il regime impositivo dei dividendi transnazionali

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IL REGIME IMPOSITIVO DEI DIVIDENDI TRANSNAZIONALI
Sommario: 1. I dividendi nel Modello di Convenzione OCSE – 2. Gli utili da partecipazione nella
normativa domestica – 3. Il trattamento fiscale dei dividendi transnazionali – 4. La tassazione dei
dividendi in entrata – 5. La tassazione dei dividendi in uscita – 6. Le Direttive Comunitarie in materia di
dividendi.
1. I DIVIDENDI NEL MODELLO DI CONVENZIONE OCSE
Ad occuparsi dei dividendi transnazionali è l’art. 10 del Modello di convenzione OCSE contro
le doppie imposizioni, a cui si conformano generalmente i trattati bilaterali stipulati dall’Italia.
L’art. 10 non detta una regola generale circa l’identificazione dello stato che deve effettuare la
tassazione sui dividendi, in quanto in prima battuta prevede l’imponibilità dei dividendi nel territorio
dello stato di residenza del percettore ma, al paragrafo 2 prevede la possibilità, entro certi limiti, della
tassazione nel territorio dello stato in cui la società che li distribuisce è residente.
Non è prevista pertanto una regola generale di tassazione esclusiva né nello stato della fonte, né
nello stato di residenza del percettore per cui il regime convenzionale a prima vista non rimuove la
cosiddetta doppia imposizione degli utili societari, tassati si in capo alla società al momento della loro
produzione, sia in capo al socio, inciso tra l’altro dal tributo personale in entrambi gli stati (stato della
fonte al momento della distribuzione dei dividendi con l’applicazione della ritenuta sugli stessi e stato di
residenza con l’imposizione personale sui redditi) subendo quindi una doppia imposizione economica.
Le convenzioni si limitano ad attenuare tale fenomeno prevedendo dei limiti alle percentuali di ritenuta
applicato dallo stato fonte del reddito e l’esenzione dall’imposizione da parte dello stato di residenza del
percettore1.
Prima di esaminare il problema dell’imposizione dei dividendi è necessario analizzare la nozione
di dividendo fornita dal Modello OCSE all’art. 10 paragrafo 3 e fare un raffronto tra la stessa e la
nozione di utili da partecipazione di cui all’art. 44 lettera e) del D.P.R. n. 917 del 1986 – Testo Unico
delle imposte sui redditi (d’ora in poi TUIR).
Il modello di convenzione OCSE al paragrafo 3 dell’art. 10 definisce i dividendi “i redditi
derivanti da azioni, da azioni o diritti di godimento, da quote minerarie, da quote di fondazione o altri
diritti, ad eccezione dei crediti, da quote di partecipazione agli utili, nonché dai redditi di altre quote
sociali assoggettate allo stesso regime fiscale dei redditi delle azioni secondo la legislazione dello stato di
cui è residente la società erogante.”
A ben vedere quella fornita dal paragrafo 3 dell’art. 10 non costituisce una vera e propria
definizione dei dividendi ma solo una elencazione delle fattispecie che possono costiTuire i dividendi.
Lo stesso commentario al paragrafo 3 dell’art. 10, al paragrafo 23 chiarisce che a causa delle differenze
esistenti fra le norme dei singoli Stati membri dell'OCSE, è impossibile dare una definizione ai
“dividendi” indipendente dalle singole norme interne per cui è lasciata aperta agli stati la possibilità,
attraverso le trattative bilaterali, di accordarsi circa la nozione di dividendo.
L’elencazione effettuata nel paragrafo 3 dell’art. 10 fa riferimento ai dividendi come redditi
percepiti da soggetti possessori di azioni o quote che attribuiscono il diritto a partecipare al capitale e
agli utili delle società e di quegli strumenti finanziari, diversi dai crediti, che attribuiscono il diritto a
partecipare agli utili. E’ lo stesso Commentario all’art. 10 del Modello di convenzione OCSE, al
paragrafo 24, a specificare che la definizione si riferisce appunto, in primo luogo, alle distribuzioni dei
profitti il cui titolo è costituito da azioni o di quote in società a responsabilità limitata, assimilando alle
azioni i titoli che comportano il diritto a partecipare agli utili delle società quali ad esempio i diritti dei
soci promotori e fondatori o di altri diritti di partecipazione agli utili.
Nelle convenzioni bilaterali, naturalmente, questa enumerazione può essere adattata alla
situazione interna degli Stati contraenti e ciò può essere necessario in particolare, per quanto riguarda i
1
T. Gasparri, Il trattamento fiscale dei dividendi in uscita, in Memo Entrate: I quaderni giuridici, n. 10, novembre 2004.
1
dividendi percepiti dai soci promotori e dei soci fondatori (in alcuni stati, quali ad esempio l’Italia, gli
utili spettanti ai soci promotori e fondatori non sono considerati utili da partecipazione ma redditi da
lavoro autonomo).
Non costituiscono dividendi, secondo l’OCSE, per cui ad essi non si applica l’art. 10 del
Modello di Convenzione, i redditi derivanti dalle obbligazioni convertibili ai quali si applica l’art. 11.
Il Commentario al Modello di Convenzione prevede la possibilità di includere nella categoria dei
dividendi gli interessi derivanti da alcune categorie di crediti in particolare i crediti con i quali il creditore
ripartisce il rischio d’impresa cioè quando “il rimborso dipende in gran parte dal successo o al contrario
dall’insuccesso degli affari dell'impresa”2.
