strumento di lavoro - Diocesi di Alessandria

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strumento di lavoro - Diocesi di Alessandria
DIOCESI DI ALESSANDRIA
XVI SINODO DIOCESANO
STRUMENTO
DI LAVORO
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FERNANDO CHARRIER
per grazia di Dio e della S. Sede Apostolica
VESCOVO DI ALESSANDRIA
PUBBLICAZIONE DEL
DOCUMENTO PREPARATORIO
DEL XVI SINODO
Premesso che con Decreto in data 15 gennaio 1995 ho convocato il Sinodo
Diocesano alessandrino, in data 5 marzo 1995 ho pubblicato lo Statuto del
Sinodo e in data 1 novembre 1995 ho insediato l’Assemblea sinodale;
considerato il lavoro della Commissione preparatoria di analisi della situazione
socio-religiosa
con il presente Decreto dispongo
che venga pubblicato lo “strumento di lavoro” sul quale rifletteranno
l’Assemblea e le Commissioni sinodali.
Nei tempi stabiliti le risultanze dei lavori sinodali verranno sottoposti alla
verifica e alle osservazioni di tutta la Comunità cristiana alessandrina.
Alessandria, 12 novembre 1995
Festa della Chiesa locale
+Fernando Charrier
Vescovo
Mons. Luigi Riccardi
Cancelliere
INTRODUZIONE GENERALE
"I farisei e i sadducei si avvicinarono per metterlo alla prova e gli chiesero che mostrasse
un segno dal cielo. Ma egli rispose: Quando si fa sera, voi dite: Bel tempo, perchè il cielo
rosseggia; e al mattino: Oggi burrasca, perchè il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare
l'aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi?" (Mt 16,1-3).
Per accogliere il significato del Sinodo è essenziale saper leggere quanto sta avvenendo e
le logiche che governano i fatti e le culture con "sapienza", cioè alla luce del "progetto di Dio" e
dei segni che Lui stesso ci offre o permette per meglio comprendere il cammino da percorrere.
"Per svolgere il suo compito, è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei
tempi e di interpretarli alla luce del vangelo, così che, in un modo adatto a ciascuna generazione,
possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sul
loro reciproco rapporto". E prosegue la Costituzione del Concilio Vaticano II sulla Chiesa nel
mondo contemporaneo: "Bisogna infatti conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo nonchè
le sue attese, le sue aspirazioni e la sua indole spesso drammatiche" 1.
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Risulta quindi necessario far precedere alla descrizione e all'analisi, oltrechè alla verifica
del cammino della nostra Chiesa locale, lo scenario, cioè la cultura, la mentalità, la condizione e
la storia degli alessandrini in cui essa si "incarna".
La prima parte di questo "strumento di lavoro" non è un di più, una parte di contorno e un
lusso che ci si è concesso; è, invece, un capitolo complementare e precipuo di tutto il documento.
Senza questa prima parte non si può cogliere il senso e il valore della seconda sezione.
Per non incorrere in ripetizioni e non appesantire tutto lo "strunento" non si è ripetuto nei
singoli capitoli della seconda parte quanto era utile ritenere dello "scenario"; né si è ritenuto
necessario richiamare in nota questa descrizione. Il tutto è lasciato alla capacità di interpretazione
e di applicazione delle Commissioni e dell' Assemblea Sinodali. Una tale metodologia dei lavori
sinodali favorirà l'esame di coscienza e la revisione di vita ecclesiale propri del secondo anno
della Assise ecclesiale e preparerà con la dovuta concretezza il terzo anno, quello che dovrà
tracciare l'itinerario della Chiesa alessandrina per i prossimi anni.
Una lettura attenta della propria sezione del presente "strumento" aiuterà a selezionare le
domande e i fatti su cui porre l'attenzione e "l'esame di coscienza". Per uscire dalla difficoltà di
dover analizzare tutte le domande che inevitabilmente sorgono quando si pongono i problemi
conseguenti al proposito di verificare "come la nostra Chiesa e noi stessi evangelizziamo con la
parola e l'annuncio, con la celebrazione e la testimonianza", è opportuno trarre dallo "scenario"
quei problemi e quelle idee "fondativi" su cui è bene porre un'attenzione prioritaria. Su questi si
costruirà il cammino futuro della nostra Comunità cristiana.
I temi scelti devono rispondere a due intenti: essere inerenti alla situazione culturale e, allo
stesso tempo, alla condizione della Chiesa alessandrina. Del resto, le pagine introduttive alla
seconda parte di questo instrumentum laboris aiutano e stimolano a collocare in questo contesto
e in questa prospettiva anche le riflessioni più specificamente "ecclesiali" delle Commissioni:
dunque ogni parte di questo strumento merita attenta lettura e considerazione. E la profonda
opera di revisione del testo operata dai Sinodali stessi, nel produrre una gran massa di interrogativi
aveva certamente come nota di avvio una forte attenzione all'oggi dell'uomo e della società e,
insieme, al comando di Gesù: "Andate e ammaestrate tutte le nazioni ..." (Mt 28,19).
"Il Sinodo richiede a ciascuno la capacità di vedere e sperimentare la presenza del Signore
Gesù che invita ad essere attenti a quello che sta avvenendo nel mondo alessandrino, nella
Chiesa e nella società". Attenti non per mestiere e per tradizione o, peggio, per convenienza, ma
per convinzione poichè "nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel nostro cuore" 2.
Il presente sussidio è da ritenere un semplice strumento per l'ulteriore camnmino del
Sinodo; non è, quindi, un documento finale e può presentare alcune imprecisioni e lacune. Se ne
tenga conto negli ulteriori lavori delle Commissioni; anzi queste stesse carenze possono offrire
l'occasione per una analisi più puntuale del tema.
+Fernando Charrier
Vescovo
Alessandria, 31 marzo 1996
Domenica delle Palme
PRIMA
PARTE
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LO “SCENARIO”
PREMESSA
La "prima Commissione preparatoria" del Sinodo ha operato con lo strumento
dell'interpellanza per lettera al maggior numero di persone che potessero offrire un contributo
per una lettura della storia, della cultura e della vita della terra alessandrina.
Ne è risultato uno "spaccato" interessante e valido che ora viene offerto all'attenzione
non solo dei membri del Sinodo ma anche a tutti coloro che vogliono situarsi con adeguata verità
nella attuale realtà e nella concreta situazione alessandrina.
I singoli riscontri ottenuti al questionario proposto sono di tale qualità da consigliarne la
pubblicazione in un fascicolo a parte da diffondere come apporto alla conoscenza della condizione,
delle tendenze culturali e delle aspirazioni degli alessandrini.
La sintesi qui pubblicata deve essere "mentalizzata" dai membri delle Commissioni sinodali
in modo da "aver presente il mondo degli uomini, ossia la famiglia umana nel contesto di tutte le
realtà entro le quali vive; il mondo è teatro della storia del genere umano e reca il segno dei sui
sforzi, delle sue sconfitte e delle sue vittorie, il mondo che i cristiani credono creato e conservato
nell'esistenza dall'amore del Creatore, mondo certamente posto sotto la schiavitù del peccato,
ma dal Cristo crocifisso e risorto, con la sconfitta del maligno, liberato e destinato, secondo il
proposito divino, a trasformarsi e a giungere al suo compimento" 3
1. LA SITUAZIONE CULTURALE
1. Gruppi, istituzioni, esperienze, influenze
sulla cultura alessandrina
Nel considerare l’influenza dei gruppi culturali gli autori dei questionari distinguono
frequentemente due o più fasi, in particolare dal dopoguerra ad oggi, e due aree, almeno fino agli
anni ottanta: quella di indirizzo laico e marxista-gramsciano di più ampia influenza e quella di
indirizzo cattolico più circoscritta.
Non si fa una ulteriore differenziazione fra la cultura laica e quella marxista e questo sta
ad indicare la convinzione che vi sia una forte interpenetrazione.
Nell’area laico-marxista sono indicati in particolare il Circolo del Cinema, il Circolo De
Sanctis, i Pochi e per questi ultimi non si segnala il passaggio da gruppo privato a istituzione
comunale.
Nell’area cattolica sono ricordati il Cineforum, il gruppo dei giovani formatosi intorno a
Don Plinio Massolongo e alla rivista Tempi Facili, il gruppo intorno a Giovanni Sisto e alla rivista
La Provincia di Alessandria.
Dall'autunno 1958 ha operato il Centro Studi di via 1821 divenuto, in seguito, Centro
Studi Francesco Faà di Bruno che, nel tempo ha fatto principalmente quattro cose: "ricerca"
sia sulla persona umana sia sul binomio persona umana e convivenza civile, sia sul binomio
persona umana e convivenza ecclesiale; pubblicazione di due riviste: Edizioni Centro Studi
e poi Convivenza; ha assistito il sorgere e il collocarsi dei Consigli di Quartiere di Alessandria
nello spirito della democrazia della partecipazione; ha offerto contributi significativi, in tal
senso, anche a livello nazionale, soprattutto in occasione dell'Assemblea di Ravenna e della
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Legge 142/90.
Pochi hanno ricordato le associazioni laiche dei Lyons e del Rotary.
Dagli anni ottanta si è osservato che i gruppi e i circoli svolgono un’attività più articolata
e problematica, cioè non sono più rigidamente ideologizzati o sono culturalmente disinteressati:
dal CRDS, al Centro Studi di Psicanalisi, all’UNITRE, all’Istituto Gramsci, ai recenti Amici
del Liceo Scientifico, Amici del Plana, Amici della Facoltà’ di Scienze Politiche.
Vi è poi chi ha considerato più vitale per la cultura circoli e gruppi soprattutto rivolti ad una
attività sociale e popolare: i Tre Martelli, Città Nuova, il Teatro del Rimbalzo, i vari gruppi
ecologisti, di nuovo i Pochi, il Circolo del Cinema, l’UNITRE.
Passando dai circoli e gruppi alle istituzioni culturali, quelle citate sono l’ATA, l’Istituto
Storico della Resistenza, il Circolo di Cultura dell’Università Cattolica e, pur non entrando
nei particolari, il giudizio è positivo. Come da più parti si è sottolineato l'importante rilievo, sia
sociale che culturale, che hanno avuto eche talora continua tuttora, soprattutto nei paesi e nei
piccoli centri, delle SOMS (Società Operaie di Mutuo Soccorso).
Chi poi esamina il rapporto fra gli enti locali, e soprattutto il Comune di Alessandria, e la
vita culturale ne sottolinea l’aspetto positivo dall’inizio del dopoguerra agli anni 70 e cita in modo
particolare la decisione e l’iniziativa di ricostruire il Teatro Comunale e la scelta della
municipalizzata.
Criticata invece è la politica culturale del Comune dagli anni 80, soprattutto per l’abbandono
di ogni serio impegno sui servizi culturali fondamentali, quali Biblioteca, Pinacoteca, Museo,
Archivi, ecc., senza i quali vengono a mancare basi importanti per svolgere ogni altra continuata
attività.
2. Soggetti culturali: aperti, dialoganti o settari?
Omogeneità culturale o differenziazioni?
Chi ha voluto dare solo un giudizio d’insieme ha denunciato la separatezza, lo spirito
settario, il provincialismo, l’indifferenza dei soggetti culturali nei loro rapporti e della città in
relazione a loro.
Separatezza e spirito settario, perché non solo è mancato o è stato povero il dialogo fra
l’area laico-marxista e quella cattolica, ma fra questi gruppi culturali e la loro stessa area di
riferimento: la Chiesa o i partiti, che vengono indicati come diffidenti, preoccupati se non ostili.
E provincialismo: nel doppio senso di un riflettersi meccanico, non collegato ai veri interessi
locali, dei grandi temi nazionali e contemporaneamente, proprio per questo motivo, di una sorta
di ottusità agli stessi non compresi veramente, ma introdotti in modo esteriore.
Chi invece ha voluto dare a questo problema una connotazione più storica ha indicato uno
sviluppo predominante della cultura laico-marxista, mentre quella cattolica rimaneva rinchiusa
nelle proprie associazioni e nei propri limiti.
Tuttavia con l’avvento del centrosinistra, negli anni 60, la cultura laico-marxista entra in
crisi perché non sa uscire dalla dimensione “umanistica” tradizionale e affrontare le nuove
tematiche economico-sociali-scientifiche provocate dalla svolta neo capitalistica della nostra
società, in cui l’economia conquistava il settimo posto nel mondo industriale e la nuova condizione
di benessere sconvolgeva il precedente ordine economico e la mentalità e i costumi ad esso
connessi.
Vive le critiche alla politica degli enti culturali, già in parte citate, accusati di dirigismo
generico man mano che ci avviciniamo agli anni 80 e di mancanza di impegno sia verso i servizi
culturali tradizionali sia verso ipotesi e scelte innovative.
Questo tipo di cultura si rivela inoltre elitario e chiuso entro i confini di una specializzazione
intellettuale senza legami e stimoli verso la comunità e i ceti più umili.
A sua volta la città, intesa come una comunità articolata di strati sociali consapevole dei
suoi interessi e dei suoi fini, è nell’insieme distaccata da questa cultura e dalle sue istituzioni.
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3. Cause che hanno frenato
lo sviluppo culturale della città
Nei questionari viene messo in primo piano il “carattere” degli alessandrini, considerato
sotto l’aspetto comunitario e sotto quello individuale, fissato nei suoi tratti positivi, ma l’indicazione
è di pochi, e in quelli negativi o limitativi.
Fra gli aspetti positivi vi sono la modestia, la concretezza, la “furbizia”, l’intelligenza, ma
anche il senso del dovere, lo spirito critico, il “calvinismo intellettuale temperato da senso
dell’equilibrio”.
C’è chi ha colto nel carattere degli alessandrini un cambiamento tra l’immediato dopoguerra
caratterizzato da spirito pratico, concreto, ma solidale, e l’oggi, ove dominano competizione,
arrivismo, ipocrisia, individualismo esasperato e meschino, tendenza a considerare la comunità
come un “agglomerato freddo”, estraneo.
Quindi emergono fra gli aspetti negativi il non vedersi come collettività, la diffidenza,
l’ipercriticismo, la compiacenza della propria mediocrità, il difendersi dallo spirito del nuovo fino
a privilegiare l’acquisito e a pensare al futuro come difesa del presente, l’eccesso di provincialismo
e quella supponenza che pretende di fare dei propri limiti una virtù.
Questo “carattere” è poi considerato conseguenza di diverse cause, in genere nei vari
questionari prese isolatamente:
1. Cause storiche di lungo periodo
Il progressivo ritardo della nostra città rispetto al contesto soprattutto piemontese e
novecentesco sarebbe da attribuire alla sua tradizione militare, e ad un ceto prima nobiliare poi
borghese interessato alle rendite personali agrarie più che ai valori della collettività.
Agricoltura e commercio sono stati così congeniali da condizionare la stessa attività
industriale formata da piccole e medie aziende a misura di singolo imprenditore, limitate nel
rischio, con forte e chiusa coscienza individualistica.
L’unica eccezione è stata quella di Borsalino, ma proprio per questo orientata verso la
monocoltura del cappello.
L’individualismo stretto del ceto imprenditoriale, la mancanza di forme di solidarietà sia
economiche che sociali spiegano anche come il potere politico e amministrativo sia divenuto
monopolio delle sinistre, mentre il blocco conservatore si è attenuto all’economia e alle professioni
disinteressandosi delle forme di mediazione e di connessione politico-sociali.
Vi è poi chi scopre nel “carattere” alessandrino come una “tara genetica": la nostra
origine contadina, da cui derivano il timore del rischio del nuovo e la ricerca della stabilità nel
pubblico impiego.
2. Cause storiche riferite al secondo dopoguerra
Vengono soprattutto individuate da un lato nella “politica” della Chiesa, che si è a lungo
schierata con la Democrazia Cristiana provocando un troppo timido e poco qualificato impegno
della cultura cattolica nel dibattito sociale, e dall’altro nell’azione della sinistra che, soprattutto
negli ultimi decenni, si è impegnata a consolidare un blocco di potere piuttosto che attuare idee
e programmi progressisti.
3. Cause economiche attuali
Molti indicano come causa del degrado attuale la persistente stagnazione economica
della città senza per altro analizzarne le caratteristiche. Con l’eccezione di chi vede nella nostra
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struttura agricolo-commerciale-piccolo industriale lo scontro tra un “non fare” all’interno della
città e un collocare le iniziative industriali importanti fuori, che ha di fatto immobilizzato la città.
4. Cause politico-amministrative
Vengono individuate nel già citato dirigismo generico dell’Ente culturale e nella
corrispondente mancanza di cura, riorganizzazione, aggiornamento dei servizi culturali
fondamentali.
5. Cause sociali
Viene da taluni invocata come causa di disomogeneità e quindi di scarsa cultura comunitaria
la concentrazione dei ceti più poveri in talune aree cittadine, con il risultato di una cattiva
distribuzione dei movimenti migratori verificatisi nella città.
4. Sottoculture di ceti
e categorie professionali
Non sono soggette ad una indagine approfondita e analitica e vengono considerate povere
di rilievo.
Gli ordini professionali sono definiti poco attivi e culturalmente poco sensibili.
Nel ceto commerciale l’atteggiamento è genericamente scontento e protestatario, ma
sostanzialmente subordinato al potere politico dominante e poco incline all’innovazione.
Come giudizio complessivo si afferma che le categorie pensano soprattutto al proprio
profitto chiudendosi nell’individualismo gretto già citato.
5. Luoghi e modi della formazione
e partecipazione politica
I luoghi tradizionali fino agli anni 80 sono stati i partiti di massa, soprattutto la DC e il PCI,
le parrocchie e i sindacati, poi sarebbe incominciato il loro declino caratterizzato da scarsa
capacità di presa sulla comunità e poca chiarezza di obiettivi.
C’è anche chi indica i metodi “confessionali”, cioè dogmatici e conformistici, di questa
formazione, che ha educato persone fedeli e diligenti più che ricche di iniziativa e di spirito critico
e innovativo.
6. Influenza della scuola
Le posizione sono molto diversificate tra valutazioni positive e negative.
