Comunicato Spoerri ITA
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Comunicato Spoerri ITA
Daniel Spoerri: dai Tableaux-pièges agli Idoli di Prillwitz Genova, Museo d’arte contemporanea di Villa Croce 25 marzo/20 giugno 2010 a cura di Thomas Levy, Barbara Räderscheidt, Sandra Solimano Il Museo di Arte Contemporanea di Villa Croce presenta – dal 25 marzo al 20 giugno 2010 – l’importante retrospettiva Daniel Spoerri: dai Tableaux-pièges agli Idoli di Prillwitz, una lettura critica complessiva dello straordinario lavoro di uno dei protagonisti dell’arte contemporanea, a partire dalla sua adesione al gruppo dei Nouveaux Réalistes, nell'ottobre del 1960, sino ad oggi. La mostra, organizzata in occasione degli ottanta anni di Spoerri, si inserisce nel ciclo delle esposizioni dedicate da Villa Croce ai grandi protagonisti dell’arte del Secondo ‘900, da Duchamp a Beuys ad Allan Kaprow. Il percorso della mostra inizia nella stanza del Camino, al piano terra della Villa, con alcune recenti sculture della serie “Idoli di Prillwitz”: Il guerriero, Il palombaro, Il mostro-granchio, realizzate tra il 2006 e il 2008, che segnano una definitiva traduzione nella materia del bronzo dei consueti assemblaggi di oggetti e generano figure aberranti quanto fantastiche. Una selezione da la Catena genetica del mercato delle pulci (2000), collocata sulle pareti dello scalone d’accesso al piano nobile, accompagna i visitatori, senza soluzione di continuità, al primo piano del Museo. Qui le prime tre sale sono dedicate ai lavori più noti di Daniel Spoerri, i Tableauxpiège, da quelli storici degli anni ‘60/’70, alle più recenti rivisitazioni dei Faux tableaux pièges, con particolare riguardo alla serie Sevilla Series “Eaten by…”, realizzata per il Padiglione svizzero dell’Esposizione Universale di Siviglia del 1992. Il tema del cibo e dei suoi resti conservati e ostesi in una innaturale verticalità che li colloca fuori dal tempo della vita, è, nonostante le apparenze, un tema necrofilo, una subliminale epifania di morte in cui si ripropone il tema dell’oggetto collegato a una storia personale e l’elogio del caso e della casuale dimensione estetica ed evocativa di forme e colori, anche se la casualità è in realtà “aiutata” da interventi mimetici dell’artista che si appropria del ruolo creatore del caso, inventando talora situazioni di oggetti del tutto simili alla realtà quotidiana. Con un’operazione opposta alla decontestualizzazione di Duchamp, Spoerri ricontestualizza gli oggetti in una composizione artificiale, ma perfettamente mimetica di una banale tranche de vie. Le operazioni artistiche di Spoerri si caratterizzano, come è noto e come si evince anche da questa mostra, per uno sviluppo seriale. Il principio della serialità è d’altro canto uno degli elementi fondanti del modo assolutamente innovativo di intendere l’arte, teorizzato da Spoerri già alla fine degli anni ’50 (1957/1959) nella rivista "Material", una delle prime raccolte di poesia concreta ed ideogrammatica, e nelle edizioni M.A.T. (Moltiplicazione d'Arte Trasformabile) del 1959/60 che, in polemica con l'idea dell'unicità dell'opera d'arte, rappresentano il primo esempio di arte moltiplicata e non riprodotta secondo i processi tradizionali. Nelle stanze successive sono esposte le inquietanti tavole su supporto fotografico delle Investigazioni Criminali (1971/1991), i collages de L’encyclopedie de Diderot et D’Alembert e del Journal Médical (1994), ispirati dalle tavole anatomiche del ‘700 e dell’800, le grandi composizioni de il Carnevale degli animali (1995) e infine le potenti strutture dei Corps en morceaux (1990/1992) che declinano il tema del corpo umano a partire da differenti contesti e modalità di rappresentazione. La presenza in alcune di queste stanze di sculture della serie Idoli di Prillwitz (Ragazza con piede d’elefante, 2006; La piramide delle tartarughe, 2008) sottolinea il carattere circolare della ricerca di Spoerri che si evolve e muta nel tempo pur nella coerenza di un’ispirazione visionaria che ha dato vita a una galleria quasi infinita di creature ibridate, tra biologico e inanimato, in una sorta di impossibile catalogazione dei fantasmi dell’inconscio. La mostra prosegue al secondo piano del museo con alcune delle più note serie: da l’Histoire des Boites à lettres (1998/2003) a Les Lepreux d’Islande (1993) e Cabinet Anatomique (2000/2002), dai Background Landscapes ( 1998) ad una campionatura di Collezioni (1976/2010) che sottolineano l’attitudine dell’artista a una sorta di bricolage mentale , prima ancora che manuale. L’antologica di Daniel Spoerri al Museo d’arte contemporanea di Genova, città in cui collezionismo e gallerie hanno sempre dimostrato particolare interesse al suo lavoro, conferma la stretta relazione tra l’artista e il museo che ha già esposto sue opere in due importanti occasioni, nel 1992 ( mostra “Frammenti, interfacce, intervalli. Paradigmi della frammentazione nell’arte svizzera”, a cura di Viana Conti) e nel 2002 (mostra “The Fluxus Constellation” a cura di Sandra Solimano). La mostra è prodotta dal Museo d’arte contemporanea di Villa Croce in collaborazione con Fondazione Palazzo Ducale per la Cultura di Genova e con Artoma - Kunst - und Kulturmanagement di Amburgo ed è corredata da catalogo Silvana Editoriale con testi di Belinda Grace Gardner, Barbara