Non viene impedito quindi il trattamento di questo tipo di interesse riqualificato dividendo
secondo le norme sulla capitalizzazione sottile interne a ciascun stato. Caso per caso deve essere
valutata la circostanza che il creditore effettui la ripartizione del rischio d’impresa. Ciò può avvenire
quando:
- l’ammontare del prestito, rispetto al capitale proprio è proporzionalmente elevato;
- il creditore partecipa in tutti gli utili dell’impresa;
- il rimborso del prestito è subordinato al pagamento dei debiti contratti con altri creditori o al
pagamento dei dividendi;
- l’ammontare e le modalità di pagamento degli interessi dipende dall’ammontare e dal
conseguimento degli utili da parte dell’impresa;
- il contratto di prestito non contiene disposizioni precise circa il rimborso entro una data
definita.
Il paragrafo 28 del Commentario all’art. 10 precisa inoltre che i dividendi possono includere non
soltanto le distribuzioni degli utili decisi all’assemblea annuale degli azionisti, ma anche altri benefici,
monetari e non, quali le azioni gratuite, le indennità, le liquidazione delle quote e altre distribuzioni
assimilate agli utili. Le norme di cui all’art. 10 si applicano a condizione che lo Stato in cui vi è la sede
della società che li distributrice tassa tali redditi come i dividendi. E’ necessario inoltre verificare se i
pagamenti effettuati dalle società ai propri soci siano relativi a distribuzione di utili correnti realizzati, o
se si riferiscono a distribuzione di riserve, cioè di utili relativi ad periodi precedenti, ovvero ancora a
liquidazione delle quote a seguito di recesso del socio dal capitale della società. Normalmente infatti, i
pagamenti relativi a distribuzioni di somme che hanno l’effetto di ridurre il capitale, per recesso dei soci
ad esempio, e i pagamenti che costituiscono un rimborso di capitale in qualunque forma non sono da
considerare dividendi.
2. GLI UTILI DA PARTECIPAZIONE NELLA NORMATIVA DOMESTICA
La nozione di dividendi derivante dalla lettura dell’art. 10 in larga parte coincide con la nozione
interna di utili da partecipazione derivante dalla lettura dell’art. 44 lettera e) del Tuir.
Secondo tale articolo sono utili da partecipazione:
Gli utili che derivano dalla partecipazione al capitale o al patrimonio di società o enti soggetti a
Ires, escluse le partecipazioni agli utili da parte dei soci promotori e fondatori.
Si tratta in larga parte di utili derivanti da strumenti finanziari tradizionali quali azioni in società
di capitali, compresi consorzi e cooperative e quote di partecipazione in società a responsabilità limitata
e a fondi di dotazione di enti commerciali residenti in Italia; si devono considerare utili da
partecipazione al capitale anche le remunerazioni derivanti dai c.d. “titoli similari alle azioni” di cui
all’art. 44 comma 2 lettera a) e b):
Strumenti finanziari la cui remunerazione è costituita dalla partecipazione ai risultati economici
della società emittente. Tra questi rientrano anche “gli strumenti finanziari partecipativi a norma dell’art.
2346 comma 6 del c.c. quando questi attribuiscono determinati diritti patrimoniali o amministrativi a
fronte di apporti di beni conferibili (non rientrerebbero secondo questa accezione i redditi derivanti da
strumenti finanziari partecipativi emessi a fronte di apporti di opere e servizi che, appunto, non sono
V. paragrafo 24 del Commentario al Modello di Convenzione when repayment depends largely on the success or otherwise of the
enterprise’s business.
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considerati dalle norme beni conferibili e pertanto non possono rappresentare né una partecipazione al
capitale, né una partecipazione al patrimonio di società e enti; la dottrina più autorevole fa rientrare
comunque tali redditi nell’art. 44 comma 2 lettera a) se essi derivano totalmente dalla partecipazione ai
risultati economici della società o ente emittente3).
L’applicazione del regime dei dividendi, a tali strumenti finanziari partecipativi non dovrebbe
essere negata, visto quanto nel paragrafo 25 del commentario al paragrafo 3 dell’art. 10 del modello di
convenzione ocse.
Le partecipazioni al capitale o al patrimonio di società e enti non residenti, nel caso in cui la
relativa remunerazione, se corrisposta da società e enti residenti è indeducibile per la determinazione del
reddito a norma dell’art. 109 comma 9 del Tuir (indeducibilità per la parte in cui la remunerazione dei
titoli è relativa alle partecipazioni ai risultati economici della società o ente
emittente).Conseguentemente, se uno strumento finanziario assicura una remunerazione solo
parzialmente parametrata ai risultati economici della società emittente può ritenersi indeducibile, in
applicazione dell’art. 109 comma 9 Tuir, la sola parte parametrata a tali risultati. Ne deriva che per la
società emittente l’indeducibilità della remunerazione è prevista anche solo parzialmente per la parte
ancorata ai risultati economici, mentre per il titolare dello strumento finanziario la riqualificazione della
remunerazione a “dividendo” si ha solo se la remunerazione derivante è totalmente ancorata ai risultati
economici dell’emittente. Ogni volta quindi che per effetto dell’art. 109 comma 9 Tuir viene sancita
l’indeducibilità totale della remunerazione derivante da titoli e strumenti finanziari, tale remunerazione,
per ragioni di coerenza sistematica, non può che essere assoggettata al regime dei dividendi4.