Valutazioni positive: molti apprezzano genericamente la scuola come luogo di formazione
culturale e civile, ma senza specificarne i caratteri, le direzioni, i momenti.
Spesso si mette in risalto il suo ruolo positivo di “protagonista silenzioso” anche se povero
di risorse, intendendo una continuità di azione poco evidente ma tenace ed efficace nei risultati.
Altri considerano la scuola poco innovativa o valida solo per il prestigio di alcuni insegnanti.
Valutazioni negative: si va dalla negazione completa, per altro poco argomentata, alla
negazione della sua capacità di formazione civile.
Interessante è una denuncia “dell’opportunismo” delle famiglie quale causa principale
della mancanza di tensione formativa della scuola, cioè dell’interesse esclusivo alle promozioni,
ai diplomi, ai riconoscimenti burocratici.
Molti infine piuttosto che valutare ciò che la scuola è o è stata indicano ciò che dovrebbe
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essere.
7. Influenza dell’Università sulla città
La valutazione è ampiamente positiva come riferimento culturale permanente e come
possibilità di vivificazione della città.
Sono anche apprezzati l’impegno e il valore degli insegnanti e dei corsi.
Poco invece si dice sui bisogni, sui problemi e sulle scelte dell’Università alessandrina.
Molti denunciano la poca attenzione e informazione dei cittadini su questa istituzione o
addirittura l’ostilità nascosta di molti gruppi culturali.
Nulla si dice sull’intervento e la collaborazione fra le istituzioni comunali e provinciali oltre
che dei privati, e quelle universitarie.
2. LA SITUAZIONE ECONOMICA
Valutazione sintetica condivisa
Il giudizio complessivo che emerge dall’analisi dei questionari è di un’economia in
stagnazione e recessione, con scarse potenzialità di ripresa. Sono solo quattro o cinque le
risposte che hanno affrontato l’analisi economica in modo approfondito, andando alla ricerca di
cause e prospettando vie d’uscita. Negli altri casi sono stati espressi giudizi piuttosto generici e
superficiali. Manca un apparato documentario a supporto delle tesi espresse. Esistono tuttavia
alcune interessanti tabelle statistiche prodotte dall’Ancitel (Servizio informatico dell’Associazione
Nazionale dei Comuni d’Italia), in cui la situazione di Alessandria è comparata a quella delle
altre città italiane di pari dimensione dal punto di vista di diversi indicatori economici e demografici.
Descrizione strutturale
Procediamo nell’analisi secondo la tripartizione per settori più tradizionale.
1. Il comparto agricolo è ancora quantitativamente consistente, ma complessivamente
poco innovativo e a scarsa vocazione industriale. Non appare, all’oggi, culturalmente attrezzato
per svolgere una funzione trainante.
2. Il settore industriale è poco significativo sia sotto il profilo quantitativo che sotto quello
qualitativo. Non si ha alcuna presenza di imprese di medio-grande dimensione, eccezion fatta
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per gli insediamenti locali di gruppi multinazionali, per altro culturalmente molto chiusi in se
stessi.
Non vi è neppure una connotazione di “distretto industriale” (tipo Veneto o Marche) e
neanche una caratterizzazione di comparto - con l’eccezione di Valenza - dopo il declino di
cappelli e argenti.
Basso è il tasso di crescita della produzione manifatturiera e quindi dell’occupazione, non
solo del comparto secondario. Bassa la capacità di attrazione esercitata dai prodotti locali.
Infine, una peculiarità di segno negativo per Alessandria, è la debolezza industriale del
capoluogo in rapporto agli altri centri-zona della Provincia, in particolare Casale.
3. Il terziario, qualitativamente poco evoluto, non rappresenta un fattore propulsivo ma
un’area-rifugio. La sua caratterizzazione spiccatamente commerciale esprime l’indole
individualistica e la scarsa propensione all’investimento e al rischio imprenditoriale. Ne è
espressione emblematica la Fiera di S. Giorgio.
Cause principali del declino
Nelle analisi più approfondite è espressa la convinzione che la situazione attuale sia effetto
di un processo di declino che si sarebbe sviluppato ad iniziare nella prima metà del nostro secolo
e si sarebbe accentuato nella seconda metà dello stesso. Alessandria - si afferma - non era così
nei due secoli precedenti. Che cosa è dunque successo? O meglio, che cosa non è successo?
Quali treni si sono persi? Classifichiamo in quattro tipi le cause individuate nei diversi contributi.
Cause storiche
• Da più di un intervento viene proposta tra le cause del mancato decollo industriale la
tradizione contadina con la sua cultura caratterizzata da aspetti positivi (buon senso, pazienza),
ma anche da aspetti negativi, quali la paura del rischio e del futuro. Ma viene da chiedersi:
questa cultura non era comune a tutta la Padania alla fine del secolo scorso?
• La tradizione militare, anch’essa caratterizzata da luci e ombre: disciplina, senso dell’ordine,
ma anche abitudine alla dipendenza, negazione dell’iniziativa, oltre che precarietà residenziale:
è problematico intraprendere qualcosa quando è elevata la probabilità di essere trasferiti nel
breve-medio periodo. Ed è indubbio che la caratterizzazione militare abbia costituito una peculiarità
della nostra storia.
• Importante sembra essere stato lo scorporo della provincia di Asti (1935) che avrebbe
determinato un conseguente e non superato “senso di perdita”.
Cause psicologico-culturali
Benchè già enunciate nel precedente capitolo sulla situazione culturale, debbono essere
qui almeno richiamate in rapporto alla prospettiva economica dell’analisi:
• l’indole individualistica e non cooperativa, incline piuttosto alla critica non costruttiva;
• la scarsa apertura al nuovo e al futuro: il declino demografico ne sarebbe un’espressione;
• la tendenza alla privatizzazione dell’esperienza e alla rassegnazione;
• la diffidenza e l’invidia, cause non ultime del mancato dialogo tra ceto produttivo e ceto
amministrativo.
É evidente che anche le citate cause psicologico-culturali sarebbero suscettibili di un’analisi
causale; in altri termini, ma perchè l’alessandrino è così?
Cause politico-culturali
Due sono le cause di carattere socio-politico che vengono maggiormente sottolineate:
• l’esistenza di una classe media chiusa e rinunciataria, e viceversa l’inesistenza di una
borghesia illuminata e intraprendente;
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• la contrapposizione tra un blocco “liberale” (affondante le sue radici nel ceto militare e
nella nobiltà agraria) e una sinistra “rossa” di ascendenza sindacale.
Se questa seconda causa individua sicuramente una caratterizzazione socio-culturale
alessandrina, per la prima vale il solito interrogativo di rinvio: perchè qui e non altrove?
Cause economico-strutturali
Più numerose sono le cause di natura economica e strutturale, intendendo con questa
aggettivazione l’insediamento dei cittadini e le loro relazioni con il territorio:
Ci si è cullati nell’illusione che bastasse essere al centro del triangolo industriale, collocati
a ridosso del porto di Genova ed essere un nodo ferroviario di importanza rilevante, per poter
fruire di opportunità economicamente vantaggiose senza doversi particolarmente attivare per
promuoverle e realizzarle. Si sono patite le conseguenze dell’inesistenza cronica di uno strumento
di pianificazione urbanistico-territoriale (PRG). La già richiamata autonomia dei poli infraprovinciali ha reso più difficili interventi a livello di sistema.
L’inesistenza, sino a poco tempo fa, di un polo universitario, ha determinato l’inesistenza
in città di una cultura scientifica, la diaspora delle migliori risorse intellettuali verso le sedi
universitarie viciniori (e - conseguenza importante - la “selezione a rovescio” della classe dirigente),
e il declino culturale, in rapporto di reciproca casualità con quello economico: se fosse una città
qualitativa, Alessandria potrebbe attrarre operatori economici metropolitani, quanto meno a titolo
residenziale.
Ultimamente, l’accentuazione del calo demografico e l’invecchiamento - preoccupante in
prospettiva - del corpo sociale.
Valutazione
La valutazione che consegue alla precedente analisi non può che essere di segno negativo,
con una prevalente inclinazione al pessimismo. Viene infatti da diversi sottolineato che le cause
della situazione lamentata affondano in dimensioni profonde della psicologia individuale e della
cultura sociale; e la mentalità e la cultura della gente non si cambiano in tempi brevi.
Non mancano tuttavia anche spunti di ottimismo che conviene registrare:
Alessandria ha vissuto anche momenti di sviluppo ed esperienze economicamente e
culturalmente significative: vengono citati in particolare il periodo tra fine Ottocento e inizio
Novecento e l’esperienza industriale e sociale della Borsalino. E questi sono segni della possibilità
di fare qualcosa anche nella “palude” di Alessandria.
Anche oggi alcune (poche) aziende medie e medio-piccole vivono una fase di sviluppo e
di apertura all’innovazione tecnica e ai processi di internazionalizzazione.
Finalmente si è realizzato l’insediamento dell’Università. Se riuscirà a consolidarsi, potrà
costituire il punto di innesco di una spirale virtuosa tra valorizzazione delle risorse umane e
sviluppo economico-sociale.
Possibili linee di intervento
Vengono infine proposte, senza un particolare ordine sistematico, alcune linee di intervento
raccolte nei diversi contributi:
• creare una autority sui servizi comunali e privatizzare gli investimenti per opere pubbliche;
• fare delle società di servizi, per aggregare i neo-laureati in strutture cooperativistiche, e
sostenerle con risorse pubbliche;
• sostenere la formazione istituzionale a tutti i livelli, favorendone l’incontro con il mondo
economico e produttivo;
• creare una classe dirigente nelle strutture promozionali ( Amministrazione, istituzioni
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economiche, associazioni di categoria, ...) rivedendo i meccanismi di selezione;
• attirare il terziario metropolitano, offrendo aree attrezzate, immobili da ristrutturare, ma
soprattutto una città appetibile urbanisticamente e culturalmente
• fare attenzione a non perdere il treno in partenza della rivoluzione tele-informaticocomunicativa.
3. LA SITUAZIONE RELIGIOSA
Il giudizio complessivo che emerge dall’analisi delle risposte date ai questionari sulla
situazione religiosa è di un mondo cattolico alessandrino piuttosto ripiegato su se stesso, che non
ha inciso con particolare efficacia sulla mentalità e sul comportamento della gente e sulla società.
Questo giudizio pressoché unanime è stato espresso da persone di formazione culturale
abbastanza alta, ma non va generalizzato ad altri strati sociali di cultura medio bassa. Inoltre il
giudizio sul valore della cattolicità alessandrina si è manifestato con sfumature critiche differenti:
- alcuni ritengono che la Chiesa alessandrina si sia come autoemarginata a causa
dell’eccessiva preoccupazione rivolta ad una religiosità devozionistica e rituale;
- altri considerano la Chiesa alessandrina ricca di un patrimonio culturale che non ha
inciso nel contesto sociale per una sorta di difficoltà a livello di comunicazione e di dialogo;
- non mancano coloro che individuano l’isolamento della comunità religiosa a causa del
costante collateralismo con l’ex-partito politico della Democrazia Cristiana;
- altri ancora individuano la causa della sua “assenza” nella scarsa omogeneità tra popolo
di Dio e gerarchia e in una sorta di senso di inferiorità patito nei confronti della cultura laica;
- e c’è anche chi considera la poca incidenza della Chiesa alessandrina nel tessuto sociale,
come uno dei motivi che hanno prodotto il degrado socio-politico ed economico nell’ambiente di
Alessandria.
Ma ci sono anche voci - in verità poche - che hanno riconosciuto nel mondo cattolico
alessandrino una forza presente ed operante, soprattutto a livello di solidarietà e di volontariato,
una comunità quindi capace di accogliere e di condividere, anche se non sempre si è dimostrata
incline al dialogo.
Dall’analisi dei dati emersi, si possono evidenziare alcune linee o esperienze del
cattolicesimo alessandrino che sono state positive ed incidenti:
• le esperienze di volontariato e delle organizzazioni di solidarietà;
• l’attività e il modo di essere di alcune parrocchie ed associazioni che hanno portato una
considerevole ventata innovativa nel modo di considerare il cristianesimo e nell’impegno di fede,
con particolare giovamento per la formazione giovanile;
• la presenza, seppur limitata, ma non priva di intraprendenza in campo sociale e culturale
di alcuni gruppi spontanei o di AC o dell’AGESCI o delle ACLI.
Ma c’è anche chi, di fronte al senso di maggiore apertura verso la cultura laica e verso la
realtà sociale, dimostrato da alcuni ambienti del mondo cattolico, ha rilevato il loro soffocamento
perché detti ambienti non hanno potuto godere pieno diritto di esistenza e di operatività nel
contesto della Chiesa alessandrina.
Di fronte alla precisa richiesta di esprimersi sul significato della presenza religiosa in
ambito scolastico, è emerso un giudizio negativo costante anche se non sempre ben motivato.
Gli aspetti che concorrono a giudicare negativamente l’esperienza dell’insegnamento
religioso nella scuola possono essere così sintetizzati:
• è prevalsa l’esigenza del dogmatismo sull’esigenza del dialogo e della proposta;
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• inammissibilità dell’ora di religione se giustifica unicamente lo stipendio dell’insegnante;
si constata una debole convinzione degli insegnati per il loro ruolo;
• poca preparazione negli insegnati, anche se con l’inserimento dei laici c’è stato un
miglioramento nell’accostare la religione alle problematiche socio-culturali;
• nell’ora di religione può succedere di tutto, fuorché l’insegnamento della materia, e ciò
mortifica quanto di interessante ci può essere della proposta cristiana che dovrebbe avvenire in
altri ambiti.
Non manca anche il riconoscimento positivo nell’esperienza dell’ora di religione, soprattutto
se la figura del sacerdote-insegnante è stata rilevante per l’apporto educativo e culturale, o se è
stato stimolante per un primo approccio di conoscenza e di confronto con tematiche filosofiche
e sociali.
Alcune risposte hanno rimarcato l’opportunità che l’insegnamento della religione si spogli
dell’ambiguità in cui si trova coinvolto: insegnare religione può essere una esperienza formativa
utile nel sistema scolastico, ma fare dell’ora di religione una esperienza catechetica o formativa
alla fede è dannoso e improprio nel sistema scolastico.
L’analisi delle risposte del questionario permette anche di soffermarsi sulle caratteristiche
della religiosità che si è espressa e si esprime nel contesto alessandrino: se ne deduce che si
tratta di una religiosità devozionale, esteriorizzata dalle manifestazioni e dalla sensazionalità,
spesso individualistica e intimistica, molto condizionata dalla ritualità. E proprio in forza di queste
caratteristiche, non certo intese positivamente, si deduce che è molto poco presente in essa
l’aspetto comunitario.
I dati raccolti consentono anche di prestare attenzione alle attese della gente che si possono
così sintetizzare:
• una Chiesa meno apologetica e meno preoccupata di difendersi, più disposta ad
annunciare il Vangelo nel mondo di oggi;
• una Chiesa disposta ad aiutare le persone ad uscire dalla confusione attuale mediante
la proposta di valori e di responsabilità comunitarie;
• una Chiesa che sia portatrice di una cultura della solidarietà e della convivenza;
• una Chiesa che esprima chiarezza di intenti nell’annuncio e nell’azione;
• una Chiesa che sia più presente e più propositiva di fronte ai gravi problemi attuali;
• una Chiesa più fedele al nucleo del messaggio evangelico;
• una Chiesa più disposta ad ascoltare e più disposta a responsabilizzare i laici;
• una Chiesa più comprensiva verso gli erranti e più propositiva per i giovani;
• una Chiesa che non diventi più sostenitrice o fiancheggiatrice di alcuna forza politica;
• una Chiesa che abbia il coraggio di contestare più seriamente il consumo, la ricchezza,
il potere che hanno così condizionato la vita di molti cristiani.
Non sono di minor interesse alcuni rilievi riguardanti il clero alessandrino che viene ancora
considerato depositario di privilegi dipendenti da situazioni anacronistiche, non molto colto, che
non sempre dà esempi di comunione, che ha vissuto anche momenti di emarginazione in alcuni
suoi componenti se questi hanno tentato di dare una testimonianza più vera della fede, un clero
che talvolta non è in consonanza con il vescovo.
Non ben precisati, ma di particolare interesse, sono alcuni rilievi che si sono potuti cogliere
nel contesto delle risposte e che riguardano diversi aspetti della vita ecclesiale, quali:
• sacramenti: si sono manifestate delle perplessità sull’ammissione ai sacramenti (prima
comunione, cresima, matrimonio) poiché talvolta nelle parrocchie si evidenziano superficialità e
leggerezza, sembra quasi prevalere l’esigenza di concedere a qualsiasi costo il sacramento a
scapito di una conoscenza responsabile e di una fondata preparazione;
• testimonianza: qualche risposta indicava che, se la Chiesa alessandrina vivesse il Vangelo
nella sua radicale proposta, sarebbe una “Chiesa di opposizione” alla Chiesa; inoltre qualche
osservazione metteva in evidenza che è tendenziale nella Chiesa alessandrina che i vari gruppi
o associazioni si servano della Chiesa per la loro sopravvivenza e per la loro azione, ma non
servano la Chiesa o perché non comprendono di farne parte o perché si ritengono la Chiesa.
12
13
SECONDA
PARTE
PREMESSA
Come è noto, tutto il primo periodo del Sinodo (gennaio-settembre 1995) ha
visto impegnata la Prima Commissione Sinodale, suddivisa in tre gruppi di lavoro o
“sottocommissioni” in una vasta ricerca che ha coinvolto il popolo di Dio nelle sue varie
articolazioni (parrocchie, aggregazioni laicali, religiosi e religiose, sacerdoti, singoli
cristiani...) e tanti “uomini di buona volontà” che non hanno voluto perdere l’occasione
di far sentire la loro voce alla Chiesa alessandrina, esprimendole nel contempo attenzione,
stima, desiderio di dialogo, e talvolta anche affetto.