Räderscheidt, Arturo Schwartz, Sandra Solimano, Daniel Spoerri. E’ realizzata con il contributo di Pro Helvetia - Fondazione Svizzera per la Cultura, del Consolato Generale di Svizzera a Genova, del Centro Culturale Svizzero, dell’Associazione Liguria e Piemonte Gallerie di Arte Moderna e Contemporanea e si avvale di sponsorizzazioni tra cui quella della Compagnia di Navigazione Ignazio Messina & C. La mostra è realizzata con il contributo di Pro Helvetia - Fondazione svizzera per la cultura Consolato generale di Svizzera a Genova Istituto Svizzero di Roma Associazione Liguria e Piemonte Gallerie di Arte Moderna e Contemporanea Sponsor della mostra Compagnia di Navigazione Ignazio Messina & C. SpA Ufficio Stampa Genova Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura Camilla Talfani – Massimo Sorci – Isabella Bernardin – Tel. 010.5574012 – 74826 – 74071 e-mail: [email protected] DANIEL SPOERRI: DAI TABLEAUX PIÈGES AGLI IDOLI DI PRILLWITZ Genova, Museo d’arte contemporanea di Villa Croce Via Jacopo Ruffini 3 - 16128 GENOVA 25 marzo / 20 giugno 2010 Orari da martedì a venerdi 9/19; sabato e domenica 10/18,30 Biglietto d’ingresso 6€ intero 4€ ridotto 9€ cumulativo con mostra “Isole mai trovate” a Palazzo Ducale Aperture straordinarie La mostra è aperta anche a il giorno di Pasqua (4 aprile) e il 25 aprile Ingresso gratuito in occasione della Settimana della Cultura 2010 ( 16/25 aprile) EVENTI ►24 aprile Andar per Arte Dalle 16 concerto MuMu, visita alla mostra, aperitivo. Il percorso prosegue a palazzo Ducale per la visita della mostra “Isole mai trovate” e nelle 22 gallerie d’arte del circuito Start, eccezionalmente aperte sino alle 23 ►15 maggio Notte dei musei Apertura straordinaria sino alle 23 Dalle 21 "Barrio Mediterraneo". Magie etnie ritmi culture fusi in un'unica voce Marco Fossati: batteria, cajon, darabuka, batà, shekere, maranzana, fisarmonica, coro Andrea Lanza: chitarra, liuto Davide Mocino:chitarra, guimbri, coro Esmeralda Sciascia: voce, batà percussioni ►Maggio Reading di artisti Lettura di scritti di Daniel Spoerri e di alcuni degli artisti presenti nella mostra Isole non Trovate in corso a Palazzo Ducale. A cura degli allievi della Scuola del Teatro Stabile di Genova coordinati da Anna Laura Messeri LABORATORI E PERCORSI DIDATTICI ►Fai merenda con Daniel Fare merenda insieme e poi costruire un tavolo-trappola come ricordo della giornata, sul modello della famosa serie dei Tableaux-pièges che dagli anni ’60 Daniel Spoerri propone come metafora della vita e del suo trascorrere - Sabato 27 marzo 2010 a Palazzo Ducale dalle 16 alle 18. Aperto alle famiglie - Sabato 8 maggio 2010 a Palazzo Ducale dalle 16 alle 18. Aperto alle famiglie Il costo è di 6,50€ a bambino. Biglietto omaggio per la mostra Daniel Spoerri a uno degli adulti accompagnatori Questi e altri laboratori possono essere richiesti per gruppi scolastici durante altri giorni della settimana al museo di Villa Croce. I laboratori che si svolgono al museo di Villa Croce sono gratuiti. Per informazioni e prenotazioni contattare Paolo Scacchetti, referente della sezione didattica del museo ([email protected]; tel. 010 580069) ►Visita la mostra con… Caterina Gualco venerdì 16 aprile Sandro Ricaldone venerdì 23 aprile Viana Conti venerdì 14 maggio Franco Sborgi venerdì 28 maggio Le visite si svolgono dalle 17.30 alle 19 . E’ necessaria prenotazione entro le ore 12 del venerdi stesso L’eterna giovinezza di Daniel Spoerri Ho incontrato Daniel a Parigi nel 1960. Stava in un albergo d’infimo ordine – il Carcassonne, al 23 di rue Mouffetard – occupandovi una piccola camera (la n° 13, 5x3x2,50) al quarto piano senza ascensore. Ricordo. In fondo ad un lungo corridoio buio, una porta di legno non proprio immacolata. Busso. Mi apre un Daniel Spoerri allampanato, i cappelli arruffati, gli occhi ironici, un sorriso forzato sulle labbra. Al primo colpo d’occhio pensavo di stare dormendo in piedi. Sfidando la legge di gravità, tutti gli oggetti che normalmente vediamo su un piano orizzontale erano incollati su vari supporti appesi, perpendicolari al muro. Dominava l’insolita presenza di una sedia con le quattro gambe contro la parete, sulla quale era fissata un’asse di legno con, attaccati sulla stessa: una bottiglia, una tazza di caffé, una forchetta, un coltello, un martello, un paio di forbici, una caffettiera, una casseruola, una cipolla, due pezzi di pane, qualche fiammifero spento, tre o quattro mozziconi di sigarette. Stavo guardando quanto sarà, più tardi, definito Quadro-trappola (il termine merita di essere maiuscolato). Altre opere del genere occupavano totalmente i quattro muri della cameretta, restringendo ancora di più l’angusto spazio, tanto che Spoerri aveva già telefonato ai servizi municipali per buttar via tutto. La mia visita salvò dalla distruzione questi lavori, che ritengo appartenere ad una delle esperienze estetiche più vitali del dopoguerra. Nei primi anni Sessanta Spoerri scopriva così un elemento fondante della sua poetica: un oggetto contaminato da altri (identici ma al plurale nel caso di Arman, coniugati nel caso del nostro artista) acquista – obbedendo alla legge hegeliana della trasformazione della quantità in qualità – una nuova valenza estetica. In entrambi i casi, più che l’oggetto in se stesso, ciò che interessano sono i suoi rapporti con