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Limiti dell’attività criminosa sotto
copertura e adempimento del dovere
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Un ufficiale di PG, nell’ambito di una indagine diretta e coordinata dalla Direzione Investigativa Antimafia di Beta, diretta a sgominare un traffico di cocaina,
nutrendo fondati sospetti che Caio, in qualità di referente del clan di Beta, sia
dedito al traffico di stupefacenti, ordina al suo sottoposto Tizio di infiltrarsi nell’organizzazione e reperire le prove a carico di Caio attraverso una attività di osservazione.
Tizio allora diventa amico di Caio e, conquistatane la fiducia, gli propone l’acquisto per la vendita di una partita di droga. Caio accetta ed insieme a Tizio si recano
all’estero dove acquistano una partita di cocaina pura, la tagliano, ne confezionano le singole dosi ed, infine, le pongono sul mercato per la vendita. A questo
punto, Tizio arresta Caio.
Posto che Caio è certamente responsabile penalmente, può anche Tizio essere
ritenuto colpevole per la vendita di droga? Il candidato rediga parere motivato.
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Per un corretto inquadramento e risoluzione del parere proposto, resta preliminare una disamina circa la qualificazione terminologica dell’Ufficiale di PG
che, in ossequio delle condizioni di legge, pone in essere una attività di investigazione sotto copertura.
Innanzitutto è opportuno chiarire la differenza tra la nozione di agente sotto
copertura (cd. undercover) ed agente provocatore. L’agente sotto copertura è
colui che pone una condotta di mera osservazione o di mantenimento nell’ambito di un’attività investigativa ufficiale; tale condotta è diretta ad intervenire in
presenza di sospetti che configurino a carico di uno o più persone un giudizio
di estrema probabilità in ordine alla concretizzazione di un’attività di preparazione o commissione di uno o più reati. In tale ipotesi, l’agente cd. undercover
si inserisce in attività penalmente illecite con l’obiettivo di scoprire, denunciare
o cogliere in stato di flagranza i responsabili di delitti, mai assumendo un ruolo
attivo nella commissione degli stessi.
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L’agente provocatore, invece, è colui che, pur trovandosi nell’analoga posizione dell’infiltrato, pone in essere una condotta attiva, ossia di induzione, ideazione ed esecuzione di fatti penalmente rilevanti che, senza il suo intervento,
non si sarebbero verificati.
Per poter valutare appieno la figura dell’agente sotto copertura, corre l’esigenza di valutare l’eventuale sussistenza di una responsabilità penale a carico
del Carabiniere, e quindi, sia pur sintetica, analisi dei profili strutturali della
causa di giustificazione dell’adempimento del dovere, onde valutare la sua idoneità a scriminarne la condotta criminosa.
In particolare, ai sensi dell’art. 51 c.p., «… l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità,
esclude la punibilità.
Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’Autorità, del reato
risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine.
Risponde del reato altresì chi ha eseguito l’ordine, salvo che, per errore di
fatto, abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo.
Non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine».
La ratio della esimente va individuata nel principio di non contraddizione
(FIANDACA) per cui l’ordinamento non può, ad un tempo, imporre un certo
comportamento e vietarlo senza entrare in contraddizione con se stesso (FIANDACA, MANTOVANI).
Questa esimente ha in comune con quella dell’esercizio del diritto il fatto di
consistere in un comportamento ammesso dalla legge. Tuttavia mentre l’esercizio del diritto presuppone un potere di agire riconosciuto dalla legge (cioè una
possibilità di scelta se agire o meno), l’adempimento del dovere presuppone
che il comportamento sia ammesso dalla legge in quanto imposto al soggetto
(quindi manca il potere di decidere se agire, e vi è un obbligo di agire).
Come si evince dal tenore letterale di tale previsione, il dovere idoneo a
scriminare può scaturire o da una norma giuridica o da un ordine legittimo
della pubblica autorità.