I tre capitoli che seguono - L’annuncio, La celebrazione, La testimonianza
del Vangelo -, come del resto la preziosa e ricca parte introduttiva a questo instrumentum
laboris, sono il frutto “ragionato” di quella notevole mole di questionari, interviste, colloqui
guidati che sono stati gli strumenti di sondaggio utilizzati dalla Prima Commissione.
Frutto “ragionato” perché i redattori delle parti che compongono questo “strumento”
non hanno compiuto solo un lavoro notarile, ma hanno letto la documentazione raccolta
quasi in filigrana, per coglierne le affermazioni sottese, i “nodi problematici” spesso non
esplicitati ma chiaramente leggibili, con la “lente” della lettera e dello spirito del Concilio
Vaticano II; tutto questo con l’attenzione ad astenersi da ogni giudizio o valutazione di
quanto espresso dalla “gente” e ad organizzare una compilazione che possa quanto più
possibile favorire il primo tratto di cammino delle Commissioni Sinodali: il discernimento
a cui, con l’aiuto dello Spirito, siamo chiamati in questo primo anno di Assemblea 4.
1. L’ANNUNCIO DEL VANGELO
Icona
Mc 8, 27
“Chi dice la gente
che io sia?”
Poi Gesù partì con i suoi discepoli
verso i villaggi intorno
a Cesarea di Filippo;
e per via interrogava
i suoi discepoli dicendo:
"Chi dice la gente che io sia?"
“Le rilevazioni sociologiche indicano la presenza di una grande esigenza di religiosità
anche nel mondo d’oggi. Ma si tratta di una esigenza che trova, per lo più, il suo soddisfacimento
14
nelle forme della “religiosità popolare” o nelle forme “ereticali” del magismo, della superstizione,
o nella pratica occasionale di fede o in ibridi secolarismi. Ma queste forme “imbastardite” di
religiosità dovrebbero far sorgere in noi una domanda: in realtà, come la gente oggi percepisce
il rapporto religioso, il riferimento a Dio o al divino? Appunto: “Chi dice la gente che io sia?”.
Gesù stesso percepiva la distanza tra la comprensione che lui aveva di sé e la comprensione che
la gente (ed i discepoli stessi) aveva di lui. E quando scopre difetti macroscopici nella
comprensione della gente, quando attraverso la missione dei discepoli che hanno udito il vocio
della folla conosce le “molteplici fedi” degli uomini, non si affretta a smentire, a correggere o a
contestare; piuttosto si dedica a educare la fede dei discepoli ad una corretta e piena comprensione
di lui.
Ciò significa allora, innanzi tutto, che dobbiamo rileggere il nostro modo di intendere il
lavoro pastorale non tanto con i “lontani” quanto con i “fedeli”. Rendere “missionaria” ed
“evangelizzatrice” la nostra Chiesa, significherà cioè porci la domanda sul tipo di formazione
che vogliamo offrire ai “fedeli”: dobbiamo creare in loro l’animus degli Apostoli, far entrare i
“lontani” nel loro orizzonte, nella loro preoccupazione, nelle loro ansie, prima e più e piuttosto
che nelle loro polemiche. Non possiamo cioè accontentarci di una formazione che ritenga
sufficiente per la maturità cristiana la partecipazione ad alcune iniziative, ad alcuni servizi religiosi,
senza coltivare un animo apostolico.
Si prospetta per la Chiesa di oggi, per una Chiesa che voglia davvero essere “universale
sacramento di salvezza” che “svela e realizza il mistero dell’amore di Dio verso l’uomo” (cfr.
Gaudium et spes, nn. 41 e 45), che voglia condividere la passione di Gesù per la liberazione
dell’uomo, il compito di superare la diffusa e stucchevole irrilevanza dell’annuncio cristiano
nell’odierno contesto socioculturale.
Dobbiamo conoscere e comprendere le “molteplici fedi” della nostra gente, il confuso
“sentire” dei nostri concittadini, la loro libertà che deve essere resa vera dall’incontro con la
verità del Vangelo, la loro dimensione religiosa solcata da concezioni, intuizioni, tradizioni religiose
e pseudo-religiose che, per essere purificate, vanno prima di tutto ascoltate e comprese.
Rispondere alla domanda: “Chi dice la gente che io sia” è fondamentale per poter pensare
itinerari che favoriscano l’avvicinamento della Parola di Dio alla vita di ciascuno, per
accompagnare questi uomini e queste donne fin sulla “soglia di Dio”, perché su quella soglia si
realizzi un incontro che non è più nelle nostre possibilità, ma è tutto giocato sul rapporto “grazia
- libertà”. Ci vuole una comprensione intelligente di quelle “fedi”, una comprensione che ne
metta in luce le dinamiche positive e le radici profonde, ma anche le chiusure, le inconsistenze,
i pretesti e i pregiudizi”5.
1. I “nodi” pastorali
“L’esperienza pastorale attesta che non si può sempre supporre la fede in chi ascolta” 6
dice un magistrale documento dei Vescovi italiani, e la ricerca effettuata, il dialogo, l’ascolto
degli uomini e delle donne, dei giovani e degli anziani della nostra Diocesi lo conferma: anche
una superficiale analisi rivela che in molti la fede è spenta, in altri ha lasciato il posto ad una
sostanziale indifferenza pur accompagnata da gesti “religiosi”, in altri ancora non ha saputo
informare di sé un materialismo pratico.
Sono ormai maggioranza le persone battezzate che non hanno mai fatto l’esperienza di un
“incontro” o di una “conversione” a Dio, persone per le quali la catechesi non è stata vissuta
come ascolto della predicazione del messaggio cristiano, come sequela di Cristo, come vita
ecclesiale, persone che non hanno mai preso la decisione personale di essere cristiani.
Riteniamo utile richiamare alcune riflessioni fatte nella Due Giorni di Betania preparatoria
15
del Sinodo (30 settembre -1 ottobre 1994): “La Chiesa, nel dare aiuto al mondo come nel ricevere
molto da esso, a questo soltanto mira: che venga il Regno di Dio e si realizzi la salvezza dell’intera
umanità. Tutto ciò che di bene il popolo di Dio può offrire all’umana famiglia, nel tempo del suo
pellegrinaggio terreno, scaturisce dal fatto che la Chiesa è l’universale sacramento della salvezza
che svela e insieme realizza il mistero dell’amore di Dio verso l’uomo” 7. Una prospettiva che
cambia la visione “tradizionale” della Chiesa: questa non mira alla propria edificazione, ma alla
trasformazione evangelica del mondo; “la Chiesa, serva di Dio, compagna degli uomini”, potrebbe
essere una sintesi della proposta, se non del cammino compiuto; oppure, raccogliendo una intuizione
di Dianich 8, si potrebbe dire che i Piani Pastorali hanno cercato di farci comprendere che non
è la Chiesa ad avere una missione ma è la missione ad indicare alla Chiesa la strada che
questa deve compiere. Dobbiamo ripensare la Chiesa attorno alla missione, per essere
davvero fedeli al comando del Signore: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole
nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che
vi ho comandato. Ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28, 18-20)9.
Se, come dice il S. Padre è necessaria una “nuova evangelizzazione”, una nuova
seminagione del Vangelo nel nostro Continente e nel nostro Paese, è evidentemente necessaria
prima di tutto una preparazione del terreno, quella che il Vescovo in uno dei Piani Pastorali ha
chiamato la pre-evangelizzazione, che possa favorire l’accoglienza del primo annuncio della
parola evangelica di salvezza; così la catechesi susseguente potrà essere comprensione “vitale”
del mistero di Cristo, progressivo inserimento nella comunità dei credenti in Lui, “scuola” di vita
e non solo di concetti, scuola dove il discepolo impara a vivere modellando se stesso sul Maestro.
Ma primo annuncio e catechesi, per non essere esercizi accademici o astrazioni, non
possono non tener conto della realtà in cui avvengono, realtà fatta di storia, di cultura, di circolazione
di idee, ma anche di soggettivismo, di pluralismo ormai non solo culturale, ma anche etnico e
religioso, di un inarrestabile, e non condannabile aprioristicamente, processo di secolarizzazione
e, talvolta, di secolarismo: ciò dice la necessità del metterci in ascolto degli uomini, delle culture,
dei segni dei tempi e, soprattutto, della Parola che è sempre Parola per l’oggi dei popoli e di
ciascun uomo e donna, “qui e ora”.
Noi, credenti nel Dio a cui “piacque..., nella sua bontà e sapienza, rivelare se stesso e far
conoscere il mistero della sua volontà mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo
fatto carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della natura divina”10,
siamo chiamati a trasmettere questa “buona notizia “ di un “Dio invisibile” che “per il suo immenso
amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli ed ammetterli alla
comunione con sé”11: l’evangelizzazione è la comunicazione “del messaggio evangelico” che
“dovrebbe giungere alle folle degli uomini con la capacità di penetrare nella coscienza di ciascuno,
come se questi fosse l’unico, con tutto ciò che ha di più singolare e personale, e ottenere a
proprio favore un’adesione, un impegno del tutto personale”12.
Riteniamo perciò questi i “nodi” della pastorale o le grandi sfide alla nostra capacità e alla
nostra “passione” per l’annuncio del Vangelo: il primo annuncio, la catechesi, l’ascolto e la
comunicazione. E alla luce di queste sfide dobbiamo saper rileggere ed esaminare i problemi
classici del nostro servizio pastorale o gli ambiti nei quali questo servizio deve svolgersi, e
dobbiamo ripensare ai soggetti evangelizzanti perché tali siano davvero. Così certamente non
inutile, ma anzi ricco di stimoli di riflessione è stato l’ascolto del popolo di Dio, che ci suggerisce
e che ci spinge a molti seri ripensamenti.
2. Il primo annuncio
L’evento da annunciare è la persona Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, la Parola del
Padre, morto e risorto per la salvezza di tutti gli uomini. Col primo annuncio si intende allora
favorire l’incontro personale di ogni uomo con Gesù Cristo affinché per mezzo di Lui ognuno
16
trovi il senso della propria vita.
Questo annuncio di salvezza è destinato non ad un popolo ma a tutti gli uomini della
terra. Compito di portare l’annuncio è di tutti i discepoli del Cristo, cioè di coloro che, accogliendo
la vocazione missionaria ricevuta nel Battesimo, scelgono di seguire gli insegnamenti del Maestro,
pur nella consapevolezza dei nostri limiti e delle proprie povertà spirituali.
Nell’attuale contesto socio-culturale è forse il caso di chiederci se si tratta solo di
annunziare l’avvenimento Gesù o piuttosto se non sia prima necessario parlare di preevangelizzazione, domandandoci che segni dare oggi al mondo, alla gente, per renderci credibili.
In questa ottica non possiamo ignorare che, spesso, sono gli evangelizzatori che necessitano di
evangelizzazione o, quanto meno, che è doveroso coinvolgerli in cammini di fede ad ampio
respiro per formare coscienze rette, per indirizzare ai valori autentici e per aprire ad una spiritualità
non timorosa del nuovo, del diverso, del rischio.
Questo lavoro di pre-evangelizzazione deve coinvolgere la comunità cristiana in
ogni suo membro: sacerdoti, religiosi/e e laici e, tra questi ultimi, soprattutto le famiglie.
È quasi un luogo comune l’affermare che non viviamo più in una situazione di
“cristianità”, concetto del resto non così chiaro e ben delineato. Per intenderci possiamo dire
che situazione di “cristianità” è quella caratterizzata da un contesto socio-culturale in cui si dà
per “normale” che la gente sia cristiana, dove una prima evangelizzazione avviene anzitutto
nell’ambito famigliare, essendo sostenuta dall’esterno da una cultura segnata dai valori cristiani
e da comunità vive e organizzate.
Il nostro ambiente è oggi fortemente segnato dal razionalismo, dalla tecnologia,
dalla secolarizzazione, dal pluralismo ideologico e religioso. Esso non predetermina più quasi
automaticamente nell’individuo la scelta di essere cristiano, anzi talvolta mostra ostilità per tale
scelta o, più spesso, indifferenza.
Anche le Comunità cristiane, più che ambienti in cui si può fare esperienza di
cristianesimo vissuto, in cui esprimere e celebrare la propria fede nella gioia e nell’amore, appaiono
spesso come “stazioni di servizio” contattate normalmente alla domenica per obbligo, e in altre
occasioni lungo la vita per tradizione. Così, per la maggioranza il legame di fede con la comunità
è andato perduto.
Così le “agenzie formative” o i luoghi ove avveniva tradizionalmente la prima
evangelizzazione (famiglia, scuola...) non pongono più le basi su cui la fede possa svilupparsi.
La maggioranza dei genitori non cura più l’introduzione dei propri figli alla fede
cristiana o anche solo alle pratiche cristiane tradizionali (preghiere, Messa, ecc.). In molti vige
ormai la mentalità della “delega”: l’educazione religiosa viene delegata agli “esperti” senza
nessun apporto familiare; i bambini perciò non hanno spesso ancora acquisito nessuna familiarità
con i punti centrali della fede né con i simboli religiosi, né hanno vissuto l’esemplarità della
pratica religiosa dei loro genitori.
Anche la scuola, sia per il fenomeno della secolarizzazione sia per le modifiche
apportate ai programmi di insegnamento della religione, ha perso l’incidenza che aveva nel
passato (specie nelle “elementari”) per una corretta trasmissione della fede e dei valori che da
essa scaturiscono.
Ad aggravare una situazione già negativa concorrono almeno altri due fattori: la
conoscenza superficiale ed a volte inesatta del ruolo che l’insegnamento della religione cattolica
oggi ancora deve avere nella scuola pubblica e la non sempre puntuale preparazione dottrinale e
metodologica degli insegnanti di religione e, a volte, una certa dissonanza sui valori da proporre.
Nel passato anche la Parrocchia era inclusa tra le agenzie formative. Oggi
indubbiamente ha perso molto dell’incidenza che aveva nella formazione dei ragazzi e degli
adolescenti, ma questo compito le deve ancora essere riconosciuto, almeno potenzialmente, e
non solo nell’aspetto religioso, ma anche in quello umano e sociale. La parrocchia deve
riappropriarsi delle capacità di coagulazione che le sono sempre state riconosciute ed aggiornare
il metodo educativo.
17
A questo punto è necessario chiedersi se esiste dialogo, collaborazione tra le
diverse agenzie formative (famiglia, scuola, parrocchia). La risposta non può essere rassicurante
perché, in genere, ciascuna va per la sua strada e ben rari sono gli incontri costruttivi fra le
stesse.
Forse bisognerà incominciare a pensare ad obiettivi comuni, scelti insieme, a linee
di convergenza in cui tutte le agenzie formative possano ritrovarsi, perché la posta in palio formare persone adulte e responsabili - è veramente grossa e non ammette disimpegni o pseudorivendicazioni di competenze.
Anche i tradizionali luoghi di catechesi (di cui si parlerà più oltre), non escluse le
associazioni o le varie aggregazioni laicali, danno a volte ancora per scontato il primo annuncio
e la sua accoglienza, che invece o è carente o è stato scalzato dalla cultura moderna che ha dato
una intelaiatura mentale spesso antitetica alle verità della fede.
Tutto questo è rilevabile anche nella predicazione domenicale che spesso dà per
scontata l’adesione e la consapevolezza di fede di chi ascolta. L’omelia più che rendere attuale
la Parola e stabilire un legame tra l’attualità della celebrazione e l’attualità dell’esistenza umana,
diviene in molti casi occasione per moralismi sterili, per recriminazioni sui “tempi e sui costumi”
o anche per una catechesi che non si radica su un primo annuncio che abbia provocato adesione
di vita e conversione.
L’esemplarità (nel senso di una presenza visibile negli ambiti di vita dell’uomo e
di una presenza “coerente” con la professione della fede) dei singoli membri della Chiesa
(sacerdoti, religiosi/e, laici) e delle comunità cristiane, non sempre appare, per cui anche il primo
annuncio dei gesti e del modo di vivere viene a mancare. Si riprenderà la riflessione più oltre.
Vale qui la pena di citare una stupenda pagina della Evangelii Nuntiandi del papa
Paolo VI: “Ed essa [la Buona Novella] deve essere proclamata anzitutto mediante la
testimonianza. Ecco: un cristiano o un gruppo di cristiani, in seno alla comunità degli uomini nella
quale vivono, manifestano capacità di comprensione e di accoglimento, comunione di vita e di
destino con gli altri, solidarietà negli sforzi di tutti per tutto ciò che è nobile e buono. Ecco, essi
irradiano, inoltre, in maniera molto semplice e spontanea, la fede in alcuni valori che sono al di là
dei valori correnti, e la speranza in qualche cosa che non si vede, e che non si oserebbe immaginare.
Allora, con tale testimonianza senza parole, questi cristiani fanno salire nel cuore di coloro che li
vedono vivere domande irresistibili: perché sono così? Perché vivono in tal modo? Che cosa o
chi li ispira? Perché sono in mezzo a noi? Ebbene, una tale testimonianza è già una proclamazione
silenziosa, ma molto forte ed efficace della Buona Novella. Vi è un gesto iniziale di
evangelizzazione. Forse tali domande saranno le prime che si porranno molti non cristiani, siano
essi persone a cui il Cristo non era mai stato annunciato, battezzati non praticanti, individui che
vivono nella cristianità, ma secondo principi per nulla cristiani, oppure persone che cercano, non
senza sofferenza, qualche cosa o Qualcuno che essi presagiscono senza poterlo nominare. Altre
domande sorgeranno, più profonde e più impegnative, provocate da questa testimonianza che
comporta presenza, partecipazione, solidarietà, e che è un elemento essenziale, generalmente il
primo, nella evangelizzazione. A questa testimonianza tutti i cristiani sono chiamati e possono
essere, sotto questo aspetto, dei veri evangelizzatori”13.
La responsabilità delle comunità cristiane in tema di testimonianza nell’annuncio, e quindi
nella pre-evangelizzazione, trova conferma nel seguente passo della lettera di S. Paolo ai Romani14:
“Ora come potranno invocare il Signore se non avranno prima creduto in lui? E come potranno
credere se non ne hanno sentito parlare? E come ne sentiranno parlare se nessuno lo annuncia?