l’environment. Dall’esaltazione dell’oggetto giungiamo così alla sua negazione e al suo superamento su un piano che gli è estraneo – quello di una situazione di relazioni. Relazioni che, nel nostro caso, sono determinate dal principio attivo della natura naturante – il Caso. Caso che, come ricorda Arp, è un ordine del quale ignoriamo le leggi. I Quadri-trappola sono la materializzazione di questo concetto. In queste opere, come già accennato, Spoerri incolla, per fissarli definitivamente, gli oggetti disseminati casualmente su un piano. Ad esempio, oltre a Le petit déjeuner de Kichka (la sedia descritta prima), anche gli attrezzi usati da un artigiano; un libro aperto accompagnato da altre cose; alcuni utensili culinari immobilizzati nella situazione in cui erano stati abbandonati, ecc. Non pago di avere così congelato una topografia casuale di vari oggetti, Spoerri la ripropone cambiandone l’angolo visivo di percezione: dopo avere fissato gli oggetti sul loro supporto questo, da orizzontale, diventa verticale e viene appeso al muro. Soffermiamoci per un attimo sul personaggio prima di continuare ad occuparci del suo lavoro. Ballerino, anzi, primo ballerino della compagnia del Balletto Nazionale Svizzero. Artista, anzi, protagonista del Nuovo Realismo – il movimento artistico più innovativo e influente del dopoguerra europeo. Inventore dei Quadritrappola al quale sono seguite molte altre esplorazioni che commenterò tra poco. Ma quando si parla di Spoerri, bisogna ricordare anche la sua attività di poeta, di memorialista, di saggista, di antropologo, di enologo, di gastronomo e di umanista – i suoi interessi sono altrettanto vari quanto quelli degli enciclopedisti del Settecento. È anche necessario sapere – se si desidera avvicinare la sua personalità – che egli è posseduto da una sete inestinguibile di conoscenza, dalla brama di vivere, dall’amore per le belle donne e dalla golosità per il buon vino. È persona avida di nuove esperienze, patologicamente nomade, viaggiatore instancabile, inafferrabile, misterioso come pochi, dotato di una curiosità inesauribile, capace di perseguire per anni, con l’accanimento di un cane bulldog, le risposte ai propri interrogativi. Spoerri è tra i pochi artisti che possono meritare d’essere chiamati ‘poeti’, se torniamo al significato etimologico della parola. Poietes designava in origine – oltre che il poeta, l’artista e il filosofo (quest’ultimo svolgendo il ruolo dello scienziato moderno) – anche il risultato della loro attività. Gli antichi Greci distinguevano solo tra l’opera frutto dell’ingegno, denominata allora una creazione (demiurghìa), e l’opera frutto di un puro lavoro manuale ripetitivo (cheirurghìa). Così technites (tecnico), poietes (poeta) e demiurgos (creatore) – così come i corrispondenti termini sanscriti káraka e kavi – designavano, tutti e indifferentemente, l’artista, il poeta o il filosofo-scienziato. Tenendo presente questi valori semantici primordiali, dobbiamo riconoscere, nelle opere frutto dell’ingegno di Spoerri, le creazioni d’un tecnico straordinario, d’un poeta della materia e d’un filosofo dell’arte. Nulla può meglio confermare questa mia opinione quanto i lavori di questa imponente retrospettiva che ha il grandissimo pregio di riproporre i momenti principali del cursus creativo di Daniel Spoerri. Queste opere illustrano magistralmente non solo la sua straordinaria capacità di rinnovarsi continuamente – ricercando, come Duchamp, sempre nuovi filoni da esplorare – ma anche la natura dissacrante del suo humour. Così, dopo i Quadri-trappola, sono arrivati – limitandomi a citare solo i principali momenti del suo estro creativo presentati in questa antologica: la serie delle Investigazioni criminali (1971-1990): fotografie della vittima o del corpo del reato con elementi che ne accentuano l’atmosfera sinistra; la Serie Sevilla, “mangiato da” (1991): una variante della serie Restaurant de la Galerie J; Corpi a pezzetti (1990-1992): grandi assemblage di brandelli del corpo di bambole, o altri elementi, che gli permettono di ricostruire la personalità immaginaria del soggetto raffigurato; I Lebbrosi d’Islanda (1993): collage con inquietanti ritratti fotografici; L’Enciclopedia Diderot & d’Alembert (1994): conturbanti assemblage partendo da alcune tavole della Enciclopedia settecentesca, oppure da immagini, ancora più sconvolgenti, tratti dal Journal médical; Carnevale degli animali (1995), dove figure umane e animali sono messe a confronto; Sottofondi di paesaggi – Bamler (1991, 1998): su un dipinto di Erich Bamler (oscuro pittore tedesco dell’Ottocento), egli ha incollato vari elementi che modificano il paesaggio raffigurato, arricchendolo con effetti sorprendenti; Storia di caselle per lettere 1990, 2003): dove sono stati incollati elementi – a dir poco, inconsueti – su un casellario per lettere tipografiche, raccontando, con ogni opera, una storia dai rilievi inaspettati; La Catena genetica del mercato delle pulci (2000) – un immenso (lungo 62,5 metri!) ritorno alle origini. Concludono queste serie i monumentali e conturbanti Idoli di Prillwitz (2005-2008). Personaggi che potevano essere stati creati da un Jarry o da un Ionesco, la cui genesi Spoerri ripercorre in un affascinante testo 1 autobiografico . Completano questo non esauriente panorama dell’attività creativa di Spoerri altri