasformazione tecnologica.
”
Alcuni mesi fa sulla copertina di una
nota rivista internazionale è apparsa
una mappa del mondo da cui mancava l’Europa. Il messaggio principale
era che l’Europa è destinata a sparire
a causa dell’emergere di nuove superpotenze e dell’egemonia americana.
Ma, come ha affermato Tony Judt, la
capacità dell’Europa di reinventarsi è
illimitata. La prima volta che l’Europa
ha cambiato radicalmente l’equilibrio
globale del commercio e del potere
politico, lo ha fatto partendo dalla
costa atlantica, nel XV secolo, grazie a
una rivoluzione tecnologica che ha reso
possibile tracciare la prima mappa del
mondo. Adesso le istituzioni europee
e i soggetti regionali e nazionali d’Europa stanno collaborando per attuare
un modello interregionale di cooperazione economica e politica unico
nel suo genere, diretto a generare una
ripresa e a realizzare gli obiettivi della
strategia Europa 2020. È un’iniziativa
pratica che potrebbe usare le risorse
per affrontare la crisi con un approccio
strategico macroregionale, apportando
benefici a milioni di persone di cinque
paesi e di 35 regioni.
Nel Comitato economico e sociale
europeo i rappresentanti della società
civile hanno adottato un parere che
propone modalità pratiche per attuare
una strategia macroregionale per l’Atlantico, con l’obiettivo di salvaguardare
il nostro bene più prezioso: lo Stato
sociale europeo. Va ricordato che le
risorse previste dal patto per la crescita
ammontano all’1 % del PIL dell’UE,
oltre ai 347 miliardi di euro della politica regionale. Per macroregione si
intende un’area geografica composta da
almeno due regioni europee con caratteristiche comuni e appartenenti a Stati
membri differenti. Sotto il profilo degli
investimenti e della competitività vale la
pena di affrontare insieme le sfide economiche, sociali e ambientali comuni.
Se le regioni e i governi sapranno individuare chiaramente gli obiettivi ed
elaborare una strategia coordinata, le
loro opportunità di accedere ai fondi di
coesione e ad altri strumenti di investimento aumenteranno. Ciò vale in particolare alla luce del nuovo approccio
alla politica di coesione, che cercherà
di evitare l’effetto di dispersione. L’obiettivo principale è fare della regione
atlantica la punta di diamante della
rivoluzione che interesserà i trasporti,
la comunicazione, la sostenibilità e la
trasformazione tecnologica. Tra gli
esempi pratici figurano le autostrade
del mare e l’energia ricavata in mare
dal vento e dalle correnti.
Le strategie macroregionali in atto:
quella per l’area del Baltico del 2009 e
quella per la regione danubiana del
2010 hanno avuto grande successo.
L’approccio comune adottato dai
governi, dalle regioni, dai soggetti
sociali e dalle città è stato efficace in
campi importanti come i trasporti,
l’innovazione, le infrastrutture, l’agricoltura, la pesca e l’energia. L’attuale
strategia marittima per l’Atlantico
diverrà una strategia macroregionale,
in cui il CESE e i consigli economici
e sociali nazionali rappresenteranno
gli interessi della società civile. A questo scopo, tutte le parti interessate si
incontreranno nel forum atlantico per
discutere e adottare le linee d’azione
che potrebbero fare della regione un
esempio di integrazione e di crescita
inclusiva. Nel XVI secolo l’Atlantico
rappresentava la rotta dell’Europa
verso la crescita economica, adesso
potrebbe forse dimostrare come
un’Europa integrata, le cui navi vanno
tutte nella stessa direzione, abbia il
suo posto su ogni possibile mappa del
O
mondo. (asp)
8a riunione del Forum
europeo dell’integrazione:
L’austerità non è sufficiente:
è ora di creare posti di lavoro!
© Andy Dean Photography
Il contributo degli immigrati alla crescita
economica nell’UE
Nel quadro della cooperazione tra il Comitato economico e sociale europeo (CESE)
e la presidenza cipriota del Consiglio
dell’Unione europea, il 28 settembre 2012
il gruppo Lavoratori del CESE ha organizzato una riunione straordinaria tenutasi a
Nicosia (Cipro).
iniziative adottate per combattere la crisi
e le loro proposte in merito alle possibilità
di promuovere la crescita e l’occupazione.
Questo incontro, intitolato Un bilancio
europeo per l’occupazione, si è incentrato
sulle proposte avanzate dal gruppo Lavoratori per promuovere la ripresa economica
e sociale dell’UE e si è anche soffermato
sulla situazione socioeconomica di Cipro.
Il viceministro del Presidente della
Repubblica di Cipro responsabile per gli
Affari europei, Andreas Mavroyiannis, ha
trasmesso quindi ai partecipanti i saluti
della presidenza del Consiglio dell’UE. Ha
poi preso parte a un vivace dibattito con i
membri del CESE sulla situazione attuale
dell’Europa e sulle misure volte a creare
occupazione che la presidenza intende
proporre agli altri paesi europei.
La riunione, che si è aperta con un
dibattito con i segretari generali delle principali organizzazioni sindacali cipriote, ha
esaminato da vicino i problemi cui devono
far fronte i lavoratori e i loro rappresentanti a Cipro, dedicando un’attenzione
particolare ai gruppi sociali più vulnerabili: giovani, donne e immigrati. Le organizzazioni sindacali hanno presentato le
Dopo la pausa pranzo si è aperto un
dibattito con il ministro del Lavoro e
della sicurezza sociale della Repubblica di
Cipro, Sotiroula Charalambous, nel corso
del quale diversi membri del CESE hanno
effettuato una serie di presentazioni sulle
proposte del Comitato in materia di occupazione, di crescita e di questioni attinenti
alla politica finanziaria e di bilancio.
2
Il presidente del gruppo Lavoratori,
Georges Dassis, intervenendo a nome del
gruppo II, ha poi espresso soddisfazione
per la riunione estremamente costruttiva
e il proficuo scambio di idee con gli omologhi ciprioti, nonché con i rappresentanti
della presidenza e del governo di Cipro.
Concludendo la riunione, Dassis ha ribadito che «la crisi non si può combattere
solo con misure di austerità e che è necessario stimolare l’economia reale, rivedere
la politica industriale europea e sostenere
l’economia verde» poiché, a suo avviso, ciò
«permetterebbe di creare posti di lavoro
stabili e sostenibili». «In ogni caso», ha
aggiunto, «nessuna crisi può giustificare
una regressione in materia di politiche
sociali e lo smantellamento del modello
O
sociale europeo». (rdr)
Oltre 100 rappresentanti di organizzazioni europee e nazionali attive nel campo
dell’integrazione degli immigrati si sono
riuniti il 16 e 17 ottobre scorso per discutere del tema Il contributo degli immigrati
alla crescita economica nell’UE. Un tema
difficile da affrontare nell’attuale clima
politico, in cui gli elevati tassi di occupazione registrati nell’UE fanno dell’immigrazione una questione delicata, e la
retorica politica dà l’impressione che gli
immigrati sottraggano il lavoro ai cittadini
europei e gravino sui nostri sistemi di sicurezza sociale.
Brenda King ha presentato il parere
del CESE Il contributo degli imprenditori
migranti all’economia dell’UE, di cui è stata
relatrice. Alla sua presentazione hanno
fatto seguito gli interventi di vari imprenditori migranti presenti in sala, che hanno
portato testimonianze ispiratrici.
Gli oratori di alto livello intervenuti
al forum – tra cui la commissaria Cecilia
Malmström, il direttore generale della DG
EMPL Koos Richelle, il deputato europeo
Michael Cashman – e i rappresentanti
delle parti sociali hanno sottolineato la
necessità di combattere gli stereotipi con
fatti e prove alla mano. In realtà, sia prima
che durante la crisi, gli immigrati hanno
tappato i buchi del mercato del lavoro,
coprendo posti che i cittadini europei
non sanno o non vogliono coprire, e sono
anche i primi a essere colpiti dalla disoccupazione.
nell’avvio di un’attività autonoma. Si è
tenuta una vivace discussione sul ruolo
delle parti sociali, la gestione della diversità e i vari ostacoli con cui si scontrano gli
immigrati, come il riconoscimento delle
qualifiche acquisite al di fuori dell’UE.
Nelle tavole rotonde i partecipanti
hanno fornito esempi di progetti di successo intesi a rispondere alla domanda del
mercato del lavoro (ad esempio tramite
un’adeguata formazione professionale
e linguistica) e a sostenere gli immigrati
All’incontro, organizzato congiuntamente dalla Commissione europea e dal
CESE, hanno contribuito anche rappresentanti dei ministeri competenti degli
Stati membri e i 21 membri del gruppo di
studio permanente del CESE sull’immigrazione e l’integrazione (IMI). (bw) O
CESE info — Novembre 2012/8 Edizione speciale
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EDITORIALE
d’
Cari lettori,
ISSN 1830-6349
Novembre 2012/8 Edizione speciale IT
CESE info
nel Medio Oriente è in corso una storica fase di
transizione. Il risultato delle alterne trasformazioni
che si succedono nella regione è tutt’altro che certo.
Le forze favorevoli al cambiamento, sbocciate dal
desiderio di libertà e di dignità delle società di quei
paesi, si stanno scontrando con ostacoli e difficoltà
più grandi del previsto.
L’Unione europea ha l’obbligo strategico,
politico e morale di facilitare questa transizione
e fare in modo che prenda la strada giusta contribuendo allo sviluppo di società aperte
e pluraliste.
La libertà di espressione è un buon punto di partenza, poiché è alla base delle altre
libertà. Senza libertà di espressione non ci può essere né dignità umana, né realizzazione
personale, e per l’esercizio di questa libertà è essenziale che vi sia un’informazione libera,
pluralista e dinamica.