L’art. 44 lettera e) esclude che le remunerazioni derivanti dalla partecipazione agli utili da parte
dei soci promotori e fondatori siano considerati utili da partecipazione, esclusione non prevista dalla
norma convenzionale di cui al paragrafo 3 dell’art. 10.
La norma interna (l’art. 53, comma 1, lettera d) Tuir) considera tali remunerazioni rientranti
nella categoria di redditi da lavoro autonomo per cui per il trattamento fiscale di tali redditi, nel caso in
cui questi abbiano la caratteristica della transnazionalità, è necessario verificare se nelle convenzioni
bilaterali tra gli stati tali redditi sono trattati come dividendi ai sensi dell’art. 10 ovvero come redditi dei
professionisti indipendenti di cui all’art. 14 del Modello di Convenzione.
La remunerazione dei finanziamenti eccedenti il rapporto di cui all’art. 98 del Tuir (Thin cap.)
direttamente erogati dal socio o dalle sue parti correlate. Una parte di tali remunerazione sono
riqualificati, ai fini dell’applicazione dell’imposta sui redditi, dividendi, riclassificazione che, come
specifica la relazione tecnica al D.lgs. 344 del 2003, opera solo nei confronti dei soci finanziatori
nazionali.
Notevoli difficoltà sorgono per il fatto che non è chiaro se per effetto della riqualificazione di
tali remunerazioni eccedenti in dividendi, si possano far rientrare nella nozione di dividendi data dall’art.
10 del Modello di Convenzione. Da un lato infatti la relazione tecnica al decreto di riforma fiscale,
come accennato in precedenza, chiarisce che tale riclassificazione opera solo nei confronti dei soci
finanziatori nazionali, dall’altro il paragrafo 25 del Commentario al paragrafo 3 dell’art. 10 chiarisce che
l’art. 10 non impedisce il trattamento di tali interessi eccedenti (non deducibili secondo la norma
interna) come dividendi secondo le regole nazionali sulla capitalizzazione sottile.
Inoltre qualora i soci finanziatori siano soggetti non residenti si incontrano ulteriori difficoltà
derivanti dal fatto che è solo alla fine del periodo d’imposta che si conosce l’ammontare dei
finanziamenti eccedenti ma gli interessi stessi sono stati già corrisposti in corso d’anno subendo la
relativa ritenuta, ritenuta non corrispondente a quella, più alta, dei dividendi.
Gli utili derivanti da associazione in partecipazione e da contratti di cointeressenza con
l’esclusione dei contratti in cui l’apporto è costituito solo dalla prestazione di lavoro, nel qual caso la
remunerazione ha natura di reddito da lavoro autonomo ai sensi dell’art. 53 comma 1 lettera c).
M. Piazza, Il regime fiscale dei dividendi, il capital gain e i nuovi strumenti finanziari, in Il sole 24Ore, L’Esperto risponde – Telefisco
2004.
4 S. Capilupi, Definizione di utili e proventi finanziari nell’ambito dei redditi di capitale, in Corriere Tributario, n. 48/2004, p. 3763; M.
Iavagnilio, Gli strumenti finanziari tra riforma fiscale e societaria, in Corrire Tributario, n. 40/2003, p. 3302.
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3. IL TRATTAMENTO FISCALE DEI DIVIDENDI TRAN SNAZIONALI
Come accennato in precedenza l’art. 10 del modello di Convenzione Ocse non prevede una
regola generale che individui lo stato impositore allatto della distribuzione dei dividendi. Infatti, sebbene
nel paragrafo 1 preveda la tassazione nello stato di residenza del percettore, nel paragrafo 2 lascia
aperta, entro determinati limiti, la possibilità che sia anche lo stato fonte (quello in cui la società o l’ente
che distribuisce i dividendi ha sede) a sottoporre a tassazione tali redditi.
I limiti alla tassazione da parte dello stato fonte risiedono nel fatto che tale tassazione non può
eccedere:
- 5% dell’ammontare lordo dei dividendi se questi se questi sono percepiti da una società (con
l’esclusione delle società di persone) che detiene una partecipazione di almeno il 25% del capitale della
società o ente che paga i dividendi;
- 15% dell’ammontare lordo negli altri casi.
Il paragrafo 9 del Commentario al paragrafo 2 dell’art. 10 del Modello di Convenzione Ocse
precisa che il tasso del 15% appare un tasso abbastanza ragionevole, posto che un tasso più alto non è
giustificabili visto che lo stato fonte tassa già i profitti in capo alle società che li producono.
Il tasso del 5% è previsto per i dividendi pagati dalle società facente parti di gruppi di imprese in
quanto si applica qualora la società che li percepisce possegga una partecipazione almeno paro al 25%
del capitale della società che li distribuisce. Ciò, precisa il Commentario, è giustificato dalla necessità di
evitare ricorrenti tassazioni sugli stessi dividendi, lungo tutta la catena societaria, e per agevolare gli
investimenti internazionali.