lavori ancora, eseguiti tra gli anni 1961 e 2009, l’ultimo creato a Vienna il 9 gennaio 2009. Queste opere sono frutto di una sapiente e innovativa riproposta di alcuni principi fondanti dell’arte moderna. Cercherò di ricordare questi elementi teorici dal momento che contraddistinguono anche l’itinerario creativo del nostro artista. La grande svolta nella storia dell’arte nasce con Marcel Duchamp che, con i suoi Readymade, ha rimesso in questione lo stesso concetto dell’opera d’arte. Anche Spoerri ha rifiutato i canoni estetici imperanti. Come Cartesio, citato da Tzara nel 1918 sulla copertina del suo periodico Dada, Spoerri pure può esclamare: “Non voglio neanche sapere se prima di me vi sono stati altri uomini”. Con Daniel, il principio d’autorità cede il passo al principio del piacere. Egli crea per conoscere se stesso, per il proprio piacere e non per quello di un eventuale committente. Apollinaire aveva previsto che l’artista del futuro avrebbe adoperato, nelle sue creazioni, anche gli oggetti più banali della vita quotidiana. Nel 1913, egli suggeriva ai pittori: “Dipingete con qualsiasi cosa vi aggradi, con pipe, francobolli, cartoline postali, carte da gioco, candelabri, pezzi di tela cerata, colletti, carta da 2 parati, giornali” . Spoerri ha preso alla lettera questo consiglio, dapprima con i suoi Quadri-trappola con cui, l’abbiamo visto, ferma il tempo incollando, rispettando la loro configurazione casuale, sul tavolo da pranzo o di lavoro gli oggetti ivi rimasti. Coniugando l’oggetto comune con giochi di parole, oppure collocandolo in un contesto che non gli appartiene, Spoerri, lungo tutto il suo itinerario creativo, ha utilizzato anche un secondo fattore della nuova estetica, quello della sorpresa, ben conscio della sua importanza, non solo nella vita quotidiana (vedi Nadja e L’Amour fou di André Breton) ma anche nella poetica dell’arte. Egli ricorda la lezione di Lautréamont: 3 “Bello come l’incontro fortuito sopra un tavolo d’anatomia fra una macchina per cucire e un ombrello” – verso che utilizza come titolo in una delle proprie creazioni; e quella di Apollinaire: “La sorpresa è la nuova grande molla. È attraverso la sorpresa, attraverso il ruolo importante riservato alla sorpresa, che lo spirito 4 nuovo si distingue” . Nell’accoppiare, in condizioni inedite, oggetti a situazioni, Spoerri ha fatto tesoro anche dell’insegnamento di Pierre Reverdy: “Più i rapporti tra due realtà avvicinate saranno lontani e giusti, più 5 l’immagine sarà forte” . La struttura portante d’ogni opera di Spoerri è un tipo di humour che i Surrealisti avevano definito “humour nero”. Anche per Spoerri, lo humour è di natura tragica, segna un momento d’indipendenza assoluta della 1 Non per caso, catalogo della mostra al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato, 2007, pp. 237-248. 2 Les Peintres cubistes / Méditations esthétiques, Eugène Figuière, Paris 1913, p. 38. 3 Lautréamont: Les Chants de Maldoror (1869), trad it. di Ivos Margoni, Einaudi, Torino 1989, p. 381. 4 Apollinaire: L’Esprit nouveau et les poëtes (1917), Jacques Haumont, Paris 1946, p. 17. 5 Reverdy: “L’Image” in Nord-Sud (Paris), n.13 (marzo 1918) ripreso in Œuvres complètes (19171926), Flammarion, Paris 1975, p. 73. poesia ed è, anzitutto, una rivolta dello spirito e dell’inconscio contro i condizionamenti della società e della vita. Esso – lo humour – possiede un valore inesauribile di sfida e di provocazione. È un fattore d’opposizione magistralmente sovversivo in quanto consacra il trionfo del principio del piacere sul principio della realtà. L’opera di Spoerri è nata sotto il segno del Readymade duchampiano ma, in proposito, dissipiamo l’impressione che chiunque, nel tentativo di imitare Duchamp, possa scegliere un oggetto di serie e promuoverlo alla dignità d’un oggetto d’arte per il solo fatto di averlo firmato: troppo facile. Si dimentica che non vi è opera di Duchamp che non sia il frutto di quello che ho definito “il rigore dell’immaginazione”. È proprio questo rigore, con Duchamp sempre esacerbato, che l’inciterà a promulgare le condizioni che governano il processo di trasmutazione d’un oggetto comune in un oggetto d’arte. È necessario, innanzitutto, dare all’oggetto ciò che egli chiama “un colore verbale”, cioè un titolo che non deve essere descrittivo ma tale da trasportare la mente dello spettatore verso regioni più mentali. Per Spoerri anche questo è un rito obbligato. Le sue opere portano sempre titoli che ne confermano e ne esaltano l’impatto. Un’altra delle regole duchampiane stabilisce che è necessario “spaesare” l’oggetto – offrendolo alla vista da un angolo di percezione diverso da quello consueto – al fine di “de-contestualizzarlo”. Con Einstein e la sua teoria della relatività si è raggiunta una maggiore consapevolezza dell’importanza assunta dal punto d’osservazione dello spettatore. Il principio d’indeterminazione di Heisenberg ha messo ancora più in evidenza l’importanza di questo fattore obiettivo: il mezzo d’osservazione è importante quanto il suo punto d’osservazione. Esempi paradigmatici dell’applicazione di questa regola sono proprio i ricordati Quadritrappola, così come le sue altre opere che, in un modo o nell’altro, propongono, sotto un angolo visivo o logico inedito, situazioni di oggetti, oppure gli oggetti stessi. Nel caso delle sculture