competenze per volume apprendistato - Ciofs-Fp

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competenze per volume apprendistato - Ciofs-Fp
Giuditta Alessandrini
Professore Ordinario di Pedagogia sociale e del lavoro
Università degli Studi di Roma Tre
Dipartimento di Scienze dell’Educazione
([email protected])
XXVII Seminario Europa
Energia giovane pane per il futuro
24 settembre 2015
Laboratorio
Le qualifiche professionali nello sviluppo delle filiere formative delle Regioni1
1. L’idea di competenza nelle sue diverse forme
L’idea di “competenza” è una nozione di carattere polisemico, fondamentale nelle esperienze di
formazione e studiata in letteratura da diversi punti di vista disciplinari2. Questa nozione consente in
termini analitici il processo di definizione della professionalità sia nei percorsi formativi che nei processi di
analisi organizzativa. Secondo il dibattito scientifico in materia, la competenza è un “sapere combinatorio”
in cui entrano conoscenze tecniche, teoriche, metodologiche e procedurali, abilità operative ma anche
relazionali che permettono alle persone di agire in contesti sempre diversi.
Dal punto di vista del discorso formativo, il concetto di competenza soprattutto se declinato come
competenza trasversale può essere visto come “condizione evolutiva del soggetto adulto in
formazione”3.
La “competenza” in quest’ottica acquista maggiore determinatezza e rende l’idea di come – in ogni
contesto organizzativo – agiscono e possono agire le persone, esprimendo saperi saper essere e potenzialità a
tali istanze connesse.
Pellerey sottolinea in modo particolare la natura relazionale della competenza professionale: emerge in
questa prospettiva una relazione triangolare tra la competenza della persona, la situazione lavorativa e/o
professionale specifica della persona e la pratica che caratterizza il settore professionale (Pellerey, 2013).
La competenza – nella sua essenza – è la capacità di un soggetto di combinare potenzialità (da qui la
dimensione della plasticità/evolutività), partendo dalle risorse cognitive, emozionali e valoriali a
disposizione (saperi, saper essere, saper fare, saper sentire) per realizzare non solo performances
controllabili) ma anche intenzionalità verso lo sviluppo di obiettivi che possono essere propri e della
propria organizzazione. Si tratta, in altri termini, della “capacità di mobilitare progettualità” in azioni
concrete, rilevabili ed osservabili (cioè “saperi in azione”).
L’idea di competenza rimanda, dunque, all’idea di un processo caratterizzato da elementi di dinamicità e
di “evolutività”.
La valenza formativa di un modello centrato sulle competenze si identifica pertanto nella capacità
considerata “della” persona di investire nei processi di apprendimento e sviluppo nel senso più pieno.
Il sostegno all’individuo, e l’ampliamento delle sue opportunità sono peraltro – come già si è
sottolineato – sono il “motore” del sistema della formazione continua nel paese. Il riconoscimento delle
Parte della relazione è stata tratta dal capitolo Competenze e occupabilità: verso un nuovo welfare?, in Alessandrini G.,
Apprendistato, Competenze e prospettive di Occupabilità, Pensa Multimedia, Lecce-Brescia 2014.
2 Sul concetto di competenza esiste una bibliografia vastissima cfr: tra l’altro: Civelli F., Manara D. (1997), Lavorare con le
competenze, Guerini e Associati, Milano; Boam R. Sparrow P. (1996), Come disegnare e realizzare le competenze organizzative, Franco
Angeli, Milano, ed anche il classico Boyatzis R. (1982), The Competent Manager: a model of Effective Managers, J. Wiley Sons, New
York 1982; Ajello A. M, Cevoli M., Meghnagi S. , La competenza esperta, Ediesse, Roma 1992; Di Francesco G., Competenze
trasversali e comportamento organizzativo, Franco Angeli, Milano 1994. Sul bilancio di Competenza cfr. Alberici A., Serreri P.,
Competenze e formazione in età adulta, Il bilancio di competenze, Monolite Editrice, Roma 2003.
3 Sulla dimensione formative cfr. in particolare il mio Manuale dei processi formativi, Carocci Editore, 1998, il capitolo “I modelli
di competenza”.