E chi lo annunzierà se nessuno è inviato a tale scopo?” L’annunzio non può che partire dalla
comunità: è la comunità che “invia” alla missione, per cui la testimonianza coerente con la
professione della fede è anzitutto prerogativa della comunità cristiana in quanto responsabile del
mandato affidato ad ogni suo membro.
Gesù ci è maestro anche nello stile, nel metodo dell’annuncio. Considerando
infatti l’episodio evangelico dell’incontro di Gesù con i discepoli di Emmaus15, troviamo indicati,
esplicitamente o implicitamente, cinque verbi che rivelano altrettanti atteggiamenti di Gesù
18
evangelizzatore, di Gesù catechista. Dal racconto lucano si evidenziano queste situazioni:
- Gesù “si accostò” ai due discepoli (si fa prossimo);
- Gesù “si mise a camminare con loro” (condivide la loro situazione);
- Gesù “domandò loro” (domanda per conoscere);
- Gesù “ascoltò” ciò che i discepoli avevano da dire (l’ascolto è alla base della conoscenza);
- Gesù “li ammaestrò” spiegando loro il senso delle Scritture.
L’annuncio vero e proprio costituisce dunque l’ultimo momento nel metodo di
evangelizzazione che Gesù ci ha insegnato: prima vengono l’accoglienza, la condivisione,
l’ascolto.
Forse oggi evangelizzare è così difficile proprio perché, sia come singoli credenti sia
come comunità cristiane, siamo frettolosi di passare all’annuncio dimenticando l’accoglienza, la
condivisione e l’ascolto.
Questo ci spinge a porci non pochi interrogativi:
• In quale modo le comunità cristiane che formano la Chiesa alessandrina danno
testimonianza della Parola annunciata?
Come vivono la comunione al loro interno?
Si pongono in atteggiamento di accoglienza, di condivisione e di ascolto delle persone
che vivono nel territorio?
Come sensibilizzano i credenti alla comune vocazione battesimale? Come provvedono
alla formazione degli annunciatori del Vangelo?
• I membri delle comunità cristiane (sacerdoti, religiosi/e, laici) sono consapevoli
che annunciare Cristo morto e risorto è compito di tutti i battezzati oppure ritengono che
sia riservato solo ad alcuni?
Come sanno annunciare la Parola e come danno testimonianza della Parola
annunciata?
Come utilizzano i momenti di crescita umana e cristiana che le comunità offrono? E
le comunità offrono questi momenti?
• La rievangelizzazione dei nuclei familiari è ormai fondamentale. Ma come colmare
la distanza tra la Comunità cristiana e le famiglie?
• Secondo quali modalità i contatti che si stabiliscono in occasione della richiesta di
sacramenti per i figli possono diventare un momento prezioso per riallacciare un rapporto
con i genitori?
• Come educare e promuovere coppie cristiane di esempio e stimolo e come coinvolgere
entrambi i membri della coppia all’educazione religiosa del figlio?
• Le comunità cristiane sentono la responsabilità di preparare i fidanzati che
richiedono il Matrimonio-sacramento?
Come avviano queste giovani coppie ai corsi prematrimoniali: rispettandone la
sensibilità oppure facendo pesare la partecipazione come obbligo, come imposizione?
I corsi prematrimoniali sono visti più come momenti di comunicazione di alcuni
principi teologici e morali o come momenti di ascolto, di dialogo, di partecipazione di
un’esperienza, quella matrimoniale, vissuta nella fede in Cristo e nei valori che ne
scaturiscono?
Che cosa possono fare le comunità cristiane perchè non siano dispersi nel silenzio
postmatrimoniale i semi di evangelizzazione gettati durante i corsi prematrimoniali?
Quali sono le difficoltà da superare? Come superarle?
• Qual è l’attenzione che le comunità cristiane dedicano oggi agli adolescenti ed ai
giovani?
Che cosa possono fare, e come farlo, per proseguire con adolescenti e giovani il
cammino di crescita concluso con l’amministrazione del sacramento della Cresima?
• Gli anziani rappresentano ormai, ed ancor più lo rappresenteranno in futuro, la
fascia d’età più numerosa nei Paesi occidentali, soprattutto in Italia ed in particolare
nella nostra zona.
Si pongono due attenzioni prioritarie: la coesistenza tra le generazioni ed una diversa
considerazione della persona anziana, non più vista soltanto come oggetto del servizio
19
altrui e di assistenza, ma anche come soggetto sapienziale, capace di progettualità e di
servizio pastorale, punto di riferimento e di raccordo nei rapporti intergenerazionali.
Le comunità cristiane come possono utilizzare la ricchezza rappresentata dagli anziani
per la missione della Chiesa?
Che cosa fare per favorire il dialogo e la collaborazione tra le generazioni?
• La scuola, oltre al compito di trasmettere contenuti culturali rispetto alle diverse
discipline, è chiamata ad offrire un contributo significativo sul piano della formazione
umana ed etica della persona.
Quale coscienza la comunità ecclesiale ha avuto in questi anni rispetto ad un’urgenza
di questo genere? Quali difficoltà hanno ostacolato un’adeguata sensibilità a riguardo
dell’educazione in generale e di quella scolastica in particolare?
• Attraverso la scuola passano spesso messaggi e contenuti non pienamente rispettosi
dei valori cristiani.
Un esempio è dato dalla introduzione in molte scuole, spesso in maniera disorganica
e incompleta, di quella che impropriamente viene definita “educazione sessuale”. Anche
se questo aspetto dell’educazione va doverosamente riconosciuto alle famiglie perchè
solo esse sono in grado di inserirlo in un contesto educativo globale, una “corretta”
informazione scientifica sulla sessualità da parte della scuola potrebbe avere aspetti
positivi.
La Chiesa ha però il dovere di vigilare perchè la sessualità sia sempre considerata
per ciò che veramente è: un valore da rispettare. Come comunità cristiana ci interessiamo
dei problemi formativi e delle proposte comportamentali che coinvolgono la scuola
pubblica? In quale modo ce ne interessiamo?
Sappiamo che, ad esempio, sull’argomento sessualità possiamo contare sulla
collaborazione di un Consultorio di ispirazione cristiana? Si è già usufruito dell’aiuto
e dell’intervento di questo Consultorio?
• E ancora: la scuola cattolica ha, nei fatti, rappresentato e rappresenta tuttora un
luogo di educazione e di formazione integrali ad una visione cristiana della vita, dell’uomo
e della società tali da costruire personalità mature, anche sul piano della fede,
evangelicamente attive nella comunità?
• Il mondo del lavoro è spesso escluso dalle attenzioni di evangelizzazione delle
comunità cristiane, anche se talora emergono atteggiamenti evangelici di accoglienza e
di ascolto.
La parte indubbiamente più difficile e “rischiosa” è quella dei credenti laici inseriti
nel mondo del lavoro perchè ad essi si richiede coerenza di vita con “tutti” gli
insegnamenti del Vangelo a fronte della presenza di culture anticristiane e di pseudovalori oggi assai diffusi, quali ad esempio la carriera, il benessere economico,
l’individualismo di gruppo (corporativismo), il soggettivismo dei valori, ecc.
• Che cosa fanno e che cosa potrebbero fare le comunità cristiane per supportare e
fortificare queste presenze preziose di missionari del Vangelo in un ambiente così
complesso e, spesso, ostile?
• Da tempo si lamenta uno scarso interesse dei credenti per la politica e per una loro
presenza significativa nelle istituzioni.
Perchè i credenti laici sono poco interessati o non “osano” porsi a servizio della
comunità civile?
Che cosa fanno o potrebbero fare le comunità cristiane per sensibilizzare i membri
laici a questo tipo di servizio?
Nel passato le comunità cristiane come hanno saputo essere vicine ai loro membri
impegnati nella politica e nelle istituzioni?
Come dovrebbero comportarsi nei loro confronti per fortificarli nella fede e prepararli
ad una maggiore coerenza ai principi evangelici?
20
3. La catechesi
È ancora prevalente nella generalità delle situazioni, al di là anche dei singoli tentativi di
talune Comunità, l’orientamento della catechesi alla recezione dei sacramenti.
Le verità della fede cattolica tendono ad essere ridotte a concetti generali attinenti alla
sfera della religiosità; la catechesi appare cioè poco legata alla vita concreta delle persone e ai
loro tempi di maturazione; spesso è ancora solo insegnamento di verità astratte e non anche
“sequela” di Cristo; appare anche avulsa dalla vita della Chiesa e non vissuta nelle celebrazioni
sacramentali. Così, esemplificando, per molti:
• Dio c’è, ma non si sa come è; infatti tutta la speculazione teologica sembra ignorata,
anche per quelle fasce che hanno fatto studi filosofici (segno che la filosofia cristiana viene
continuamente sorvolata dai relativi insegnanti...): l’esperienza di Dio è legata al momento intimo
e personale e, perciò, altamente soggettivo.
• La figura di Gesù Cristo si stempera tra il Dio-uomo e il super saggio, tra il confidente
intimo ed il leader sociale.
• La Chiesa è vista non come popolo di Dio, ma come struttura altamente gerarchizzata
che fa fatica a conoscere la realtà di oggi.
• Il concetto di peccato viene ricollegato ad una stretta antropologia naturale: è male la
violenza, è male il furto, ma non ciò che viene fatto con il reciproco consenso (sesso, esperienze
trasgressive, ecc.). L’intervento del magistero viene spesso visto come paternalistico e moralistico,
si accusa la gerarchia di parlare di ciò che non conosce. Il peccato è, fondamentalmente, la
mancanza di coerenza ed è di ipocrisia che spesso si accusa il clero.
Pur sapendo tutti che la maggioranza dei ragazzi che seguono il catechismo parrocchiale
disertano la partecipazione alla vita parrocchiale dopo la cresima (o vi ritornano solo
sporadicamente), non sempre le soluzioni che si prospettano sono adeguate: così, talvolta, si va
alla ricerca di un linguaggio più adeguato al mondo d’oggi, come se la trasmissione della fede
fosse primariamente un problema di linguaggio; taluni si pongono in un atteggiamento di aspra
critica nei confronti di un mondo cattivo e di una cultura degenerata: la cultura sarebbe responsabile
della fine del cristianesimo di massa, dando così per scontato che la cultura debba essere cristiana.
Altri invece cominciano a comprendere che bisogna ricuperare le caratteristiche degli
evangelizzatori che hanno offerto al mondo il primo annuncio della fede cristiana: studiare e
conoscere il mondo da evangelizzare; cercare metodi adeguati alle nuove situazioni; credere
che la trasmissione del Vangelo e la sua proposta non dipendono dal contesto culturale, ma
piuttosto sono i credenti che devono “portare la Buona Novella in tutti gli strati dell’umanità e,
col suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità stessa”16.
Continua ad essere tuttavia diffuso un catechismo precettistico e tutore della moralità; le
prime comunioni e la cresima vengono ricordate solo come grandi feste gratificanti e non come
l’ingresso sempre più consapevole all’interno della comunità cristiana. Catechismo, partecipazione
alla Messa e dinamiche educative non sembrano più interessare ai giovani in quanto non
affrontano i loro diretti problemi.
• Molti bambini, battezzati nella prima infanzia, vengono alla catechesi parrocchiale
senza aver ricevuto nessun’altra iniziazione alla fede, e senza aver ancora nessuna
adesione esplicita e personale a Gesù Cristo. Quale può essere allora la relazione tra
primo annuncio e catechesi? Quest’ultima deve limitarsi a “insegnare“ la fede o è
chiamata anche a suscitarla - con l’aiuto della grazia - ad aprire i cuori, a preparare
un’adesione “globale” a Gesù Cristo?
• È giusto continuare a pensare prevalentemente ad una catechesi orientata alla
recezione dei sacramenti?
• È necessario proporre un cammino di catechesi agli adulti che richiedono i
sacramenti per i propri figli? Esistono già esperienze in Diocesi?
21
• L’intenso lavoro di rielaborazione dei contenuti catechistici è stato sufficiente a
rinnovare la nostra catechesi?
• Gli strumenti ed i metodi si sono adeguati allo spirito del rinnovamento anche per
favorire un pieno inserimento nella vita della comunità parrocchiale? E quali spazi di
inserimento offrono realmente le nostre comunità?
• La preparazione ai sacramenti dell’iniziazione cristiana condotta al di fuori della
vita della parrocchia o di una precisa comunità di riferimento, può essere adeguata a far
sperimentare realmente e concretamente l’esperienza cristiana?
• Esiste nella catechesi l’attenzione al significato dei segni liturgici?
• Molte persone, che pure si dicono credenti, non sanno trarre dalla fede motivi per il
comportamento morale o la “lettura” culturale dei tempi. Attraverso una catechesi
sistematica e integrale la comunità ecclesiale è chiamata a ripresentare la verità di
Cristo per rendere la fede più “significativa” per l’uomo. La catechesi è dunque sollecitata
a portare la forza del vangelo nel cuore della cultura. Possiamo affermare che la nostra
comunità sia davvero cosciente di tutto questo?
• Se la catechesi è finalizzata alla crescita della fede, come creare la mentalità che
essa deve essere proposta a tutti e non solo ai bambini?
• Per quanto riguarda la catechesi degli adulti, appare sufficiente un approfondimento
dei contenuti o, al contrario, è necessaria una rievangelizzazione? Se gli adulti non
partecipano o sono assenti non è perché manca una pastorale di ambiente? Esiste qualche
esperienza?
• C’è nella nostra Chiesa locale l’impegno a promuovere una sistematica e organica
formazione dei catechisti? Le esperienze già esistenti sono qualificanti? La formazione si
rivolge solo a preparare catechisti per i fanciulli?
• I laici si sentono responsabili della missione catechizzante della Chiesa? Oltre a
quella dei catechisti, ci sono altre esperienze di corresponsabilità da parte dei laici?
• Per la pastorale giovanile ci si limita ad una riproposizione di schemi e modelli
ampiamente collaudati nel passato o si ricercano nuove vie per incontrare i giovani
“nella” loro vita (linguaggi, aggregazioni, valori, persone significative, difficoltà,
domande) al fine di proporre loro l’esperienza cristiana?
• La catechesi ai giovani tiene conto della dimensione vocazionale della vita cristiana?
• Esistono cammini specifici per chi si sente chiamato ad una vocazione speciale?
• Gli incontri prematrimoniali sono impostati come una sorta di “bignami” della
teologia o della catechesi, oppure costituiscono anche un momento di ascolto, di dialogo,
in una parola, di pre-evangelizzazione? Perché siano qualificati c’è un prima e un dopo?
Tutto ciò ha incidenza nella vita di coppia?
• Si sono individuati altri momenti nella vita dell’uomo in cui si possa pensare di
proporre una catechesi più approfondita?
4. L’ascolto
Vi è talvolta negli “operatori pastorali” o, meglio, negli evangelizzatori una certa fretta
(ansia?) di giungere all’annuncio senza prestare sufficiente attenzione al momento dell’ascolto
dell’altro, per comprendere la sua situazione, i suoi problemi, le sue resistenze, le sue critiche:
la critica esprime talvolta desiderio di colloquio e interesse per ciò che è sottoposto a critica.
Così la catechesi, la predicazione, le celebrazioni, non sgorgano dall’ascolto vitale delle
persone, ma solo dall’ascolto della preparazione culturale o teologica dell’annunciatore o da
suggestioni legate all’attualità.
Manca spesso la capacità di mettersi in ascolto dei “momenti vitali” degli uomini e delle
donne che si accostano alla Chiesa solo saltuariamente, portandosi addosso un bagaglio di
esperienze di vita che fatichiamo a decifrare, spesso perché non corrispondono ai nostri schemi
culturali o mentali. Così si corre il rischio, molto reale e molto concreto, che proprio “la vita” (e
22
quindi la cultura, gli orientamenti ideali, i problemi, le gioie e le tristezze...) sia assente dalla
nostra preoccupazione evangelizzatrice, che si riduce così ad annuncio di parole, di concetti;
l’assenza di ascolto della vita ci fa concretamente correre il rischio di far dell’annuncio cristiano
l’annuncio di una “ideologia”.
Ma ancor prima è necessario mettersi in ascolto della Parola. Secondo la fede cristiana,
la salvezza non avviene per “volere dell’uomo”17 ma è offerta per grazia da Dio. Cristo è la
Parola che ci comunica questa salvezza, lui che è la via, la verità incarnata, la vita in pienezza.
Va cioè riaffermato il “primato della Parola” nel senso “cattolico” di questa affermazione:
primato della Parola biblica letta nel passato e nel presente della vita della Chiesa (Tradizione e
Magistero). È, del resto, dall’ascolto della Parola che nasce la nostra capacità di “discernere”,
di leggere i “segni dei tempi”, di decifrare anche i messaggi non sempre esplicitamente leggibili
degli uomini e delle donne del nostro tempo che si rivolgono alla Chiesa con le loro richieste.
Come già rilevato vi sono due tipi di "ascolto": l'ascolto della Parola di Dio e l'ascolto degli
altri, e vi è un "primato" nell'ascolto che è quello della Parola. Riteniamo che questi tipi di ascolto
debbano considerarsi complementari tra loro: il mettersi in ascolto degli altri deve avvenire per
comunicarsi a vicenda il dono della Parola. E la modalità con cui si deve attuare ciò non deve
essere l'imposizione, ma il rispetto dell'altro. Entrambi questi tipi di ascolto racchiudono in sé
delle difficoltà: l'ascolto dell'altro può risultare difficoltoso in quanto per far ciò si deve comprendere
e conoscere profondamente l'interlocutore, l'ascolto della Parola può essere difficoltoso a causa
dell'esilio della Parola di Dio dal popolo cristiano. E' solo da qualche decennio infatti che la
Chiesa ha rivalutato l'importanza della Parola di Dio.
Inoltre una grande preoccupazione riguarda la modalità con cui la gente ascota l'annuncio:
il nodo problematico quindi non sono gli strumenti ma la modalità di verifica di quanto è stato
accolto dell'Annuncio.
Perchè ciò avvenga è necessario che ci sia una struttura di ritorno che è propria della
comunicazione, ma che dovrebbe valere anche per il momento dell'ascolto.
