IL RISPARMIO: UNA RISORSA DA TASSARE?
Transcript
IL RISPARMIO: UNA RISORSA DA TASSARE?
SPUNTI DI DISCUSSIONE PER IL SEMINARIO “IL RISPARMIO: UNA RISORSA DA TASSARE?” Roma, 12 febbraio 2013 1. Il contesto: L’Europa. L’Italia può presentarsi oggi in Europa a testa alta e con tutte le carte in regola: con un bilancio in pareggio strutturale e stabilizzato nel breve come nel lungo termine, anche grazie alla sostenibilità del suo sistema previdenziale e all’introduzione nella Costituzione del principio dell’equilibrio tra le entrate e le spese; con un sistema bancario assai più solido rispetto a quello di altri paesi; con un patrimonio pubblico molto vasto, un debito privato, di famiglie e imprese, inferiore del 20 per cento alla media europea, e un livello di ricchezza netta privata che è il quadruplo del suo debito pubblico e tra i più alti delle economie avanzate; con un sistema produttivo fatto di migliaia d’imprese, con una forte vocazione all’export, e con nicchie di eccellenza che tutto il mondo ci invidia nell’innovazione e nella ricerca scientifica e tecnologica. Sulla base di queste premesse l’Italia deve impegnarsi affinchè all’avvio di una più intensa e comune disciplina di bilancio - determinato dalla riforma del Patto di stabilità e crescita, dalle nuove modalità di sorveglianza multilaterale e coordinamento delle politiche (i c.d. “six pack” e “two pack”) e, da ultimo, dall’approvazione del c.d. Fiscal Compact - corrisponda, simmetricamente, l’impegno di tutti gli Stati membri a proseguire sul sentiero dell’unificazione delle politiche e di una maggiore solidarietà. L’Italia non può accettare di cedere ulteriori spazi di sovranità se non all’interno di un progetto politico complessivo e condiviso di superamento delle logiche intergovernative e di rilancio dell’Unione europea su basi federali, volto a conferire una piena legittimazione democratica alle sue Istituzioni e a dotarle di nuovi strumenti operativi per l’attuazione delle politiche di bilancio, monetarie, fiscali, per la condivisione dei rischi, per la difesa comune, la coesione sociale e la sostenibilità ambientale. Occorre quindi fin d’ora impostare le basi di un lavoro costituente della nuova Europa, che dovrà essere portato a compimento nella prossima legislatura, per far si che il nobile obiettivo dell’Unione di diventare un'economia intelligente, sostenibile e solidale, indicato nella Strategia Europa 2020, non rimanga scritto solo sulla carta. Nell’immediato, il consolidamento dell'Unione economica e monetaria presuppone non solo che ne sia completata l'architettura, ma anche che siano perseguite politiche di bilancio differenziate e volte a promuovere la crescita. A tal fine, compatibilmente con il principio del pareggio di bilancio, che dal 2014 assumerà una valenza costituzionale, il prossimo Governo dovrà far valere maggiormente in sede europea le ragioni dello sviluppo e della coesione sociale, sfruttando tutte le possibilità offerte dal vigente quadro normativo dell'UE per: armonizzare la disciplina di bilancio con l’esigenza di far ripartire investimenti pubblici produttivi nei settori delle infrastrutture, della formazione, della ricerca, e innovazione e della cultura, escludendo dal computo del saldo rilevante ai fini del rispetto del Patto di stabilità e crescita e dall’aggregato di riferimento della regola sulla spesa, tutte le nuove spese destinate a tali finalità; ottenere la facoltà, in particolare per sostenere il Mezzogiorno e le altre aree sottoutilizzate, di introdurre forme più estese e differenziate di fiscalità di vantaggio e di utilizzare in modo più flessibile i fondi strutturali europei; negoziare la possibilità di escludere temporaneamente ed entro determinati limiti dalla nuova regola del debito le passività connesse alle garanzie statali accordate a banche e istituzioni finanziarie, quali ad esempio la Cassa depositi e prestiti, per la concessione di finanziamenti per l’attuazione di investimenti ambientali e macro progetti di sviluppo sostenibile. 2. La riduzione della pressione fiscale può essere resa compatibile con i vincoli di bilancio solo allargando le basi imponibili attraverso una più intensa lotta all’evasione e all’elusione fiscale, cui gli intermediari, con ulteriori nuove norme per la trasparenza e la tracciabilità delle transazioni, e con un sforzo per la diffusione della moneta elettronica, potranno dare un contributo fondamentale. Tutte le risorse così reperite dovranno essere indirizzate a ridurre la pressione fiscale sul lavoro (incidendo sul cuneo fiscale e contributivo) e sull’impresa, (agevolando selettivamente i nuovi investimenti, le spese per l’innovazione e la R&S, i processi di patrimonializzazione e internazionalizzazione del tessuto produttivo). L’utilizzo selettivo della leva fiscale e la ricomposizione delle fonti di gettito può, nell’immediato: sostenere i consumi, attraverso la riduzione del prelievo a partire dalle fasce di reddito medio-basse; far ripartire gli investimenti privati, attraverso agevolazioni mirate anche