Ai fini dell’applicazione del tasso agevolato, il Modello di Convenzione, e il relativo
Commentario, non prevede un periodo di tempo minimo per il possesso della partecipazione qualificata
del 25%, ma ciò che conta è la situazione esistente al momento in cui la società paga i dividendi che,
come precisa il paragrafo 7 del Commentario all’art. 10, è il momento in cui i fondi che costituiscono i
dividendi sono messi a disposizione degli azionisti. Ciò che cinta quindi è la situazione esistente al
momento in cui i dividendi sono legalmente disponibili agli azionisti.
Naturalmente, in sede di trattative bilaterali, gli stati possono prevedere comunque un periodo
minimo di possesso della partecipazione qualificata.
La norma potrebbe facilmente prestarsi ad abusi nell’applicazione delle convenzioni in quanto
poco tempo prima del pagamento dei dividendi, le società madri potrebbero acquistare partecipazioni
fino alla soglia stabilita per beneficiare dell’aliquota più bassa e poi decidere di rivendere. Anche in
questi casi i singoli stati, in sede di trattative bilaterali, possono prevedere l’introduzione, nelle relative
convenzioni, di norme anti-abuso quale ad esempio quella che escluda l’applicazione della tassazione
più favorevole qualora la società che percepisce i dividendi abbia acquistato la partecipazione necessaria
poco prima del pagamento e al solo scopo di beneficare dell’agevolazione.
Circa le modalità di applicazione dell’art. 10 paragrafo 2, il Modello di Convenzione non
stabilisce nulla per cui lo stato fonte può liberamente effettuare la tassazione applicando direttamente le
aliquote previste dall’art. 10 del Modello di Convenzione oppure applicare le norme interne relative alla
tassazione degli utili distribuiti, secondo quindi le modalità ordinarie, ed applicare poi i metodi previsti
per l’eliminazione della doppia imposizione ossia il riconoscimento del tax credit per l’imposta pagata
all’estero o l’applicazione del regime dell’esenzione.
Il paragrafo 4 dell’art. 10 prevede che i benefici convenzionali previsti dal paragrafo 2 dell’art. 10
non sono applicabili nel caso in cui il beneficiario effettivo dei dividendi operi nello stato della fonte per
mezzo di una stabile organizzazione e che la partecipazione cui si ricollegano i dividendi, siano
effettivamente connessa alla stabile organizzazione (si parla in tal caso della c.d. “forza attrattiva della
stabile organizzazione” o ”vis actractiva”)
In tal caso infatti si considera stato fonte lo stato ove è situata la stabile organizzazione con
conseguente applicazione dell’art. 7 del Modello di Convenzione OCSE (utili da partecipazione).
La condizione necessaria è l’effettiva connessione dei beni o dei diritti che originano tali flussi
reddituali. Laddove infatti il beneficiario operi nello stato fonte per mezzo di una stabile organizzazione
ma le partecipazioni, non sono effettivamente connessi alla stabile organizzazione stessa, il trattamento
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fiscale applicabile a tali dividendi deve uniformarsi al principio del “trattamento isolato del reddito” e
dell’autonomia delle singole categorie reddituali5.
4. LA TASSAZIONE DEI DIVIDENDI IN ENTRATA
Con la riforma fiscale operata con il D.lgs. 344 del 2003, che ha profondamente inciso sul
regime fiscale dei dividendi, è stato risolto il problema della doppia imposizione economica attraverso
l’introduzione del regime dell’esenzione (o meglio dell’esclusione) che ha sostituito appunto il regime
dell’imputazione e il relativo credito d’imposta. L’utile è tassato in capo alla società che li produce e i
dividendi distribuiti ai soci sono parzialmente esclusi dalla formazione del reddito.
Il regime di esenzione consolida, inoltre, il livello di tassazione subito dalla partecipata,
rendendolo definitivo, per cui l’esenzione prevista anche per i dividendi esteri rende definita la
tassazione applicata dallo stato fonte della partecipata6.Infatti, coerentemente con la parziale esclusione
dei dividendi dal reddito del socio, il credito a fronte delle ritenute subite nello stato della fonte è
riconosciuto solo in proporzione agli ammontari oggetto della tassazione. Quale rimedio per la doppia
imposizione giuridica, il tax credit opera solo in favore degli importi effettivamente interessati dal
fenomeno ed è in ogni caso escluso per i dividendi relativi a partecipazioni non qualificate i quali, come
si vedrà in seguito, non concorrono alla formazione del reddito e sono soggetti a modesti livelli di
imposizione.
La disciplina prevista dalla normativa interna è uniforme sia per i dividendi di fonte domestica,
sia per i dividendi di fonte estera, con l’eccezione di quelli distribuiti da società residenti in paesi a
fiscalità privilegiata.
Come i dividendi di fonte interna, infatti, anche i dividendi esteri sono esclusi parzialmente dal
reddito del socio in relazione al suo status. L’esenzione, pressoché totale se il soggetto percepente è un
soggetto IRES, si riduce per i dividendi percepiti da persone fisiche (ciò allo di ridurre il gap esistente
tra l’aliquota del 33% prevista per le società partecipate e le aliquote progressive IRE previste sugli
scaglioni più elevati).
In particolare bisogna distinguere tra:
Dividendi percepiti da persone fisiche non in regime d’impresa: Il regime fiscale degli utili di fonte estera
percepiti da soggetti residenti che non agiscono in regime d’impresa varia a seconda che siano;
Utili derivanti da partecipazioni non qualificate7: In tal caso scontano, a norma dell’art. 27 comma 4
D.P.R. n. 600 del 1973 la tassazione con l’applicazione della ritenuta alla fonte a titolo d’imposta
(tassazione ordinaria) del 12,50% sull’ammontare dei dividendi percepiti, indipendentemente dal fatto
che siano distribuiti da società aventi sede in paesi a fiscalità ordinaria o in paesi a fiscalità privilegiata.
