MICHAELS E., HANDFIELD-JONES H., AXELROD B., “La guerra dei

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MICHAELS E., HANDFIELD-JONES H., AXELROD B., “La guerra dei
MICHAELS E., HANDFIELD-JONES H., AXELROD B., “La guerra dei
talenti: come sedurre e trattenere i manager di qualità”, Etas Libri,
Torino, 2002
Un anonimo e cupo gruppo di persone osserva stupito ed attonito lo svolgersi di
una competizione tra individui alle prese con una scalata lungo una maestosa ed
imponente colonna ionica. Sulla cima due uomini con difficoltà e fatica cercano di
aiutare con una fune o col solo ausilio delle mani coloro che si impegnano e danno il
meglio per raggiungere l’ambita meta.
A distinguere le varie attitudini di chi desidera cimentarsi nella scalata da chi
invece preferisce rimanere nella statica condizione di osservatore è il colore delle
immagini: colori accesi per far risaltare gli individui protesi alla continua
valorizzazione delle proprie abilità e toni spenti per gli altri.
Così si presenta la copertina del lavoro di Ed Michaels, Helen Handfield-Jones
e Beth Axelrod1, i quali hanno fuso insieme le rispettive esperienze acquisite presso
la Mc Kinsey & Company.
L’illustrazione proposta introduce in modo sintetico ma efficace il tema
affrontato dal libro dal titolo “La guerra dei talenti”, ossia, come si deduce dal
sottotitolo, la ricerca dei modi attraverso i quali attrarre (“sedurre”), sviluppare,
motivare e trattenere i manager dotati di qualità.
Per tutte le organizzazioni, la competizione si fa sempre più accanita e frenetica
e per crearsi un vantaggio competitivo durevole e sostenibile è necessario dedicare
la massima attenzione al contributo di tutti coloro che partecipano alla vita
aziendale.
Informare i dipendenti, consultarli prima di decidere su questioni che li
riguardano, difenderne gli interessi, mostrare loro comprensione in caso di problemi
personali, consigliarli ed incoraggiarli per svilupparne le capacità sono tutte azioni
che consentono ad un manager di stimolare i talenti individuali. Ciò rappresenta un
aspetto vitale per la realizzazione personale del manager e per il successo
dell’impresa in cui egli opera, proprio perché una gestione dei talenti più efficace di
norma si traduce in una performance più brillante.
I tre autori riflettendo su tali considerazioni non si dilungano molto su aspetti
preliminari, ma li considerano acquisiti, ritenendo invece importante focalizzarsi
sulla diffusione di una “sensibilità al talento, ossia sulla convinzione che il
vantaggio competitivo derivi dal disporre di talenti migliori a tutti i livelli”.
Nel voler dimostrare ciò, gli autori adottano un approccio di analisi sicuramente
molto interessante e coinvolgente. Ogni argomento trattato prende in considerazione
la cosiddetta “vecchia realtà” e la confronta con “la nuova” ponendo in risalto le
peculiarità che ne caratterizzano il cambiamento e il fattore innovativo.
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Ed Michaels è stato Director dell’ufficio di Atlanta della McKinsey & Company; Helen
Hanfield-Jones è Senior Practice Export della McKinsey & Company di Toronto e Neth
Axelrod è Partner della McKinsey & Company di Stanford, nel Connecticut.
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A rendere briosa la lettura è inoltre la capacità di saper integrare quanto
teorizzato con i frequenti riferimenti descrittivi di manager e leader di imprese
ritenute eccellenti a livello mondiale, i quali apportano la propria esperienza
raccontando brevi, ma significativi avvenimenti e fatti verificatisi in azienda2. Il
fondere tra loro elementi teorici ed empirici3 rende più scorrevole e convincente
quanto sostenuto.
A caratterizzare il filo conduttore del testo è la chiarezza espositiva che fin dalla
prefazione porta a delineare una possibile definizione di talento inteso come insieme
di “doti innate, competenze, conoscenze, esperienza, intelligenza, atteggiamento,
carattere e tensione al risultato” oltre alla “capacità di imparare e di crescere”, per
cui riassumendo si può definire il talento come la “somma di capacità di una
persona”. Si giunge così poi alla determinazione del talento manageriale, cioè alla
combinazione di “mentalità strategica, capacità di leadership, maturità emotiva,
capacità di comunicazione, capacità di attrarre e ispirare altre persone di talento,
istinto imprenditoriale, competenze funzionali e capacità di produrre risultati”4.
Nel primo capitolo viene tracciato in modo appropriato l’obiettivo del lavoro:
molte sono le leve strategiche a disposizione delle imprese e dei dirigenti per
sviluppare, valutare, motivare e trattenere i collaboratori dotati di talento, ma
ciascuna di esse ha un proprio valore strategico che il CEO non può far emergere da
solo, per cui si deve avvalere della collaborazione di tutti i livelli manageriali
presenti in impresa, diffondendo tra tutti una “mentalità orientata al talento”5.