Quanto alla prima, per norma giuridica si intende qualsiasi regola di diritto,
sia scritta sia consuetudinaria, sia del potere legislativo che del potere esecutivo
(regolamento) (FIANDACA-MUSCO); casi tipici sono quelli dell’agente di polizia
giudiziaria il quale compie una perquisizione domiciliare, dell’ufficiale giudiziario che procede a un pignoramento etc.
Si discute, anche con riferimento alla scriminante in esame, se l’espressione
«norma giuridica» usata dall’art. 51 vada limitata alla sola legge o anche ad altre
fonti normative, come i regolamenti.
Anche qui, come già visto con riferimento all’esercizio del diritto, appare
preferibile l’interpretazione più ampia (FIANDACA-MUSCO).
Per la giurisprudenza l’adempimento di un dovere imposto da una norma
giuridica vale come causa di giustificazione solo quando rientra nell’ambito dei
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doveri di diritto pubblico (cfr. Cass, sez. I, 28-2-1969, Murgia; Cass., sez. I, 1-31969, Faccin; Cass., sez. VI, 29-9-1987, Alan). In particolar modo la Suprema
Corte si era pronunciata sull’ammissibilità della condotta dell’agente infiltrato,
dichiarandosi molto restrittiva circa lo spazio operativo a disposizione dell’ufficiale (per tutte Cass., sez. IV, 6-7-1990, Carpentieri): l’orientamento assolutamente consolidato è nel senso che l’agente undercover non è punibile in quanto
espleti un’attività avente efficacia di mero «controllo, osservazione e di contenimento dell’altrui attività illecita» (Cass., sez. VI, 31-12-1998, «… quando invece la
condotta si inserisca nell’iter criminoso con rilevanza causale … non opera la
causa di giustificazione e l’agente è punibile a titolo di concorso nel reato»).
Se il dovere ha origine in una legge costituzionalmente illegittima, il dovere è
produttivo di effetti finché non venga dichiarata l’illegittimità costituzionale della legge.
Il dovere scriminante può trovare la sua fonte anche nel diritto internazionale
generalmente riconosciuto limitatamente alle condotte tenute all’estero, soggette all’efficacia extraterritoriale della legge italiana in virtù dell’art. 10 Cost. (FIANDACA-MUSCO).
Oltre che direttamente dalla legge, il dovere può derivare da un ordine
dell’Autorità.
Ovviamente, anche in questo caso fonte del dovere sarà pur sempre una
legge che consenta al superiore di dare quell’ordine all’inferiore: solo che qui, a
differenza che nel caso precedente, la legge funge da fonte mediata in quanto il
suo contenuto obbligatorio viene imposto al soggetto attraverso l’esercizio di un
potere di imperio della Pubblica Amministrazione (M. ROMANO).
Ordine è qualsiasi manifestazione di volontà che un superiore rivolge ad un
subordinato affinché questi tenga un determinato comportamento.
Presupposto di tale ipotesi di esimente è l’esistenza tra il superiore e l’inferiore di un rapporto di subordinazione di diritto pubblico.
Secondo la prevalente dottrina (MANTOVANI, FIANDACA-MUSCO) non ogni
ordine viene in rilievo ai fini della norma in esame, ma solo quelli dati dalla
Pubblica Autorità (così testualmente l’articolo 51) perché questa è vincolata al
perseguimento di un pubblico interesse che, in quanto tale, può prevalere sull’interesse, ugualmente pubblico, tutelato dalla legge penale. Resterebbero fuori, pertanto, tutti i rapporti di subordinazione di diritto privato, come, ad esempio, quello tra genitori e figli o fra datore di lavoro e lavoratori subordinati.
L’ordine, dunque, deve provenire da un pubblico ufficiale (cfr. art. 357) o da
una persona incaricata di un pubblico servizio (cfr. art. 358); si discute se l’ordine possa provenire da un soggetto esercente un servizio di pubblica necessità
quando sussiste tra costui ed altri soggetti un rapporto di supremazia-subordinazione (la giurisprudenza appare al riguardo divisa).