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competenze comunque e ovunque acquisite rappresenta stabilmente da alcuni anni un oggetto di dibattito
nonché di concrete politiche di intervento a livello dell’Unione Europea così come nell’ambito dei
principali Paesi occidentali, come sostiene Elisabetta Perulli dell’Isfol4.
Il dibattito di tipo accademico sul tema della definizione delle competenze è stato recepito anche dal
legislatore – che ne dà conto nell’approccio concettuale inserito nel Decreto citato di seguito – e che
apre un varco definitivo ad una rappresentazione articolata della competenza.
Nel decreto del gennaio 2013, infatti,la competenza è rappresentata come “comprovata capacità di
utilizzare – in situazioni di lavoro, di studio e nello sviluppo professionale e personale – un insieme
strutturato di conoscenze e di abilità acquisite nei contesti di apprendimento formale, non formale ed
informale”.
È chiaro che, allo stato attuale, occorre per tutti fare i conti con i dispositivi ECVET ed EQF ed, al di
là degli approcci teorici classici, coniugare la rappresentazione concettuale condivisa nei documenti
europei con prospettive di sperimentazione e ricerca.
2. L’attenzione ai sistemi di validazione delle competenze
Nell’ultimo quindicennio, in sede europea, fin dalla delineazione del framework di Lisbona e dei correlati
scenari del Bologna Process (www.bolognaprocess.it) e strategia europea per l’occupazione, si è definita in
modo sempre più esplicito l’idea di un diritto all’apprendimento ed alla formazione non solo correlato alle
strategie dei sistemi educativi e della formazione professionale, ma anche all’occupabilità.
Un altro elemento ha, inoltre, acquisito progressivamente negli ultimi anni un piano condiviso di
consensi: l’idea di un pari livello e valore dell’apprendimento formale, di quello informale e non formale. Tra
i soggetti interessati alle strategie formative caratterizzate in questo senso, sono soprattutto le
popolazioni più deboli (giovani poco qualificati, non occupati, persone socialmente svantaggiate,
lavoratori a rischio e con professioni con pericolo di obsolescenza professionale).
Il primo documento in cui viene presentato in modo ufficiale la tripartizione dell’apprendimento è il
Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente del 2001 (http://ec.europa.eu/education).
Il CEDEFOP e la Commissione europea hanno lavorato alla elaborazione e al costante aggiornamento
dell’“European Inventory on Validation of non-formal and informal learning” strumento che raccoglie, illustra e
mette in condivisione i diversi sistemi,processi, dispositivi e approcci alla convalida degli apprendimenti
non formali e informali in uso nei diversi contesti europei5.
Contrariamente all’apprendimento formale e non formale, l’apprendimento informale non è necessariamente
intenzionale e può pertanto non essere riconosciuto, a volte dallo stesso interessato, come apporto alle
sue conoscenze e competenze.
È chiaro che il tema della certificazione e validazione degli apprendimenti relativi a tale ambito va anche
letto ed interpretato in funzione degli scenari relativi al capitale umano nel paese ed al bisogno di
ampliare la possibilità di sviluppo dello stesso.
Cfr. Perulli E., Validation of non formal and informal learning: un aggiornamento della cornice Europea, in Isfol, “Validazione delle
competenze da esperienza: approcci e pratiche in Italia e in Europa”, I Libri del Fondo Sociale Europeo, Rubbettino
Editore, Catanzaro 2013.
5 I principi per la validazione sanciti nel 2004 sono:
 la validazione deve essere attuata su base volontaria;
 la privacy dell’individuo deve essere rispettata;
 l’accesso alla validazione deve essere equo e garantito per tutti;
 gli stakeholders devono partecipare alla definizione dei sistemi e dei dispositivi di validazione;
 i dispositivi devono prevedere meccanismi di orientamento e consulenza per gli individui;
 i dispositivi devono rispondere a requisiti di qualità;
 il processo, le procedure e i criteri utilizzati per la validazione devono essere chiari, trasparenti e garantiti da criteri
di qualità;
 i dispositivi di validazione devono legittimare e garantire gli interessi e la partecipazione di tutti gli stakeholders
coinvolti;
 il processo di validazione deve essere imparziale ed evitare conflitti di interessi;

coloro che gestiscono la valutazione devono avere specifiche competenze e preparazione professionale.