L’ammontare dei dividendi da considerare per l’applicazione della ritenuta è quello al netto
dell’eventuale imposta estera (c.d. “netto frontiera) facilitando così il compito degli intermediari in
quanto nel precedente sistema la ritenuta era applicata sul “lordo frontiera” con conseguenti difficoltà
in ordine alla determinazione dei dividendi lordi, il cui esatto ammontare non era facilmente conoscibile
da parte del sostituto.
Con l’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta viene meno l’obbligo dichiarativo del
percepente, a meno che questi non percepisca i dividendi senza l’intervento dell’intermediario. In tal
caso infatti l’ammontare dei dividendi percepiti deve essere indicato in dichiarazione e assoggettato non
a tassazione ordinaria ma ad imposta sostitutiva nella misura del 12,50%, così come previsto dall’art. 18
Tuir.
G. Corasaniti, Dividendi, interessi, canoni e plusvalenze nel Modello OCSE, in Corso di diritto tributario internazionale, coordinato da
V. Uckmar, Cedam, 1999; P. Valente, Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, Ipsoa, p. 434.
6 T.Gasparri, L’esclusione dal reddito rende definitiva la tassazione dello stato fonte, in Meno Entrate, i Quaderni giuridici, n. 9, Ottobre
2004.
7 Si ricorda sul punto che sono non qualificate le partecipazioni che non rappresentano una percentuale di diritti di voto
esercitabili in assemblea ordinaria superiore al 2% o al 20% ovvero una partecipazione al capitale o patrimonio superiore al
5% o al 25% a seconda che si tratta di titoli negoziati in mercati regolamentati o di altre partecipazioni.
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Utili derivanti da partecipazioni qualificate: In tal caso sono imponibili limitatamente al 40% del
loro ammontare (considerato al netto frontiera). Si applica in tal caso la ritenuta alla fonte a titolo
d’acconto pari al 12,50% prevista dall’art. 27 comma 4 del D.P.R. n. 600 del 1973.
Nel caso in cui tali utili derivano da partecipazioni in società aventi sede in un paese a fiscalità
privilegiata, non è prevista alcuna limitazione alla tassazione per cui sono imponibili per l’intero
ammontare con l’applicazione della ritenuta del 12,50% a titolo d’acconto.
In questo quadro appare distorsivo il trattamento fiscale previsto per i dividendi relativi a
partecipazioni non qualificate provenienti da paesi a fiscalità privilegiata che, come detto, sono soggetti
a ritenuta a titolo d’imposta del 12,505 e hanno, forse per un difetto di coordinamento normativo, lo
stesso trattamento dei dividendi della stessa specie ma provenienti da paesi a fiscalità ordinaria8.
Dividendi percepiti da soggetti IRE in regime d’impresa: In regime di attività d’impresa gli utili percepiti
di fonte estera, eccetto quelli provenienti da paesi a fiscalità privilegiata, indipendentemente dal fatto
che la partecipazione sia qualificata o meno, concorrono alla formazione del reddito d’impresa
limitatamente al 40% del loro ammontare. All’atto della distribuzione non sono applicate ritenute sulle
somme percepite a condizione che venga rilasciata dichiarazione, a norma dell’art. 27, comma 5, D.P.R.
n. 600 del 1973 che il soggetto percepente opera in regime di impresa. Se gli utili sono distribuiti da
società aventi sede in paesi a fiscalità privilegiata, questi concorrono alla formazione del reddito per
l’intero ammontare, a meno che il percettore, attraverso l’istituto dell’interpello di cui all’art. 167,
comma 5, lettera b) Tuir, abbia dimostrato che dalla partecipazione non si sia ottenuto l’effetto di
localizzare i redditi nel paese a fiscalità privilegiata (seconda esimente); opera inoltre l’esenzione nel caso
in cui il reddito della controllata o collegata estera sia stato imputato per trasparenza al socio in
applicazione del regime di Cfc di cui agli artt. 167 e 168 Tuir.
Dividendi percepiti da soggetti IRES: Gli utili percepiti da società ed enti soggetti a IRES e relative a
partecipazioni in società non residenti, eccetto quelli provenienti da paesi a fiscalità privilegiata,
concorrono alla formazione del reddito limitatamente al 5% del loro ammontare e sono imputati
all’esercizio in cui sono percepiti secondo il principio di cassa.
Al momento della distribuzione non sono effettuate ritenute sulle somme percepite.
Se i dividendi percepiti dal soggetto IRES residente sono distribuiti da società aventi sede in
paesi a fiscalità privilegiata, i dividendi concorrono alla formazione del reddito per l’intero loro
ammontare ferma restando la possibilità di dimostrare, attraverso la procedura di interpello di cui all’art.
167 comma 5 lettera b) Tuir che non si sia ottenuto l’effetto di localizzare i redditi nel paese a fiscalità
privilegiata nonché la possibilità di riconoscere l’esenzione per la parte di utili della controllata estera
che siano stati imputa per trasparenza ai soci a norma della disciplina Cfc di cui all’artt. 167 e 168 Tuir.