Oltre che provenire da uno dei soggetti pubblici indicati, l’ordine, per essere
vincolante e per esimere da responsabilità sia chi lo ha dato che chi lo ha eseguito,
deve essere legittimo, tanto sotto il profilo formale quanto sotto quello sostanziale.
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In tal senso il Legislatore ha licenziato una serie di interventi normativi che
affrontavano la disciplina dell’attività dell’agente undercover: si pensi, tra i più
notevoli, agli artt. 97 e 98 D.P.R. 309/90 in materia di stupefacenti, art. 12 quater
D.L. 306/92, convertito con modifiche nella L. 7-4-1992 n 356 in materia di
contrasto alle organizzazioni di stampo mafioso, art. 10, D.L. 31-12-1991 n. 419
convertito con modifiche nella L. 18-2-1992 n. 172 in materia di estorsione,
riciclaggio ed usura, e da ultimo l’art. 4 D.L. 18-10-2001 n. 374 convertito in L.
15-12-2001 n. 438 in materia di terrorismo internazionale (configurazioni in gran
parte abrogate in quanto «ridisegnate» dalla previsione dell’art. 9 della L. 16-32006, n. 146).
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Per la legittimità formale dell’ordine è richiesto che:
a) il superiore abbia la competenza ad emetterlo;
b) il subordinato abbia la competenza ad eseguirlo;
c) siano state rispettate le procedure e le formalità di legge previste per la sua
emissione.
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Per la legittimità sostanziale dell’ordine, devono esistere i presupposti richiesti dalla legge.
In conclusione, dunque, possiamo ritenere che qualsiasi fatto astrattamente
costituente reato, che sia stato commesso in esecuzione di un ordine legittimo,
emanato da un soggetto pubblico nell’esercizio di una potestà pubblica, non è
punibile perché il fatto stesso non costituisce reato, tanto per il superiore che ha
dato l’ordine quanto per il subordinato che l’ha eseguito.
Quanto fin detto vale per ordini legittimi, ma quid iuris se l’ordine è illegittimo?
Se l’ordine è illegittimo, la responsabilità del reato ricade sempre sul pubblico ufficiale che ha dato l’ordine (art. 51, 2° comma).
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L’esecutore dell’ordine risponde insieme col pubblico ufficiale, a meno che
(art. 51, 3° e 4° comma):
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a) per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire a un ordine legittimo.
Se ad esempio, un soldato, credendo che sussista ancora lo stato d’assedio in
una città, obbedisce all’ordine del suo ufficiale di sparare contro alcuni passanti, non risponderà del reato a motivo dell’errore di fatto in cui versa. In tal
caso, il fatto, sebbene antigiuridico, non è colpevole. L’ordine non costituisce
causa di liceità, ma esclude la colpevolezzza (così BETTIOL).
b) la legge non gli consenta alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine.
Ciò non avviene, ad esempio, se un rettore comandasse al segretario della
Facoltà di iscrivere un giovane privo di titolo di studio. Il segretario sarà
responsabile, in quanto funzionario non meramente esecutivo e perciò non
tenuto ad obbedire senza effettuare un previo sindacato sulla legittimità dell’ordine.
L’insindacabilità è però solo sostanziale, mai formale, e pertanto sarà sempre
possibile per il subordinato verificare: 1) la forma dell’ordine; 2) l’attinenza del-
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l’ordine al servizio; 3) la competenza dell’autorità ordinante. Secondo la prevalente dottrina (MANTOVANI, FIANDACA) e il progetto di riforma del codice
penale, nell’ipotesi di «manifesta criminosità dell’ordine» l’inferiore non è più
vincolato alla pronta obbedienza ma ha il diritto-dovere di opporre un rifiuto. È
il caso dell’ufficiale di polizia, ubriaco o impazzito, che ordini di sparare su una
pacifica folla.
Anche la disciplina sugli stupefacenti, come nel caso che ci occupa, contiene
importanti norme circa l’attività investigativa della PG. finalizzate a rendere più
incisivi gli interventi per una efficace repressione dei traffici illeciti di stupefacenti: l’art. 97 D.P.R. 309/90 introduce la figura dell’«agente provocatore», consentendo alla PG di procedere all’acquisto simulato di droga al fine di acquisire
elementi di prova in ordine ai reati previsti in materia di stupefacenti.