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L’ISFOL, specificatamente l’Area Politiche per l’Orientamento, ha redatto, nel mese di ottobre del
2008, il “Documento Tecnico Sul Bilancio Di Competenze” al fine di “pervenire ad una definizione condivisa
della pratica di Bilancio delle competenze che da un lato solleciti un processo di sistematizzazione dell’attuale
frammentarietà di azioni, pratiche, servizi e professionisti e, dall’altro, possa promuovere una politica di orientamento, in
stretto raccordo con le politiche formative e del lavoro, prefigurando un’azione di governance per lo sviluppo di un sistema
di qualità”6.
Tale finalità si coniuga con l’esigenza di rispondere, da una parte, all’assenza, nel nostro Paese, di
regolamentazioni e normative riguardo al Bilancio delle competenze inteso come diritto del lavoratore e
dall’altra alla necessità di “delineare, nel rispetto delle peculiarità territoriali, contenuti e linee d’intervento sia tecnicoculturali sia tecnico-professionali”7.
In risposta a tali esigenze è stato costituito un tavolo di lavoro8 che, seguendo una logica di tipo
sistemico, ha generato il “Documento Tecnico Sul Bilancio Di Competenze”.
Le “European guidelines for validating non formal and informal learning9” sottolineano che “se la validazione
degli apprendimenti non formali e informali deve tener maggiormente conto dell’apprendimento
individuale e delle circostanze in cui esso è avvenuto, è tuttavia indispensabile, per garantire la validità e
la trasparenza del processo di valutazione e attestazione degli apprendimenti, che tale valutazione si basi
sui medesimi standard o referenziali utilizzati dal sistema formale”(Perulli). Il che significa che temi-chiave su
cui si deve basare un processo di validazione sono la“visibilità”, ossia la possibilità di rendere visibili e
trasparenti apprendimenti ovunque e comunque appresi, e la “documentazione”, ossia la necessità di
documentare tali apprendimenti con prove tangibili (titoli, qualifiche formali, attestazioni, testimonianze
ecc.).
3. La tesi dell’equo valore dei tre tipi di apprendimento può essere intesa come nuovo
paradigma?
Il valore fondamentale dei processi informali, in quanto dimensione “conversazionale” nei processi di
apprendimento e quindi contesto che caratterizza la relazione tra le persone nelle situazioni di lavoro, è
stato riconosciuto in importanti documenti europei (vedasi in particolare le Conclusions on a strategic
framework for European cooperation in education and training del 2011, ed anche la raccomandazione del
Consiglio europeo del 20 dicembre 2012 sulla convalida dell’apprendimento non formale ed informale,
2012/C 398/01). Per il giovane in formazione, è sempre più necessario il confronto diretto con le
pratiche lavorative “immersive” in ambienti di lavoro reali dove sperimentare immediatamente strategie
e modelli concettuali appresi o dove trovare ancoraggi concreti ai percorsi di apprendimento
individuali. Anche forme di coaching personalizzato, attraverso l’inserimento in qualità di membro
periferico e poi membro a tutti gli effetti di team di lavoro, potrebbe essere un dispositivo formativo
centrato appunto sull’apprendistato cognitivo individuale e collettivo.
La valutazione diventa il passaggio decisivo per la validazione ed ha carattere formativo in quanto e’
strumento di aut orientamento e di empowerment.
Il tema dell’apprendimento formale, non formale ed informale trova la sua diretta esplicazione nel
concetto di validazione, ossia nel processo di accertamento e valorizzazione degli apprendimenti
finalizzato ad assegnare un valore ed a mettere in trasparenza le competenze individuali ovunque e
comunque acquisite.
Il diritto alla formazione diventa, a fronte di tali considerazioni, una forma di “tutela” dei percorsi
professionali reali e potenziali del cittadino nella direzione del suo sviluppo durante tutto l’arco della
vita.
Isfol, Documento tecnico sul Bilancio delle Competenze, Roma 2008, pag. 3.