Numerosi studi hanno messo in luce quanto sia evidente e stretto il rapporto tra
la libertà dei mezzi di comunicazione e il livello di sviluppo generale. Si può affermare
quindi che la libertà dei media sia un ottimo parametro con il quale misurare il progresso
di una società.
Sulla base di queste convinzioni, il mese scorso ci siamo incontrati a Cipro per un
seminario annuale sulla libertà dell’informazione nei paesi arabi dopo le rivolte del 2011,
e abbiamo individuato diversi ambiti nei quali occorre mobilitarsi.
Le riflessioni formulate durante il seminario sono state poi presentate al vertice Euromed dei consigli economici e sociali e delle istituzioni analoghe, tenutosi in Giordania nel
mese di ottobre. Erano passate solo alcune settimane dall’adozione, da parte delle autorità
giordane, di una nuova legge in materia di informazione che purtroppo pone limiti alla
libertà di espressione online.
La situazione dei media nei paesi interessati, direttamente o indirettamente, dalle
rivolte è piuttosto fragile. I nuovi governi di paesi come la Tunisia e l’Egitto, che pure si
erano impegnati a garantire la libertà dell’informazione, sono tornati sui propri passi.
Per garantire la libertà dei media occorre agire simultaneamente in ambiti cruciali come
la regolamentazione dei mezzi d’informazione, la costruzione di capacità e la gestione e la
sicurezza dei media.
È necessario che la libertà dell’informazione sia garantita dalle costituzioni nazionali,
in modo da creare un quadro giuridico valido e applicabile che goda del sostegno di
tutti: governi, legislatori, proprietari dei media, giornalisti e sindacati. Le nuove leggi
sull’informazione, che devono essere elaborate attraverso un processo di consultazione
multilaterale, devono essere conformi alle convenzioni e alle norme internazionali.
I codici penali e le leggi in materia di sicurezza nazionale o di religione non devono
essere usate contro i giornalisti. La semplice minaccia di azione penale ha un effetto
deleterio sulla libertà dei media e sulla capacità di trattare temi di interesse pubblico.
La diffamazione deve essere depenalizzata. Non è affatto dimostrato che la depenalizzazione porti a un aumento dei casi di diffamazione! Noi riteniamo che la soluzione
sia l’autoregolamentazione.
Attraverso la costruzione di capacità, occorre rafforzare le competenze professionali
dei giornalisti e dei mezzi di informazione. Chi finora è stato abituato a un giornalismo
compiacente dovrà adottare una nuova mentalità, basata sull’indipendenza e lo spirito
critico, sulla capacità di porre domande difficili a tutti gli schieramenti politici, sul giornalismo investigativo e sulla necessità di dare il miglior contributo possibile a una cultura
della democrazia.
Perché ciò sia possibile, è necessario che migliorino le capacità e le competenze dei
giornalisti, dei direttori e degli editori.
Per sostenere la costruzione di capacità, occorre che le ONG e le organizzazioni della
società civile di altri paesi, nella pianificazione e nella realizzazione dei loro progetti e
programmi, operino con tutti i livelli: quello dei giornalisti, quello dirigenziale e quello
dei politici.
I soggetti esterni che forniscono assistenza nella regione non devono mai perdere
di vista il fatto che questo processo e la direzione che esso prenderà appartengono alla
società locale. Ogni paese è diverso dagli altri, e occorre tenere conto sia della cultura
che delle condizioni sociali ed economiche, e agire in piena interazione e cooperazione
con i partner locali.
Per poter esercitare la libertà d’informazione, i giornalisti hanno bisogno di protezione
giuridica e spesso anche fisica. Ogni episodio di violenza contro i giornalisti e gli operatori
dell’informazione DEVE essere oggetto di un’indagine approfondita, perché l’impunità
non farà che generare un circolo vizioso e alimentare ulteriormente la violenza. La società
civile deve dare il suo contributo vigilando, investigando e reagendo a qualsiasi attacco
o minaccia ai giornalisti.
Abbattere i regimi dittatoriali è stato solo il primo passo: costruire la democrazia e
garantire la libertà dell’informazione rappresenta un compito arduo, che richiederà tempo.
Un fallimento non è immaginabile, ma nulla, oggi, è sicuro.
Comitato economico
e sociale europeo
un ponte tra l’ Europa e la società civile organizzata
L’impatto della «primavera araba»
sulla situazione dei mezzi d’informazione
gli ultimi posti. Secondo RSF, in tutti e tre
questi Stati la transizione verso la democrazia non sta portando necessariamente a un
maggiore pluralismo o a una maggiore libertà
di stampa.
I deposti regimi di Mubarak in Egitto, Gheddafi in Libia e Ben Ali in Tunisia hanno significato tra l’altro, considerati nel loro insieme,
quasi un secolo di ferreo controllo sulla
stampa. Un controllo costituito dalla sorveglianza sulle comunicazioni dei giornalisti e
dalla censura dei mezzi d’informazione. Pur
di salvarsi, questi regimi hanno fatto ricorso,
nei giorni che ne hanno preceduto la caduta,
a disperati colpi di coda.
Ben Ali, poco prima di perdere il potere,
tentò di placare lo scontento popolare abolendo ogni censura su Internet e introducendo la libertà di stampa. È rimasto celebre
il caso del regime egiziano, che bloccò del
tutto l’accesso ad Internet, mentre il regime
libico consentì l’accesso solo ad alcuni siti
governativi.
“
Dietro queste cifre si
celano storie di sequestri
di persona, censure, intimidazioni e sequestro di
pubblicazioni da parte delle
autorità statali.
”
La caduta di questi regimi aveva aperto
un’epoca nuova di libertà per i mezzi d’in-
Di nuovo restrizioni
Nel 2011, tuttavia, la libertà di stampa appena
conquistata ha subito una serie di restrizioni
in tutti e tre questi paesi. Zied El-Heni,
membro di spicco del comitato direttivo del
Sindacato nazionale dei giornalisti tunisini,
ritiene che il futuro dei mezzi d’informazione
non asserviti sia minacciato dalla politica dei
nuovi governi, che stanno reintroducendo
misure per fare del giornalismo uno strumento della propaganda di Stato.
I timori di El-Heni rispecchiano l’opinione diffusa secondo cui la libertà di stampa
faticosamente conquistata in Egitto, Libia e
Tunisia sta facendo registrare un pericoloso arretramento. «Il governo [tunisino]»,
ha dichiarato a CESE info, «sta assegnando
posizioni di potere nei media di Stato alle
stesse persone incaricate della propaganda
dal passato regime».
Nelle classifiche per paese 2011 e
2012 basate sull’indice della libertà di stampa
elaborato da Reporter senza frontiere (RSF),
Egitto, Libia e Tunisia restano ancora verso
Giornalisti a rischio
Dietro queste cifre si celano storie di sequestri
di persona, censure, intimidazioni e sequestro
di pubblicazioni da parte delle autorità statali.
In Libia, dove si sta tentando di dar vita a un
governo pienamente funzionante, l’ampiezza
del margine di libertà lasciato ai media rimane
ancora incerta. Dopo la liberazione, a Bengasi
erano state fondate circa 120 pubblicazioni
libere, ma poi l’instabilità politica ha determinato un clima di minacce continue nei
confronti dei giornalisti.
La situazione egiziana non è migliore. Il
governo del Presidente Morsi ha minacciato
blogger e giornalisti di farli processare per vilipendio delle forze armate, facendo segnare
un ritorno ai metodi repressivi del regime di
Mubarak.
«Gli scenari politici futuri dipenderanno
in larga misura dalla possibilità per i media di
sfruttare al massimo le libertà appena conquistate», conclude Jane Morrice, membro del
CESE ed ex corrispondente della BBC. O
La libertà dei media nella regione euromediterranea
Nelle ultime settimane la questione della
libertà dei media è stata nuovamente al
centro della scena.
“
Tanto la libertà di
espressione quanto la
libertà religiosa sono princìpi non negoziabili, e la
libertà di parola è al cuore
dei valori e delle tradizioni
dell’Europa.
”
Anna Maria Darmanin
Vicepresidente
Catherine Ashton, Alta rappresentante
dell’Unione per gli Affari esteri e la politica
di sicurezza
CESE info — Novembre 2012/8 Edizione speciale
formazione, vedendo perciò aumentare
drasticamente il numero e la varietà delle
pubblicazioni in tutta la sponda sud del Mediterraneo. La transizione verso la democrazia
sembrava finalmente avviata…
Prima della caduta di Ben Ali, la Tunisia
era salita dal 164° al 134° posto in classifica.
Un passo avanti che potrebbe essere vanificato se il nuovo governo tunisino continuerà
a piazzare alleati politici ai vertici della radio,
della televisione e della stampa di Stato.
«Tutto ciò rischia di trascinare di nuovo il
paese nella dittatura», avverte El-Heni. In
quella stessa classifica la Libia è salita dalla
160a alla 154a posizione, mentre l’Egitto ha
perso 39 posizioni, passando dalla 127a alla
166a.
Ancora una volta l’Europa si è trovata di
fronte alla necessità di tutelare nel contempo
la libertà di espressione e quella religiosa, con
la tolleranza e il rispetto che questo comporta
nei confronti dei nostri amici di fede islamica
di altri paesi. I governi dei paesi musulmani
– soprattutto quelli insediatisi di recente
– hanno dovuto trovare un equilibrio tra
l’esigenza di contenere la collera delle loro
popolazioni e quella di assumersi le responsabilità che incombono a chi ricopre una
carica politica.
Non è stato un compito facile per nessuno
di noi: sentimenti come la rabbia e l’indignazione mal si conciliano con le regole della
diplomazia.