A questo punto ci sembra necessario evidenziare alcune difficoltà riguardanti l'ascolto.
• Spesso c'è da parte del fedele rispetto verso chi annuncia, ma una certa difficoltà di
comprensione della terminologia usata.
• Questa risulta spesso oggetto di dubbia interpretazione e comporta una forte
incomprensione in chi ascolta.
• Direttamente collegata alla precedente c'è il desiderio di una catechesi più chiara e più
semplice.
• Si è evidenziato come difficoltà di primaria importanza per l'ascolto, il secolarismo; cioè
l'abitudine a considerare fondamentali solo le realtà terrene.
• Per questo motivo Dio e la sua Chiesa vengono seguiti nella misura in cui operano per
eliminare le sacche di povertà e le emarginazioni del mondo. Di conseguenza accade che il
momento dell'annuncio vero e proprio, quello che proclama Cristo morto, risorto e vivo alla
destra del Padre rimane per lo più inascoltato.
• Dato che l'ascolto prevede l'annuncio, è necessario che l'evangelizzazione non abbia
paura di esprimersi e nelle strutture ecclesiali mancano proprio quegli spazi dovesi impari a
parlare, ad essere sicuri dei propri mezzi.
• Il missionario non diffonde solo il Vangelo, ma forma anche delle persone: ciò produce
una crescita nel popolo cristiano.
Si vogliono delineare, quale sintesi, delle proposte concrete:
• Il desiderio di ascolto della Parola può essere esplicato con incontri parrocchiali, con
Centri di ascolto nelle famiglie, con la Scuola della Parola del Vescovo.
• La necessità di potenziare quegli strumenti con i quali la Parrocchia sviluppa persone
mature e infonde un senso di partecipazione e comunione, per conoscersi e conoscere i ruoli
all'interno della Parrocchia, in particolar modo il Consiglio Pastorale Parrocchiale.
• La necessità di fare un salto di qualità: a volte si sprona sì alla missionarietà ma poniamo
ancora una forte attenzione al numero, alla quantità. L'importante però non deve essere il contarsi,
ma impegnarsi in primis, senza seguire sempre la corrente, senza la paura del futuro.
23
Il metodo che si è evidenziato perchè l'ascolto sia davvero scambio reciproco e donazione
di sé attraverso la Parola è quello della condivisione e del rispetto dell'altro.
In conclusione: ascoltare la Parola significa amare l'uomo per farlo libero e fedele, fedele
alla Parola e alla Tradizione da cui attinge, ma desideroso anche di una Chiesa che lo affianchi
e lo difenda in quanto inserita nella sua contemporaneità.
Perchè non si adatti e non si adagi deve tenere in mente il modello di Cristo fedele al
Padre, ma staccato dalla Legge di Mosè e proiettato in avanti.
Ascolto significa aiutare a percepire e chiarire la propria umanità e lo Spirito di Dio che
opera anche negli altri, i quali sono di aiuto per il cammino cristiano.
• È condivisibile il giudizio secondo il quale, nella nostra comunità ecclesiale, gli
evangelizzatori non pongono adeguata attenzione al momento dell’ascolto dell’altro,
così da generare l’idea che tutto, alla fine, si riduca ad un annuncio di parole e concetti?
Quali sono le difficoltà - di tempo, di capacità, di preparazione, di sensibilità - che
impediscono e ostacolano il “mettersi in ascolto” dei momenti vitali degli uomini e
delle donne che si accostano alla Chiesa solo saltuariamente?
• La dottrina cristiana non è un corpo di verità astratte: essa è comunicazione del
mistero vivente di Dio. La catechesi attinge il suo contenuto alla fonte viva della Parola
di Dio, trasmessa nella Scrittura e nella Tradizione. Come Chiesa locale possiamo
affermare di essere pienamente consapevoli che solo dall’ascolto della Parola deriva la
capacità di discernimento e di lettura dei segni dei tempi?
5. La comunicazione
Il linguaggio ecclesiale degli anni del Concilio e del post-Concilio è un linguaggio che ha
fatto sempre più suo il vocabolario della comunicazione, dove usuali parole come “dottrina”
o “istruzione” hanno lasciato il posto a termini quali Buona Novella, messaggio, testimonianza,
annuncio, chiamata, risposta... Il messaggio cristiano è un messaggio che entra nel campo della
comunicazione umana, che richiede una libera risposta di fede; come ogni autentica comunicazione
deve mostrare attenzione alla persona, alle sue domande, ai suoi interessi, alle sue attitudini, ai
suoi progressi e presenta la fede non come adesione ad una dottrina, né come comunicazione di
verità imposte, ma come attaccamento alla persona di Cristo e come comunione di persone. Il
messaggio cristiano è annuncio della buona notizia del Cristo Risorto. È Cristo che permette di
accedere al Padre comunicando il suo Spirito; questa buona notizia della salvezza ci tocca nella
nostra storia e la Chiesa, comunità dei credenti, è il Corpo di Cristo che attesta oggi, per la gioia
di tutti gli uomini, la salvezza che, “già e non ancora”, opera nel mondo. Nella liturgia e nella
testimonianza in atti e parole dei credenti è comunicata, manifestata e realizzata l’azione salvifica
di Dio fino al compimento definitivo nel suo Regno.
Parlando di comunicazione è indispensabile tener conto dei tre elementi che entrano in
gioco in ogni comunicazione: l’emittente (colui che parla), il ricevente (colui che ascolta) e il
messaggio (le parole pronunciate).
In questo contesto è chiaro che comunicare non vuol dire soltanto rendere pubbliche una
serie di notizie, ma fare in modo che qualcosa possa essere messo a disposizione di altri, ossia
fare in modo che qualcosa (pensieri, parole, gesti o immagine) venga dagli altri condiviso perché
solo così la comunicazione diventa un’esperienza molto ampia e diversificata.
Il comunicare della Chiesa e dei cattolici deve essere sempre rispettoso del metodo
democratico e dovrebbe sempre meglio servire al bene complessivo dell’uomo (che comunque
sia è sempre “gloria del Dio vivente”) ed il suo messaggio deve formarsi dall’ascolto, dal confronto
e dalla conoscenza dei bisogni dell’uomo, per diventare messaggio universale, valido ed accettato
in ogni parte del mondo.
È quindi indispensabile analizzare insieme ed in parallelo i tre fattori della comunicazione
(emittente, ricevente, messaggio) per quella profonda connessione semantica degli elementi
del concetto di comunicazione, intesa come relazione che tende a generare comunione,
24
attraverso l’oggetto, tra emittente e destinatario; cosa tanto più vera nel caso della
comunicazione cristiana.
È inoltre nostra convinzione che, senza la mediazione della testimonianza (e tornano in
campo i temi della pre-evangelizzazione e della presenza culturale) qualsiasi forma di
comunicazione dell’annuncio cristiano (catechistico, liturgico, culturale) rimanga inefficace, se
non addirittura controproducente.
Privilegiamo, intorno ai tre fattori della comunicazione, un’impostazione più interrogativa
che indicativa, più orientativa che assertiva, più problematica che risolutiva, proponendo anche
l’utilizzo di un metodo di lavoro che, partendo dagli interrogativi, indirizzi verso l’analisi dei problemi
e delle tematiche, la scelta delle priorità, l’elaborazione dei criteri orientativi, in un confronto
libero ed aperto che dovrebbe essere poi il metodo naturale e permanente di dialogo nella Chiesa
e della Chiesa con la società circostante.
E c’è dialogo, c’è comunicazione se c’è anche ascolto e la Chiesa non dovrà ritenersi
solo elemento principale della comunicazione, essere emittente ma essere disposta a diventare
anche ricevente con quello scambio circolare (dalla gerarchia alla base e viceversa) affinché il
messaggio non resti unilaterale e unidirezionale.
Per questo il lavoro, impostato sui fattori della comunicazione, è corredato esclusivamente
di interrogativi ed è suddiviso in due capitoli: “la comunicazione nella Chiesa” e “la
comunicazione della Chiesa” con la società, anche se spesso i due aspetti si intersecano e, a
volte, sembrano confondersi.
A. Comunicazione NELLAChiesa
Emittente:
• Ai laici sono riconosciute, all’interno della Chiesa, maturità e responsabilità tali
da fare loro ricoprire la funzione di emittente? La Chiesa fino a che punto è disposta a
fare crescere il laicato e fino a che punto è capace di ascoltarlo?
• La Vita consacrata, che costituisce già di per sé un forte annuncio profetico
nell’impegno di costruire il Regno di Dio tra gli uomini, spesso è a contatto con ambiti
particolari: scuole, ospedali, case di riposo. Quali cambiamenti deve realizzare perché
diventi ancor più “carica evangelica maggiormente propositiva sul piano vocazionale”?
Messaggio:
• Esiste nella nostra realtà la coscienza ed il desiderio che all’interno della Chiesa si
formi una “opinione pubblica” derivante dallo scambio delle idee, dalla ricerca del
confronto franco ed aperto e la convinzione che questo dibattito rafforza il messaggio
verso l’esterno? Potrebbero di conseguenza crearsi delle opportunità perché questo
dialogo possa prendere vigore?
• Scopo della comunicazione è che il contenuto del messaggio sia compreso. Questo
obiettivo, all’interno della Chiesa, si deve e può raggiungere semplificando tale contenuto
oppure modificando ed adeguando strumenti e linguaggio? La liturgia domenicale
assolve esaurientemente questo compito?
• Le religiose alessandrine lamentano la insufficiente conoscenza e la scarsa
considerazione, nei confronti loro e della loro vocazione, da parte dei laici e dei sacerdoti;
quale linguaggio comune può essere individuato per facilitare il rispetto e, soprattutto,
la comunicazione?
• La “Voce Alessandrina” è uno strumento di comunicazione consolidato nella realtà
25
locale: è opportuno che essa assolva principalmente alla funzione di mezzo comunicativo
interno alla Chiesa locale?
Ricevente:
• I cristiani ascoltano l’annuncio o si sentono solo annunciatori? E come rendere
chiara e coerente l’azione della Chiesa locale affinché ci sia complementarità tra i
diversi ambiti?
• La gerarchia, oltre a ritenersi elemento principale della comunicazione, come
emittente, è disposta ed è in grado di assicurare l’ascolto reciproco con i laici ed a
diventare, quindi, anche ricevente di messaggi?
• È opportuno prevedere come ricevente “il mondo cattolico” o troppo spesso tale
mondo si confonde, nelle scelte di vita e nelle convinzioni, con gli atei e gli indifferenti?
B. Comunicazione DELLA Chiesa
Emittente:
• Chi è la Chiesa per i sedicenti cristiani? Per gli intellettuali agnostici o laicisti, per
i giovani indifferenti, per le persone incerte e dubbiose o per quelle “tranquille” e
culturalmente omologate? Cosa rappresenta per i cosiddetti credenti e non praticanti?
• La Chiesa che comunica è, per i più, la Chiesa dei mass-media, identificata nella
gerarchia le cui parole sembrano sempre meno interessare credenti e non. Questa Chiesa
gerarchica, che dagli stessi fedeli viene definita centro di potere, di imposizione
apologetica, preoccupata più a difendersi che ad annunciare il Vangelo, è l’unico possibile
e credibile emittente?
• È una consapevolezza l’insufficienza dei mezzi umani per manifestare il mistero?
• Sarebbe opportuno che i principi di fede fossero tradotti dalla Chiesa in valori per
l’uomo, accettabili e vivibili per tutti (anche per gli altri) nel maggiore consenso e
concordia possibile?
• Perché la Chiesa non ha sempre il coraggio di denunciare più seriamente il consumo,
la ricchezza, le scelte politiche, il potere che hanno condizionato la credibilità del suo
annuncio?
• La Chiesa locale pare essere vissuta con maggiore attenzione e rispetto dalla
comunità dei credenti; non è comunque riduttivo individuare nella figura del prete e
nella vita consacrata l’emittente?
• Il prete è annunciatore, comunicatore eppure gran parte del suo impegno sembra si
concentri nei servizi religiosi e nel lavoro sociale e ricreativo. Può in questa condizione
sostenere un confronto con la cultura e non è opportuno prevedere una formazione
(iniziale e permanente) in questo senso o tutto viene lasciato alla sensibilità e possibilità
dei singoli?
• I laici hanno nella Chiesa un ruolo di comunicatori, vengono coinvolti nella
elaborazione del messaggio, oppure restano a margine vivendo sempre più la fede come
un fatto privato? Non è ogni cristiano, non solo testimone, ma anche annunciatore,
chiamato a “rendere ragione della speranza che è in lui”, a “dire” la sua fede?
• Gli insegnanti di religione rappresentano un emittente credibile rispetto alle
esigenze? Il loro operare può ingenerare l’equivoco che la loro opera esaurisca
l’annuncio evangelico?
Messaggio:
• Qual è il contenuto che si vuole annunciare? È il Cristo risorto? Il Vangelo, il
Magistero della Chiesa, il Catechismo della Chiesa Cattolica, il pensiero del clero da
26
mass media? E’ lecito ed opportuno sistematicamente chiarire e dare delle priorità a
seconda dei riceventi con cui ci si confronta?
• Non potrebbe essere opportuno un “digiuno della Parola” da parte della Chiesa
offrendo, per un certo tempo, solamente strutture di ascolto e di accoglienza?
• I mass-media “laici” usano spesso la Chiesa come notizia da enfatizzare: si tratti di
un viaggio del Papa, di scandali veri o presunti o di pronunciamenti magisteriali (di cui
regolarmente si evidenziano le caratteristiche che confliggono con la cultura moderna),
spesso il contenuto viene manipolato e stravolto. È necessario e possibile uscire da
questo situazione?
• Il problema del linguaggio si può limitare ad una revisione dei modelli verbali
(peraltro indispensabile: è eccessivo chiedere che si espunga l’aggettivo “benigno” dai
testi liturgici? Non sentiamo qualcosa di inautentico nell’uso di appellativi quali
“reverendo”, “monsignore”, “eccellenza”? Non è fuori del tempo un testo che dice “se
peccammo deh perdona, deh c’infiamma...”, ecc.?) e degli strumenti di comunicazione,
oppure deve porsi su un altro piano, in termini di modelli culturali ed esperienziali
alternativi a quelli dominanti? O dobbiamo inseguire ed adeguarci?
• Con i sedicenti lontani quale è lo stile comunicativo più adeguato (assertivo,
confutativo, propositivo, magisteriale, carismatico, profetico, problematico, dialogico)?
Uno stile o stili diversi? E quali strumenti sono i più adeguati? Incontri (conferenze e
dibattiti), strutture didattiche permanenti, messaggi verbali, messaggi per immagini,
indagini, offerta di occasioni di confronto e di dialogo?
• Tra gli strumenti di comunicazione e di informazione quale ruolo ha e potrà avere il
settimanale diocesano? Vi sono aspettative al riguardo? E la radio locale può avere un
ruolo analogo?
Ricevente:
• Chi sono gli altri? Gli atei, gli agnostici, gli indifferenti, i “saltuari” oppure tra gli
“altri” vi è anche la gran parte dei credenti? Come consideriamo il loro retroterra
culturale, siamo disposti al dialogo o prevalgono in noi atteggiamenti di chiusura?
• La gerarchia, oltre a ritenersi elemento principale della comunicazione come
emittente, è disposta all’ascolto delle istanze che provengono dalla società?
• Le modalità dell’annuncio oggi tengono veramente presente la persona umana
nella sua totalità?
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28
2. LA CELEBRAZIONE DEL VANGELO
PREMESSA
L’annuncio come la testimonianza passano inevitabilmente attraverso la celebrazione.
Infatti, sia coloro che hanno analizzato il modo di annunciare come coloro che hanno analizzato
il modo di testimoniare nella nostra chiesa alessandrina, presentano sempre i momenti celebrativi
sia come strumenti di annuncio che come strumenti di testimonianza.
Pertanto non si può non riconoscere all’evento liturgico un particolare, anzi, fondamentale
ruolo nella missione della chiesa. La chiesa con le modalità proprie del rito annuncia anche
quando celebra: “Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa
della tua venuta”.
La celebrazione si pone infatti come cerniera fra l’annuncio verbale e l’annuncio testimonianza.
Entrambe trovano nella celebrazione il loro culmine e la loro fonte18. Sia ben chiaro: la
liturgia non sostituisce né l’evangelizzazione né tanto meno la testimonianza della carità, ma ne
è l’anima e la manifestazione simbolica, come nel rapporto coniugale i gesti dell’amore sono
punto d’arrivo e contemporaneamente punti di partenza per una vita che si fa dono nella
quotidianità. La celebrazione non è semplicemente un mezzo, ma il luogo privilegiato dell’incontro
con Dio, dove l’uomo diventa corpo di Cristo per annunciare al mondo la sua salvezza.
I. La Celebrazione Liturgica
è manifestazione della Chiesa
Sia dalle osservazioni provenienti dalle parrocchie come da quelle provenienti da settori
più lontani dalle strutture ecclesiali ufficiali si constata che tutti si fanno un’idea della Chiesa,
della sua dottrina e della sua missione principalmente attraverso le celebrazioni liturgiche.
C’è chi vede in esse soprattutto la preoccupazione dell’esteriorità; c’è chi vi vede addirittura
uno strumento di potere; altri considerano le celebrazioni liturgiche come delle “cerimonie”
suggestive, ma incapaci di trasmettere dei valori. Una tradizione liturgica, legata ad un contesto
di “cristianità”, sembra averci abituati più alla “cerimonia” gratificante e consolatoria che non
alla celebrazione che annuncia la presenza e l’azione di quello Spirito che “Rinnova la faccia
della terra”.
Ora, fra le fondamentali riscoperte del Vaticano II, c’è senza dubbio anche quella che
presenta la liturgia, il culto della Chiesa, come manifestazione della vera natura e missione della
comunità cristiana nel mondo19.
Pertanto non è assolutamente possibile rendere efficace un sinodo se questo non coinvolge
una profonda revisione delle modalità celebrative considerate e valutate in funzione della
manifestazione della Chiesa.