degli Idoli di Prillwitz, per esempio, i loro componenti (ruote, busti, visi, ecc.) sono sia de-contestualizzati, sia assemblati per rispondere al fattore di sorpresa. Ciò che amo nel lavoro di Spoerri è il suo sapere rinnovarsi sempre e sempre ritrovarsi. Risultati, questi, raggiunti grazie alla sua coerenza assoluta con le proprie esigenze interiori e con la propria poetica. Spoerri può ben esclamare, come l’eroe di Dante: “Nessuno prima di me ha navigato in queste acque”. Arturo Schwarz gennaio 2010 Se il caso e l’arte si incontrano per raccontare la vita Quando Daniel Spoerri è venuto a trovarmi al Museo sul finire del 2008 per propormi di realizzare a Villa Croce nel marzo 2010 una mostra in occasione del suo ottantesimo compleanno, mi ha portato in dono un libro autobiografico, “Lo Spoerri di Spoerri” Vercelli, Edizioni Mercurio, 2008). Leggendolo con crescente interesse, mi sono infine convinta che nessun testo critico, per quanto approfondito, attento e documentato, possa aiutare meglio di questo“ livre de vie” a capire il senso della vita e dell’arte di questo grande artista. Ovviamente un approccio siffatto rende se possibile ancor più indistinguibile il labile confine tra arte e vita; non esiste, o è comunque difficile trovare, una netta linea di demarcazione, ma questa è un’osservazione assolutamente ovvia e banale. L’identità di arte e vita non è certo una peculiarità di Spoerri, è anzi, almeno in parte, una condizione comune a tutti i veri artisti, ed è stata la parola d’ordine di artisti e movimenti che lui stesso riconosce tra i suoi amici e compagni di strada, già presenti come lui tra i protagonisti di alcune grandi mostre realizzate dal museo, da Beuys ad Allan Kaprow, da Ben Vautier a tutta la costellazione Fluxus. Ciò che mi sembra utile sottolineare, a proposito di Daniel Spoerri, è come questa identità non venga tanto enunciata in termini programmatici quanto semplicemente vissuta, quasi che l’arte fosse per lui prevalentemente un modo di leggere la vita, di dare un senso a quanto accade ed è accaduto nella sua vita così simile a un romanzo. Come spesso ripete, citando una frase dell’amico Filliou, l’arte è per lui qualcosa che rende la vita più interessante dell’arte! Spoerri sembra essere convinto che il caso giochi un ruolo fondamentale nella vita come nell’arte e utilizza dunque i “materiali” che il caso gli offre – gli oggetti quotidiani più banali e consunti, ma anche gli incontri, le situazioni , i contesti della storia e della cronaca – come un alfabeto sentimentale per costruire, iterandolo senza fine, il racconto della vita. L’oggetto , come dice lui stesso a proposito degli oggetti di magia balorda, realizzati tra il ’67 e il ‘68 durante il suo soggiorno nell’isola greca di Symi, ha una singolare fascinazione in quanto portatore di significati, desideri, storie, ma anche come contenitore, schermo su cui proiettiamo sentimenti ed emozioni. Lo slittamento di significato che era stato utilizzato dal surrealismo e da Duchamp in particolare come metodologia e prassi di uno “spiazzamento semantico”, dall’inconscio alla concettualizzazione, è vissuto da Spoerri in termini esistenziali: l’oggetto di Spoerri può apparire come un object trouvé da risemantizzare arbitrariamente come la Fontana/orinatoio di Duchamp, ma la similitudine è solo parziale perché, come spiega Daniel a proposito del “Mercato delle contrattazioni”(presso Theo Berger, Basilea, Kunsthalle, novembre 1969) o della mostra “Spoerri’s Max e Morimal Art” (Basilea,1969) i suoi sono “oggetti senza valore … ma di cui conosco la storia e che da quella storia sono stati contagiati. Più la loro storia è importante per me, più sono importanti gli oggetti”. E chi d’altra parte, a proposito del “Mercato delle contrattazioni”, fosse tentato di mettere in relazione questa con un’analoga operazione di “scambio” proposta da Allan Kaprow, per esempio in “Trading Dirt”, non può non rimarcare la differenza tra due azioni solo apparentemente simili, ma che hanno come tema centrale l’una lo scambio (e l’arte) come relazione con l’altro, l’altra “l’oggetto, en conjugation avec son histoire” come espressione del sé, l’oggetto come feticcio o reliquia, non a caso assimilato antropologicamente alla ritualità di comunità primitive, ma anche, come scrive a proposito de “Le forbicine per unghie di Brancusi” (Musée sentimental de Paris, 1977), proustiana madeleine in grado di innescare la macchina del tempo. “Basta un oggetto per materializzare tutto: il luogo e il tempo”. Il tempo, inteso ancora una volta esistenzialmente come passaggio dalla vita alla morte piuttosto che come astratta categoria mentale, mi sembra essere il protagonista dell’arte di Spoerri già a partire dai suoi primi lavori (e ragionamenti) sull’Arte Moltiplicata delle edizioni MAT dove è individuato, con il movimento e dunque con lo spazio, come fattore determinante di una reale moltiplicazione dell’opera, in contrapposizione alla sua riproduzione in multiplo attraverso i mezzi consueti, dalla grafica alla scultura. “L’opera d’arte oggettuale che non è statica - scrive l’artista - ma che si modifica da sé o tramite la collaborazione dello spettatore, conserva di fatto, pur nella moltiplicazione, la sua unicità e originalità”. Nelle edizioni MAT ritroviamo opere molto diverse tra loro come quelle di Albers in