Non possiamo però lasciarci guidare dai
malintenzionati, da quanti sono pronti a servirsi di qualsiasi pretesto e ricorrere a ogni
mezzo per seminare discordia e alimentare
il conflitto – né possiamo consentire che
siano proprio costoro a determinare il corso
delle nostre relazioni internazionali. Non
possiamo lasciarci accecare dalla collera, ma
dobbiamo incanalare le nostre emozioni in
un’azione comune intesa a promuovere una
cultura di tolleranza e rispetto reciproco.
Ecco perché ho deciso già da tempo di
avviare una collaborazione con l’Organiz-
>>> p a g i n a 3
3
Co ntinua da pag. 3
La libertà dei media nella regione euromediterranea
zazione della cooperazione islamica (OIC),
la Lega araba e l’Unione africana per dimostrare che quello che ci unisce è più forte di
quello che ci divide, e di rilasciare una dichiarazione in risposta agli avvenimenti che si
sono verificati negli Stati Uniti e in Medio
Oriente.
La dichiarazione non potrebbe essere
più chiara:
Condanniamo qualsiasi incitamento all’odio religioso... e tutti i messaggi di odio e di
intolleranza.
Ribadiamo che tanto la libertà di espressione quanto la libertà religiosa sono princìpi
non negoziabili, e che la libertà di parola è al
cuore dei valori e delle tradizioni dell’Europa.
Affermiamo anche, tuttavia, che la tutela
della libertà di espressione dipende dal comportamento responsabile dei singoli.
Questo partenariato senza precedenti tra
l’UE, l’OIC, l’Unione africana e la Lega araba
per promuovere la tolleranza e la libertà dei
mezzi di informazione è importante sia per
l’Europa che per il mondo islamico: sono
convinta che le discussioni che si svolgeranno oggi tra di voi daranno un contributo
sostanziale al suo approfondimento.
Vorrei farvi parte di alcune mie riflessioni
sui motivi per cui ritengo necessario che
questa collaborazione prosegua allo scopo
di tutelare le molteplici voci della libertà.
Non si possono mettere a tacere i fatti
I successi della primavera araba sono in
gran parte frutto dell’impegno professionale
di giornalisti, editorialisti, inviati televisivi e
autori di blog.
parte delle redazioni arabe; eppure senza
giornalismo investigativo la corruzione
passa inosservata e la democrazia viene
facilmente soffocata.
I popoli hanno avuto il coraggio di manifestare invocando il rispetto dei propri diritti,
delle proprie libertà e della propria dignità.
Ma hanno agito nella consapevolezza
che i media sociali si sarebbero fatti portavoce dei loro messaggi, consentendo loro di
uscire dall’isolamento, di diffondere le loro
idee e di denunciare l’oppressione che erano
costretti a subire. La libertà di parola – così
come quella di essere ascoltati – è stata un
fattore essenziale.
Va detto però che i mezzi di informazione
«tradizionali» – canali satellitari, giornali e
periodici – hanno avuto un ruolo altrettanto
importante, poiché hanno fatto da cassa di
risonanza alla richiesta di cambiamento,
diffondendola in tutto il mondo e facendo sì
che le voci di pochi trovassero ascolto presso
milioni di persone.
Per questo dobbiamo difendere la libertà
di tutti i mezzi di informazione: perché i professionisti del settore possano continuare a
svolgere il loro lavoro con imparzialità,
obiettività e accuratezza, senza ingerenze né
favoritismi.
I governi di tutti i paesi hanno un ruolo
importante da svolgere per tradurre questo
O
impegno in realtà.
L’ARIJ, che riceve dalla Danimarca
fondi e assistenza tecnica per promuovere il giornalismo investigativo in tutto
il Medio Oriente, è la stata la prima
organizzazione senza fini di lucro a promuovere la formazione e standard professionali per i giornalisti di quella regione
del mondo.
Rana Sabbagh, direttrice esecutiva, Arab
Reporters for Investigative Journalism
(Cronisti arabi per il giornalismo investigativo)
«Il giornalismo investigativo è la quintessenza della professione, perché svela
i fatti come sono», argomenta Rana Sabbagh, che è stata redattore capo del Jordan
Times. «Possono essere brutti quanto si
vuole, ma non si possono tacere i fatti ben
documentati. È una cosa molto importante nella nostra zona del mondo, perché
gran parte della stampa araba è fatta solo
di opinioni».
Secondo l’organizzazione indipendente Arab Reporters for Investigative
Journalism (ARIJ – «Cronisti arabi per
il giornalismo investigativo»), questo
concetto rimane «estraneo» alla maggior
«Il mondo arabo dovrà fare ancora
molta strada affinché cronache approfondite diventino parte integrante dell’attività giornalistica quotidiana», osserva
sempre Rana Sabbagh, che dell’ARIJ è
direttrice esecutiva, «ma una nuova generazione di giornalisti arabi sta assumendo
il ruolo del quarto potere».
Un mondo al maschile
Da importante giornalista donna, Rana
Sabbagh è quasi una mosca bianca
nel panorama mediatico arabo, in cui
il potere rimane saldamente in mani
maschili. Durante la campagna elettorale per le elezioni tunisine dello scorso
anno, un gruppo di osservatori sostenuto
da International Media Support (IMS)
ha constatato che, nonostante le nuove
norme sulla parità fra i sessi e la presenza
di numerose donne fra i candidati, i mezzi
di comunicazione erano riusciti a dedicare alle donne meno del 3 % dello spazio
informativo.
Abeer Saady è una veterana del giornale Al Akhbar, nonché vicepresidente
del sindacato egiziano dei giornalisti, e
anche la prima donna eletta negli ultimi
otto anni. È famosa per aver criticato la
mancanza di standard etici nel settore dei
media e la manipolazione delle informazioni a fini politici. È anche parte di un
gruppo di giornalisti che lavorano con
l’Unesco alla definizione di un codice
etico: «è un compito arduo regolamentare la nostra professione, in particolare
in quest’epoca di giornalismo online, ma
è ormai tempo che i giornalisti comincino
ad autoregolamentarsi», osserva. Con iniziative di formazione mirate, Abeer Saady
spera di trasmettere la propria esperienza
a una nuova generazione di giornalisti,
migliorando la qualità dell’informazione.
In maggio, 18 giornalisti sono stati
arrestati e picchiati dalla polizia militare
mentre seguivano le proteste di strada al
Cairo. Secondo Abeer Saady, quest’incidente ha dato il via a un crescendo di
attacchi sistematici contro la stampa.
«Prima lottavamo contro Mubarak»,
spiega, «adesso ci battiamo per i nostri
principi, rivolgendoci alla società». O
Aiutiamo i media ad aiutarsi da soli
Intervista a Jan Keulen, direttore del Centro di Doha per la libertà dei mezzi di comunicazione
giornalisti stessi potrebbero definire
le regole e applicarle.
“
La quota di operatori
dell’informazione nel
Medio Oriente e nell’
Africa settentrionale che
hanno ricevuto qualche
tipo di formazione in materia di sicurezza non supera
il 5 %.
Jan Keulen, direttore del Centro di Doha per la libertà dei mezzi di comunicazione
CESE info – Se dovesse
indicare una sfida
fondamentale per i mezzi di
comunicazione nei paesi del
dopo primavera araba, quale
sceglierebbe?
Il consolidamento
istituzionale e lo sviluppo
delle capacità sembrano
strettamente interconnessi:
difficile realizzare l’uno
senza l’altro, non è così?
Jan Keulen – Ne indicherei tre: il quadro
giuridico, il consolidamento istituzionale e lo sviluppo delle capacità. Creare un quadro giuridico adeguato è il
compito più urgente: la neonata libertà
d’informazione deve essere sancita dalla
costituzione altrimenti, considerato che
è minacciata non solo dagli Stati, ma
anche da tutta una serie di forze politiche, sociali e religiose, sarà difficile
dedicarsi al consolidamento istituzionale e allo sviluppo delle capacità. È
importante sottolineare che il quadro
giuridico deve essere in linea col diritto,
le convenzioni e le migliori pratiche a
livello internazionale.
Esattamente. Il consolidamento istituzionale è spesso considerato parte
dello sviluppo delle capacità. Si tratta
di un programma che prevede azioni
come la gestione dei media a tutti i
livelli, la creazione di sindacati dei
giornalisti, riforme del sistema educativo e molte altre misure. Non è solo
una questione di capacità dei giornalisti: occorre anche affrontare il tema
di chi possiede i mezzi di comunicazione. Nel complesso, si tratta di un
processo estremamente complicato
che deve essere messo in modo per
garantire la diversità e il pluralismo
dell’informazione.
“
Nei paesi arabi ci sono
molti equivoci in materia di autoregolamentazione.
4
”
Dal seminario organizzato
dal CESE a Cipro è
venuto un appello per
l’autoregolamentazione dei
mezzi di comunicazione nei
paesi del dopo primavera
araba. Lei sembrava nutrire
delle perplessità circa
l’efficacia di questa misura.
Perché?
Sono molto prudente per quanto
riguarda l’autoregolamentazione in
generale, non solo nei paesi arabi. Basti
pensare alla Gran Bretagna e all’affare
Murdoch, che ne ha messo a nudo
molti punti deboli. Io credo piuttosto
nell’utilità di un codice etico, o in una
professione del giornalista regolamentata a livello di rete televisiva, giornale
o stazione radiofonica. Non mi pare
una buona idea avere un sistema di
autoregolamentazione a livello nazionale o anche solo settoriale, ad es. per
la carta stampata. A mio parere, nei
paesi arabi ci sono molti equivoci in
materia di autoregolamentazione.
Alcuni giornalisti potrebbero preoccuparsi per la loro libertà, acquisita
fra tante difficoltà e minacciata da
un nuovo complesso di norme, altri
potrebbero chiedersi, come mi chiedo
io, chi dovrà far applicare l’autoregolamentazione: il governo o la società
civile?
