AZ-23.02.2016-LA CORTE DI GIUSTIZIA DELL™UNIONE

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AZ-23.02.2016-LA CORTE DI GIUSTIZIA DELL™UNIONE
LA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA AFFERMA LA COMPATIBILITÀ CON IL DIRITTO DELL’UNIONE
EUROPEA DELLA LIMITAZIONE AL CREDITO PER IMPOSTE ESTERE PREVISTA DALL’ARTICOLO 165, C. 10 DEL
TUIR
Di Alban Zaimaj - 23 febbraio 2016
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Ordinanza del 4 febbraio 2016,C-194/15 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea
Con il procedimento in rassegna la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (“CGUE” ovvero la
“Corte”) ha esaminato la compatibilità del regime impositivo italiano dei dividendi esteri percepiti da
persone fisiche residenti con la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei capitali di cui agli
articoli 49 e 63 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (“TFUE”).
Il caso esaminato dalla Corte verte sulla tassazione dei dividendi di fonte francese percepiti da
persone fisiche residenti negli anni 2007 e 2008. I dividendi sono stati assoggettati a tassazione in
Italia limitatamente al 40% del loro ammontare all’ aliquota progressiva IRPEF . Su tali redditi era
stata applicata in Francia la ritenuta alla fonte pari al 15% del loro importo in conformità all’art. 10
della Convenzione contro le doppie imposizioni tra l’Italia e Francia (firmata a Venezia il 5 ottobre
1989 e ratificata con l. 7 gennaio 1992, n. 20). Dal testo della ordinanza si evince che i Percipienti
hanno scomputo dall’imposta italiana l’intero importo della ritenuta subita in Francia. L’Agenzia
delle Entrate ha rideterminato l’ammontare del credito in ragione del 40% della ritenuta subita in
Francia, ritenendo applicabile la limitazione prevista dall’art. 165, comma 10 del TUIR, ai sensi del
quale “nel caso in cui il reddito prodotto all’estero concorra parzialmente alla formazione del reddito
complessivo, anche l’imposta estera va ridotta in misura corrispondente”.
Nel rinvio pregiudiziale è stato quindi richiesto alla Corte di chiarire “se gli articoli 63 e 65 del
Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea ostino alla normativa di uno Stato membro in forza
della quale, allorché un residente di tale Stato – azionista di una società stabilita in uno Stato membro
diverso – percepisca dividendi tassati in entrambi gli Stati, non si ponga rimedio alla doppia
imposizione mediante l’imputazione nello Stato di residenza di un credito d’imposta almeno pari
all’importo dell’imposta versata nello Stato della società distributrice” (para. 18).
La Corte, in conformità alla propria giurisprudenza, ha in primis evidenziato come per i dividendi di
fonte estera percepiti da una persona fisica residente di un altro Stato membro si possa determinare
una doppia imposizione giuridica se lo Stato della fonte e quello di residenza decidano di esercitare la
propria potestà impositiva. Nel caso di specie, la Corte prende atto che la normativa italiana non fa
alcuna distinzione tra i dividendi distribuiti da una società stabilita in Italia e quelli distribuiti da una
società stabilita in Francia, posto che in entrambi i casi i dividendi concorrono alla base imponibile
limitatamente al 40 per cento del loro importo. La circostanza che i dividendi di fonte francese siano
assoggettati ad un onere tributario maggiormente gravoso rispetto a quello gravante sui dividendi di
fonte interna (distribuiti da società italiane) non è imputabile ad alcuna discriminazione posta in
essere dalla normativa italiana, bensì la mera conseguenza dell’esercizio parallelo del proprio potere
impositivo dei due Stati, l’uno operante come Stato della fonte (Francia) e l’altro come Stato di
residenza (Italia).
Pertanto, la Corte conclude che lo Stato membro di residenza dell’azionista non è tenuto, in forza del
diritto dell’Unione, ad eliminare la doppia imposizione dei dividendi mediante il riconoscimento di
2 un credito d’imposta pari all’intero importo dell’imposta versata nello Stato membro della fonte di tali
dividendi, confermando, quindi, con riguardo all’ordinamento tributario italiano, la legittimità
dell’art. 165 comma 10 del TUIR.