In breve, se le celebrazioni consolano, gratificano semplicemente e rispondono vagamente
ad una semplice domanda religiosa, determinata sovente più dalla tradizione che dalle convinzioni
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profonde, allora la liturgia viene a mancare di una delle sue dimensioni fondamentali.
Pertanto è doveroso chiederci più dettagliatamente e anche con più coraggio quale immagine
di Chiesa emerge dalle nostre celebrazioni. Ma soprattutto, nella fase positiva, è ancor più
doveroso chiederci quali sono le caratteristiche che devono emergere dalle nostre celebrazioni
perché esse non diventino un tradimento del Vangelo. La liturgia infatti non ha soltanto lo scopo
di rendere culto a Dio, ma ha anche lo scopo di istruire i fedeli, di comunicare loro i “pensieri” di
Dio, il suo progetto sull’uomo; e questo il più chiaramente possibile 20. Anzi, il vero culto a Dio si
concretizza nella misura in cui la Chiesa radunata nel nome di Cristo, come comunità e in
ciascuno dei suoi membri, rivela e comunica il volto e il disegno di Dio. O se preferiamo, le sue
tradizionali note caratteristiche alla luce del Vaticano II.
A) La chiesa è una
Non si tratta affatto di interpretare questa caratteristica come elemento di contrapposizione
nei confronti degli “altri”. La Chiesa è soprattutto una nel senso che è un mistero di comunione.
Una comunione con Dio che si riflette nella capacità di comunione con gli uomini.
• Come le nostre celebrazioni esprimono questa comunione con il mondo (pensiamo
alle omelie asettiche e atemporali; alle celebrazioni che privilegiano gli aspetti
intimistici...)?
• Quali aspetti privatistici oscurano l’unità della Chiesa nella celebrazione dei
sacramenti? Pensiamo alla moltiplicazione delle messe per motivi devozionali o comunque
per accondiscendere semplicemente ad esigenze private. Pensiamo alla celebrazione
della prima comunione e dei matrimoni in particolare deve gli aspetti formali annullano
quasi del tutto la dimensione ecclesiale.
• Quali altri momenti liturgici oscurano la solidarietà della Chiesa con il mondo e la
sua comunione interna?
B) La Chiesa è santa
Santa perché corpo di Cristo, ma nei suoi membri è sempre in stato di conversione 21. La
celebrazione liturgica è chiamata ad esprimere e a rendere effettiva la conversione di tutto un
popolo. Sono le nostre celebrazioni umile e sincera espressione di una Chiesa consapevole della
propria infedeltà e capace di autocritica, oppure presentano una Chiesa che fa della verità
un’arma di potere? Pensiamo ancora una volta allo stile di una certa predicazione più propensa
ad indottrinare che a stimolare la ricerca della verità. Pensiamo anche allo stile di certe celebrazioni
dove l’esteriorità sembra prevalere sull’interiorità.
• In quali altri momenti cultuali la Chiesa potrebbe manifestare meglio la sua
solidarietà nel cammino della conversione?
C) La Chiesa è cattolica
Cattolico non è un termine che esclude e divide, ma piuttosto un termine che apre sul
mondo. Le celebrazioni liturgiche non sono azioni private 22, ma momenti cultuali che esprimono
e chiamano a raccolta la Chiesa di Dio nella sua multiforme varietà.
• Come e a quali condizioni le nostre celebrazioni esprimono questa apertura alla
diversità senza venir meno alla verità?
• Come si conciliano con la dimensione “cattolica” del culto cristiano le messe di
gruppo nel giorno del Signore?
• Fino a che punto e come è possibile accordare la pietà popolare con la liturgia?
Quali sono i momenti liturgici che hanno maggiormente bisogno di aprirsi ad una corretta
dimensione “cattolica”? Quale accoglienza per i “lontani” e per i cosiddetti
“irregolari”?
D) La chiesa è apostolica
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Apostolica perché fondata sulla testimonianza autorevole dei Dodici certo; ma apostolica
anche perché missionaria. L’inchiesta preparatoria al nostro Sinodo ha evidenziato una Chiesa
piuttosto propensa a “vivere di rendita”, con pochi slanci missionari, cioè più preoccupata di
conservare l’esistente che non di costituire il futuro.
Ora la liturgia ha anche su questa dimensione ecclesiale pesanti responsabilità. Si tende a
celebrare più per soddisfare a delle richieste o per liberare da obblighi che per far prendere
coscienza degli impegni cristiani.
• Cosa si fa in concreto per evidenziare lo stretto legame fra celebrazione e missione,
celebrazione e testimonianza della carità?
• Non è forse vero che le più “solenni” celebrazioni rischiano sovente di essere
all’insegna dello spreco e del disprezzo per i poveri. Quanto si è preso sul serio l’invito
dei vescovi a fare delle più importanti celebrazioni sacramentali un’occasione per lasciare
una testimonianza di cristiana solidarietà?
II. Come manifestare la vera natura della Chiesa
nelle diverse celebrazioni sacramentali?
1. I sacramenti
dell’iniziazione cristiana
“Per mezzo dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, gli uomini uniti con Cristo nella sua
morte, nella sua sepoltura e risurrezione, vengono liberati dal potere delle tenebre, ricevono lo
Spirito di adozione a figli e celebrano, con tutto il popolo di Dio, il memoriale della morte e
risurrezione del Signore”23.
I sacramenti dell’iniziazione cristiana, Battesimo, Confermazione (o Cresima) e prima
Eucaristia costituiscono nel loro insieme la nascita del cristiano. Attraverso il Battesimo Dio, per
mezzo di Cristo, offre all’uomo la possibilità di entrare in dialogo con lui in vista di un’alleanza
che lo fa partecipe della vita divina per l’eternità.
Un’alleanza che, proprio perché tale, richiede anche una risposta da parte dell’uomo.
Una risposta che all’uomo, condizionato dal peccato d’origine, non è possibile se non per quella
forza che viene dall’alto, cioè per mezzo dello Spirito Santo. Una risposta che si attualizza e si
manifesta con una vita conforme a quella di Cristo, con la testimonianza della sua stessa carità.
Questo aspetto dell’iniziazione e dell’identità cristiana viene celebrato in particolare modo
nel sacramento della Confermazione. Si chiama appunto Confermazione perché lo Spirito
conferma con il suo sigillo e rende quindi possibile il dialogo d’amore fra Dio e l’uomo. Dialogo
che da parte di Dio non viene mai meno e per questo si dice che la Cresima, come il Battesimo
che è ad essa strettamente unito, conferisce un “carattere” indelebile.
Proprio perché la Confermazione esprime e realizza la piena conformazione a Cristo,
testimone del Padre, questo sacramento abilita il battezzato a celebrare con verità e pienezza di
senso l’Eucaristia.
La Messa pertanto è il vertice dell’iniziazione cristiana, esprime il pieno inserimento nel
mistero di Cristo, esprime in pienezza l’identità del cristiano attraverso il segno della comunità
ecclesiale e attraverso la comunione al Corpo e al Sangue di Cristo.
Non senza ragione l’iniziazione cristiana degli adulti prevede il conferimento dei tre
sacramenti in un’unica celebrazione che di norma si identifica con la Veglia pasquale 24.
31
La prassi che è invalsa per l’iniziazione cristiana dei bambini e che vede i tre sacramenti
distribuiti attualmente sull’arco dei primi 12/13 anni di vita, non cambia affatto il significato dei
sacramenti e la loro intima connessione. Neppure l’inversione della sequenza tradizionale che
vede oggi la prima partecipazione alla mensa eucaristica anticipare la Cresima non può e non
deve mutare il significato di questi sacramenti. Pertanto il Sinodo dovrebbe chiedersi se l’attuale
modo di gestire e di celebrare i sacramenti dell’iniziazione cristiana esprima correttamente la
finalità per la quale sono stati istituiti. Non si dimentichi che anche per la vita cristiana, come per
ogni altra realtà vivente, il momento della nascita è fondamentale e determinante per lo sviluppo
del futuro.
A) Il Battesimo degli adulti.
- Quali itinerari e indicazioni concrete la nostra Chiesa è in grado di proporre per gli
adulti che chiedono il Battesimo e per i ragazzi, sempre più numerosi, che chiedono il
Battesimo in età scolare 25?
- In questi casi si tiene conto della veglia pasquale come data battesimale privilegiata?
- Quali itinerari per gli adulti che chiedono la Cresima in vista del matrimonio?
B) Il Battesimo dei bambini.
- É possibile proporre ai genitori itinerari di preparazione al Battesimo dei loro
figli?
- Come trasformare i battesimi dei bambini in autentiche celebrazioni comunitarie,
tenendo conto delle esigenze locali?
- Quali proposte per accompagnare i genitori nell’itinerario di fede tra il Battesimo
dei loro figli e la catechesi parrocchiale in età scolare?
C) La Confermazione.
- Nel rispetto della normativa pastorale attualmente in vigore che prevede la
celebrazione della Confermazione fra i 10/12 anni, come è possibile far emergere lo
stretto legame con l’Eucaristia in quanto la Confermazione ne rende possibile la piena
partecipazione?
- Come approfittare dell’attuale strutturazione dei riti dell’Iniziazione Cristiana per
recuperare l’unità dei tre sacramenti all’interno di un autentico itinerario di tipo
catecumenale? Oltre agli incontri di catechesi non potrebbe essere opportuno prevedere
più incontri di preghiera, celebrazioni con i genitori, con la comunità, celebrazioni
comunitarie della penitenza, esperienze di testimonianza cristiana?
- Come dare verità e significato ai padrini? Se il padrino del Battesimo non è
significativo potrebbe essere opportuno proporre il catechista?
- Per esprimere la pienezza dell’iniziazione cristiana si potrebbe riservare e proporre
in linea generale, la comunione sotto le due specie durante la messa della Confermazione?
D) L’Eucaristia
La celebrazione dell’Eucaristia non solo è vertice dell’iniziazione cristiana, ma anche
vertice di tutta quanta l’azione pastorale. Non potrebbe essere diversamente in quanto
l’Eucaristia è la celebrazione globale del mistero pasquale cioè di tutta l’opera della salvezza.
L’Eucaristia è quindi la sorgente e il culmine di tutti i sacramenti. Per questo merita
un’attenzione del tutto particolare nella pastorale della Chiesa perché l’Eucaristia più di
tutti gli altri sacramenti, è chiamata a manifestare al mondo l’identità e la missione della
Chiesa.
- Come qualificare l’assemblea domenicale?
Basta una riduzione della quantità delle messe per migliorarne la qualità?
- Soprattutto nella messa domenicale e festiva l’omelia si rivolge a migliaia di persone.
32
Come è possibile qualificare meglio questo strumento di annuncio e di approfondimento
della fede.
- La ministerialità (lettori, accoliti, ministranti...) sembra ancora ridursi sovente a
spettacolarità e soprattutto non sembra essere qualificata. É opportuno ripensare anche
a questo settore e come?
- In particolare la messa di prima comunione continua ad essere una prima esperienza
di Eucaristia che sovente contraddice la catechesi e non si pone come modello
evangelizzante. Quali giudizi e quali suggerimenti per fare di questa messa un segno più
vero della Chiesa e del Vangelo che essa vuole annunciare?
2. I Sacramenti della guarigione
A) La penitenza
“Attraverso i sacramenti dell’iniziazione cristiana, l’uomo riceve la vita nuova di Cristo.
Ora questa vita, noi la portiamo in vasi di creta” 26. Adesso è ancora nascosta con Cristo in Dio
27
. Noi siamo ancora nella nostra abitazione sulla terra 28, sottomessa alla sofferenza, alla malattia
e alla morte. Questa vita nuova di figli di Dio può essere indebolita e persino perduta a causa del
peccato.
Il Signore Gesù Cristo, medico delle nostre anime e dei nostri corpi, colui che ha rimesso
i peccati al paralitico e gli ha reso la salute del corpo ha voluto che la sua Chiesa continui, nella
forza dello Spirito Santo, la sua opera di guarigione e di salvezza, anche presso le proprie membra.
E’ lo scopo dei due sacramenti di guarigione: del sacramento della penitenza e dell’unzione degli
infermi”29.
Fra il peccato e la malattia del corpo non c’è alcun legame di causa e d’effetto, ma
soltanto di immagine. Infatti come la malattia indebolisce e talvolta distrugge il corpo, così il
peccato indebolisce e talvolta distrugge la vita divina che è in noi. Per questo legame di similitudine
il sacramento della penitenza e l’unzione degli infermi sono considerati sotto la stessa categoria
di guarigione, alla luce di quella salvezza che coinvolge tutto quanto l’uomo, nella globalità di
corpo e di spirito.
E’ proprio in riferimento all’iniziazione cristiana che il sacramento della penitenza deve
essere interpretato e compreso. Se i sacramenti dell’iniziazione cristiana esprimono e realizzano
il dialogo di alleanza fra l’uomo e Dio, il peccato grave è l’interruzione di questo dialogo da parte
dell’uomo. Un’interruzione che, sempre alla luce di quella iniziazione che è costituzione di un
popolo nella carità di Cristo, non è mai riconducibile ad un semplice rapporto privato con Dio.
Ogni vero peccato si consuma sempre in qualche modo nel rapporto con gli altri. Per questo il
perdono, nella dinamica dell’incarnazione, ripercorre la stessa strada e passa attraverso il ministero
della Chiesa. Quella Chiesa che simbolicamente esprime l’immagine della nuova umanità, non
più schiava del peccato.
Il sacramento della penitenza recupera la grazia battesimale e ogni peccatore è chiamato
a ripercorrere in qualche modo l’itinerario battesimale della conversione. Sacramento della
penitenza significa infatti letteralmente “Sacramento della conversione”. Non ci può essere
quindi vero sacramento senza autentica conversione. La conversione è più importante della
confessione, la quale è soltanto uno degli elementi del rito sacramentale.
Il sacramento della penitenza è anche chiamato sacramento della riconciliazione in quanto
dona al peccatore l’amore di Dio che riconcilia con se stessi, con il mondo e con la comunità
ecclesiale, che è espressione sacramentale di questa fraterna comunione in Cristo.
Ora il Sinodo dovrebbe verificare se la penitenza è correttamente intesa nella nostra
Chiesa e soprattutto dovrebbe verificare se la celebrazione della penitenza, anche per coloro
che si preparano alla messa di prima comunione, è oggi in grado di dare una corretta immagine
33
del peccato, della conversione e della riconciliazione con Dio attraverso il corpo di Cristo che è
la Chiesa.
Il sacramento della penitenza non si riduce alla semplice confessione individuale, ma è
l’esperienza liturgica, cioè ecclesiale di un concreto itinerario di conversione.
Ci chiediamo anche:
- É possibile educare alla penitenza con itinerari collegati ai vari tempi liturgici?
Come?
- Come iniziare i più giovani alla penitenza evitando di ridurre il sacramento a
semplice atto previo alla prima comunione?
B) L’unzione degli infermi
Neppure l’unzione degli infermi può essere correttamente compresa se non alla luce
dell’iniziazione cristiana. Soprattutto attraverso l’unzione della Cresima viene manifestata l’azione
dello Spirito Santo che conforma a Cristo morto e risorto. Questa identificazione o “immersione”
nella morte di Cristo per risorgere con lui a vita nuova, comporta anche la partecipazione alle
sue sofferenze.
Attraverso il rito dell’unzione, con l’olio degli infermi appositamente benedetto, l’uomo
sofferente unisce la sua croce a quella di Cristo dando così un valore infinito alle proprie pene al
punto da poter dire con l’apostolo Paolo: “Io completo nella mia carne ciò che manca ai patimenti
di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa”30. Così il Catechismo della Chiesa Cattolica
riassume il significato di questo sacramento: “La grazia fondamentale di questo sacramento è
una grazia di conforto, di pace e di coraggio per superare le difficoltà proprie dello stato di
malattia grave o della fragilità della vecchiaia. Questa grazia è un dono dello Spirito Santo che
rinnova la fiducia e la fede in Dio e fortifica contro le tentazioni del maligno, cioè contro le
tentazioni di scoraggiamento e di angoscia di fronte alla morte. Questa assistenza del Signore
attraverso la forza del suo Spirito vuole portare il malato alla guarigione dell’anima, ma anche a
quella del corpo, se tale è la volontà di Dio. Inoltre se ha commesso peccati, gli saranno perdonati”
31
.
• E' veramente questa la dimensione che viene percepitadai fedeli attraverso l'attuale
prassi pastorale che circonda questo sacramento?
• Oppure il peso di una lunga tradizione diversa continua a condizionare fortemente
l'annuncio che la Chiesa intende dare attraverso questo sacramento?
3. I Sacramenti del servizio della comunione
Ordine e matrimonio
“Il Battesimo, la Confermazione e l’Eucaristia sono i sacramenti dell’iniziazione cristiana.
Essi fondano la vocazione comune di tutti i discepoli di Cristo, vocazione alla santità e alla
missione di evangelizzare il mondo. Conferiscono le grazie necessarie per vivere secondo lo
Spirito in questa vita di pellegrini in cammino verso la patria.
Due altri sacramenti, l’ordine e il matrimonio, sono ordinati alla salvezza altrui. Se
contribuiscono anche alla salvezza personale, questo avviene attraverso il servizio degli altri.
Essi conferiscono una missione particolare nella Chiesa e servono all’edificazione del popolo di
Dio.
34
In questi sacramenti coloro che sono già stati consacrati mediante il Battesimo e la
Confermazione per il sacerdozio comune di tutti i fedeli, possono ricevere consacrazioni particolari.
Coloro che ricevono il sacramento dell’ordine sono consacrati per essere posti in nome di
Cristo a pascere la Chiesa con la parola e la grazia di Dio. Da parte loro i coniugi cristiani sono
corroborati e come consacrati da uno speciale sacramento per i doveri e la dignità del loro stato”
32
.
Ordine e matrimonio pertanto non sono affatto due sacramenti in contrasto fra di loro, a
nessun livello. Entrambi manifestano e realizzano un servizio per l’edificazione della Chiesa.