In una serie di dibattiti tenutasi
recentemente in Egitto sulla creazione di un ente di autoregolamentazione, è stata ventilata l’idea che i
”
E che sanzioni potrebbero imporre
a un giornalista che viola queste regole:
lo spoglierebbero del diritto di praticare la professione? Dubito molto
dell’efficacia di un simile meccanismo
nella società egiziana di oggi. L’indice
di libertà dell’informazione in Egitto è
appena sceso a causa dell’incitamento
al settarismo e dell’emergere di una
stampa popolare di bassa qualità. Non
penso che un nuovo organo, come
un consiglio della stampa o un ente
di autoregolamentazione, potrebbe
risolvere questi problemi: le questioni
etiche e professionali dovrebbero
rientrare nel processo di sviluppo
delle capacità e fare parte integrante
della formazione dei giornalisti. Se
vogliamo che le regole attecchiscano
e vengano rispettate, devono anzitutto essere interiorizzate, occorre
che gli interessati capiscano perché
devono comportarsi in un certo modo.
Cominciamo alzando gli standard professionali e le regole di condotta attraverso una regolamentazione interna:
fatto questo, potremo occuparci del
problema dell’autoregolamentazione
a un livello diverso da quello dei singoli media.
Secondo la valutazione
pubblicata nel gennaio
2012 dalla World Association
of Newspapers and News
Publishers (Associazione
mondiale dei giornali e dei
loro editori), la regione araba
è la parte del mondo più
pericolosa per i professionisti
dell’informazione. Ha dei
consigli su come migliorare la
sicurezza nella regione?
Prima di tutto, non vi è una cultura della
sicurezza nei media, né nella società
nel suo complesso. I media possono
varare azioni concrete organizzando
programmi di sensibilizzazione: una
formazione ampia in materia di sicurezza, pubblicazioni con consigli specifici e campagne informative. La quota di
operatori dell’informazione nel Medio
Oriente e nell’Africa settentrionale che
hanno ricevuto qualche tipo di formazione in materia di sicurezza non supera
il 5 %: c’è ancora tantissimo da fare. Uno
sforzo particolare dovrebbe venire dai
media che inviano giornalisti in teatri
di guerra e conflitti. In generale, il Centro di Doha per la libertà dei mezzi di
comunicazione è piuttosto favorevole
all’idea che i media si dotino di protocolli interni di sicurezza, che dovrebbero comprendere un’assicurazione
sulla vita e misure analoghe. Il nostro
compito è aiutarli a mettere a punto
tali protocolli, che esistono già presso
la BBC, l’AFP e la Reuters. Si tratta di
obiettivi importanti, che vanno perseguiti anche a livello politico. Le organizzazioni non governative, l’Unesco
e altre agenzie dell’ONU stanno lavorando duramente per migliorare la sicurezza dei giornalisti in tutto il mondo,
ma si tratta di un processo di lungo termine: non è una cosa che si possa fare
O
dalla sera alla mattina. (mb)
CESE info — Novembre 2012/8 Edizione speciale
L’Algeria ha fatto molta strada dagli anni
‘90, quando 100 giornalisti persero la vita,
ma rimane un paese retto da un regime
autoritario, nel quale l’opposizione è
debole e divisa. La società civile non è ben
organizzata e, secondo gli osservatori, la
mancanza di solidarietà impedisce alla
categoria dei giornalisti di parlare con
una sola voce e rende impossibile creare
una struttura per la responsabilità.
«Il governo algerino sta cercando di
rispondere agli avvenimenti negli altri
paesi della regione impedendo che essi
si verifichino sul proprio territorio»,
spiega Milica Pesic, direttore esecutivo
del Media Diversity Institute (MDI). «Il
regime non teme la società civile, ma i
fondamentalisti islamici. Ho l’impressione che la primavera araba, che ha
attraversato tutti i paesi della regione, si
stia gradualmente trasformando in una
sorta di soluzione islamica. Sono piuttosto pessimista per il futuro».
Un risultato – e un possibile ostacolo al sostegno internazionale per il
miglioramento degli standard professionali – è la recente legge che vieta ai
media e alle organizzazioni della società
civile di accettare aiuti finanziari da
organizzazioni straniere a meno che
queste ultime non firmino un apposito
contratto con il governo. Questo provvedimento potrebbe impedire a organismi come l’MDI, che offre programmi
di formazione professionale, di operare
nel paese. Secondo Milica Pesic, tuttavia, questa legge è ancora applicata in
modo disomogeneo. «Lavoriamo anche
in altri paesi dove i regimi al potere non
ci accolgono a braccia aperte, ed è un
rischio che corriamo volentieri. Dobbiamo però ricordare i pericoli cui sono
esposti i nostri colleghi che decidono di
partecipare», sottolinea.
Intimidazione legalizzata
Per effetto delle severe leggi algerine in
materia di diffamazione a mezzo stampa,
molti giornalisti praticano l’autocensura. Le pubblicazioni che si espongono
a favore della democrazia e contro la
corruzione, come El Watan, subiscono
frequenti attacchi. L’anno scorso tuttavia, un esperto indipendente di diritti
umani delle Nazioni Unite, visitando il
paese, ha constatato un miglioramento
nel clima dell’informazione: i giornalisti
ora possono lavorare senza temere per la
loro vita. Frank La Rue ha chiesto però
che vengano realizzate le riforme necessarie a eliminare questa «intimidazione
legalizzata» che ostacola la libertà di
espressione.
A parte la televisione pubblica controllata dallo Stato, il pubblico algerino
può vedere cinque canali privati, quattro
con sede in Giordania e uno con sede a
Londra. Il governo afferma che la nuova
legislazione in materia di mezzi audiovisivi, in fase di adozione, consentirà
una maggiore libertà di espressione,
ma Milica Pesic è scettica al riguardo.
«Non credo proprio che questa nuova
legge aprirà spazi di pluralismo: si tratta
piuttosto di una misura di regolamentazione, spiega. Quello che temo è che la
maggior parte dei media indipendenti sia
controllata da persone scelte dal regime,
che quando ci saranno le elezioni diranno
ai telespettatori di votare per il partito
al potere. Stanno costruendo uno spazio
che sarà occupato dal governo».
“
Per effetto delle severe
leggi algerine in materia
di diffamazione a mezzo
stampa, molti giornalisti
praticano l’autocensura.
Le pubblicazioni che
si espongono a favore
della democrazia e contro la corruzione, come
El Watan, subiscono frequenti attacchi.
”
Visto il contesto, è comprensibile che
molti cittadini non si fidino dei mezzi
di comunicazione nazionali. «Preferiscono guardare canali stranieri, come il
programma della BBC in lingua araba,
Al Jazeera o Alassema», conclude Pesic.
O
La stampa egiziana sotto il
controllo dei Fratelli musulmani
In Egitto il braccio politico dei Fratelli
musulmani, ossia il partito Libertà e giustizia, sta conducendo una campagna di
repressione della libertà di stampa e dei
giornalisti critici nei confronti del potere.
«Gli oppressi di ieri sono diventati gli
oppressori dei giornalisti», denuncia Soazig Dollet, responsabile per l’area geografica Medio Oriente e Nord Africa presso
l’organizzazione Reporter senza frontiere,
che ha sede a Parigi.
I giornalisti si vedono imporre dai Fratelli musulmani le stesse restrizioni cui
erano soggetti sotto il regime trentennale
dell’ex presidente Hosni Mubarak, che
sfruttava il suo potere per avere media
condiscendenti, pronti a presentare in
una luce positiva gli interventi dell’esercito o del Consiglio supremo delle forze
armate.
«Il ruolo dell’esercito nella società e
nell’economia egiziana era veramente un
tabù [per i media]», osserva Dollet. I giornali di Stato pubblicavano regolarmente
in prima pagina immagini di Mubarak
tirato a lucido. Ma la caduta del presidente nel febbraio 2011 ha provocato un
moto di indipendenza da parte dei media,
che per un breve periodo hanno potuto
esprimere atteggiamenti critici, dipingendo Mubarak come un vecchio debole,
malato e disonorato.
In agosto, il caporedattore del quotidiano privato Al-Dustour è stato accusato
dal tribunale penale di Giza di «oltraggio
al presidente». In ottobre lo stesso tribunale ha rinviato al 7 novembre il processo
a Tawfik Okasha, un presentatore televisivo accusato a sua volta di oltraggio al
presidente. Nel frattempo le trasmissioni
dell’emittente per cui lavora il presentatore
sono state interrotte.
E, in settembre, le forze di sicurezza
hanno picchiato due giornalisti che si
occupavano delle proteste contro il film
anti islamico realizzato negli USA. Il
governo del presidente Mohamed Morsi
non ha ancora rilasciato alcuna dichiarazione o pronunciato scuse per l’incidente.
L’iniziativa di Morsi di vietare la detenzione preventiva dei giornalisti accusati di
reati legati alla stampa, adottata il 23 agosto
scorso, ha riscosso un certo consenso. Ma,
per le ONG che si battono per la libertà dei
media, si è trattato di un’operazione di facciata. Il giorno prima, le autorità avevano
sequestrato varie edizioni del settimanale
Al-Shaab, accusato di aver pubblicato articoli critici nei confronti del nuovo capo dei
O
servizi di intelligence egiziani.
© Baloncici
© Aleksandar Mijatovic
Il prezzo dell’autocensura in Algeria
L’opposizione ridotta al silenzio
Tuttavia, l’ascesa al potere dei Fratelli
musulmani il 30 giugno 2012 ha reintrodotto le minacce e la coazione come
strumenti per ridurre al silenzio le voci
fuori dal coro. «Per molti giornalisti
egiziani, criticare i Fratelli musulmani
è ormai impossibile», afferma Dollet. Le
aggressioni nei loro confronti, il sequestro
di giornali e i procedimenti penali contro
gli esponenti della stampa si fanno più
frequenti.