Se la società che percepisce i dividendi ha optato ai sensi dell’art. 130 Tuir per il regime del
consolidato mondiale, i dividendi distribuiti dalle società incluse nella tassazione di gruppo, sono esclusi
totalmente dalla determinazione della base imponibile consolidata ai sensi dell’art. 134, comma 1, del
Tuir.
La possibilità di escludere dal compito della base imponibili consolidata anche quella parte di
dividendi che, applicando il regime ordinario sarebbe soggetto a tassazione (ovvero il 5% degli utili
percepiti) attribuisce un vantaggio fiscale di gruppo rilevante (1,65% su ogni flusso di dividendi lungo
tutta la catena societaria); ancor più rilevante è il vantaggio ottenuto con l’applicazione di tale esclusione
per le società con partecipazioni in società con sede in paesi a fiscalità privilegiata in quanto la norma
consentirebbe il rimpatrio degli utili in esenzione d’imposta, cosa che non è possibile applicando il
regime ordinario in quanto l’art. 167 Tuir prevede l’esclusione solo per la parte di redditi imputati al
socio per trasparenza in applicazione della normativa Cfc9.
5. LA TASSAZIONE DEI DIVIDENDI IN USCITA
T. Gasparri, L’esclusione dal reddito rende definitiva la tassazione dello stato fonte, in Meno Entrate, i Quaderni giuridici, n. 9, Ottobre
2004.
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M. Piazza, Guida alla fiscalità internazionale, in Il sole 24ore, 2004, p. 1362.
6
I dividendi distribuiti da società residenti a favore di soggetti non residenti, a norma dell’art. 23
comma 1 lett. b) Tuir, si considerano redditi di capitale prodotti nel territorio dello stato e, come tali,
sono ivi soggetti a tassazione.
L’imposizione viene attuata al momento della distribuzione con l’applicazione, a norma dell’art.
27, comma 3, D.P.R. 600 del 1973, della ritenuta alla fonte a titolo d’imposta pari al 27% sull’intero
ammontare dei dividendi, e ciò indipendentemente dal fatto essi siano relativi a partecipazioni
qualificate o non e indipendentemente dal fatto che il soggetto percepente operi o meno in regime di
attività d’impresa.
La tassazione degli utili distribuiti a soggetti non residenti è dunque più accentuato di quello
massimo gravante sugli utili distribuiti a soggetti residenti che non supera il 18% (pari all’aliquota
marginale massima del 45 applicata al 40% dei dividendi).
Per riallineare la situazione relativa all’imposizione dei dividendi percepite da persone fisiche
non residente e per moderare gli effetti della doppia imposizione che si realizza qualora il soggetto non
residente che percepisce i dividendi è tassato ulteriormente tassato nello stato di residenza è prevista la
possibilità di invocare l’applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni che prevedono una
ritenuta massima del 15%. A tal fine l’art. 27 comma 3 attribuisce a tali soggetti non residenti il diritto
ad ottenere il rimborso, fino a concorrenza dei 4/9 della ritenuta subita, dell’imposta che dimostreranno
(con certificazione rilasciata dal competente ufficio fiscale dello stato estero) di aver pagato a titolo
definitivo nello stato di residenza (il limite massimo dei 4/9 della ritenuta subita è stato dunque previsto
per riportare, in base a quanto disposto nell’art. 10 del Modello di Convenzione Ocse, la ritenuta
massima applicabile dallo stato fonte al 15%). Sul punto l’Amministrazione finanziaria è categorica: il
rimborso spetta qualora la parte abbia provato l’avvenuta percezione dei dividendi e l’assolvimento
degli obblighi fiscali nel paese ove il percepente è residente.
La giurisprudenza invece non è stata univoca: Secondo un primo indirizzo (Cass. 12458/99 e
Cass. 1231/2001) il presupposto per l’applicazione della minore aliquota convenzionale (e quindi del
riconoscimento del diritto al rimborso secondo quanto previsto dall’art. 27 del D.P.R. n. 600 del 1973) è
la soggezione del dividendo del dividendo alla potestà impositiva dell’altro Paese, indipendentemente
dall’effettivo pagamento dell’imposta. Ciò sarebbe, secondo la cassazione, coerente con lo spirito e gli
scopi delle convenzioni contro le doppie imposizioni. Queste hanno infatti la funzione di dettare norme
internazionali di conflitto che abbiano lo scopo di eliminare la sovrapposizione dei sistemi fiscali
nazionali, senza le quali i contribuenti subirebbero, in relazione al proprio reddito percepito all’estero,
un maggiore carico fiscale, con conseguente ostacolo all’attività economica e di investimento
internazionale per cui “deve considerarsi coerente con tali finalità la sola esistenza del potere impositivo principale
dell’altro Stato contraente, indipendentemente dall’effettivo pagamento dell’imposta in tale Paese; un altro
orientamento (Cass. 3861/2000 e Cass. 4560/2000) deve ritenersi che il presupposto per l’applicazione
della minore aliquota prevista è la prova dell’avvenuto percezione dei dividendi e l’assolvimento degli
obblighi fiscali nel Paese di residenza del percepente.