Anche l’art. 98 D.P.R. 309/90, per la stessa finalità investigativa e probatoria,
configura la possibilità di ritardare o di omettere atti di cattura, di arresto o di
sequestro.
La norma de quo (art. 97) legittima la effettuazione di attività sotto copertura
degli Ufficiali di PG addetti alle unità specializzate antidroga che agiscono in
esecuzione di operazioni antidroga disposte dalla Direzione centrale per i servizi antidroga.
Fermo restando quanto detto a proposito dell’art. 51 cp., l’art. 97 prevede che
non sono punibili gli ufficiali di PG addetti alle unità specializzate antidroga che, al
solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai reati in materia di stupefacenti
ed in esecuzione di operazioni antidroga disposte dalla Direzione centrale dei servizi antidroga, procedono all’acquisto di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Dal punto di vista della natura giuridica dell’art. 97, la norma viene ritenuta
una codificazione di una autonoma e speciale causa di giustificazione della
figura di agente provocatore.
Perché, allora, l’acquisto simulato possa considerarsi lecito e, dunque, non
punibile, occorre che si proceda con le cautela previste dalla legge.
In primo luogo, da un punto di vista soggettivo, l’acquisto è riservato esclusivamente alla competenza di un ufficiale appartenente alle unità specializzate
antidroga (ad. es., SCO, ROS, GICO e GOA); da un punto di vista oggettivo —
onde escludere iniziative personali che possano ingenerare dubbi sulla loro
legittimità — le operazione devono essere effettuate sulla base della decisione
autonoma e non coordinata dell’ufficiale di PG procedente, che deve essere
autorizzata ed organizzata dagli organi di vertice della Direzione centrale per i
servizi antidroga.
Sotto il profilo della finalità dell’operazione, poi, l’acquisto per essere legittimo deve essere esclusivamente diretto ad ottenere elementi di prova in ordine
ai delitti previsti dalla legge sugli stupefacenti, dunque al di fuori di ogni altra
finalità. Si ritiene comunque legittimo l’acquisto simulato anche quando, oltre ai
reati concernenti stupefacenti, ne emergano altri di diversa natura, in evidente
connessione con i primi.
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In giurisprudenza è di notevole interesse il dibattito in ordine alle attività cd.
strumentali connesse alle condotte ammesse sotto copertura ex art. 97 legge
droga; in proposito la Suprema Corte (Cass., sez. VI, 3-12-1998, laddove «la
causa di giustificazione di cui all’art. 97, D.P.R. 309/90, scriminando l’acquisto
simulato di droga, necessariamente legittima anche le attività strumentali all’acquisto medesimo, … rappresenta il naturale e fisiologico antecedente o susseguente») ha avuto modo di precisare che deve ritenersi corretto estendere l’impunità non solo all’attività materiale dell’acquisto simulato di sostanze stupefacenti, ma anche a quelle che costituiscono l’antecedente logico o l’ovvio sviluppo dell’azione infiltrata. D’altronde la stessa Corte ravvisa che «… ove con l’acquisto simulato, che pur rappresenta il momento culminante di infiltrazione
nell’illecito traffico, l’attività investigativa dovesse arrestarsi, verrebbe perduta
l’occasione di più cospicui risultati».
Di tale realtà tiene conto la legge in parola allorquando al co. 2 dell’art. 97
prevede che, avvenuto l’acquisto, l’autorità giudiziaria può differire il sequestro
fino alla conclusione delle indagini; o allorchè il co. 1 dell’art. 98 prevede che
l’autorità giudiziaria può ritardare o disporre che sia ritardata l’esecuzione di
provvedimenti di cattura ed arresto dei responsabili.