Giustamente il CCC li accomuna sotto un unico titolo.
Per quanto riguarda le ordinazioni, nei loro diversi gradi, in questi ultimi anni esse hanno
dato vita a celebrazioni sempre più inserite nella comunità diocesana e locale, avvicinando così
la figura del ministro al popolo di Dio. A fatica il diaconato permanente riesce ad emergere nel
tessuto della nostra Chiesa particolare.
Per quanto riguarda invece il matrimonio, la celebrazione nuziale resta purtroppo quasi
ovunque un evento più profano che cristiano; un evento considerato privato e comunque circondato
da elementi fortemente individualistici che finiscono di avere il sopravvento e di condizionare
l’immagine di famiglia cristiana che ne dovrebbe emergere.
Entrambi i sacramenti esprimono perciò un rapporto di servizio nella comunità. Rapporto
che appare più chiaramente nella celebrazione dei ministeri ordinati, e molto meno, se non
addirittura per niente, nella celebrazione del matrimonio.
- Ci sono suggerimenti per dare alla celebrazione delle diverse ordinazioni un maggior
impatto evangelizzante su tutta quanta la comunità?
- Il direttorio diocesano per la celebrazione del matrimonio non sembra aver influito
molto nella concreta celebrazione nuziale. Quali aspetti liturgico-pastorali dovrebbero
essere affrontati per far emergere dalla celebrazione nuziale l’immagine della Chiesa
domestica?
- Vale la pena (ma senza ridursi a questo!) fare concrete e motivate proposte per una
prassi più rispettosa del rito e generalizzata per quanto riguarda addobbi, fiori, fotografi...?
4 . Le esequie cristiane
La chiesa annuncia la sua fede nel Risorto e nella vita oltre la morte anche nel rendere
l’estremo omaggio al corpo di quanti per mezzo del Battesimo sono stati incorporati a Cristo e
sono diventati abitazione dello Spirito.
- Questa dimensione di fede appare sufficientemente nel nostro modo di celebrare le
esequie cristiane? Quali eventuali ostacoli rischiano di oscurare questo annuncio?
- L’abbinamento funerale-messa crea qualche difficoltà o resta sempre e comunque la
soluzione più opportuna?
- Esiste qualche problema liturgico-pastorale connesso alla celebrazione delle messe
di suffragio? Quale?
- La veglia funebre si identifica nella nostra tradizione quasi esclusivamente con la
recita del rosario. E' una formula adeguata la preghiera nel contesto dell’annuncio o è
opportuno pensare anche ad altre possibilità come previsto dal rito?
5) La pietà popolare
La pietà popolare costituisce un ampio spazio dove le tradizioni e la creatività possono
esprimersi per rispondere a particolari esigenze religiose, di cultura e di spiritualità.
Questo spazio di libera espressione costituisce però sovente anche un rischio per un
corretto annuncio del vangelo: “...è frequentemente aperta alla penetrazione di molte deformazioni
35
della religione, anzi di superstizioni” 33. É necessario che essa sia ben orientata per veicolare la
sana dottrina, e gli autentici valori evangelici.
Per questo deve ispirarsi alla liturgia, da esse deve trarre sempre ispirazione e ad essa
deve sempre condurre 34.
- Quali sono le espressioni della pietà popolare che hanno maggiore incidenza nel
nostro popolo?
- Sono queste manifestazioni di pietà popolare autentici strumenti da evangelizzazione
o ne costituiscono un ostacolo?
- Quali pii esercizi hanno bisogno di essere presi in considerazione perché possono
diventare momenti di forte e corretto annuncio evangelico?
Conclusione
Il voler considerare la celebrazione liturgica in modo precipuo come strumento di annuncio
è una metodologia funzionale alla particolare finalità del nostro Sinodo. Pertanto questo modo di
procedere è inevitabilmente limitato ma non per questo ignora tutti gli altri aspetti e le relative
problematiche di pastorale liturgica. Nell’attuale circostanza storica della Chiesa, e in particolare
della Chiesa alessandrina, sembra che la dimensione dell’annuncio sia da privilegiarsi, tenendo
particolarmente presente che “la sacra liturgia benché sia principalmente culto della maestà
divina contiene tuttavia anche una ricca istruzione per il popolo fedele. Nella liturgia infatti Dio
parla al suo popolo; Cristo annuncia ancora al suo vangelo” 35. Un dialogo fra Dio e l’uomo che
si attua soprattutto per mezzo dei segni: attraverso le persone, gli atteggiamenti, i gesti, le cose,
gli spazi, i tempi...
Non dimentichiamo infatti che la sacramentalità della Chiesa “opera ciò che significa”.
La grazia propria legata ai sacramenti per i meriti di Cristo (ex opere operato) non esclude, in via
ordinaria, la dinamica propria di ogni rapporto veramente umano dove la comunicazione è tanto
più efficace quanto più i segni sono chiari ed hanno il fascino della verità.
Così devono essere anche le celebrazioni liturgiche per esprimere fedelmente colui che in
esse agisce per rivelare e comunicare la salvezza di Dio.
36
37
3. LA TESTIMONIANZA DEL VANGELO
Icona
1Cor 13
Se anche parlassi
le lingue degli uomini e degli angeli,
ma non avessi la carità,
sono come un bronzo che risuona
o un cembalo che tintinna.
E se avessi il dono della profezia
e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza,
e possedessi la pienezza della fede
così da trasportare le montagne,
ma non avessi la carità, non sono nulla.
E se anche distribuissi tutte le mie sostanze
e dessi il mio corpo per essere bruciato,
ma non avessi la carità, niente mi giova.
La carità è paziente,
è benigna la carità;
non è invidiosa la carità,
non si vanta, non si gonfia,
non manca di rispetto,
non cerca il suo interesse,
non si adira,
non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell’ingiustizia,
ma si compiace della verità.
Tutto copre, tutto crede,
tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine.
Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imperfetta e
imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà.
Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò
che era da bambino l’ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo
faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono
conosciuto.
Queste dunque le tre cose che rimangono:
la fede, la speranza e la carità;
ma di tutte più grande
è la carità!
“Richiamiamo il primato della “carità” o del servizio, vertice e ragione della vita cristiana, impegno e dono
di ognuno che accolga l’annuncio del Vangelo.
Contemplando il mistero di Cristo, rivelazione dell’amore del Padre, il cristiano scopre che la “carità” è
possibile. Nell’ascolto della Parola e nella celebrazione dell’Eucaristia, da un amore assolutamente gratuito che “si
consegna”, il cristiano impara che la carità è, soprattutto, dono di sé, è il modo di essere di uno che è fatto come Cristo
e perciò sa amare di un amore totalmente gratuito, aperto a tutti, fedele.
Prima di essere un insieme di gesti, perciò, la carità è un modo di essere, un modo di sentire e di vivere i
rapporti col prossimo secondo il modo di Gesù Cristo. L’annuncio evangelico indica poi anche il modo e i gesti
concreti secondo cui si vive la carità: essa indica il servizio autentico all’uomo; il servizio che traduce l’amore che
Dio ha per l’uomo; un servizio che scopre il bisogno dell’altro, che si china a soccorrerlo, che si lascia guidare dal
bisogno oggettivo dell’altro visto come fratello. Tutto quello che è servizio autentico all’uomo rientra nella donazione
della carità” 36.
PREMESSA
38
Il compito della Chiesa non si esaurisce nell’annuncio della salvezza e nella celebrazione
del Vangelo. Società visibile e comunità spirituale, essa cammina insieme con tutta l’umanità
offrendole il suo servizio, animando il sociale e diventandone fermento di vita 37.
La Chiesa è sacramento di salvezza 38: deve annunciarla ma è anche chiamata ad “attuarla”,
a testimoniarla, a renderla significativa per l’uomo e per la comunità.
Proprio perché il proposito della Chiesa alessandrina è quello di essere, al tempo stesso,
vangelo di salvezza e testimonianza, di comunione per tutti gli uomini, essa accetta e fa proprie
le sollecitazioni, e suggerimenti, le richieste che provengono dalla comunità nella quale è inserita
per verificare, attraverso un profondo esame di coscienza, limiti e difficoltà della sua azione
pastorale e per preparare, in modo adeguato, ma più forte ed effettiva testimonianza del Vangelo.
1. Con gli uomini
“Pietro prese la parola e disse: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze
di persone, ma chi Lo teme e pratica la giustizia è a Lui gradito...” 39. “Il Verbo si è fatto carne
ed è venuto ad abitare tra noi... A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio
a quelli che credono nel Suo Nome i quali non da sangue, né da volontà della carne, né dal volere
di un uomo, ma da Dio furono generati...” 40.
Giustamente Giovanni Paolo II, da subito, dalle prime parole del suo pontificato, ha invitato
tutti gli uomini a non avere paura di aprire le porte al cuore di Gesù. Infatti Gesù si è fatto
fratello di ciascuno di noi, si è incarnato per aiutare ciascuno di noi a superare le proprie debolezze
personali, a dialogare ogni giorno con il Padre. Anzi, nella sua prima Enciclica Giovanni Paolo II
afferma: “... con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito, in un certo modo, ad ogni uomo. La
chiesa ravvisa, perciò, il proprio compito fondamentale nel far sì che una tale unione possa
continuamente attuarsi e rinnovarsi ... Si tratta dell’uomo in tutta la sua verità, nella sua dimensione
piena. Non si tratta dell’uomo “astratto”, ma reale, dell’uomo “concreto”, “storico”. Si tratta di
“ciascun” uomo, perché ogni uomo è stato compreso nel mistero della Redenzione, e con ogni
uomo Cristo si è unito per sempre, attraverso questo mistero... L’oggetto di questa premura
[della chiesa] è l’uomo nella sua unica ed irripetibile realtà umana, in cui permane intatta
l’immagine e la somiglianza con Dio stesso... L’uomo così come è “voluto” da Dio, come è stato
da Lui eternamente “scelto”, “chiamato”, destinato alla grazia e alla gloria: questo è proprio
ogni uomo, l’uomo il più concreto, il più reale: questo è l’uomo in tutta la pienezza del mistero
del quale è divenuto partecipe ciascuno dei quattro miliardi [1979] di uomini viventi sul nostro
pianeta, dal momento in cui viene concepito sotto il cuore della madre ...” 41.
Il Sinodo, perciò, alla luce di queste citazioni, si rivolge a tutte le persone residenti sul
territorio della Diocesi di Alessandria - con particolare riguardo ai battezzati - per dichiarare che
ciascuno è chiamato a divenire non solo attivo operatore del Sinodo, ma attivo operatore della
comunione ecclesiale.
Poiché, come si è visto, il Salvatore ama e chiama ciascuno, anche il Sinodo ama e
chiama ciascuno ad una attiva partecipazione. Non abbiamo paura perché il Signore ha dichiarato:
“Non sono venuto per giudicare il mondo, ma per salvare il mondo”42.
Dunque ciascuno di noi è “preso per mano” da Gesù e con Lui ciascuno può parlare ogni
giorno come al migliore amico, dialogare per crescere in umanità, per cercar di superare ogni
giorno le proprie miserie. Conseguentemente Gesù ha anche detto: “Vi do un comandamento
nuovo: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi" 43. E per essere più preciso ha anche
spiegato, nella celebre parabola, che il re “dirà... Venite, benedetti del Padre mio a prendere
possesso del regno che vi è stato preparato... perché ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi
sete e mi deste da bere, fui senza tetto e mi accoglieste, senza vesti mi rivestiste, malato mi
39
visitaste, carcerato veniste da me. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai Ti vedemmo
aver fame e Ti demmo da mangiare, aver sete e Ti demmo da bere...? Ed il re risponderà loro:
In verità vi dico, ogni volta che avrete fatto questo ad uno dei miei fratelli, sia pure il più piccolo,
lo avrete fatto a me...” 44.
Dunque il Sinodo, seguendo l’insegnamento di Gesù dice a se stesso e dice ad ogni persona
di questa terra alessandrina: ciascuno è povero perché ha bisogno dell’altro, anzi di tutti gli altri,
ma ciascuno di noi ha qualcosa da dare agli altri, ha delle doti, dei talenti, delle capacità, delle
esperienze (spesso drammatiche) che può mettere a disposizione degli altri.
Possiamo e dobbiamo andare avanti tutti insieme, superando le ragioni di divisione e di
contrasto perché dobbiamo costruire una vita migliore per noi stessi, per i nostri figli, per i nostri
nipoti. Dobbiamo lasciare il mondo un po’ migliore di come lo abbiamo trovato.
La recente alluvione ha dato la prova che questo è possibile, se è vero come è vero, che
in Alessandria - ma non solo qui - sono venuti, a migliaia, da varie parti d’Italia, tanti volontari a
testimoniare la solidarietà, a testimoniare la capacità d’amore nascosta nel cuore dell’uomo.
Tutti noi battezzati, insieme, siamo Popolo di Dio, siamo Chiesa, siamo “vocati”, cioè
chiamati, a partecipare della vita di Dio affinché portiamo molto frutto. La comunione
ecclesiale è, in un certo senso, la comunione di verità e d’amore grazie al Padre, a Gesù, allo
Spirito Santo, che parlano dentro ciascuno di noi, dentro la nostra coscienza personale.
Perciò il Sinodo si rivolge prima di tutto ai giovani, facendo proprie le parole di Giovanni
Paolo II45: “Il nostro non è il tempo della semplice conservazione dell’esistente, ma della missione.
È il tempo di proporre nuovamente Gesù Cristo”. Questo significa riproporre la Parola di Dio
nella sua globalità che spiega l’uomo nella sua globalità: nella dignità di ogni persona, nell’unità
familiare, nella convivenza civile, nell’ambiente naturale, nella comunione ecclesiale, ossia
nell’accettare l’invito del Padre a partecipare alla Vita di Verità e d’Amore della Trinità.
Abbiamo sempre presente che quello di Gesù è il “volto” dell’Umile che accetta di morire
per averci amato per vivere dentro ciascuno di noi: “Non sono più io che vivo...” 46.
A tutti ricordiamo ancora le parole di Giovanni Paolo II: “... Serpeggia un profondo disagio
tra i cittadini, moralmente sconcertati di fronte a gravi e diffusi fenomeni di malcostume... della
drammatica realtà della disoccupazione... La chiesa è dentro a questo popolo, è stata e vuole
continuare ad essere solidale nel suo cammino... Mio unico scopo è di aiutare ciascuno a vincere
le paure, così da togliere l’ipoteca paralizzante del cinismo dal futuro della politica e dalla vita
degli uomini”47.
Ci domandiamo:
• In che modo dobbiamo pensare-dire-fare per venire incontro a chi subisce situazioni
di ingiustizia, e per dare dignità a coloro che ne sono privati (devianza,
tossicodipendenza, disoccupazione, carcerati e così via)?
• In che modo ricercare il Vangelo, renderlo visibile, renderlo punto di riferimento
comune. In che modo colmare progressivamente la distanza tra Parola di Dio e vita
quotidiana?
• In che modo riscoprire, insieme, pazientemente i grandi valori della vita, senza i
quali essa decade ad esistenza subumana, quasi animale?
• Come “sintonizzare” gradualmente le diverse “velocità” ed “intensità” di agire ed
operare da battezzati e cresimati nell’unità familiare, nella convivenza civile,
nell’ambiente naturale, nella comunione ecclesiale affinché, come auspicato da Gesù
siamo tutti una cosa sola?
• Come far sorgere eventuali nuove iniziative, complementari a quelle finora svolte,
allo scopo di promuovere lo sviluppo umano, civile, religioso delle nostre popolazioni?
40
2. La famiglia
• “La famiglia, fondata e vivificata dall’amore, è una comunità di persone: dell’uomo e
della donna sposi, dei genitori e dei figli, dei parenti. Suo primo compito è di vivere fedelmente la
realtà della comunione nell’impegno costante di sviluppare una autentica comunità di persone”
48
.
Culla della vita, la famiglia è la cellula fondamentale della società, nucleo originario
che, nell’amore, vive, cresce, si perfeziona.
• “I coniugi cristiani, in virtù del sacramento del matrimonio, col quale essi sono il segno
del mistero di unità e di fecondo amore che intercorre tra Cristo e la chiesa, e vi partecipano
(cfr. Ef 5, 32), si aiutano a vicenda per raggiungere la santità della vita coniugale nell’accettazione
ed educazione della prole, e hanno così, nel loro stato di vita e nel loro ordine, il proprio dono nel
popolo di Dio. Da questo matrimonio, infatti, procede la famiglia nella quale nascono nuovi
cittadini della società umana, i quali per la grazia dello Spirito Santo sono elevati col Battesimo
allo stato di figli di Dio, per perpetuare attraverso i secoli il suo popolo. In questa che si potrebbe
chiamare chiesa domestica, i genitori devono essere per i loro figli, con la parola e con l’esempio,
i primi annunciatori della fede, e secondare la vocazione propria di ognuno, e quella sacra in
modo speciale” 49.
La famiglia, chiesa domestica, ha il compito di essere testimone, al suo interno ed
al suo esterno, di fede, speranza, carità.
• “Contro il pessimismo e l’egoismo che oscurano il mondo, la Chiesa sta dalla parte della
vita: e in ciascuna vita umana sa scoprire lo splendore di quel Sì, di quell’Amen che è Cristo
stesso. Al “no” che invade ed affligge il mondo, contrappone questo vivente “Sì”, difendendo in
tal modo l’uomo e il mondo da quanti insidiano e mortificano la vita” 50.
La difesa e la promozione - a tutti i livelli - della vita umana costituiscono un dovere
per tutta la Chiesa alessandrina.
• “Un grande aiuto per la formazione della coscienza i cristiani l’hanno nella Chiesa e nel
suo Magistero... La Chiesa si pone solo e sempre al servizio della coscienza, aiutandola a
non essere portata qua e là da qualsiasi vento di dottrina secondo l’inganno degli uomini (cfr. Ef
4, 14), e a non sviarsi dalla verità circa il bene dell’uomo, ma, specialmente nelle questioni più
difficili, a raggiungere con sicurezza la verità e a rimanere in essa” 51.