Con l’ordinanza in commento, la Corte ribadisce un principio consolidato per cui l’esercizio parallelo
del potere impositivo tra Stati membri, e la conseguente doppia imposizione giuridica internazionale
cui sono soggette le distribuzioni transfrontaliere di dividendi, non costituisce una violazione della
libertà di stabilimento ovvero della libera circolazione dei capitali (per una critica alla posizione della
Corte si veda A. Rust (ed.), Double Taxation within the European Union, Deventer, 2011). Tale
principio era evidente sin dalla sentenza Kerckhaert and Morres (Causa C-513/04, del 14 novembre
2006), in cui la Corte ha avuto modo di chiarire che “…in quanto la legislazione fiscale belga non
effettua alcuna distinzione tra i dividendi di società stabilite in Belgio e quelli di società stabilite in un
altro Stato membro, visto che questi ultimi sono assoggettati, in conformità alla legge belga, ad
un’aliquota identica del 25% a titolo di imposta sul reddito…le conseguenze svantaggiose che
l’applicazione di un sistema di imposizione dei redditi, quale il regime belga di cui alla causa
principale, potrebbe comportare derivano dall’esercizio parallelo da parte di due Stati membri della
loro competenza fiscale”. (para. 17 e 20)
Il citato principio è stato confermato anche nella sentenza Damseaux (Causa C-128/08, del 16 luglio
2009) in cui la Corte ha precisato che “…la circostanza che sia lo Stato membro della fonte dei
dividendi sia lo Stato membro di residenza dell’azionista possano tassare tali dividendi non implica
che lo Stato membro di residenza sia tenuto, in forza del diritto comunitario, a prevenire le
conseguenze svantaggiose che potrebbero discendere dall’esercizio della competenza così ripartita tra
i due Stati membri (para. 34)”. Pertanto, l’ordinanza C-194/15 in rassegna è conforme ai precedenti
giurisprudenziali della CGUE.
Ciò detto, non si può non osservare come il giudice di merito avrebbe potuto risolvere in radice il
problema della doppia imposizione giuridica dei dividendi sancendo la prevalenza dell’art. 24 della
Convenzione Italia-Francia sull’articolo 165, comma 10 del TUIR. In proposito pare condivisibile la
posizione espressa dalla dottrina secondo cui l’art. 165, comma 10 del TUIR deve essere disapplicato
in presenza di convenzioni contro le doppie imposizioni che non pongono limitazioni ulteriori
rispetto a quella “ordinaria” che limita l’ammontare delle imposte estere accreditabili alla quota
d’imposta italiana riferibile al reddito estero (i.e. “credito ordinario”: cfr. F. Nanetti, I profili fiscali
del matching credit secondo la Cassazione, in Rivista di Diritto Tributario, 2010, V, 10; S. Mayr, La
disciplina del credito d’imposta per i redditi esteri, in Bollettino Tributario, 2007, p. 1270; M.
Gusmeroli, Il nuovo modello convenzionale di credito per imposte estere nel protocollo con Cipro, in
Bollettino Tributario, 2010, p. 1027). In proposito si deve osservare che in alcune recenti convenzioni,
l’Italia ha inserito nell’articolo che disciplina il credito d’imposta una specifica disposizione che
riflette il contenuto dell’art. 165, comma 10 del TUIR. Ad esempio, l’art. 22 della Convenzione con
Hong Kong contiene la seguente clausola: “L'imposta pagata nella Regione Amministrativa Speciale
di Hong Kong per la quale spetta la detrazione è solo l'ammontare pro-rata corrispondente alla parte
del reddito estero che concorre alla formazione del reddito complessivo.” La medesima disposizione
è prevista nei Protocolli aggiuntivi delle convenzioni stipulate con Corea del Sud e Cipro. In via di
principio, dunque, si dovrebbe ritenere che nella misura in cui la Convenzione bilaterale ItaliaFrancia non contiene alcuna limitazione specifica in ordine all’ammontare del credito d’imposta, la
ritenuta alla fonte dovrebbe essere accreditabile per l’intero ammontare, fatto salvo il limite della
3 quota di imposta italiana afferente al reddito prodotto all’estero.
Da ultimo, si osserva che la prevalenza della norma pattizia su quella interna dovrebbe essere
accertata direttamente dal giudice di merito e non potrebbe essere oggetto di rinvio pregiudiziale alla
Corte di Giustizia. Infatti, la stessa Corte ha chiarito nel procedimento Damseaux che: “…risulta dalla
giurisprudenza che la Corte non è competente, nell’ambito dell’art. 234 CE, a pronunciarsi
sull’eventuale violazione, da parte di uno Stato contraente, delle disposizioni di convenzioni bilaterali
concluse dagli Stati membri dirette ad eliminare o ad attenuare gli effetti negativi che discendono
dalla coesistenza di sistemi fiscali nazionali (para.22)”.