I media tunisini indipendenti in caduta libera Tunisia: continua la lotta per
l’indipendenza dell’informazione
© calvindexter
emendamenti controversi per indebolire
i testi originari. Uno degli emendamenti
al decreto 115, che intendeva criminalizzare la blasfemia e gli «attacchi al sacro», è
stato respinto il 12 ottobre dal presidente
dell’Assemblea costituente nazionale
Mustapha Ben Jaafar.
Secondo fonti interne al paese, la Tunisia
non terrebbe in alcun modo conto delle
condizioni di finanziamento internazionali che la obbligano ad applicare le leggi
a tutela della libertà di stampa. Un funzionario del governo, che preferisce rimanere
anonimo, ha riferito che una delegazione
europea, di concerto con la Banca mondiale e la Banca africana di sviluppo, ha
presentato a giugno delle proposte che vincolerebbero i finanziamenti internazionali
all’attuazione dei codici tunisini in materia
di stampa.
Tali codici, oggetto dei decreti 115 e
116 per la garanzia delle libertà di
stampa, sono stati adottati formalmente
dal parlamento nel novembre 2011, ma
non sono mai stati applicati. Da allora vi
sono stati diversi tentativi di introdurre
L’annuncio ha fatto tirare un cauto
sospiro di sollievo ad alcuni esperti. Alexandre Delvaux, consulente per i media
all’ambasciata svizzera di Tunisi, ha
dichiarato a CESEinfo che «alcuni membri
del governo semplicemente non comprendono il concetto di libertà di espressione».
Da gennaio sono stati documentati
almeno 130 casi di violazione della libertà
di stampa. In 84 di essi si è trattato di attacchi fisici diretti a giornalisti.
Radio e televisioni politiche
Secondo Delvaux, una lacuna nella legislazione in materia di mass media ha permesso la proliferazione di stazioni radio
e televisive non autorizzate. Alcune sono
legate a partiti politici e da essi finanziate, e
compromettono così il concetto di stampa
indipendente. «I loro messaggi, in genere,
non sono molto democratici e spesso
sostengono apertamente certi partiti come
Ennahda [il partito islamico moderato al
potere]», osserva Delvaux.
CESE info — Novembre 2012/8 Edizione speciale
Sebbene i canali televisivi, le stazioni
radio e i giornali finanziati dai partiti politici siano vietati, i media sostenuti politicamente stanno prendendo sempre più piede.
Il figlio di un ministro di spicco del governo
tunisino, ad esempio, dirige ora il canale
televisivo Zitouna TV, lanciato di recente.
Intervista a Mustapha Ben Letaief, professore
di diritto all’Università di Tunisi
la riforma del settore dei
media in Tunisia «conformi
alle norme internazionali
in materia di libertà di
espressione», si è dimessa in
blocco nell’aprile 2012. Perché
questa decisione?
“
Da gennaio sono stati
documentati almeno 130 casi
di violazione della libertà di
stampa. In 84 di essi si è trattato di attacchi fisici diretti a
giornalisti.
”
Lo scorso ottobre il leader di Ennahda,
Rashid Al-Ghannushi, avrebbe incoraggiato la frangia islamica radicale
dei salafiti a creare dei media propri. Il
movimento salafita intende reintrodurre
la sharia in Tunisia. Lo scorso settembre,
nei pressi di Tunisi, alcuni militanti salafiti hanno assaltato un albergo perché
serviva alcolici.
«Lui [Rashid] ha consigliato ai salafiti
di fondare un proprio canale televisivo e
radiofonico – cosa che, oltre a essere pericolosa, è anche illegale», avverte Delvaux.
O
Mustapha Ben Letaief, professore di diritto
all’Università di Tunisi
In quanto membro dell’Alta istanza
per la realizzazione degli obiettivi della
rivoluzione, il professor Ben Letaief ha
partecipato ai lavori della commissione
incaricata di riflettere sulla riforma dei
mezzi d’informazione audiovisivi in
Tunisia.
CESE Info: La Commissione
nazionale per la riforma
dell’informazione e della
comunicazione, incaricata
di formulare proposte per
Prof. Mustapha Ben Letaief: Prima di
tutto vorrei sottolineare che noi membri della Commissione non ci siamo
dimessi, ma abbiamo deciso di sospendere le nostre attività a causa di una
situazione di impasse con il governo.
Abbiamo ritenuto che quest’ultimo non
intendesse cooperare e che avesse ignorato le proposte e le raccomandazioni
che avevamo formulato a partire dal
dicembre 2011 e successivamente, nella
relazione generale trasmessa al governo
stesso, alla presidenza della Repubblica
e alla presidenza dell’Assemblea nazionale. Avevamo sottolineato e criticato
la mancanza di volontà di riformare e
proteggere la libertà d’informazione e
>>> p a g i n a 6
5
Co ntinua da pag. 5
Tunisia: continua la lotta per l’indipendenza dell’informazione
messo in rilievo, piuttosto, una volontà
di controllo e l’adozione di decisioni
unilaterali riguardanti il settore dell’informazione.
e tutti i principali responsabili, compresi quelli della televisione nazionale e
delle diverse emittenti radio pubbliche
nazionali e regionali, sono stati licenziati
e sostituiti con persone compiacenti o
vicine al potere.
In seguito la linea generale di
questi media è cambiata?
Per qualche mese c’è stata una certa,
relativa indipendenza. Successivamente,
però, i media di servizio pubblico hanno
cominciato a subire enormi pressioni,
Molti giornalisti dotati di spirito critico
sono stati messi da parte o «in naftalina».
Il tono e la linea generale scivolano progressivamente ma chiaramente verso
Intervista a Sihem Najar, ricercatrice presso l’Istituto
di ricerca sul Magreb contemporaneo
reale» che li vede partecipare a manifestazioni e sit-in, sostenere militanti politici,
assistere alle assemblee dei partiti politici,
intervenire in dibattiti televisivi e radiofonici e, contemporaneamente, proseguire le
loro «avventure virtuali».
© corepics
Si può parlare della
graduale affermazione di
media di servizio pubblico
indipendenti, in Tunisia?
una certa sottomissione alla volontà,
alle scelte e al punto di vista dei governanti, che cercano di farne dei media di
governo e non di servizio pubblico. Tuttavia ci sono atti di resistenza, e la lotta
per l’indipendenza dei media di servizio
O
pubblico continua. (mb)
I ciberattivisti
contro l’autoritarismo
L’autocensura: un fenomeno diffuso in Giordania
Intervista a Fateh Mansour, responsabile di programma presso il Centro per la difesa
della libertà dei giornalisti, Giordania
Fateh Mansour, responsabile di
programma presso il Centro per la difesa
della libertà dei giornalisti, Giordania
CESE info: La Giordania ha
recentemente emanato una
nuova legge sui media che,
secondo le voci critiche, limiterà
la libertà di espressione online.
Quali sono le disposizioni
principali di questa legge?
Fateh Mansour: La nuova legge sulla stampa
e le pubblicazioni estenderà il diritto penale
al ciberspazio al fine di controllare i media
online attivi in Giordania. La legge non
limiterà soltanto la libertà dei media, ma
anche la libertà di espressione, in generale,
e la libertà su Internet, in particolare, subordinando l’attività dei media elettronici al
rilascio di una licenza da parte del governo.
Il dipartimento della Stampa e delle pubblicazioni ha ora il potere di bloccare qualsiasi
sito web che non sia registrato e in possesso
di licenza, e di respingere qualsiasi richiesta di crearne di nuovi. Inoltre, un sito web,
pur essendo correttamente registrato e in
possesso di licenza, può essere bloccato se
giudicato inadempiente alle disposizioni di
legge. Secondo un nuovo disegno di legge,
queste restrizioni si applicheranno anche ai
siti web stranieri. Per di più, la nuova legge
considera i post inviati da lettori e internauti
come parte integrante di una notizia della
quale il sito web è responsabile. Se questi
messaggi saranno ritenuti criminosi, il
sito sarà sottoposto a sanzione. Si tratta di
misure inaccettabili e contrarie al codice
deontologico: i commenti dei lettori non
fanno parte del lavoro giornalistico. La
disposizione viola un principio giuridico
consolidato: quello della «individualità della
pena». Infine, la legge impone agli organi
giudiziari di trattare con estrema urgenza i
casi in cui sono coinvolti dei media, il che
contrasta con il diritto a un equo processo.
In base alla normativa in vigore
in Giordania, i giornalisti
possono essere perseguiti
penalmente per diffamazione
contro le istituzioni pubbliche,
i simboli e la religione. Questo
rischio porta all’autocensura?
Certamente. I giornalisti in Giordania
hanno spesso paura di criticare le istituzioni
pubbliche per via delle conseguenze giuridiche. Il nostro Centro realizza ogni anno un
sondaggio tra i giornalisti da cui è emerso
che, nel periodo 2008-2010, il 94-95 % di
essi ha esercitato forme di autocensura. Nel
2011, per effetto indiretto della primavera
araba che ha interessato la regione, la percentuale è scesa all’86 %. Questa diminuzione può essere uno dei motivi alla base
della nuova legge: i giornalisti cominciavano
infatti a superare le loro paure.
Quale pensa sia il modo migliore
per combattere l’autocensura?
L’autocensura è indotta da una serie di fattori: un quadro giuridico restrittivo, una
società conservatrice incline ad accettare le
restrizioni alla libertà dei media, un’insufficiente professionalità del giornalismo e l’ingerenza del governo. Per combattere contro
l’autocensura occorre lavorare simultaneamente su tutti questi fronti. Ciò significa
riformare le leggi, sostenere i difensori
della libertà dei mezzi d’informazione nella
società e sensibilizzare l’opinione pubblica.