Sulla scorta dell’art. 97, D.P.R. 309/90, il personale qualificato appartenente
agli organismi specializzati di investigazione può infiltrarsi nel circuito criminale
al solo fine di eseguire acquisti simulati di sostanze stupefacenti, ovvero di
acquisire elementi di prova in ordine ai delitti in materia di sostanze stupefacenti, ovvero di riciclaggio, di delitti concernenti armi, munizioni ed esplosivi.
Circa i limiti dell’impunità dell’infiltrato, questa deve concernere i reati oggetto
dell’esimente di cui all’art. 97, onde il coinvolgimento di questi nell’organizzazione criminale non può arrivare al punto di indurlo alla commissione di ulteriori
reati, diversi da quelli scriminati o connessi con quelli oggetto dell’operazione.
Analogamente, si puntualizza che la scriminante può estendersi ai comportamenti che necessariamente precedono l’acquisto (ad es. la richiesta o la sollecitazione a vendere), ancora con riguardo alla condotta istigatoria.
L’orientamento assolutamente consolidato è infatti nel senso che l’agente
provocatore, anche se appartenente alla polizia giudiziaria, non è punibile solo
se il suo intervento è «indiretto e marginale» nell’ideazione ed esecuzione del
fatto, risolvendosi essenzialmente in un’«attività di controllo, di osservazione e di
contenimento dell’altrui azione illecita»; mentre è punibile, come concorrente
nel reato, il soggetto che svolge una concreta attività di istigazione o, comunque, un’attività avente efficacia determinante o concausale (materiale o psichica) nella progettazione e commissione dei delitti (Cass., Sez. VI, 6 luglio 1990,
Carpentieri, in Mass. Cass. pen., 1991).
Tornando all’aspetto funzionale circa la figura normativa dell’agente provocatore, bisogna sottolineare che l’operato di quest’ultimo trova, infatti, fondamento e giustificazione nell’ordine impartito dal suo superiore gerarchico, ordine
che, ovviamente, deve essere formalmente e sostanzialmente legittimo; è, ap-
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punto, sulla legittimità sostanziale dell’ordine di partecipare all’altrui attività criminosa per farla fallire e farne arrestare gli autori che si pongono i maggiori problemi.
Anche se è pacifico, in dottrina ed in giurisprudenza, che il solo fine, per
quanto nobile ed altruistico, non può rendere legittimo un ordine di contenuto
criminoso, si ritiene che l’ordine, per essere legittimo e vincolante per l’inferiore,
deve avere per contenuto solo quello di partecipare alla preparazione del reato
che si intende far fallire, limitandosi ad una attività di controllo e di osservazione
dell’altrui attività illecita, senza alcuna possibilità di dare poi effettiva esecuzione
al reato o, comunque, di agevolarlo; tale contenuto, unito alla mancanza di dolo
nell’agente provocatore, porterà alla sua non punibilità.
È appunto per il limitatissimo contenuto che può avere l’ordine di partecipare
all’altrui attività criminosa al fine di scoprirla ed assicurarne i colpevoli alla giustizia che il legislatore, per alcuni casi particolari in cui è necessario spingersi più in
là con l’attività di provocazione, ha introdotto autonome figure di scriminanti, fra
le quali quella, nel nostro caso rilevante, prevista dall’art. 97, D.P.R. 309/90.
Un ulteriore aspetto concerne la posizione dell’ufficiale di PG che ha proceduto all’acquisto simulato nel procedimento penale ingeneratosi.
Per non svuotare di sostanziale efficacia pratica l’esimente, deve ritenersi
corretto estendere l’impunità non solo all’attività materiale dell’«acquisto» dello
stupefacente, ma anche a quelle che ne costituiscono un logico antecedente o
sviluppo, in entrambi i casi necessario per il buon esito dell’azione infiltrata: si
pensi, così, alla preliminare condotta istigatoria dell’infiltrato, finalizzata ad ottenere la cessione dello stupefacente, e, dopo l’acquisto, alle condotte di detenzione e trasporto della droga trattata, necessarie nella non infrequente ipotesi in
cui l’operazione sotto copertura non possa concludersi con l’effettuazione
dell’acquisto ma debba proseguire per soddisfare le più svariate esigenze investigative (possibilità di procedere in un secondo momento alla «trattazione» di
ulteriori quantitativi di sostanze stupefacenti; necessità di individuare ulteriori
componenti dell’associazione criminosa; necessità dell’allontanamento dell’infiltrato dal luogo dell’operazione per ragioni di sicurezza personale ed impossibilità di un’immediato intervento dall’esterno delle forze dell’ordine di supporto
per l’esecuzione materiale del sequestro o l’arresto dei responsabili; e simili).