Ibidem
8 Hanno partecipato ai lavori del tavolo numerosi rappresentanti di enti ed istituzioni.
9 Tali Linee Guida forniscono un punto di riferimento e una check list per lo sviluppo di metodi e sistemi di validazione
degli apprendimenti non formali e informali nei diversi Stati Membri. Le Linee Guida non hanno carattere di obbligatorietà
ma possono essere utilizzate e prese a riferimento dai singoli paesi, sulla base delle diverse e specifiche necessità. Le Linee
Guida proposte dal CEDEFOP tracciano un importante passaggio metodologico individuando in che modo il processo di
validazione dell’apprendimento possa integrarsi con il processo di tipo formale.
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Alcuni studi (Cfr. il progetto PIAAC10, ad es.) evidenziano le ricadute positive sui lavoratori dei percorsi
formativi svolti sui luoghi di lavoro (workplace training).
Gli apprendimenti informali contribuiscono alla costruzione delle competenze mentre la perdita e il
declino di queste ultime può annullare tutti i vantaggi derivanti da precedenti percorsi educativi e
formativi anche di qualità. Considerare soltanto i risultati e gli esiti educativi e formativi di tipo formale,
e non l’area degli apprendimenti informali secondo l’OCSE, limiterebbe molto la valutazione del
capitale umano.
L’investimento nel raggiungimento delle competenze è uno strumento di sviluppo del capitale umano.
Ma come scorgere la situazione del paese rispetto alle strategie di sviluppo di questo capitale? Dalle
indagini di settore (OCSE) emerge che l’Italia è penalizzata per le prospettive di investimento in capitale
umano alla luce del divario con altri paesi che presentano quote di occupati di formazione terziaria in misura
maggiore che il nostro. In altri termini siamo un paese a rischio competitivo e con un basso livello di
qualificazione del capitale umano rispetto alla media dei paesi UE (37,5% contro il 19,5%). Occorre
considerare, inoltre, che l’80% degli italiani tra i 16 ed i 64 anni ha un’insufficiente competenza
alfabetica funzionale, contro il 30% della Norvegia o il 50% del Canada, Usa, Svizzera. La debolezza
della richiesta di persone qualificate da parte sul mondo del lavoro nel paese è legata ad una
specializzazione produttiva in settori a tecnologia matura, alla piccola dimensione delle imprese ed a un
modello competitivo mirato alla riduzione dei costi piuttosto che all’investimento innovativo. I dati del
Rapporto Annuale dell’Istat sottolineano viceversa come un livello di istruzione più elevato aumenti per
un giovane la probabilità di occupazione.
4. Il quadro 2020 , il decreto del gennaio 2013 e l’Intesa del 22 gennaio 2015
Un passo in avanti significativo è stato compiuto nella direzione di scenari auspicabili di transizione
formazione-lavoro dal documento Europa 2020 (European Commissione, 2011).
L’apprendimento adulto, dunque, si ritrova nel cuore del welfare attivo, inteso come parte integrante di
una nuova rete di protezione che il soggetto concorre a costruire, impegnandosi in prima persona.
Dal punto di vista degli scenari della formazione professionale occorre cogliere i seguenti elementi – indicati
qui molto sinteticamente – come aree su cui investire per i sistemi formativi e per la riflessione
pedagogica sia sul piano teorico che delle soluzioni politiche11:
a) lo sviluppo nel soggetto di un sistema ampio ed articolato che consenta la mappatura ed il
riconoscimento delle competenze non solo dal punto di vista tecnico-specialistico (saperi teorici, saperi
in azione) ma anche dal punto di vista etico -relazionale (attenzione allo scambio di conoscenza,
alla reciprocità, alla fiducia, ed alla responsabilità);
b) lo sviluppo di sistemi di orientamento al lavoro in grado di sostenere le opportunità di occupabilità
delle categorie giovanili (bilancio di competenza, assessment, coaching, colloquio individuale e
personalizzato) in un’ottica di life long guidance;
c) lo sviluppo di percorsi formativi per l’adulto in accompagnamento alle transizioni professionali
che possono interessare la sua vita vista la discontinuità di esperienze professionali intervallate
con esperienze formative;
d) lo sviluppo di percorsi formativi nei contesti di lavoro ai fini della crescita del capitale sociale
presente in questi ultimi. Tali percorsi possono transitare attraverso lo sviluppo di istanze
partecipative al lavoro, favorendo esperienze individuali e collettive di crescita culturale e
professionale.