ad attrarre gli investimenti esteri; ridurre il tasso di disoccupazione, attraverso incentivi per lo start up delle nuove imprese e per le assunzioni, in particolare di giovani e donne. Ulteriori margini per la riduzione della pressione fiscale potranno essere individuati con il rafforzamento e l’estensione a tutta la Pa della spending review, anche se in tal caso affianco all’obiettivo del contenimento della spesa – in particolare per i consumi intermedi - dovrà esservi una ricomposizione qualitativa della spesa finalizzata a rafforzare le spese strategiche per l’istruzione, scolastica e universitaria, e per la ricerca e, al contempo a ridurre la spesa corrente per il rilanciare le spese in conto capitale e gli investimenti pubblici e pubblicoprivati. La caduta verticale delle spese in conto capitale, passate dai 66 miliardi del 2009 ai 48 miliardi del 2011 e stimate in ulteriore contrazione sino al 2015, è una delle cause principali della caduta del PIL nazionale. Per uscire con più celerità dalla crisi non si può dunque prescindere dall’apporto anche della domanda pubblica, che attraverso la riqualificazione della spesa deve essere reindirizzata verso i settori con maggiori potenzialità di crescita e occupazionali: l’edilizia (residenziale, sanitaria e scolastica); la mobilità e la logistica; il riassetto idrogeologico; lo sviluppo urbano; il restauro dei beni culturali; la ricerca; la digitalizzazione della PA. Tale processo va reso sinergico con l’attuazione del Piano d’azione per la coesione, migliorando il tasso di assorbimento dei fondi strutturali europei, in particolare nel Mezzogiorno. 3. Risparmio. Non c’è dubbio che il risparmio è, come afferma la nota di sintesi, una risorsa fondamentale, che può e deve essere sostenuta in primo luogo incrementando il reddito disponibile delle famiglie; ed è altresì vero che per un’industria del risparmio efficiente e solida servono politiche pubbliche mirate in termini di regolazione e sistema impositivo. In un contesto europeo caratterizzato da una forte disomogeneità dei regimi di tassazione delle attività finanziarie, occorre evitare che le norme fiscali, che purtroppo si stratificano nel tempo, determino spiazzamenti competitivi degli intermediari nazionali rispetto agli operatori esteri e svantaggi che penalizzino l’attrazione di risparmi ed investimenti dall’estero. Ciò detto, in linea generale ritengo che il sistema impositivo nazionale debba ampiamente rivisitato nell’ottica di sostenere la competitività degli intermediari e tutelare, come prescrive la Costituzione, il risparmio, favorendone l’indirizzamento verso impieghi di medio periodo a sostegno degli investimenti, rilevando tuttavia che al contempo vi è la necessità mantenere un livello di prelievo differenziato atto a scoraggiare le attività speculative di breve e brevissimo periodo, riequilibrando, in via generale, il peso della tassazione tra lavoro e rendite finanziarie e patrimoniali. In questa prospettiva, posso essere in linea di principio d’accordo con quanto rilevato dal Dott. Arquilla, laddove lamenta il rischio di disincentivare il trasferimento di risorse finanziarie nel nostro Paese o di determinare un’emigrazione all’estero della ricchezza, derivante da alcune misure recentemente introdotte, quale ad esempio l’imposta di bollo proporzionale sulle attività finanziarie detenute presso il sistema finanziario italiano, che, come è noto, prevede un prelievo di natura patrimoniale che colpisce i capitali amministrati o gestiti anche se detenuti da soggetti residenti in paesi esteri che attuano uno scambio d’informazione con l’Amministrazione finanziaria italiana. Prelievo che proprio perché colpisce solo la liquidità intermediata presso il sistema finanziario determina una sperequazione, lasciando esente da imposizione le altre forme di ricchezza detenute al di fuori del circuito finanziario. Sul punto credo, quindi, che occorrerà ritornare nell’ambito di un più vasto riordino della tassazione delle attività finanziarie che contempli anche una migliore definizione della recente imposta sulle transazioni finanziarie volta ad evitare che la stessa colpisca prevalentemente le sole transazioni finanziarie su titoli azionari. Riordino della tassazione che dovrà avere come criterio guida – e anche in questo caso sono d’accordo con il dott. Arquilla – quello di agevolare le forme di risparmio vincolato a medio e lungo termine con un’aliquota agevolata rispetto a quella ordinaria, così come la normativa attuale accorda specifiche agevolazioni al risparmio avente finalità previdenziali. Più nel dettaglio, mi domando inoltre – e soprattutto domando a voi – se non sia opportuno modificare in radice l’attuale sistema impositivo su redditi finanziari, ritornando, almeno in parte, ad un sistema di comprehensive income taxation, includendo alcune rendite finanziarie nella base imponibile dell’imposta personale progressiva e disciplinando in modo differenziato, e nell’ottica sopra richiamata di agevolare gli investimenti di medio periodo, i proventi