Per quanto riguarda i gruppi di impresa, il livello di tassazione risulta più elevato. E’ necessario
tuttavia effettuare una distinzione tra:
Società non residenti che si avvalgono della direttiva comunitaria 90/435/CEE (Direttiva madre-figlia). Per
tali società è del tutto eliminata la doppia imposizione sugli utili societari, sia da parte dello stato di
residenza della società madre, tenuto ad accordare l’esenzione degli utili in entrata (o in alternativa il
credito a fronte dell’imposta assolta dalla figlia), sia da parte dello stato della fonte che deve limitarsi a
assoggettare a d imposizione gli utili societari, astenendosi dal prelevare imposte per i dividendi in
uscita. La disposizioni relative sono contenute nell’art. 27 bis del D.P.R. n. 600 del 1973 che prevede
appunto, in presenza di determinate condizioni (la società madre deve avere una determinata forma
giuridica prevista dalla direttiva, deve essere fiscalmente residente in uno stato facente parte dell’Unione
Europea, deve possedere, da almeno un anno una partecipazione non inferiore al 25% del capitale della
società che distribuisce gli utili anche se tale soglia è stata abbassata al 20% dalla direttiva 2003/123/CE
dal 1 gennaio 2005 e al 15 e 10% a partire dal 1 gennaio 2007 e 1 gennaio 2009) la possibilità di ottenere
il rimborso dell’intera ritenuta effettuata a norma dell’art. 27 comma 3 (27% a titolo d’imposta) o la non
applicazione della stessa. Rimane comunque impregiudicata la possibilità per le imprese di applicare le
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disposizioni delle norme convenzionali stabilite tra i diversi stati, anche se, alla luce della riforma fiscale
e della conseguente eliminazione del credito d’imposta sui dividendi, non risulta più conveniente optare
per la normativa convenzionale tra società residenti nell’Unione.
In definitiva quindi per i soggetti che si avvalgono del regime comunitario l’esenzione sui
dividendi in entrata nello stato di residenza della casa madre, si cumula, a garanzia della completa
neutralità del flusso, con l’esenzione sui dividendi in uscita dallo stato fonte. Nella logica della Direttiva
si tratta infatti di due aspetti della stessa operazione, finalizzata ad eliminare la doppia imposizione sul
socio, ad opera di entrambi gli stati, dopo la tassazione dell’utile societario nello stato di residenza della
figlia.
Società che non rientrano nell’ambito applicativo della direttiva “madre-figlia”: Per esse si conferma il
carico fiscale più elevato rispetto a quanto avviene se destinatari degli utili distribuiti sono società
residenti. La tassazione sui dividendi distribuiti a società non residenti oscilla, infatti, tra il 27% e, in
presenza di convenzioni, il 15% riducibile al 5% se esistono le condizioni di cui al paragrafo 2 dell’art.
1010.
6. LE DIRETTIVE COMUNITARIE IN MATERIA DI DIVIDENDI
La doppia imposizione, se analizzata nell'ottica del funzionamento del mercato unico,
costituisce un serio ostacolo al raggiungimento della massima efficienza: trattasi in sostanza di una
barriera che occorre superare per pervenire all'ottimizzazione del funzionamento del mercato
unicomma.
Uno degli obiettivi del mercato unico consiste nella massimizzazione dell'efficienza economica
nello svolgimento delle attività: all’atto pratico questo starebbe a significare che la localizzazione degli
investimenti dovrebbe seguire la logica della scelta dello Stato in cui i profitti, prima della tassazione,
sono i più alti, in quanto si è ottimizzato il rapporto costi-ricavi (ove costa di meno produrre).
Il prelievo fiscale è un fattore che comunque viene tenuto in considerazione: dato che all'atto
pratico esso influisce, in misura minore o maggiore, sulla scelta del luogo ove effettuare gli investimenti.
Ciò comporta che gli investimenti non siano effettuati in base alla massima efficienza economica, ma in
base alla massimizzazione del profitto dopo la tassazione.
Ciò significa che la localizzazione dell’investimento non segue il principio della maggior
efficienza economica (esempio: ove il costo di produzione è inferiore), che determinerebbe il maggior
profitto prima delle tasse, ma segue la logica del maggiore profitto dopo le tasse.
Appare quindi chiaro che l’obiettivo primario dell’intervento comunitario è quello di fare in
modo che, prescindendo dalla specifica localizzazione dell'investimento, i profitti prima e dopo le tasse
non influiscano sulla scelta, essendo trasparenti.
A differenza di altri settori, nel campo dell’imposizione fiscale gli stati membri dispongono di
regimi di tassazione diretta sulle imprese differenti tra loro per cui non è dato di poco conto che la
fiscalità sia oggetto di intervento comunitario al fine di evitare che la variabile fiscale agisca quale fattore
di distorsione e di discriminazione.
Infatti in un contesto economico – monetario sostanzialmente omogeneo, le differenze tra i
sistemi tributari appaiono destinate ad influenzare particolarmente le decisioni di allocazione dei capitali
nei diversi stati membri.
Uno dei mezzi d'azione di cui dispone la Comunità per promuovere i suoi obiettivi istituzionali,
mediante l'instaurazione di un mercato comune è il riavvicinamento delle legislazioni nazionali. Sono
molte le disposizioni del Trattato CE che si occupano del riavvicinamento delle legislazioni nazionali:
alcune in via generale (ad esempio, l'art. 100), altre riferendosi a settori ben precisi (ad esempio, l'art. 49
per la libera circolazione dei lavoratori o l'art. 54 per quanto attiene al diritto societario).