In tutte queste ipotesi, la condotta dell’infiltrato esula da quella «tipica» dell’acquisto scriminato e formalmente integra altre condotte pure incriminate dall’art. 73
d.P.R. n. 309/90: l’estensione dell’esimente dell’art. 97 anche a queste ultime è
però condizione imprescindibile per rendere utilmente operativa l’azione simulata
e trova la propria giustificazione nel fatto che trattasi di condotte che, come correttamente evidenziato dalla Cassazione, rappresentano null’altro che il «naturale e
fisiologico antecedente o susseguente» di quella di acquisto della sostanza.
Escludendosi a priori l’ipotesi che il pm possa valutare de plano la sussistenza della causa di giustificazione, in concreto questa deve essere rimessa alla
valutazione del giudice.
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Pertanto, il pm deve procedere nei confronti dell’agente provocatore con la
iscrizione nel registro delle notizie di reato ex art. 335 c.p.p. e, quindi, richiedere
al gip l’archiviazione.
La soluzione non è stata condivisa dalla giurisprudenza (Cass., sez. 6°, 10/4/
1995, Ascia) secondo cui l’acquirente simulato è insuscettibile di essere sottoposto ad indagini preliminari. È il pm che deve valutare la condotta dell’operante
e concludere per l’operatività della causa di giustificazione esaminando l’operazione simulata; nel caso di verifica positiva, cioè valutata la ricorrenza della
scriminante, il pm potrà omettere l’iscrizione nel registro.
In caso di verifica negativa, valutata cioè l’ipotesi di sussistenza di un reato
inerente alle sostanze stupefacenti non scriminato ex art. 51 c.p. e 97 D.P.R. 309/
90, qualora intenda escludere la responsabilità penale a carico dell’infiltrato, il
pm dovrà inoltrare al gip la richiesta di archiviazione, all’esito delle indagini
preliminari.
Tutto ciò premesso, è ora possibile valutare la rilevanza penale della condotta posta in essere dal Carabiniere. Dalle concrete modalità di essa, risulta evidente come la medesima esuli dai connotati sia dell’art. 51 c.p., sia dell’art. 97
del Testo unico stupefacenti.
Per quanto riguarda quest’ultima disposizione, il caso in esame evidentemente esula dai ristretti limiti entro i quali opera la scriminante speciale de qua. Per
concludere in tal senso è sufficiente osservare che Tizio, aiutato da Caio, ha
rivenduto la droga acquistata.
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Tornando, allora a considerare il caso alla stregua dell’art. 51 c.p., si deve
constatare che l’ordine impartito dal tenente è, di per sé, perfettamente legittimo
in quanto:
— il tenente era competente ad emetterlo;
— il carabiniere doveva ottemperarvi;
— la procedura seguita era corretta (ordine verbale di svolgere un’indagine).
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Tuttavia, l’intrinseco contenuto dell’ordine era limitato al reperimento delle
prove a carico del trafficante di droga e non contemplava affatto per il sottoposto la possibilità di ideare ed eseguire fatti illeciti. Ove il tenente avesse inteso
impartire proprio un simile ordine, egli avrebbe certamente impartito un ordine
illegittimo, di cui si sarebbe dovuto assumere la responsabilità penale.
È del tutto evidente, a questo punto, che l’attività concretamente posta in
essere da Tizio (vendita di droga) è criminosa, e punibile, perché non sorretta
da un ordine legittimo. L’ordine, infatti, è mancato, e — per giunta — anche se
fosse stato relamente impartito, si sarebbe rivelato illegittimo.