cui il movimento è virtuale o come quelle di Tinguely in cui il movimento è reale, insieme ai Rotereliefs di Duchamp, che gli storici dell’arte hanno poi indicato tra i precursori e i prototipi dell’arte cinetica, e in effetti l’ultima mostra delle edizioni Mat al Kunstgewerbemuseum di Zurigo (1960) si intitolò “Arte cinetica”, ma l’approccio di Spoerri è ancora una volta eterodosso, ciò che gli interessa non è l’indagine della percezione visiva, ma l’infinita possibilità dell’opera di moltiplicarsi e di riprodursi sempre diversa nel tempo. Non a caso l’evoluzione dell’esperienza MAT è rappresentata dal tableau-piège che sviluppa il tema del tempo al contrario, dal movimento al congelamento di situazioni date. I tableaux-pièges sono senza dubbio i lavori più noti di Spoerri e forse proprio per questo quelli più condannati ad una lettura stereotipata e semplificata. “Purtroppo tutti – scrive nel 2006 a proposito di una installazione di Not Vital nel suo Giardino di Seggiano – continuano a mettere la mia opera in collegamento con l’avanzo dei piatti incollati ai tavoli”. Diciamo che lo stesso Spoerri ha incentivato la diffusione di queste opere riproponendole negli anni in una frenetica e auto-ironica citazione ben documentata anche in questa mostra, ma mi domando quanti dei suoi molti collezionisti che ostentano nei loro salotti un tableau piège, magari nella versione moltiplicata dallo specchio che lo rende anche idoneo a ritrasformarsi nell’oggetto d’uso da cui si era partiti, si rende conto di avere in casa“ un esercizio di lotta contro l’angoscia”, un frammento, fissato per sempre nel tempo immoto dell’arte, di quel ciclo del cibo che è metafora del ciclo della vita e della morte, della decomposizione e della rinascita.“ Cosa faccio? – scrive nel 1961 nel suo primo testo sui Quadri-trappola – Incollo situazione trovate, predisposte dal caso, in modo che tali rimagano…I miei quadri-trappola devono suscitare disagio perché detesto l’immobilità. Mi piace la contraddizione che consiste nel fissare oggetti, nel sottrarli alla loro costante mutazione… Le opposizioni e le contraddizioni mi sono care perché creano tensione e solo dai contrari scaturisce un intero. Il movimento scatena la staticità; staticità, fissazione, morte dovrebbero provocare movimento, trasformazione e vita”. Il tema del cibo e dei suoi resti conservati e ostesi in una innaturale verticalità che li colloca fuori dal tempo della vita, è, nonostante le apparenze, un tema necrofilo, una subliminale epifania di morte in cui si ripropone il tema dell’oggetto collegato a una storia personale e l’elogio del caso e della casuale dimensione estetica ed evocativa di forme e colori, anche se la casualità è in realtà “aiutata” da interventi mimetici dell’artista sino al caso limite del Faux tableau-piège, come Parc à bébé, 1961, in cui l’artista si appropria del ruolo creatore del caso, inventando situazioni di oggetti del tutto simili alle situazioni casuali o inconsce della realtà quotidiana. Con un’operazione opposta alla decontestualizzazione di Duchamp, Spoerri ricontestualizza gli oggetti in una composizione artificiale, ma perfettamente mimetica di una banale tranche de vie. Le operazioni artistiche di Spoerri si caratterizzano, come è noto e come si evince anche da questa mostra, per uno sviluppo seriale che le rende sincroniche e per certi aspetti complementari, ma in realtà rispondono anche ad una logica consequenziale per cui l’una deriva in qualche modo dalle altre e ciascuna contribuisce a completare il senso della precedente. Così l’esperienza della Eat Art, che ha inizio ufficialmente il 18 giugno 1968 con l’inaugurazione del Ristorante Spoerri a Dusseldorf, cui si aggiunge nel settembre 1970 la Galleria Eat Art al piano sopra il ristorante, rinforza e chiarisce quella dei tableaux pièges. “Quando dieci anni fa feci il gesto di incollare ad un tavolo una situazione casuale di oggetti – dichiara nel corso della presentazione di un banchetto Eat Art nel 1970 - …questo fu un gesto, e non la conseguenza che molto lentamente ne avrei tratto. Prima di tutto mi serviva sapere come ci si arrivava a quel disordine sul tavolo - cioè dovevo tornare in cucina…Volli addirittura uccidere personalmente i polli che mangiavo e così mi accorsi che il momento fissato sul tavolo non era che un istante, un batter di ciglia all’interno di un ciclo che si chiama vita e morte, decomposizione e rinascita. Il tema che chiamiamo Eat Art è così ampio da comprendere la decadenza, ma anche l’atto creativo del rinascere.” Nonostante l’apparente “leggerezza” del tema culinario, il ricorso di Daniel Spoerri a quello che giustamente Arturo Schwarz definisce nel suo testo uno “humour di natura tragica”, gli consente di affrontare la riflessione sulla vita e sulla morte attraverso attività apparentemente ludiche come il Menu travesti (1970), che sottolinea l’inganno del gusto e dei sensi, o il Banchetto palindromo (1998), ispirato ai palindromi dell’amico André Thomkins, che ripropone nella inversione solo apparente della sequenza delle portate, dal dessert all’antipasto, una nuova variante temporale à rebours , una visualizzazione in chiave giocosa di quel ciclo continuo dalla morte alla vita e viceversa già rappresentato in chiave coprofila in Resurection, il film realizzato nel 1969 da Tony Morgan a partire