Dal punto di vista giuridico-comunitario, il concetto di “riavvicinare" le legislazioni degli Stati
membri è considerato ben distinto da quello di “unificare" o di ”armonizzare". Infatti, mentre il
processo di unificazione delle legislazioni nazionali è sviluppato attraverso i regolamenti, atti legislativi
T. Gasparri, Il trattamento fiscale dei dividendi in uscita, in Memo Entrate: I quaderni giuridici, n. 10, novembre 2004; C. Dominici,
L’imposizione dei dividendi e l’abolizione del credito d’imposta per i gruppi multinazionali, in Azienda e Fisco n. 18/2004, p. 12.
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comunitari, obbligatori e direttamente applicabili, che si sostituiscono alle leggi interne e ne hanno lo
stesso valore, il riavvicinamento non presuppone l'unicità dei mezzi giuridici per ottenerlo. Le direttive
sono lo strumento principale per riavvicinare le legislazioni. Destinatari di questi atti giuridici
comunitari non sono direttamente i cittadini, ma gli Stati membri, che hanno l'obbligo di ottenere il
risultato indicato nella direttiva con i mezzi che ritengano più appropriati11.
Nel luglio 1990, l’Europa comunitaria raggiunse un importante risultato politico sulla strada del
riavvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri. Furono
infatti approvati tre provvedimenti di cooperazione transnazionale:
- il regime fiscale di fusioni, scissioni e conferimenti di attivo (Direttiva n. 90/434);
- il regime fiscale applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (Direttiva n.
90/435);
- una procedura arbitrale in materia di prezzi di trasferimento (Convenzione n. 90/436/CEE).
Le suddette direttive, nonché la convenzione relativa all'instaurazione di una procedura
arbitrale, erano provvedimenti in discussione a Bruxelles ormai da tempo immemorabile12 che
trovavano finalmente emanazione, al fine di istituire regole fiscali neutre nei riguardi della concorrenza,
per consentire alle imprese di adeguarsi alle esigenze del mercato comune, di migliorare la loro
produttività e di rafforzare la loro posizione competitiva sul piano internazionale. Inoltre, nel dicembre
1990, venne formalizzata una proposta di direttiva, relative al regime fiscale comune applicabile ai
pagamenti di interessi e canoni che vide la luce solo nel 2003 con la Direttiva 49 del 2003.
La disciplina dei dividendi ”madre-figlia" è contenuta nell'art. 27 bis del D.P.R. n. 600 del 1973
(introdotto con il D.lgs. n. 136 del 1993) e recepisce le disposizioni contenute nella Direttiva
comunitaria. Gli obiettivi di tali disposizioni sono i seguenti:
- annullare, sia gli effetti della doppia imposizione giuridica, mediante la soppressione della
ritenuta alla fonte sui dividendi distribuiti dalla società”figlia" alla madre comunitaria, sia gli effetti della
doppia imposizione economica, attraverso la concessione di un credito d'imposta indiretto o
dell'esenzione sul dividendo nello stato di residenza della società ”madre";
- favorire la libera circolazione di capitali ed una corretta concorrenza tra imprese residenti e
non residenti nell'ambito dell'Unione europea.
L’applicazione della norma che recepisce la direttiva è subordinata all’esistenza di particolari
condizioni. In particolare la società ”figlia", che distribuisce i dividendi, deve avere particolari requisiti
di forma (deve rivestire una delle forme previste nell'allegato alla direttiva stessa), di residenza(deve
risiedere ai fini fiscali in uno stato membro della CE), di imposizione ovvero deve essere soggetta nello
Stato di residenza alla corporation tax, senza possibilità di usufruire di regimi di opzione o di esonero che
non siano territorialmente o temporalmente limitati; la ”società madre" deve detenere una
partecipazione diretta nella società ”figlia" non inferiore al 25 per cento del capitale sociale di
quest'ultima (la direttiva del 2003 che modifica la direttiva madre figlia prevede la partecipazione di
almeno il 20%) e che la stessa partecipazione sia detenuta ininterrottamente da almeno un anno, pur
non essendo più necessario, tuttavia, che il periodo di detenzione minima della partecipazione si
concluda alla delibera di distribuzione dei dividendi13.
Dott.ssa Graziella Geraci
Funzionario dell’Agenzia delle Entrate
P.Valente, fiscalità sopranazionale, in Il sole 24 Ore, 2004, p. 50; dello stesso autore v. anche Costruzione europea e fiscalità diretta
in Corr. Trib. n. 25/1997, inserto.
12 60 La Commissione, sul tema del regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie, aveva cominciato a
discuterne già nel lontano 1967, in occasione del "Programma d'armonizzazione fiscale" ed aveva presentato una prima
proposta di direttiva in materia nel gennaio 1969 quando era stata presentata una proposta di direttiva anche in merito al
regime fiscale comune applicabile alle fusioni, scissioni e conferimento d'attivo. Anche le discussioni su tale progetto, fino al
1990, non avevano però compiuto grandi passi. Sul punto v. P.Valente, F. Roccatagliata, Costruzione europea e fiscalità diretta, in
Corr. Trib. n. 25/97, inserto.
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13
G. Bolelli Dividendi da società figlia nella CE: trattamento contabile e fiscale, in Corr. Trib. n.12/2000, p. 841.
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