Il Programma PIAAC (2008), destinato alla valutazione delle competenze della popolazione adulta (16-65 anni), adotta
pienamente la prospettiva del lifelong learning e lifewide learning, mettendo al centro del proprio studio competenze ritenute
fondamentali (foundations skills) per la crescita e lo sviluppo economico e le competenze agite sul lavoro ampliando la
valutazione anche a nuove competenze degli adulti.
11 Sul tema degli elementi di scenario che caratterizzano il dibattito sulla formazione professionale, cfr: Alessandrini G.,
L’apprendistato professionalizzante, In “Nuova Secondaria”, n. 7, 2010.
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Questi principi hanno ispirato lo schema di decreto sulla validazione degli apprendimenti non formali
ed informali e sugli standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze,
approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri nella seduta dell’11 gennaio del 2013. In particolare
nell’art. 1, comma 1, si afferma che “la Repubblica, nell’ambito delle politiche pubbliche di istruzione,
formazione, lavoro, competitività, cittadinanza attiva e del welfare, promuove l’apprendimento
permanente quale diritto delle persone e assicura a tutti pari opportunità di riconoscimento e di
valorizzazione delle competenze comunque acquisite in accordo con le attitudini e le scelte individuali
ed in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale”.
Lo schema di decreto legislativo sulla validazione degli apprendimenti non formali ed informali e sugli
standard minimi di servizio del sistema nazionale di certificazione delle competenze focalizza
l’attenzione sulle norme ed i sistemi per l’individuazione e la validazione degli apprendimenti formali ed
informali e quindi va considerato indubbiamente un passo in avanti significativo relativamente ad un
percorso ormai ampio – anche se discontinuo – che negli ultimi anni ha finalmente dato concretezza ad
un tema consolidatosi sia a livello nazionale che europeo e poi codificato anche con la
raccomandazione del Consiglio europeo del 20 dicembre 2012 (2012/C 398/01) in tema di convalida
delle conoscenze, abilità e competenze acquisite mediante l’apprendimento non formale ed informale.
Un altro passo in avanti é correlato all’Intesa sullo schema di Decreto varata il 22 gennaio 2015 che
definisce il quadro operativo per il riconoscimento a livello nazionale delle qualificazioni regionali e
delle relative competenze. L’idea di trasparenza delle qualifiche, il principio della mobilità ed, infine il
riferimento attraverso la referenziazione ai sistemi di classificazione delle attività economiche e delle
professioni EQF trovano nel Documento finalmente piena rappresentazione ed un concreto
dimensionamento.
5. La rappresentazione delle qualifiche
La rappresentazione delle qualifiche in un comune quadro europeo costituisce la modalità più adeguata
perché esse risultino comprensibili e leggibili da punti di vista diversi. Le qualifiche vengono classificate
in base a criteri che permettono di stabilire a quali livelli di apprendimento si sono determinate le
conoscenze e le capacità. La scelta, operata in European Qualifications Framework (EQF), di riferire i
criteri ai livelli di apprendimento raggiunti è senza dubbio più efficace per la comprensione rispetto ad
altre modalità in cui gli stessi criteri sono espressi nei descrittori delle qualifiche in modo implicito. In
EQF, inoltre, si è preferito che il quadro comprendesse tutto l’apprendimento conseguito e non si
limitasse a particolari percorsi oppure ad un particolare settore, per esempio l’istruzione iniziale,
l’educazione/formazione per adulti o un settore occupazionale. A livello delle singole nazioni, i quadri
delle qualifiche hanno caratteristiche diverse, ma uno scopo comune. Le diversità sono rappresentate dalla
struttura e dalla legittimazione. La struttura può essere variabile e caratterizzata da più elementi oppure
rigida; la legittimazione può essere su base legale oppure frutto del consenso espresso dalle parti sociali
(vedasi nello specifico: www.ec.europa.eu/education.it).
L’EQF facilita e semplifica il riconoscimento delle qualifiche e la comunicazione tra chi fornisce e chi
richiede istruzione e formazione; fornisce livelli e descrittori dell’apprendimento e di competenza in
modo “sufficientemente” generico da comprendere la varietà delle qualifiche e le differenze di livello
esistenti in ambito nazionale e settoriale. È dunque una modalità di rappresentare le qualifiche,
funzionale alla comparazione, alla traduzione e conversione dei diversi esiti di apprendimento.