da un progetto di Spoerri. Il cibo e la cucina sono al tempo stesso metafora ed esorcismo, rituale apotropaico della paura della morte che consente appunto di vivere o, meglio, di sopravvivere. Un concetto che ritorna esplicitamente anche a proposito della serie “Eaten by…” , realizzata nel 1992 per il Padiglione svizzero dell’Esposizione mondiale di Siviglia e documentata anche in questa mostra, dove il pranzo è riproposto come l’ennesima “pièce sulla sopravvivenza” cui partecipiamo tutti, attori e spettatori, seduti allo stesso tavolo della vita. Anche la memoria non si sottrae a questa dimensione ciclica del tempo generando un’iterata ricostruzione di luoghi ed eventi che, come nell’arte moltiplicata, subisce variazioni in dipendenza del tempo e del punto di vista di chi guarda. Il tempo e la ricostruzione di uno spazio di vita particolarmente importante come la stanza n.13 dell’Hotel Carcassone in rue de Mouffetard che l’artista stesso definisce “ il luogo di nascita della mia identità d’artista”, possono diventare quasi un’ossessione e l’operazione di ricostruzione si replica in una sorta di coazione a ripetere che non riesce a rassicurare. Evocata nel grande collage del 1961, Vu cubiste de la chambre n.13, che rilegge il cubismo a faccette in un complesso collage di 55 istantanee di Vera Mertz, la chambre è stata poi tradotta nella terza dimensione nella versione in legno del 1989 , prodotta per il Giardino e poi esposta a New York, a Milano e a Berna, ed è stata infine fusa nel bronzo e definitivamente collocata nel Giardino dove rappresenta per chiunque vi entri un’esperienza umana prima ancora che artistica di disequilibrio fisico e mentale. Talora, come per la stanza dell’Hotel de l’Etoile, abitata dal 1951 al 1954 e ricostruita per confluire nella grande installazione del Cylop di Tinguely, questo spazio intimo, reinventato a partire da oggetti simili a quelli originali, rintracciati nei soliti mercatini, è memoria del passato, ma si carica anche di nuovi ricordi in un gioco ambivalente già sperimentato con gli oggetti o vive invece contemporaneamente la doppia dimensione di spazio della vita e di spazio dell’arte, come la Room n. 631 del Chelsea Hotel di New York che nel 1964 è oggetto di un singolare incontro/scontro con Allan Kaprow. Le Camere, come i Tavoli, come i Musei sentimentali, come le Collezioni, per arrivare alla Catena genetica del mercato delle pulci, declinano il tema del tempo che passa, della storia personale e della storia di tutti, dell’imprescindibile esigenza di fermare in un tempo parallelo a quello della vita, di raccogliere e conservare le memorie banali della quotidianità che sono, come gli oggetti comprati sul banco del rigattiere, la traccia più vera del passaggio di un uomo sulla terra. L’artista, come alter ego del caso, provvede a isolare i singoli frammenti nel mare magnum del naufragio della storia con la s maiuscola, ma anche a esaltarne i latenti significati emotivi ricontestualizzandoli. Talora, come nel caso dei già citati Falsi quadri trappola, l’intervento è mimetico, praticamente indistinguibile dalla realtà, talora, come nei Détrompe-l’oeils o nei Tappeti Kitsch o nei Bamler, si avvicina alla logica surrealista dell’accostamento di realtà incongrue per sviluppare il tema del rapporto tra realtà raffigurate e oggetto reale. La relazione di reciproca contaminazione tra l’oggetto e il contesto appare peraltro tanto più forte quanto meno immediatamente percepibile come nel caso delle Investigazioni criminali dove Spoerri utilizza come supporto dei suoi collages fotografie di delitti estratte da un manuale americano in uso presso la polizia. E’ evidente come nelle opere di questa serie il contesto risemantizzi sinistramente qualsiasi oggetto trasformandolo in “corpo del reato”, così come la manipolazione dell’immagine e della parola può, al contrario, ribaltarne il senso e la lettura come nel caso de Il pastore dormiente, esposto in mostra. Il confronto visivo con la citazione colta e in particolare con quella scientifica e anatomica, dalle tavole dell’ Enciclopedia (L’Encyclopedie de Diderot et d’Alembert) ai disegni secenteschi del pittore Charles Le Brun dedicati alle corrispondenze fisiognomiche tra uomo e animale (Le Carnaval des animaux), passando attraverso le raffigurazioni di interventi chirurgici eseguite dal vero da Nicolas Henri Jacob all’inizio del XVIII secolo (Le cabinet anatomique), fa parte in fondo di questa attenzione ai dati di contesto, in questi casi prodotti dallo scienziato, in altri da culture popolari o diverse, individuando Spoerri tutto questo come registrazione e memoria di esperienze umane pregresse, in larga misura assimilabile allo sconfinato serbatoio di oggetti, di forme e di parole che hanno costruito casualmente la vita dell’uomo. L’intento dell’artista è in ogni caso quello di dare un senso alla presenza dell’uomo sulla terra, anche a partire da una descrizione del corpo nella sua realtà fisica e biologica per concludere che né la scienza, né le religioni riescono a dare una risposta e che è impossibile scoprire il segreto della vita! L’altra strada, quella già sperimentata con gli oggetti di magia balorda, è riproposta con i Corps en morceaux dove il processo analitico di de-costruzione del corpo nei suoi particolari anatomici si ribalta nella costruzione