da interessi, dividendi e guadagni di capitale. Penso in particolare, al modello tedesco. In ogni caso, ritengo che per superare definitivamente le distorsioni derivanti dai fenomeni di tax competition e di concorrenza fiscale dannosa occorra rilanciare la questione a livello europeo. Il dibattito politico ed economico, in ambito comunitario, sfociato nella direttiva 2003/48/CE2 in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamento di interessi, deve essere ripreso per addivenire in questo ambito a un politica fiscale comune in un unico ampio mercato dei capitali, con modelli di tassazione quanto più possibili uniformi tra gli Stati membri Segue sintesi dei sistemi di tassazione in Europa INTERESSI La tassazione degli interessi di fonte interna percepiti dai residenti si presenta disomogenea nei diversi Paesi europei, i quali si basano su modelli alternativi, dalla comprehensive income taxation alla dual income taxation. Il sistema più diffuso è quello della comprehensive income taxation, secondo il quale gli interessi sono assoggettati ad imposizione personale e progressiva,dunque rientrano nel reddito complessivo del contribuente.Tale sistema è adottato in Danimarca,Germania, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Regno Unito e Spagna, con alcune varianti. Germania, Irlanda, Regno Unito e Spagna prevedono, ad esempio, una ritenuta d’acconto (withholding tax) alla fonte, come anticipo della tassazione ordinaria. In alcuni casi, la progressività è attenuata dalla presenza di fasce di esenzione, come in Germania, Lussemburgoe Paesi Bassi. Una seconda modalità di tassazione degli interessi consiste nell’offrire ai risparmiatori l’opzione tra la comprehensive income taxation, con l’applicazione o meno di ritenute d’acconto, e il regime cedolare (final withholding tax), mediante applicazione di una ritenuta alla fonte a titolo di imposta. Questo modello è adottato dal Belgio, dalla Francia e dal Portogallo. Un altro gruppo di Paesi (Austria, Grecia e Finlandia) prevede invece, come l’Italia, l’assoggettamento degli interessi a ritenute definitive a titolo di imposta o ad imposte sostitutive ad opera dell’intermediario incaricato del pagamento. Infine, la Svezia adotta il modello della Dual Income Taxation, in cui gli interessi sui depositi e gli interessi obbligazionari, unitamente ai dividendi e alle plusvalenze, vanno a costituire l’aggregato redditi di capitale, soggetto ad un prelievo di tipo proporzionale. DIVIDENDI Il trattamento fiscale dei dividendi è anch’esso articolato in diversi modelli. In particolare, le modalità di tassazione possono essere classificate come segue: a) inclusione dei dividendi nella base imponibile dell’imposta personale e progressiva sul reddito (Belgio, Francia, Germania, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna). Ad eccezione della Francia, in tutti gli altri Paesi è prevista l’applicazione di una ritenuta alla fonte a titolo d’acconto, detraibile in sede di determinazione dell’imposta personale del percettore. Il Belgio concede al contribuente anche l’opzione per una ritenuta definitiva; b) tassazione separata dei dividendi (Finlandia, Regno Unito, Danimarca e Svezia), con aliquote proporzionali. In Danimarca, è prevista una ritenuta definitiva del 25% per un ammontare di dividendi fino a 4.982 euro; c) tassazione mediante ritenuta alla fonte definitiva (Austria, Italia e Portogallo); il Portogallo concede ai contribuenti l’opzione per la tassazione ordinaria; d) non imponibilità dei dividendi in capo al percettore (Grecia). In merito alla tassazione dei dividendi, assume poi rilevanza la presenza di meccanismi finalizzati ad eliminare o attenuare il fenomeno della doppia tassazione, prima in capo alla società e poi in capo all’azionista. GUADAGNI DI CAPITALE L’analisi del trattamento fiscale dei guadagni di capitale mette in evidenza due modelli principali: a) i guadagni di capitale sono generalmente soggetti ad imposizione, attraverso forme di tassazione separata (Danimarca, Finlandia, Francia, Irlanda, Portogallo, Regno Unito, Spagna e Svezia); b) i guadagni di capitale sono generalmente esenti, soggetti a tassazione solo in casi particolari, come per plusvalenze derivanti da operazioni speculative o da partecipazioni qualificate (Austria, Belgio, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi) oppure dalla vendita di azioni non quotate (Grecia). È da sottolineare che solo pochi Paesi europei applicano, come in Italia, la tassazione delle plusvalenze derivanti sia da titoli azionari sia da titoli obbligazionari. Inoltre, nonostante quasi tutti i Paesi riconoscano la possibilità di compensare le minusvalenze realizzate con le plusvalenze, solo in Svezia, come in Italia, all’interno del regime del risparmio gestito, esiste la possibilità di compensare le minusvalenze anche con gli altri redditi da capitale, quali gli interessi e i dividendi. Infine, al di là dell’Italia, non esistono altri esempi europei di tassazione delle plusvalenze alla maturazione e non alla realizzazione.