In definitiva, per poter correttamente invocare la scriminante dell’adempimento di un dovere occorre che il comportamento dell’agente provocatore venga
limitato ad un’attività di controllo e di osservazione dell’attività illecita altrui
(per ideazione e per organizzazione) e sia finalizzata a limitarne portata ed
effetti, non già a contribuire alla riuscita del piano criminoso.
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Per completezza, si rileva che la condotta di Tizio risulta indifendibile anche
se rapportata al parametro dottrinale della mancanza di dolo. Invero, nel momento in cui Tizio si adopera a confezionare e addirittura a vendere la sostanza
stupefacente, egli contribuisce attivamente e — nonostante le buone intenzioni
— deliberatamente alla lesione dei beni giuridici protetti dalle norme che puniscono il traffico di droga.
Inoltre è da sottolineare come la disciplina dell’acquisto simulato di sostanze
stupefacenti è regolata in modo rigido dalla legge: innanzitutto la notizia di
reato va trasmessa «al più tardi nelle quarantotto ore dal compimento dell’atto»
(art. 347, co. 2bis, c.p.p.), ma anche «immediatamente» se essa riguarda uno dei
delitti indicati dall’art. 275, co. 3, c.p.p. ed in ogni caso quando sussistono ragioni di urgenza, e ciò vale sostanzialmente anche nel caso che ci concerne seguendo il dettato dell’art. 97, D.P.R. 309/90, laddove si prevede che dell’acquisto
di sostanze stupefacenti va data «immediata e dettagliata notizia» alla Direzione
centrale per i servizi antidroga ed alla Autorità Giudiziaria. Tale inadempimento
può dar luogo, se intenzionale, all’illegittimità della successiva detenzione della
droga da parte dell’ufficiale di PG e quindi la configurabilità a suo carico del
reato di cui all’art. 73, D.P.R. 309/90.
In conclusione, la scriminante speciale dell’acquisto simulato di droga che
esclude la responsabilità penale dell’agente undercover sul terreno dell’antigiuridicità, della colpevolezza e della tipicità, non può essere invocata sempre ed in
modo superficiale. Nel nostro caso, ad es., può essere scriminata l’attività di
acquisto della partita per le menzionate indagini investigative qualora siano
state preventivamente autorizzata dalla Direzione antidroga. Non mai può essere considerata attività sotto copertura quella della vendita della droga stessa,
anche tenendo presente la premessa distinzione con l’agente provocatore. Pur
avendo la giurisprudenza interpretato con estremo favore le ipotesi cd. strumentali alle attività poste sotto copertura, ragionevolmente intendendo le stesse quali attività prodromiche o naturalmente successive alla condotta posta in essere
dall’infiltrato, non bisogna dimenticare che si tratta pur sempre di attività di
natura illecita e che devono sempre essere previamente autorizzate dall’Autorità
preposta; nel ns. caso, invece, non solo l’agente infiltrato era stato investito di
una semplice attività di osservazione, ma non aveva ricevuto alcun ordine diretto a provocare l’acquisto di una partita di sostanza stupefacente e, di conseguenza, non poteva porre in essere alcuna attività di acquisto simulato, anche
considerando che deve ritenersi illecita sempre ed in ogni caso l’attività di vendita. In pratica, l’agente sotto copertura o undercover si è comportato come un
agente provocatore senza alcuna causa o legittimazione; pertanto deve rispondere in proprio come concorrente ex art. 110 c.p. nella condotta di acquisto e
vendita di sostanza stupefacente.
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Riferimenti normativi e giurisprudenziali
(V. amplius SIMONE, Codice Penale Commentato - C3, ed. 2007)
• artt. 51 c.p.: Presupposti e limiti dell’adempimento del dovere scriminante;
Applicazioni pratiche.
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(V. amplius SIMONE, Leggi Complementari al Codice Penale - C5, ed. 2007)
• artt. 97 e 98, D.P.R. 9-10-1990, n. 309.