I cristiani sono chiamati a formare rettamente, anche nella concezione della
famiglia, la loro coscienza per poter giudicare sulla conformità o meno dei propri atti
alla volontà di Dio.
Ci domandiamo:
• Qual è la situazione della nostra Diocesi circa i matrimoni concordatari e civili, le
altre forme di unioni, i divorzi, la natalità?
Quali considerazioni ne nascono dal confronto con situazioni degli anni precedenti?
• Come la famiglia cristiana può scoprire sempre più la sua vocazione di essere
chiesa domestica?
Le famiglie cristiane della nostra Diocesi sentono e attuano l'esigenza del confronto
dinamico col Vangelo per vivere in una crescente fedeltà all'alleanza nuziale e diventare
luoghi di fede, speranza e carità?
• Come sono recepiti nella vita di coppia e nella vita di famiglia di coloro che si
professano cattolici gli insegnamenti del Magistero?
Come la comunità cristiana può aiutare la formazione della coscienza dei genitori e
dei coniugi per giungere ad un retto discernimento?
41
• Le famiglie cristiane sono aperte al dono della vita vivendo con fede e responsabilità
la nascita dei figli, accettando, quando è possibile, nuove creature con l'adozione e
l'affidamento?
Come la difesa e la promozione della vita, senza complessi di inferiorità culturale, è
non solo una questione di morale privata, ma anche una questione eminentemente
"politica" in quanto attiene alla ragione di essere della società?
• Come la famiglia e la comunità cristiana si prendono cura dell'educazione, alla
fede, all'amore e alla vocazione dei giovani?
Come è sentita ed attuata la preparazione remota e prossima al fidanzamento, al
matrimonio e alla vocazione a speciale consacrazione?
• La comunità cristiana quale atteggiamento deve avere davanti l'esperienza
drammatica dell'aborto, dell'infedeltà, del divorzio,dello stato di vedovanza, della
devianza dei figli, della sofferenza, dell'handicap, etc....?
• Come la famiglia può diventare oggetto privilegiato di evangelizzazione?
La pastorale diocesana è sufficientemente attenta alla famiglia?
Se e come è stato recepito il Direttorio di Pastorale Familiare emanato dalla CEI?
Quali scelte incoraggiare?
• Come le famiglie cristiane possono divenire sempre più soggetto di annunzio di fede
e di servizio davanti ad altre famiglie che non credono?
Come inserire i coniugi negli ambiti consultivi e decisionali della pastorale
diocesana?
• Qual è il ruolo dell'anziano in famiglia nell'educazione dei figli?
Come l'anziano può essere soggetto ed oggetto della vita pastorale della comunità
cristiana?
• Come accogliere, inserire e farci carico delle nuove situazioni che nasceranno
dalla formazione di matrimoni o unioni tra cristiani e non cristiani?
3. La professione
“Nella parola della Divina rivelazione è iscritta molto profondamente questa verità
fondamentale, che l’uomo, creato a immagine di Dio, mediante il suo lavoro partecipa all’opera
del Creatore, e a misura delle proprie possibilità, in un certo senso, continua a svilupparla e la
completa, avanzando sempre più nella scoperta delle risorse e dei valori racchiusi in tutto quanto
il creato” 52.
In un contesto sociale ed economico particolarmente difficile, drammaticamente
aggravatosi con l’alluvione del novembre 94, la Chiesa alessandrina ha ripetutamente richiamato
i valori sui quali si deve reggere una convivenza civile tracciano la strada da percorrere perché
si possa avverare una situazione più umana e contribuendo a costruire uno sviluppo degno
dell’uomo, specialmente in un periodo nel quale i valori sociali paiono eclissati.
A questa puntuale sollecitazione della Chiesa alessandrina non sempre però, hanno
corrisposto impegni e riflessioni adeguate da parte dei gruppi ecclesiali e delle comunità
parrocchiali. Iniziative come il Consiglio Pastorale aperto sui temi del lavoro e dell’economia del
marzo 93 o come il documento sul lavoro del giugno successivo sono apparse riuscite se si pensa
alla partecipazione, talvolta entusiastica, del momento, ma hanno fallito nel loro obiettivo primario:
quello di sollecitare, di stimolare la comunità diocesana alessandrina ad una profonda riflessione
sui temi del lavoro e dell’economia.
Ci domandiamo:
• Abbiamo, come comunità ecclesiale, una sufficiente coscienza che il lavoro è la
chiave di tutta la questione sociale e segna in qualche modo la vita dell’uomo (personale,
42
familiare, sociale)?
• Abbiamo - gruppi ecclesiali, aggregazioni laicali, associazioni e movimenti - operato
in questi anni perché si instaurasse una corretta e adeguata cultura del lavoro? Abbiamo
sollecitato associazioni sindacali, sistema scolastico, mass-media a privilegiare non il
culto del “posto” di lavoro, ma una retta concezione del lavoro e del valore che esso
rappresenta?
• Perché, troppo spesso, le nostre comunità non sono attente al mondo del lavoro
come ambito che può essere evangelizzato a partire dai valori e dai principi cristiani?
• Perché, nella maggioranza dei lavoratori la fede non sembra radicarsi in modo
pieno e costituire un orizzonte a cui riferirsi per dare un senso profondo all’esistenza, al
lavoro, alla quotidianità?
• Perché, nelle nostre associazioni, si stenta a comprendere che anche nel vivere
cristianamente il lavoro e il rapporto con gli altri uomini nell’ambiente lavorativo si
può costruire la Chiesa?
4. La società
“La Chiesa, in quanto tale, nell’unità e nella varietà delle sue membra e delle sue strutture,
ha un contributo specifico da dare alla costruzione della comunità degli uomini, attraverso la sua
missione di promotrice di unità e ministra di riconciliazione...” 53.
A. Il Vangelo e la cultura moderna
“Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente
pensata, non fedelmente vissuta” 54.
Se la cultura è il modo specifico dell’esistere e dell’essere dell’uomo, e se la fede cattolica
ha vocazione a dare all’uomo la sua pienezza di umanità in Cristo, è evidente che la fede è
chiamata a diventare cultura, per essere pienamente fede.
Eppure, proprio sul rapporto fede-cultura, le difficoltà della comunità ecclesiale alessandrina
sono state chiare ed evidenti in questi anni: la frattura tra Vangelo e cultura, anche sul piano dei
valori morali; l’incapacità di un reale discernimento e di una efficace “lettura” dei segni dei
tempi; il fallimento di pur lodevoli iniziative culturali, il più delle volte non confortate da autentica
partecipazione; la perdita, da parte del credente cattolico, della sua identità; il conseguente
abbraccio a “padri culturali” non autentici.
Ci domandiamo:
• Siamo coscienti del fatto che, qualora si perseguisse una concezione sentimentale
ed affettiva della fede incapace di “leggere” e di interpretare i fatti della cultura,
dell’economia e della politica alla luce del Vangelo, si abdicherebbe ad un compito
preciso e specifico dell’essere cattolici, e cioè quello di testimoniare una proposta di vita
che desse senso e significato all’esistenza umana?
• Tenuto conto che luogo privilegiato per la trasmissione della cultura sono i mezzi di
comunicazione sociale, cosa riteniamo di dover fare - come comunità locale - per sostenere
e promuovere il settimanale e la radio diocesani? E come pensiamo di innovare questi
strumenti affinchè essi siano sempre portatori fedeli della verità, educatori al rispetto
della medesima, “segno di contraddizione” nei confronti della cultura dominante, valido
orientamento formativo per la Chiesa locale?
• Convinti che sul piano dell’educazione e della scuola si gioca una larga fetta del
nostro futuro e del futuro dei nostri figli, come pensiamo di sostenere l’esperienza della
scuola cattolica come occasione ed opportunità, offerte a genitori e figli, di una formazione
pienamente umana?
43
• Perchè, in questi anni, è prevalsa l’interpretazione secondo la quale vi sarebbe
antitesi tra fede e cultura, o meglio, l’insistenza sulla seconda sarebbe in contrasto con
la semplicità dei poveri e degli “ultimi”?
• Di fronte allo sviluppo di una cultura che talvolta sembra dissociata non solo dalla
fede cristiana ma anche dagli stessi valori umani, come la Chiesa locale, consapevole
dell’attenzione pastorale che a questo ambito deve essere dedicata, intende promuovere
un’opera di “inculturazione della fede” che raggiunga e trasformi, attraverso la forza
del Vangelo, i modelli di pensiero e gli stili di vita del mondo contemporaneo?
• È condivisibile il giudizio secondo il quale anche realtà vive della Chiesa locale
abbiano talvolta operato con difficoltà o poca efficacia nel promuovere un confronto ed
un dialogo con le altre culture?
B) L’impegno nel sociale.
“I cristiani che hanno parte attiva nello sviluppo economico-sociale contemporaneo e
propugnano la giustizia e la carità, siano convinti di poter contribuire molto alla prosperità del
genere umano e alla pace del mondo. In tali attività, sia che agiscano come singoli, sia come
associati, siano esemplari” 55.
Ci domandiamo:
• Come la comunità locale può operare affinchè le parrocchie vengano sempre più
percepite come strumenti importanti di educazione alla socialità, attraverso la proposta
di una mentalità di reciproca accettazione ed accoglienza tra persone di diversa età ed
estrazione sociale?
• Il volontariato cattolico, nell’attenzione ai problemi dei giovani e delle
emarginazioni sociali (anziani, ammalati, immigrati, nuove povertà..), si dimostra capace
di superare la tentazione di ridursi a mera filantropia per testimoniare, nelle carenze di
umanità ovunque presenti, lo stile di umiltà del Cristo nostro Signore, riconoscendo
negli emarginati e nei poveri la sua immagine?
• Quanti, tra sacerdoti e laici, avvertono la necessità di una conoscenza più
approfondita della dottrina sociale della Chiesa, come strumento di evangelizzazione e
di testimonianza per lo sviluppo di un’adeguata cultura della solidarietà? E quanti laici
ritengono il messaggio sociale del Vangelo una pura teoria e non un fondamento ed una
motivazione per l’azione?
• Come operare, a livello di comunità locale, affinchè gruppi parrocchiali e movimenti
ecclesiali riconoscano nella pastorale sociale della Chiesa locale l’espressione viva di
una comunità coinvolta nelle situazioni, i problemi e le povertà del proprio mondo? E
come operare, affinchè la riflessione sociale ed economica della Chiesa venga accolta
come un segno fondamentale nel progetto di salvezza dell’uomo?
C) Il rapporto con la politica
" Tutti i cristiani devono prendere coscienza della propria speciale vocazione nella comunità
politica: essi devono essere d'esempio, sviluppando in se stessi il senso della responsabilità e la
dedizione al bene comune" 56.
Il processo storico di profondi cambiamenti che stiamo vivendo richiede da parte di tutti,
e quindi anche dei cattolici alessandrini, un rinnovato impegno di presenza e di responsabilità,
proprio per fare del cambiamento uno sviluppo e non un'ulteriore occasione di frammentazione.
A fronte, però, dell'esigenza di una precisa responsabilità di tutti per una ricostruzione del tessuto
sociale e civile, si ha l'impressione che, all'interno della coscienza laicale, non sia sufficientemente
chiaro il posto che la politica ha e che deve avere per l'uomo che abbia coscienza di cosa
44
significa per lui essere cittadino.
Ci domandiamo:
• Al di là dello sforzo compiuto dalla Chiesa alessandrina con l’attivazione della
Scuola di Formazione all’impegno sociale e politico, i gruppi parrocchiali ed i movimenti
ecclesiali hanno saputo creare le giuste premesse per il rinnovamento della politica
contribuendo ad una coscienza civica matura dei laici credenti?
• È condivisibile il giudizio secondo il quale i cattolici alessandrini si sono dimostrati
incapaci di ragionare di politica se non nella misura di una adesione partitica,
dimenticando che la politica è ambito primario per la testimonianza di valori umani ed
evagelici come la libertà e la giustizia, la solidarietà, la dedizione disinteressata al bene
di tutti, lo stile semplice di vita, l’amore preferenziale per i poveri e gli ultimi?
• La difficoltà a contribuire ad una concezione alta e nobile della politica ha forse
spinto molti laici a passare dal piano dell’impegno politico ad un impegno più diretto
nel “sociale”, considerato come luogo nel quale la genuina attenzione per i poveri e gli
indifesi può trovare soddisfazioni e gratificazioni più immediate?
• L’immagine di una politica ridotta a pura gestione del potere è forse diventata un
alibi, nei gruppi e movimenti di ispirazione cattolica, per un totale disimpegno ed un
conseguente ripiegamento in una religione più privatistica?
• L’attuale frammentazione partitica, causata dal venir meno del punto di riferimento
politico sul quale per decenni molti cattolici si erano adagiati, può essere d’ostacolo al
ritrovare unità sui valori e sul patrimonio della dottrina sociale cristiana?
45
Conclusione
Quando si pensò alla "celebrazione" del Sinodo diocesano ci si pose la seguente domanda:
"Nonostante la convinzione di vivere in un mondo che in larga parte tenta di cancellare Dio dalla
propria esistenza, e la persuasione che anche la terra alessandrina è "terra di missione"; nonostante la consapevolezza che lo stesso mondo dei cosiddetti "praticanti" ha bisogno di una continua evangelizzazione per non vivere una fede di tradizione o, peggio, di rifugio, si può dire che
il mandato di Cristo Signore: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura"
(Mc 16,15) coinvolga la comunità cristiana alessandrina nel suo complesso e ogni credente?" 57.
La complessità dell'attuale società e le priorità da effettuare dipendono quindi dal tema
dell'evangelizzazione nelle sue articolazioni di annuncio, celebrazione e testimonianza, come è
stato l'indirizzo scelto per il Sinodo della nostra Chiesa fin dai suoi primi passi; il lungo cammino
che ha portato alla stesura di questo strumento di lavoro ha confermato nella scelta suggerita
dallo Spirito che, non dimentichiamolo, guida ogni esperienza veramente ecclesiale.
L'instrumentum laboris ci indica ormai una direzione di marcia per mettere a fuoco il
cammino della Chiesa alessandrina nel passato, nel presente, nel futuro, per vedere, per giudicare, per agire in questi tempi difficili eppure stupendi e ancor più bisognosi della parola evangelica
quanto più cresce la complessità del vivere individuale e sociale.
Questo "documento" è perciò affidato a tutti, perchè a tutti il Sinodo chiede di pronunciarsi, di prendere coscienza, di riaffermare amore a Dio, alla Chiesa, all'uomo. La lettura di esso, la
riflessione personale e comunitaria, l'appporto dell'esperienza di ciascuno, il parlare con franchezza, lasciandoci guidare dallo Spirito e non da visioni personali, l'ascolto attento anche di chi,
pur senza una esplicita "appartenenza" ha a cuore, cogliendone l'importanza per il nostro tempo,
il ruolo della Chiesa e la rilevanza per la vita dell'uomo del Vangelo, potranno aprire una "nuova
stagione" della Chiesa alessandrina e della Città in cui essa vive.
46
NOTE
1
GS, 4
Cfr. GS, n 1
3
Cfr. GS, n. 2
4
Il testo può apparire complesso; gli estensori si sono, infatti, preoccupati di essere quanto più completi
possibile, tanto da suscitare dubbi sulla possibilità di poter esaminare tutti i temi proposti. Per facilitare i
lavori del Sinodo si propone di avere presenti tutte le domande contenute nel testo, ma di esaminare in
modo più analitico i "temi fondativi" contenuti nel foglio di lavoro proposto alle Commissioni. Ciascuna
Commissione esaminerà questi "temi" a partire dalla prospettiva suggerita dall'argomento affidato alla
Commissione stessa. Negli "ambiti" si coordineranno i lavori per evitare sovrapposizioni e lacune.
5
Cfr. Rivista Diocesana Alessandrina, gennaio 1995, n. 1, pag. 12
6
Rinnovamento della Catechesi, n. 25
7
GS, n. 45
8
S. Dianich, Chiesa in missione. Per una ecclesiologia dinamica, Ed. Paoline, 1985; ib., Chiesa
estroversa. Una ricerca sulla svolta dell’ecclesiologia contemporanea, Ed. Paoline, 1987
9
Cfr. Rivista Diocesana Alessandrina, gennaio 1995, n. 1, pag. 10
10
Cfr. DV, n. 2
11
ib.
12
EN, n. 45
13
EN, n. 21
14
Rm 10, 14-15
15
Lc 24, 13-35
16
EN, 18
17
Cfr. Gv 1, 13
18
Cfr. SC, n.10
19
Cfr. SC, n. 2
20
Cfr. SC 2; 21; 31
21
Cfr. LG, n. 8
22
Cfr. SC, n. 26
23
IC, Untr. Gen. n. 1
24
Cfr. RICA, n. 34-36
25
Cfr. RICA, cap. V
26
2Cor 4, 7
27
Col 3, 3
28
2Cor 5, 1
29
CCC, 1420-1421
30
Col 1, 24
31
CCC, 1520
32
CCC, 1533-1535
33
EN, n. 48
34
Cfr. SC, n. 13
35
SC, n. 33
2
36
Cfr. Rivista Diocesana Alessandrina, n. 1, Gennaio 1995, pag. 20
Cfr. GS, n. 40
38
Cfr. LG, n. 48
39
At 10, 34-35
40
Gv 1, 12-14
41
RH, 13
37
47
42
Gv 12, 47
Gv 13, 34
44
Mt 25, 31-46
45
Discorso al III Convegno Ecclesiale di Palermo, 23.11.1995
46
Gal 2, 20
47
III Convegno Ecclesiale, cit.
48
FC, n. 18
49
LG, n. 11
50
FC, n. 30
51
VS, n. 64
52
LE, n. 25
53
Cfr. Evangelizzare il sociale, n. 22
54
Giovanni Paolo II, Lettera autografa con la quale istituisce il Pont. Consiglio per la Cultura,
“L’Osservatore Romano”, 21-22 maggio 1982
55
GS, n. 72
56
GS, n. 75
57
Cfr. F. Charrier, Verso il Sinodo, anno pastorale 1994-95
43
48