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Incontro con l'autore
Mimmo Sammartino e Il paese dei segreti addii
Parto con un “grazie”, non retorico, ad Anna Sammartino ed Elda Rizzitelli, insieme abbiamo
costruito qualcosa che mancava in questa città, che pur pullula di scrittori e aspiranti tali: non
laboratori estemporanei, ma una vera e propria scuola, cui, poi, abbiamo dato un nome scherzoso,
per recuperare sul piano della leggerezza che inevitabilmente il termine “scuola” mette in crisi.
“Nei pressi del circolo Pickwick” è una scuola biennale, ma è una scuola in cui termini come
“libera-mente, spontanea-mente, piacevol-mente”, si coniugano con “consapevol-mente”, cioè con
l'invito ad una scrittura fatta di piacere e nello stesso tempo di rigore e precisione.
“Uno scrittore deve avere dei valori e conoscere il proprio mestiere”.
Il corso di scrittura come occasione di incontri, di avventure umane; il corso di scrittura come luogo
di scambio di valori; il corso di scrittura come ingresso in un laboratorio artigianale, dove si impara
un mestiere, che poi lo si sappia e lo si possa esercitare, è un fatto personale, ma intanto si è
appreso un mestiere, il cui fascino sta proprio nell'essere sul confine tra assoluta libertà e rigorosità
delle regole.
Ma torniamo all'idea dell'avventura. E' così che ho sempre inteso i miei laboratori. E' già
un'avventura che un certo numero di persone, che non si sono “mai viste e conosciute”, partite da
porti diversi e dirette chissà dove, ad un certo punto della loro vita si incontrino di fronte ad un
foglio bianco per “inventarsi” qualcosa, per inventarsi quella prima parola, quella prima frase che li
avvierà verso la scoperta delle proprie potenzialità espressive e, insieme, verso la scoperta di sé.
E' già un'avventura che il percorso prosegua tra disvelamenti di sé non sempre facili; che si rafforzi
di incontro in incontro il bisogno di raccontarsi; che si faccia del pudore del raccontarsi una “forza”
(non una debolezza), forza che si fa ricerca delle parole che esprimano e comunichino il proprio
mondo segreto, fatto di esperienze profonde e di fervida immaginazione, un mondo che si era
finora celato in un cassetto reale o metaforico dietro l'assenza o l'incertezza delle parole; parole
che ora, pian piano, ritroviamo in miniere rimaste inesplorate fino a quel momento; che si
apprenda a pensare alle nostre parole letterarie come ad un dono da porgere agli altri, come sono
state per noi un dono le parole trovate nei tanti libri letti e conservate, forse prima
inconsapevolmente, ora certo consapevolmente, in un archivio cui attingere liberamente. Certo,
bisogna cercarle le parole, ci sembra che siano lì, ne pronunciamo tante, infatti, ogni giorno, ma le
parole che ci chiede la scrittura, quelle che si compongono in scacchiere governate da una sola
legge, quella dell'efficacia espressiva e comunicativa, fatta di rigorosa precisione, bisogna cercarle.
E questo è studio, è approfondimento, è tecnica. E' quello che tendo ad insegnare. Non posso
insegnare il talento dello scrivere, o c'è o non c'è, ma posso contribuire a farlo venir fuori e, poi, a
coltivarlo. Non posso insegnare il talento dello scrivere, ma posso dare un piccolo contributo al
talento di vivere, invitando a scrivere anche solo per il piacere di farlo.
E' un'avventura che il Corso Base 2016 si sia chiuso con una prima “vera” pubblicazione. E' passata
davvero una vita dalla prima parola che si è posata sul foglio bianco, spontanea come la prima
goccia d'acqua di una sorgente, a “La storia di Antonio”, il nostro primo racconto collettivo.
Ed è stata un'avventura raccontarci come scrittori ad un pubblico esterno al corso, dove, va
precisato, siamo stati ciascuno scrittore e lettore, preparandoci così al momento più difficile, quello
dell'uscita dal cerchio protetto del laboratorio per introdurci nel mare delle pubblicazioni, dove
cercare di catturare il lettore “reale”.
Ho parlato del corso di scrittura come di un'occasione di incontro, ne abbiamo offerta più di una in
questo primo anno, abbiamo incontrato una poeta, Anna Santoliquido, un editore, Antonio
Candela, un narratore, Mimmo Sammartino.