Per rendere quanto sostenuto attuabile gli autori sostengono di dover:
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creare una proposta di valore vincente per i dipendenti, ossia soddisfare i
bisogni, le aspettative e addirittura i sogni dei collaboratori;
modificare radicalmente le regole del recruiting, poiché oggi non ci si può più
solo focalizzare su persone in cerca di lavoro, ma occorre raggiungere anche
coloro che non stanno ancora cercando un nuovo lavoro;
sviluppare il potenziale dei manager attraverso l’esperienza lavorativa, il
coaching e il mentoring, poiché oggi non si cresce solo attraverso la
formazione, occorre porre qualcuno alla guida delle persone in modo tale che le
orienti e ne accresca le capacità;
rafforzare il pool di talenti, investendo nei collaboratori più promettenti,
sviluppando i manager con alto potenziale e agendo con “pugno di ferro e
Tra le ventisette aziende oggetto di studio di questo lavoro rientrano molti famosi nomi
di imprese, tra i quali: Enron, General Electric, Harley-Davidson, Hewlett-Packard, Intel,
Johnson & Johnson e Symantec.
Gli stralci empirici sono tratti da lunghi studi e ricerche condotti in cinque anni di analisi,
durante i quali sono state effettuate interviste a 13000 dirigenti ed esaminate 27 imprese
leader, proposte nel lavoro come case studies.
Secondo quanto sostenuto a pagg. XX e XXI del libro.
Nel testo è definita come la “radicale certezza che per realizzare le proprie aspirazioni di
business l’azienda deve avere a disposizione dei grandi talenti”.
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guanto di velluto”6 su coloro che sono solo soddisfacenti dal punto di vista del
rendimento lavorativo.
Dalle ricerche condotte è emerso che in genere le imprese non sanno gestire
efficacemente il talento, poiché si dichiara che l’elemento principale di qualsiasi
impresa sono le persone, ma come il proverbio insegna (“tra il dire e il fare c’è di
mezzo il mare”) è semplice dichiarare la propria attenzione verso il talento dei
collaboratori, ma ben più difficile è porre in essere azioni in tal senso.
Non esistono ricette magiche per attrarre e trattenere le persone dotate di
talento, ma i passi esaminati dagli autori offrono ragguardevoli spunti per ottenere
tale obiettivo.
Quanto affermato e sostenuto è sempre calato all’interno della realtà mondiale,
mentre non si prende mai in considerazione un caso di studio italiano. Questo
verosimilmente perché nel nostro Paese non è ben radicata nella cultura aziendale
una particolare attenzione alla valorizzazione delle risorse umane.
Come sottolinea nella Presentazione al volume Roger Abravanel7 occorre
“considerare i talenti come la priorità assoluta del vertice”, non solo del
“responsabile della funzione del personale”.
In Italia si è poco propensi alla valorizzazione dei talenti non solo da parte delle
piccole imprese, le quali tendono a rifiutare l’entrata di manager perché potrebbero
creare problemi di successione, ma anche delle più grandi le quali devono affrontare
questioni interne legate all’inserimento di donne leader e di giovani con grandi
capacità, come sostiene nell’introduzione Vittorio Colao8.
Rifiutare il talento può essere conveniente in una realtà statica, ma quella
odierna non solo è dinamica, ma è anche caratterizzata da numerosi elementi di
complessità e di turbolenza esterni ed interni.
È importante inoltre sottolineare che le persone possedendo dei talenti
professionali non sono delle risorse, ma hanno delle risorse, come la conoscenza, la
creatività, l’esperienza e le competenze necessarie a svolgere in modo corretto e
gratificante il lavoro loro assegnato.
Oggi si può anche affermare che queste risorse sono dotate di emozioni e di
sentimenti che interagiscono nel vissuto aziendale e che intervengono in qualsiasi
tipo di processo decisionale. Ciò rende sicuramente più intricato e complicato il
rapporto personale interno tra i collaboratori, per cui il dialogo e l’ascolto da parte
dei manager e dei leader può aiutare a capire i diversi problemi esistenti al fine di
poterli risolvere.
Attraverso i molti spunti teorici ed esperienze empiriche contenuti nel testo, gli
autori offrono una chiave di lettura stimolante in tema di risorse umane.
L’intero iter seguito dagli autori consente anche ad un lettore inesperto in tema
di gestione di risorse umane di poter capire quali sono i passaggi fondamentali da
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Affermazione utilizzata a pag. 139 del testo ed attribuita a Napoleone. Per ulteriori
approfondimenti è possibile vedere la nota n. 15 a pag. 186.
Director Mc Kinsey & Company Italia.
Amministratore Delegato Omnitel.
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seguire per potenziare i collaboratori più talentuosi. Il terreno su cui ci si muove non
è del tutto inesplorato, poiché altri si sono già mossi in tale direzione9, ma merito
degli autori è sicuramente quello di aver reso l’argomento trattabile sotto diversi
punti di vista (teorici ed empirici). Una panoramica abbastanza specifica degli
argomenti trattati in letteratura è offerta dall’accurata predisposizione delle note e
del supporto bibliografico contenuto nel testo.
Concludendo è possibile sottolineare nuovamente l’attualità dei temi proposti, i
quali sono indirizzati ad un vasto pubblico, non solo a chi si occupa di funzioni
manageriali o svolge ruoli di leader a livelli elevati all’interno dell’impresa.
Notevoli sono gli spunti che si possono esaminare e riprendere per ulteriori
approfondimenti anche da parte di chi deve preparare i manager del prossimo futuro.
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Per approfondire gli studi condotti su tale argomento è possibile, tra gli altri, cfr.:
CHAMBERS E.G., FOULON M., HANDFIELD J.H, HANKIN S.M., MICHAELS
E.G., The war for talent, Helen Handfield-Jones, Beth Axelrod, 2001, SADLER P.,
Gestire il talento. Come fare il meglio del meglio, Franco Angeli Editore, Milano, 1994,
WINTER J., PIMPINELLI F., “La guerra dei talenti”, Espansione, n. 6, 2001.