Per quanto riguarda i livelli di acquisizione della competenza è utile sottolineare che l’approccio alle
qualifiche nel contesto appena descritto è quello del “risultato raggiunto”. L’EQF riconosce che i sistemi
di formazione e di educazione europei sono molto diversi e che per questo motivo è necessario puntare
sui risultati dell’apprendimento, piuttosto che sui livelli di organizzazione del sistema educativo, o sugli
anni di studio. In sostanza, si è stabilito di valutare il risultato della competenza acquisita, indipendentemente
dal tipo di ente di formazione in cui è stata maturata. I risultati dell’apprendimento fanno riferimento
alla valutazione di ciò che il lavoratore conosce, comprende ed è in grado di fare per il completamento del
processo di apprendimento. Tali risultati comprendono tre principali categorie: la conoscenza, le
capacità (skills), le attitudini.
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La qualifica rappresenta il risultato formale di un processo di validazione dei risultati conseguiti da una persona
con la definizione di standard precisi all’interno delle differenti articolazioni della qualifica stessa.
L’EQF costituisce dunque un “meta quadro” che consente la comparazione: il confronto (e quindi la
trasparenza dei processi di certificazione) avviene non tra i sistemi e le rispettive qualifiche, ma tra
ciascun sistema di EQF.
6. Investire sulle competenza come opportunità di un nuovo welfare
In una società giusta, l’investimento nel tema delle competenze significa anche riconoscere lo specifico
potenziale di apprendimento del soggetto, e la capacità di coniugarlo con il merito, il talento, il potenziale.
Il merito dovrebbe poter diversificare i risultati, facendo emergere l’eccellenza e riconsegnando al
contesto lavorativo un compito alto, quello di una “cura dei talenti”, liberando il più possibile il merito e
il potenziale dei lavoratori dai condizionamenti sociali e culturali d’origine. In questo tipo di welfare si
auspica un passaggio dall’employability alla capability12.
È una prospettiva di grande rilievo dal punto di vista dell’innovazione all’interno dei processi di
formazione/lavoro che si sostanzia sul tema dell’istruzione/educazione.
È questo nodo che acquista il valore centrale di generazione dell’istanza di giustizia sociale e contrasto
alle disuguaglianze. L’approccio appena descritto restituisce al tema della formazione quel valore che fa
parte della tradizione di economisti come Adam Smith. Quali sono, allora, i fattori strutturali in grado di
favorire l’inclusione e la libertà di realizzazione delle potenzialità delle persone?
Per capire il ruolo delle capacitazioni bisogna tener conto, secondo l’economista premio Nobel
Amartya Sen, di tre elementi: il rapporto diretto con il benessere e la libertà degli esseri umani; il ruolo
indiretto che le capacitazioni hanno in quanto agiscono sul cambiamento sociale; ed, infine, il ruolo
indiretto che hanno in quanto influiscono sulla produzione economica.
Per dirla con Sen13, il “welfare delle capacitazioni” consente al soggetto di esigere l’agibilità dei propri
diritti sociali: in primis il diritto di apprendimento.
Questo diritto é correlato significativamente al diritto di cittadinanza e si “espande” in un arco
temporale che si sovrappone all’intero arco di vita della persona. La visione della legittimità e della
lungimiranza dell’idea di long life learning già elaborato a partire dai documenti europei dell’inizio del
decennio appena trascorso deve oggi acquisire concretezza e valore fondativo di un nuovo welfare.
Il problema che si pone, oggi, é quello di sviluppare un passaggio “politico”; dalla generica
riconoscibilità del diritto di un apprendimento che si configuri durante tutta la vita, ad un sistema di
riconoscimento e certificazione di competenze che assicuri l’accesso della persona ad istanze di
partecipazione ad una cittadinanza attiva. Il soggetto va accompagnato in questo percorso evolutivo
centrato sulla capability anche in un’ottica di life long guidance.
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Alessandrini G. (a cura), “La formazione al centro dello sviluppo umano. Crescita, lavoro, innovazione”, Giuffrè Editore,
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