È necessario altresì sviluppare le capacità e
porre fine all’ingerenza del governo rendendola illegale. Dobbiamo lavorare, inoltre,
per migliorare la sicurezza dei giornalisti.
Il nostro Centro fornisce assistenza legale
gratuita e raccoglie documentazione sugli
atti perpetrati contro i media.
La Giordania ha assistito di
recente a un forte aumento del
numero di portali informativi
su Internet. La qualità è riuscita
a tenere il passo con questa
evoluzione quantitativa?
Si può tranquillamente affermare che la
qualità è aumentata più lentamente della
quantità. Dobbiamo fare di più per rafforzare e innalzare il livello di professionalità
dei media giordani. È necessario costruire
e sviluppare nuove scuole di giornalismo,
perché quelle esistenti non forniscono agli
studenti gli standard, le competenze e le
O
conoscenze indispensabili. (mb)
Alimentare i fragili venti di libertà
in Marocco
Karim Boukhari, Editor TelQuel
Il Marocco è uno dei paesi sopravvissuti
alla primavera araba senza un cambio di
regime. Questo è dovuto in parte al fatto
che nel 2011 il re Mohamed VI ha assicurato che avrebbe portato avanti una serie
di riforme, le quali tuttavia non sono mai
state estese al settore dei media, e da allora
diversi giornalisti hanno subito atti di violenza o addirittura l’arresto.
6
TelQuel è una rivista settimanale che
ha preso posizione contro l’islamismo e
a favore della libertà di espressione. Lo
scorso anno, a causa di pressioni politiche,
il suo fondatore ed ex direttore Ahmed
Benchemsi è stato costretto a lasciare il
paese. Gli è succeduto Karim Boukhari.
restrizioni pubblicitarie. In un paese in
cui le inserzioni pubblicitarie provengono principalmente da istituzioni quali
banche, operatori telefonici, ecc. vicini a
chi detiene il potere, un giornale indipendente può essere privato di ogni fonte di
reddito».
«In Marocco, la libertà è in pericolo»,
ha dichiarato Boukhari a CESE Info. «Le
autorità impongono un certo numero di
divieti attraverso varie leggi che prevedono
la reclusione per i giornalisti. La monarchia, la religione, il Sahara, … sono tutti
argomenti tabù».
Negli ultimi tempi è nata un’altra forma
preoccupante di censura, quella degli stessi
cittadini. «La popolazione impone i propri divieti: la religione, l’Islam, il profeta,
Dio, sono argomenti estremamente delicati. Pur se si riesce a sfuggire alla collera
dello Stato, non si scappa alla rabbia della
popolazione».
La legge non è l’unica forma di repressione. «Quest’ultima si manifesta anche
a livello economico» spiega Boukhari.
«Un giornale indipendente può subire
Il governo promette che il nuovo codice
della stampa non prevederà alcuna misura
di restrizione della libertà per i giornalisti,
CESE info: dottoressa Najar,
talvolta si tende a pensare che
l’attivismo «virtu-reale» sia
iniziato con l’esplosione delle
rivoluzioni arabe. Al seminario
che abbiamo organizzato a
Cipro, Lei ha invece affermato
che ciberdissidenti e internauti
impegnati avevano iniziato la
loro attività su Internet già vari
anni prima della primavera
araba.
Sihem Najar: è difficile capire il ciberattivismo, che ha dato un forte contribuito
al rovesciamento dei regimi dittatoriali di
vari paesi del mondo arabo, senza inquadrarlo nel processo di cibermilitanza che
ha preso forma verso la fine degli anni ‘90.
Una delle azioni che ha segnato il web è
stata la manifestazione online contro il
regime di Ben Ali «Yezzi, Fock», letteralmente «adesso basta», lanciata nel 2005 da
Neila Charchour Hachicha. I ciberattivisti
hanno anche organizzato diverse manifestazioni online per lottare contro la censura della «ciberpolizia», rappresentata
fondamentalmente dall’Agenzia tunisina per Internet (ATI) e designata dagli
internauti con l’appellativo di «Ammar».
Inoltre il web, con i suoi diversi spazi
d’espressione, ha conosciuto un periodo
di gestazione delle rivolte popolari, analogamente a quanto avveniva sul campo
d’azione. Questo periodo, che si situa tra
il gennaio 2008 e il gennaio 2011, è caratterizzato da disordini sociali di vario tipo,
in particolare quelli del bacino minerario,
non riportati dai media «politicamente
corretti» e repressi con la violenza.
I movimenti sociali online che hanno
accompagnato gli avvenimenti succedutisi dal 17 dicembre 2010, giorno in cui
Mohamed Bouazizi si è dato fuoco, al
14 gennaio 2011, data in cui il presidente
destituito ha lasciato il paese, hanno costituito una svolta storica che ha segnato i
percorsi di militanza dei ciberattivisti. Da
allora, questi sono diventati protagonisti
e si sono lanciati in un attivismo «virtu-
afferma Boukhari. «Ma saprà mantenere
questa promessa? Io ho i miei dubbi».
Avanzare e retrocedere
Boukhari però non è totalmente pessimista. «Nonostante tutto, un margine
minimo di libertà sussiste tuttora in
Marocco. In confronto al resto del mondo
arabo, questo margine è reale ed interessante. È come un rivolo d’acqua sotto i
nostri piedi. Alcuni – come TelQuel – se
ne servono mentre altri, vuoi per autocensura vuoi per una mentalità conservatrice,
ci rinunciano. Questo dà l’impressione
contraddittoria che in Marocco la libertà
avanzi e retroceda al tempo stesso».
Come sono cambiati i
movimenti sociali online dopo
il 14 gennaio 2011, quando
il presidente destituito ha
abbandonato il paese?
L’impegno politico e civico dei ciberattivisti ha assunto diverse forme dopo il
14 gennaio 2011. A partire dalla lotta
contro l’autoritarismo, essi si sono dati
come missione principale quella di partecipare allo sviluppo politico e democratico
della società dalla base e di contribuite allo
sforzo per il passaggio alla democrazia.
Innanzitutto, hanno dato un apporto al
processo elettorale contribuendo a sensibilizzare i cittadini all’importanza del
voto. Sono inoltre sempre più presenti
sulla scena politica: a questo proposito, facciamo notare che tra i candidati
alle elezioni ci sono sette autori di blog.
Un’altra forma assunta da questa partecipazione è la lotta per un’informazione e
una democrazia trasparenti in Tunisia. In
questo senso, diversi blogger hanno sostenuto la campagna ≠7ell per un governo
aperto, chiedendo trasparenza all’interno
dell’Assemblea nazionale costituente
(ANC). Questa azione è stata appoggiata
da un gruppo di deputati dell’ANC che si
sono adoperati affinché venisse accettata
ufficialmente.
Pensa che il ciberattivismo
continuerà a svilupparsi in
Tunisia?
Il ciberattivismo è tanto più importante
oggi in quanto ha dimostrato il suo valore
partecipando alla lotta contro l’autoritarismo, e ciò gli permetterà di imporsi in
un contesto politico in piena gestazione.
I ciberattivisti dovranno ora imparare a
controllare meglio le loro azioni sia nello
spazio cibernetico che sul campo d’azione,
per raccogliere la sfida del passaggio alla
democrazia e dimostrarsi all’altezza delle
nuove sfide legate al processo di democratizzazione della società tunisina. (mb)O
mondo arabo, gli appelli a favore di una
limitazione della libertà di espressione. I
leader dei paesi musulmani hanno fatto
pressione sulle Nazioni Unite affinché promuovano una legge globale contro la blasfemia. Aidan White, Direttore della Rete
per un giornalismo etico, teme che questo
non possa far altro che acuire il conflitto
tra Islam e cristianesimo e rappresenti una
minaccia per le istituzioni democratiche.
Aidan White identifica tre problemi
fondamentali: «in Tunisia o in Egitto il
processo della primavera araba non ha
dato i risultati sperati», sostiene. La guerra
civile in Siria sta destabilizzando l’intera
regione e l’ombra del conflitto mediorienO
tale continua a fare da sfondo.
Gli attacchi all’Islam da parte di gruppi
in occidente hanno potenziato, in tutto il
CESE info — Novembre 2012/8 Edizione speciale
Ritrovare la stabilità e la fiducia in Europa:
la società civile per una nuova governance
Com’è ormai tradizione, l’Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale
europeo ha tenuto una riunione straordinaria nel paese che assume la presidenza
del Consiglio dell’UE. L’ultima riunione
straordinaria è stata anche l’occasione
per organizzare, insieme al governo della
Repubblica di Cipro, un convegno sul contributo che la società civile può apportare
alla definizione di nuove forme di governance politica volte a ristabilire la fiducia
e la stabilità nell’Unione europea. Sia il
vicesegretario del primo ministro della
Repubblica di Cipro sia il ministro cipriota
del Lavoro e degli affari sociali hanno sottolineato l’importanza di uscire dalla crisi
puntando sulla crescita e non basandosi
esclusivamente su politiche di austerità.
È questa la posizione che hanno difeso in
seno al Consiglio nella loro funzione di presidenti di turno, posizione perfettamente
in linea con quella espressa dal Comitato.
Dalla collaborazione tra il CESE e il governo
cipriota è nato il parere SOC/462 Rafforzare i processi partecipativi e il coinvolgimento degli enti locali, delle ONG e delle
parti sociali nell’attuazione della strategia
Europa 2020 elaborato dal Comitato proprio su richiesta della presidenza del Consiglio dell’UE. Uno dei messaggi chiave del
parere è appunto la necessità di coinvolgere
la società civile nel processo decisionale.