Quello con Mimmo Sammartino è stato l'ultimo degli incontri programmati nell'ambito del Corso
Base 2016, finalizzato a guardare alla scrittura pensando al passaggio da scrittore ad “autore”. Una
presa di responsabilità che è anche una scelta di vita.
Ci ha fatto da guida l'ultimo libro di Sammartino, Il paese dei segreti addii, Hacca editore, 2016.
Siamo partiti dalla mia analisi del libro che qui riassumo.
“ “Un paese ci vuole”, scriveva Pavese, “un paese ci vuole se non fosse che per il gusto di andarsene
via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa
di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.". Rileggere le parole di Pavese, dopo aver
letto Il paese dei segreti addii, di Mimmo Sammartino, significa dare un senso del tutto nuovo al
mito del paese cui ritornare. Tutto vero, infatti, un paese ci vuole, qualunque sia il motivo che ci ha
spinto ad andarcene, qualunque sia il motivo che ci ha spinto a tornarci. Ne è testimone Habel
Dall'Aria, ne è testimone suo padre, il Senzanome. Se nel concetto di ritorno pare insito un indizio
di speranza, esso appare subito, nel racconto di Sammartino, come una luce che appena lampeggia
per lasciare che il buio torni più denso e irreparabile. “Un rivolo scarlatto come sangue sporcò la
neve, che pareva un’offesa. E tutti pensarono che fosse accaduto qualcosa di irreparabile”. Inizia
con un mistero di neve il Natale di Pietrafiorita. Così inizia anche il romanzo, con un indizio, si
diceva, che inquieta il lettore e lo conduce con abile gioco di microeventi fino allo stupore
dell'excipit. L'indizio accompagna il lettore dentro una storia scandita da dolore e solitudine, a
tratti messi sullo sfondo dall'energia di una donna fuori dall'ordinario, dalla sua storia fuori da ogni
stereotipo che si intreccia, con la forza di una radice che a tutto resiste, nella storia corale, lenta e
inesorabilmente morente di Pietrafiorita, un borgo d’Appennino che si spopola, giocato nella
narrazione anche su un'inversione dei topoi spaziali. L'arroccarsi sulla montagna degli abitanti di
Pietrafiorita, infatti, non appare come una scelta operata per difendersi e prosperare, bensì come
un assedio senza speranza imposto da un potere che occupa, insensibile al destino degli assediati,
la ricca pianura.
Un poema, più che un racconto, quest'ultima prova letteraria di Mimmo Sammartino. Il lettore, che
di capitolo in capitolo incontra i personaggi e i loro luoghi, è avvinto sempre più dalle loro vicende,
scoprendo nel racconto il ritmo proprio del poema. Un poema in cui l'epica dei Senzanome assume
i toni della tragedia in un equilibrio di immagini e suoni di arcaica bellezza. Una scrittura, dunque,
quella di Sammartino, che restituisce il dolore e la rabbia nella loro purezza originaria e, attraverso
l'alta e romita Pietrafiorita con i suoi canti, i suoi girasoli, la sua neve meticcia di cenere e di
sangue, ci parla, al di là di ogni rischio retorico, di luoghi senza geografia e senza tempo, il cui ritmo
vitale tra schiavitù e libertà si incunea sommessamente ma profondamente nella storia,
resistendole.”.
Dopo la mia “recensione”, abbiamo interrogato l'autore per entrare nel suo laboratorio e carpirne i
segreti, le tecniche, per capire, soprattutto, quanto lavoro ci sia dietro un'opera come questa, già
candidata al Premio Strega, ora candidata al Premio letterario Basilicata.
A conclusione dell'incontro, cui ha partecipato, insieme ai nostri corsisti, un nutrito pubblico di
aspiranti scrittori e sicuri lettori, ho annunciato che questo romanzo sarà tra i “testi” di studio del
secondo anno di corso, per almeno tre motivi: è una vera e propria galleria, interessantissima, di
personaggi; l'intreccio si sviluppa in modo molto originale, catturando il lettore attraverso un'abile
disseminazione di indizi; la sensibilità dell'autore ha le sue radici nella nostra terra di Basilicata, e
può svelarci come dall'esperienza personale e da un contesto geograficamente e storicamente
determinato si possa passare al livello proprio della scrittura, che attinge al simbolico e
all'universale, consentendoci, così, di essere co-protagonisti di sempre nuove avventure nei mondi
possibili della letteratura.