di corpi immaginari, di creature ibride che l’artista, riassumendo il ruolo del caso, genera dalla combinazioni di “pezzi” recuperati nei mercatini delle pulci. L’oggetto è qui la parte di un tutto che sembra scaturire dall’inconscio per visualizzare inquietanti fantasmi della vita. Questa serie nasce negli anni ’90, più o meno in parallelo con la ripresa dei tableaux- pièges della serie “Eaten By…”, e propone con analoghe modalità operative una rappresentazione speculare del soggetto uomo: là evocato per assenza da ciò che rimane di un pasto consumato, qui fisicamente osteso in pesanti simulacri antropomorfi. Il passaggio successivo che riguarda gli uni e gli altri è la traduzione nel bronzo dei materiali eterogenei e deteriorabili assunti dalla realtà. E’ questa l’ultima, o quantomeno la più recente, trasformazione di un’arte da sempre in dialogo con il tempo. In apparente contraddizione con la polemica contro i multipli tradizionali (tra cui la scultura) condotta ai tempi delle edizioni MAT, anticipata da significativi precedenti come il Santo Grappa del 1973 e i Guerrieri della notte del 1984, esposti a Villa Croce nella mostra “The Fluxus Constellation” (2002), potrebbe essere interpretata da taluni come una concessione a logiche di più facile e agevole conservazione (“il bronzoscrive Spoerri a proposito della fusione del Santo Grappa - rivelò un’ulteriore caratteristica, e cioè quella di essere del tutto insensibile agli agenti atmosferici , il che mi consentiva di esporre i miei assemblaggi sia all’interno che all’esterno”),ma mi sembra piuttosto da mettere in relazione con altre modalità utilizzate dall’artista per sospendere il flusso temporale, prima fra tutte il ribaltamento spaziale, da orizzontale a verticale, che genera l’invenzione concettuale del tableau-piège. La fusione in bronzo, quale è concepita a proposito del Santo Grappa , attiene alla dimensione alchemica della magia che, mentre modifica l’essenza dell’opera sostituendo alla congerie degli oggetti assemblati l’unità dell’insieme, depriva gli oggetti di quella patina sentimentale che li collega alla loro storia individuale, e quindi li sottrae alla continuità biologica di un tempo circolare per consegnarli al tempo vettoriale della storia. “Il bronzo mi fa pensare all’eternità - dichiara Spoerri in un’intervista realizzata da Barbara Raderscheidt nel 1999 a proposito della fusione in bronzo della Chambre n.13 -, cioè a un momento reso immobile come quello dei tableaux–pièges; ma in questo caso non c’è il problema che la colla non tenga! E ora semplicemente esiste…” Certo su questa conversione a una nuova/vecchia tecnica deve aver avuto la sua influenza il progetto del Giardino di Seggiano iniziato nei primi anni ’90 e inaugurato nel 1997 (ma concepito come un work in progress) che sposta lo scenario della pièce della sopravvivenza dagli spazi interni e domestici della camera e del ristorante agli spazi esterni e un po’ selvatici della montagna toscana. “Hic Terminus haeret” è il motto che introduce al Giardino e Terminus, dio dei confini, presiede ai riti di passaggio e di iniziazione, dunque anche al rito di passaggio dalla vita alla morte, dai piccoli gesti della quotidiana frequentazione degli amici alla dimensione della memoria, prolungata nel tempo e nello spazio, di sé e degli altri. Il contesto ancora una volta “contamina” e introduce nuovi elementi di lettura. Il bronzo d’altronde non esclude il parallelo percorso dei collages e degli assemblaggi che prosegue ininterrotto. Anzi, con la recente serie degli Idoli di Prillwitz , Spoerri sembra voler recuperare per altra via la sua naturale propensione per l’oggetto collegato alla sua storia, che diventa in questo caso la storia stessa del processo di fusione: i difetti, la ruggine, tutto ciò che normalmente viene eliminato con la pulitura e la patinatura, restituiscono alla scultura in bronzo la patina sentimentale del tempo vissuto e persino il reticolo di canali necessari alla fusione a cera persa entra a far parte dell’opera, come una soffocante gabbia che imprigiona la figura. Alla storia tutta interna alla produzione di questi più recenti lavori, si associa un’altra storia, quella appunto dei veri Idoli di Prillwitz, conosciuti quasi per caso attraverso le riproduzioni di un libro del ‘700, “Le Antichità liturgiche degli Obotriti”, e poi ricercati e inseguiti con una tecnica da detective story per scoprire infine che si tratta di piccole statue, prototipi antichi della tecnica dell’assemblaggio, nate da una falsificazione o, meglio, dall’invenzione di un’antica cultura slava (e dei suoi simboli sacri) che non è mai esistita. Gli Idoli di Prillwitz appaiono in questa luce come l’ennesimo esempio di object trouvé (nell’armadietto di metallo dell’ex museo etnografico di Schwerin), ma sono anche un ulteriore, inconsapevole prodotto di una “magia balorda”, quella dei fratelli Sponholz, gli orefici che li hanno creati mettendo insieme frammenti di culture e di materiali pre-esistenti per restituire a un intero popolo la memoria di un passato che non c’è mai stato. Nulla di strano dunque se, in virtù di queste affinità elettive con il suo mondo, Spoerri li assume come punto di partenza di una nuova serie, che è in fondo un altro omaggio al sogno e all’arte, che tenta ancora di dare un senso alla vita. Sandra Solimano