Come hanno ben messo in evidenza
i presidenti dei tre gruppi del CESE, è
fondamentale disporre di un sistema di
governance che consenta ai cittadini di
identificarsi con il modello sociale ed
economico europeo. I rappresentanti dei
datori di lavoro (I gruppo), dei lavoratori
(II gruppo) e delle attività diverse (III
gruppo) hanno sottolineato la necessità di
tener bene a mente i successi conseguiti dal
modello sociale europeo e di adeguarli al
momento attuale. Il I gruppo, ad esempio,
sta elaborando un codice di condotta che
permetta ai datori di lavoro di rispettare il
modello sociale europeo. I rappresentanti
della società civile cipriota e il governo
della Repubblica di Cipro si sono dichiarati d’accordo sul fatto che è possibile uscire
dalla crisi solo con più Europa. Forse, uno
degli argomenti più efficaci a sostegno di
questa tesi è quello di immaginare uno
scenario ipotetico in cui non esistono né
l’UE né i suoi risultati, un esercizio portato
avanti nel parere SC/35 sul costo della non
O
Europa. (asp)
Il vertice euromediterraneo 2012 dei CES e istituzioni analoghe riflette
un anno di grandi sconvolgimenti nella regione
preoccupazione per gli sconvolgimenti in
atto nella regione: «Tra i tanti aspetti che
mi colpiscono vi sono, in particolare, la
violazione dei diritti umani e delle libertà
fondamentali da parte di alcuni governi,
il degrado della situazione sociale ed economica, in particolare per le donne, così
come il mancato rispetto dei diritti sindacali, che ha impedito di avviare il dialogo
sociale in alcuni paesi. Sono tutte questioni che dobbiamo affrontare in questo
vertice.»
Vertice euromediterraneo, Amman, Giordania
Dal 17 al 19 ottobre si è tenuto ad Amman
(Giordania) il vertice euromediterraneo dei consigli economici e sociali e
istituzioni analoghe 2012, organizzato
congiuntamente dal CESE e dal CES
giordano. Oltre alla nutrita delegazione
del CESE, composta di 20 membri, hanno
partecipato al vertice – il secondo dall’inizio della «primavera araba» – diversi rappresentanti della società civile di 15 paesi
mediterranei e di numerosi Stati membri
dell’UE.
Nonostante il sole splendesse luminoso
in quello che è uno dei paesi più aridi del
mondo, il vertice ha preso il via in un’atmosfera cupa e concentrata, tenuto conto
di quanto sta avvenendo nella regione – in
particolare le violenze che imperversano
nella vicina Siria, ma anche la situazione
sempre più drammatica dei diritti umani
e sociali in diversi altri paesi.
È in questo spirito che il Presidente del
CESE Staffan Nilsson ha espresso la sua
È evidente che non esiste una bacchetta
magica in grado di dissipare le nuvole
minacciose che incombono su questi paesi,
ma il senso di urgenza ha spinto i 200 partecipanti a tenere discussioni intense e
animate, che hanno portato a formulare
diverse importanti raccomandazioni
su temi cruciali per la regione: migliorare la governance tramite un maggiore
coinvolgimento della società civile nella
definizione delle politiche; promuovere il
dialogo sociale e la formazione; garantire la
libertà dei media; migliorare la situazione
economica e sociale delle donne; rafforzare
il ruolo della società civile nella lotta alla
corruzione; rilanciare la politica energetica e industriale. La presenza del nuovo
premier giordano e di altre personalità di
spicco, tra cui parlamentari e ambasciatori,
è un segno della grande considerazione di
cui gode oggi la società civile nella regione.
E le prospettive, in effetti, non sono tutte
così fosche.
Nel corso delle discussioni è emerso
chiaramente che, nonostante i tanti passi
indietro, ci sono stati anche dei progressi
su diversi fronti: libertà dei media, lotta
alla corruzione e ruolo svolto dalla società
civile. Anche se nessuno è in grado di
prevedere quale direzione prenderanno i
cambiamenti in atto nella regione – finora
l’andamento è stato piuttosto irregolare -, è
forte la sensazione che almeno alcune delle
conquiste fondamentali della «primavera
araba» siano irreversibili.
CES in Marocco, alla possibile creazione di
un CES palestinese e al rilancio del CES
giordano. I partecipanti hanno adottato
una «Carta dei CES», che fissa dei criteri
di base in termini di rappresentatività
e indipendenza dei CES: essa servirà da
guida per i paesi della regione e potrebbe
costituire un’utile novità per i CES di tutto
il mondo.
Al vertice ha anche partecipato, per la
prima volta, una rete di ONG per ciascun
paese Euromed, come pure dei rappresentanti della Libia. La speranza è che, se
si riuscirà a tradurre questi progressi sul
campo in più ampie riforme politiche,
è possibile che, a lungo termine, si vada
verso un ulteriore miglioramento della
O
situazione nella regione. (gh)
Sono stati fatti passi avanti anche
rispetto alla creazione e allo sviluppo di un
LA SESSIONE PLENARIA IN SINTESI
Proteggere i lavoratori distaccati senza trascurare
le esigenze delle imprese
di norme specifiche in grado di proteggere i minori dalla pubblicità
pericolosa e dai contenuti online dannosi.
Alla sessione plenaria di settembre, il CESE ha adottato il parere elaborato da Thomas Janson (gruppo Lavoratori, Svezia) in merito alla
proposta della Commissione concernente l’applicazione della direttiva relativa al distacco dei lavoratori. Il
CESE ha accolto con favore l’intenzione
della Commissione di concentrarsi su una
migliore attuazione e su una cooperazione
amministrativa efficace tra Stati membri,
sottolineando al tempo stesso l’importanza
Thomas Janson, membro CESE, di garantire la protezione dei lavoratori
gruppo Lavoratori
distaccati e scoraggiare il dumping sociale
e la concorrenza sleale.
Pur sostenendo in linea di principio l’obiettivo dell’UE di creare
un mercato digitale unico competitivo, il CESE mette in guardia
contro l’adozione di misure che privilegino il commercio elettronico rispetto alla protezione dei minori. «La comunicazione della
Commissione sembra essere più attenta alla crescita commerciale
che alla protezione dei minori», avverte Antonio Longo (Italia,
gruppo Attività diverse), relatore di uno dei pareri.
A giudizio del CESE, per promuovere una concorrenza equa è importante garantire condizioni minime di lavoro omogenee, conformemente
alle legislazioni e ai contratti collettivi nazionali. Inoltre, la direttiva
dovrebbe puntare a evitare costi amministrativi superflui per le imprese.
Secondo il CESE, la comunicazione sulla strategia europea per
un Internet migliore per i ragazzi è stata un’occasione persa per
quanto riguarda la creazione di un quadro coerente per la protezione dei minori, poiché non contiene norme chiare sulla pubblicità
né alcun riferimento alla pubblicità di prodotti alimentari che, a
giudizio del Comitato, dovrebbe invece formare oggetto di una
regolamentazione specifica.
Il CESE ritiene che quello della responsabilità nei casi di subcontratto
sia un elemento cruciale della proposta di direttiva, che deve rispettare
i sistemi di responsabilità solidale esistenti negli Stati membri. I paesi
che non dispongono di tali sistemi dovrebbero introdurli previa conO
sultazione delle parti sociali. (ač)
Il CESE è favorevole a un maggior equilibrio
tra commercio elettronico e salute dei minori
Nella sessione plenaria di settembre il Comitato economico e
sociale europeo ha adottato due pareri in cui sollecita l’introduzione
Sebbene Internet non sia stato concepito pensando ai minori,
oggi il 75 % di essi lo utilizza. «Si tratta di un nuovo fenomeno da
tenere sotto controllo», ha spiegato Jorge Pegado Liz, relatore del
parere del CESE sulla pubblicità diretta ai giovani e ai bambini.
L’autoregolamentazione degli operatori del settore non è una
misura sufficiente per garantire la protezione dei minori online,
ha avvertito il CESE, aggiungendo che, sulle questioni più importanti, come la tutela dei dati personali o la pedopornografia, devono
essere varate norme rigorose che, in caso di violazione, prevedano
anche la chiusura immediata dei siti e la revoca delle autorizzaO
zioni. (mb)
Quanto costa l’attuale battuta di arresto
dell’integrazione europea?
George Dassis, presidente del
gruppo Lavoratori del CESE
In uno sforzo per contrastare il crescente
sentimento anti-UE diffuso tra i cittadini
europei e arginare l’avanzata del populismo e dell’estremismo, il Comitato ha
adottato nella plenaria di settembre un
parere sul costo della non Europa.
«I problemi economici attuali non sono il risultato degli eccessi di
Bruxelles, come vorrebbero le idee populistiche espresse in certi ambienti
politici di parecchi paesi dell’Unione, ma sono dovuti al fatto che l’integrazione europea è sostanzialmente incompiuta», ha affermato Georgios
Dassis, relatore del parere e presidente del gruppo Lavoratori del CESE.
Il tema è stato analizzato per la prima volta nel 1988 da Paolo Cecchini, autore per la Commissione europea di uno studio sul costo della
non Europa in relazione al mercato unico.
L’approccio adottato nel parere è tuttavia di portata più vasta: il
Comitato chiede una stima precisa del costo totale della non Europa
e del suo impatto sull’occupazione e sulla crescita; chiede inoltre che
la strategia Europa 2020 includa obiettivi di riduzione di tale costo,
accompagnati da un piano d’azione preciso e da una valutazione sistematica dei relativi progressi.
«I risultati di uno studio a 360 gradi costituiranno l’argomento più
solido contro gli euroscettici e contro i dubbi sull’UE», è la conclusione di
Luca Jahier, presidente del gruppo Attività diverse del CESE e correlatore
O
del testo. (mb)
Per ulteriori informazioni : http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.opinions
p
CESE info — Novembre 2012/8 Edizione speciale
7
PROSSIMAMENTE AL CESE
Una grande tifosa di cricket: Brenda King
Brenda King, membro CESE,
gruppo Datori di lavoro
Tomasz Jasiński: Potresti
parlarmi della tua esperienza
professionale?
Brenda King: Ho una laurea in statistica
ed economia e un master in ricerca operativa. Sul piano professionale, quindi, mi
sono specializzata nell’impiego di metodi
avanzati di analisi per aiutare i clienti a
prendere decisioni migliori.
Ho sempre voluto assistere
dal vivo, in India, a un incontro tra la nazionale indiana e
quella pakistana.
IN BREVE
Che sensazioni provi quando
torni nella tua isola?
Lo ricordo benissimo. Questo mese
saranno 10 anni esatti da quando sono
arrivata al CESE.
È bellissimo ritrovare la famiglia e gli
amici per raccontarci tutto quello che
abbiamo fatto, soprattutto con mio
nonno paterno, che ha un innato senso
dell’umorismo. Mi piace molto anche
passeggiare sulla spiaggia la mattina presto: è il mio modo per sentirmi in armonia con la natura.
Com’era il tuo stato d’animo
quel giorno?
Tomasz Jasiński, membro polacco del
gruppo Lavoratori del CESE e rappresentante dei consiglieri nel comitato di redazione di CESE Info, propone una nuova serie
di interviste incentrate su hobby, interessi
e convinzioni dei suoi colleghi membri del
Comitato. Di recente ha incontrato Brenda
King, membro britannico del gruppo Datori
di lavoro, la quale dirige anche l’organizzazione African & Caribbean Diversity e siede
nella Women’s National Commission del
Regno Unito. Riportiamo parte della conversazione tra i due consiglieri:
“
Ricordi il tuo primo giorno al
Comitato?
”
Di totale smarrimento, perché nessuno
di noi aveva ricevuto la minima informazione su quel che dovevamo fare: passavamo da una riunione all’altra votando
per gente mai vista prima e di cui non
sapevamo nulla.
Immagino che in tutti questi
anni tu abbia avuto modo di
cambiare idea?
Certo! Oggi il Comitato organizza delle
«giornate di accoglienza» per i nuovi
membri. Forte della mia esperienza,
ho anche promosso un paio di incontri
informali tra i consiglieri del mio gruppo
Datori di lavoro, per dar modo a tutti di
conoscersi in un clima più disteso, al di
fuori delle sale riunioni.
Qualche anno fa ho conosciuto
all’Isola Barbados la tua
splendida famiglia d’origine.
Vai spesso a trovarli?
Di solito vado una volta l’anno, ma nel
2012 eccezionalmente li ho visti in ben
quattro occasioni.
Quali sono i tuoi hobby?
Col passare del tempo, la famiglia e gli
amici contano sempre di più per me,
perciò adoro le riunioni familiari. Mio
marito e io siamo fortunati perché
entrambe le nostre famiglie del ramo
paterno organizzano regolarmente degli
incontri; tutti e due dobbiamo invece fare
grandi sforzi per mantenere i contatti con
i parenti del ramo materno.
Se potessi prenderti un
giorno tutto per te, come lo
trascorreresti?
Sono una grande tifosa di cricket e ho
sempre voluto assistere dal vivo, in India,
a un incontro tra la nazionale indiana e
quella pakistana. Non è la stessa cosa,
ma sono riuscita ad avere i biglietti per
la finale Pakistan/Sri Lanka dei Mondiali
2009 – la Twenty20 World Cup – a Londra. Ci sono andata vicina, anche se penso
che per un evento di questo tipo Londra
non possa rivaleggiare con Bombay. O
Difendere le imprese sociali in europa: in gioco un modello sociale e milioni di posti di lavoro
Da sinistra: Luigino Bruni, Università di Milano, e Luca Jahier, membro CESE,
gruppo Attività diverse
L’economia sociale può apparire come un
concetto vago e poco chiaro agli occhi dei
profani. Eppure si tratta di un settore che
dà già lavoro a più di 14 milioni di persone nell’UE, cioè a oltre il 6 % di tutti i
lavoratori. Se poi si considera che la crisi
attuale ha dimostrato che le imprese sociali
hanno una capacità di resistenza migliore,
non si può che giungere alle stesse conclusioni del gruppo Attività diverse del CESE:
l’economia sociale costituisce un settore
chiave dell’economia europea.
CESE info
Barbara Walentynowicz (bw)
Karin Füssl
Tomasz Jasiński – Rappresentante dei membri del CESE Coordinamento generale:
Nadja Kačičnik (nk)
nel comitato editoriale (gruppo Lavoratori, Polonia)
Maciej Bury (mb)
Coralia Catana (cc)
Adela Čujko (ač)
Raffaele De Rose (rdr)
Guy Harrison (gh)
Alejandro Izquierdo Lopez (ail)
Antonio Santamaria Pargada (asp)
Il 26 e 27 novembre 2012 si terrà a Zagabria,
in Croazia, il Quarto forum della società civile
dei Balcani occidentali, nel corso del quale
delegati provenienti dai paesi dei Balcani
occidentali, membri del CESE, rappresentanti
dei consigli economici sociali nazionali, rappresentanti delle istituzioni UE ed esponenti
della diplomazia si riuniranno per discutere
dei progressi registrati nelle relazioni tra l’UE
e la regione.
Il forum offrirà l’occasione per discutere
anche altre tematiche, come la libertà dei
mezzi di comunicazione, il coinvolgimento
della società civile nel processo di adesione
all’UE, lo sviluppo rurale e l’occupazione nei
Balcani occidentali.
Il forum della società civile dei Balcani
occidentali rientra tra le iniziative svolte dal
CESE nella regione, a complemento delle
attività bilaterali già avviate dal Comitato
con i paesi candidati nell’ambito dei comitati
consultivi misti, istituiti conformemente alla
base giuridica prevista dagli Accordi di stabilizzazione e associazione. Organizzato dal
2006 con cadenza biennale, il forum della società civile dei Balcani occidentali consente
uno scambio di vedute sulla situazione attuale della società civile nella regione, sulle
O
sue esigenze e sulla sua evoluzione futura.
Per ulteriori informazioni consultare il sito www.eesc.europa.eu
«Rafforzare l’Europa»:
con pratiche di lavoro
innovative possiamo riuscirci!
Il 3 ottobre scorso il gruppo Attività
diverse del CESE ha tenuto un convegno
intitolato Le imprese sociali e la strategia
Europa 2020: soluzioni innovative per
un’Europa sostenibile. Assieme al commissario europeo László Andor e a rappresentanti di imprese sociali e cooperative,
il presidente del gruppo Attività diverse
del CESE, Luca Jahier, e i membri del suo
gruppo hanno esaminato nuovi modi per
tutelare e promuovere l’economia sociale.
Nell’intento di promuovere a livello
europeo il concetto di innovazione sul
luogo di lavoro, il CESE sta organizzando un seminario di alto livello su
questo tema. Scopo del seminario, che
si terrà il 30 novembre prossimo, è offrire
l’opportunità di un dibattito con oratori
scelti che sensibilizzi sull’argomento e
presentare le conclusioni di uno studio
dell’Eurofound su organizzazione del
lavoro e innovazione sul lavoro.
I partecipanti sono giunti alla conclusione che le imprese sociali si trovano a
dover superare ostacoli amministrativi e
che esse hanno bisogno di condizioni paritarie di concorrenza rispetto agli operatori
economici tradizionali e di un migliore
accesso ai finanziamenti. Essi hanno inoltre invitato gli Stati membri a facilitare la
partecipazione delle imprese sociali agli
appalti pubblici, ad adottare tempestivamente uno statuto dell’associazione europea e a rinnovare il marchio dell’impresa
O
sociale europea. (ail)
Il seminario costituirà anche l’occasione per il lancio della pubblicazione della relazione finale dello studio
Eurofound, frutto di un’ampia ricerca
documentale e di un’analisi comparativa di 13 casi imprenditoriali, e riunirà
esponenti delle parti sociali e delle PMI,
esperti e rappresentanti governativi.
Per maggiori informazioni consultare il sito
eu
O
http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.events-and-activities-boosting-europe.
Il CESE info è inoltre disponibile in 22 lingue, in formato PDF,, sul sito Internet del CESE: http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.eesc-info
Caporedattrice:
Hanno collaborato a questo
numero:
Le relazioni UE-Balcani
occidentali sotto la lente
QE-AA-12-008-IT-N
INTERVISTE TRA COLLEGHI
Indirizzo:
Comitato economico e sociale europeo
Edificio Jacques Delors,
Rue Belliard/Belliardstraat 99,
B-1040 Bruxelles/Brussels, Belgique/België
Tel. +32 25469396 o 25469586
Fax +32 25469764
E-mail: [email protected]
Internet: http://www.eesc.europa.eu/
CESE info viene pubblicato nove volte l’anno in occasione delle sessioni plenarie del CESE.
Novembre 2012/8 Edizione speciale
Le versioni a stampa di CESE info in inglese, francese e tedesco possono essere ottenute
gratuitamente presso il servizio Stampa del Comitato economico e sociale europeo.
CESE info è inoltre disponibile in 22 lingue, in formato PDF, sul sito Internet del CESE:
URL: http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.eesc-info.
CESE info non può essere considerato come un resoconto ufficiale dei lavori del Comitato. A tal
fine si rimanda alla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea o ad altre pubblicazioni del Comitato.
La riproduzione – con citazione della fonte – è autorizzata (a condizione di inviare una copia
alla redazione).
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Prossimo numero: dicembre 2012