L`organizzazione scientifica del lavoro di Taylor

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L`organizzazione scientifica del lavoro di Taylor
Articolo L’organizzazione scientifica del lavoro di Taylor: aspetti positivi e negativi di un modello per certi versi ancora attuale (di Giuseppe Pompella ‐ Ministero dell’Interno‐Dipartimento per le Politiche del Personale e per le Risorse Strumentali e Finanziarie ‐ Ufficio VII ‐ Innovazione Organizzativa – Roma) ***** L’ingegnere americano Frederick Winslow Taylor (1856 ‐ 1915) è considerato l'iniziatore dell'organizzazione scientifica del lavoro. Di agiata famiglia borghese, fu costretto da una malattia agli occhi a interrompere gli studi da avvocato e ad entrare come apprendista in una piccola officina meccanica di Filadelfia. Successivamente, nel 1878, entrò alla Midvale Steel Co., dove divenne ben presto capomastro e dove, vincendo la resistenza degli operai, riuscì in tre anni a far raddoppiare il rendimento delle macchine. Fu in questo periodo che cominciò a studiare cosa fare per determinare esattamente il prodotto di una giornata di lavoro e iniziò la sua lunga serie di accurati esperimenti nel campo della tecnica meccanica e in quello dell'organizzazione del lavoro. Riuscì nel frattempo a laurearsi in ingegneria e nel 1890, divenuto ingegnere capo, lasciò la Midvale per la Manufacturing Investment Co. Un'altra importante esperienza industriale fece quindi alla Bethlehem Steel Co. che, grazie ai suoi consigli, divenne uno dei maggiori centri della metallurgia americana. Congedato nel 1901, decise allora di dare consigli gratis (si era ormai fatto una fortuna giocando in borsa e praticando la cartellizzazione) e questo fece scrupolosamente in America e in Europa fino alla morte, sempre più allargando il campo d'applicazione delle sue teorie. Nella sua famosa opera <<The principles of Scientific Management>>, pubblicata nel 1911, Taylor sviluppa un approccio sistematico al problema della razionalizzazione dell’organizzazione aziendale, elaborando un insieme coerente di criteri normativi e di regole pratiche, in cui viene inquadrata tutta l’organizzazione aziendale al fine di massimizzarne l’efficienza. Guardando alla sua vicenda umana, occorre dire che Taylor fu un ingegnere impegnato in innovazioni tecniche, perciò non può essere considerato un sociologo; eppure, a causa del carattere “scientifico” che volle imprimere al management e al lavoro umano, divenne uno dei personaggi più citati nella sociologia del lavoro e dell’industria. °°°°°° Per capire il vero significato dell'organizzazione scientifica del lavoro proposta da Taylor è indispensabile tenere presente che egli si trovò a operare in una fase dell'economia industriale americana segnata da un profondo contrasto tra le potenzialità materiali di sviluppo e l'arretratezza dell'organizzazione produttiva delle fabbriche. In un contesto di rapida espansione industriale, favorita dal progresso tecnologico e dalla forte immigrazione, che segnò in modo particolare gli Stati Uniti a cavallo dei due secoli, Taylor fu tra i primi a cogliere questa contraddizione. Ma in che cosa consiste la proposta di Taylor? Egli presenta quattro principi essenziali, che esaminiamo brevemente. • Studio scientifico dei migliori metodi di lavoro. Questo principio è il più noto perché comprende tutte le prescrizioni che portano a decomporre il flusso naturale del lavoro manuale e a ricomporlo in base a criteri stabiliti dall'esterno. Per prima cosa si deve selezionare un gruppo di lavoratori già particolarmente abili nel lavoro che si intende riorganizzare. Il loro lavoro va quindi analizzato in ogni singolo movimento in rapporto al tempo, alla posizione fisica, alla frequenza d'uso degli strumenti manuali, ecc. Dopo di che si individuano e si eliminano i movimenti falsi, inutili e dettati da pigrizia, e si ricompone il comportamento lavorativo montando i singoli movimenti risultati più razionali; vengono poi standardizzati tutti gli utensili e le attrezzature in base a rapporti ottimali tra peso, forma, frequenza d'uso, ecc. Si fissa, quindi, un tempo ottimale di esecuzione del lavoro, che deve tener conto delle pause fisiologiche, e si riaddestra il gruppo dei lavoratori sperimentali. Dopo aver accertato la possibilità che essi eseguano il lavoro così riorganizzato per un tempo prolungato, lo si impone al resto dell'officina. Taylor sostiene che scopo del suo metodo è di ottenere un lavoro standardizzato sia in termini quantitativi che qualitativi, con un rendimento doppio e talvolta triplo rispetto a quello ottenuto con i vecchi metodi. Il ritmo ottimale del lavoro, egli afferma, è quello per cui un lavoratore al termine della giornata avverte il bisogno piacevole di riposarsi senza però sentirsi spossato, con l'ulteriore vincolo che egli possa mantenere quel ritmo a lungo negli anni senza logorarsi. • Selezione e addestramento scientifico della manodopera. Con questo principio Taylor sostiene che l'assunzione della manodopera e la sua assegnazione ai vari lavori deve rispettare criteri rigorosamente scientifici, seguendo il criterio universale dell'uomo giusto al posto giusto. Taylor è convinto che per ogni tipo di lavoro è possibile trovare le persone più adatte in base a criteri attitudinali e che questi criteri vanno applicati da un ufficio apposito che abbia il compito di assumere e addestrare la manodopera. In tal modo egli polemizza implicitamente contro l'uso allora in auge di dare carta bianca ai capireparto. L'istituzione di un ufficio apposito per la selezione e l'addestramento scientifico della manodopera risponde, nel pensiero di Taylor, allo scopo di eliminare una delle maggiori fonti di instabilità e di arbitrio all'interno delle imprese. Questo principio porta come immediata conseguenza alla nascita di una figura aziendale fino ad allora sconosciuta, quella del quadro tecnico intermedio con funzioni di staff, figura che avrebbe poi giocato un ruolo di fondamentale importanza nelle grandi aziende del XX secolo. • Sviluppo dei rapporti di stima e di collaborazione tra direzione e manodopera. Le profonde innovazioni sopra descritte non possono avvenire per pura imposizione gerarchica, ma ricercando il consenso dei diretti interessati. Ma come è possibile ottenere il consenso da persone a cui si chiede di lavorare più intensamente, con minori margini di discrezionalità e con maggiore disciplina? Taylor non ha dubbi: ciò è possibile in primo luogo attraverso un sostanziale aumento della retribuzione, e in secondo luogo mediante una direzione del personale capace di ascoltare i dipendenti e di ottenere la loro fiducia con l'equità garantita dai criteri scientifici della sua azione. Taylor polemizza contro l'uso del cottimo, al posto del quale propone un premio di rendimento basato su criteri opposti. Anziché pagare la produzione in più rispetto a una quota minima stabilita, Taylor suggerisce la possibilità di dare un premio ai lavoratori che seguono fedelmente tutte le prescrizioni fornendo a fine giornata esattamente la quota di produzione, calcolata dall'ufficio programmazione. In caso contrario il premio sarà decurtato in proporzione alla quota di produzione mancante. Questo metodo ‐ che in realtà sarebbe poi stato applicato molto raramente nelle fabbriche ‐ rispecchiava la convinzione di Taylor secondo cui l'efficienza produttiva nasce più dal rispetto delle regole che non dall'iniziativa individuale. Ma Taylor è anche consapevole che l'incentivo economico da solo non è sufficiente, e insiste lungamente sulla necessità che i dirigenti sviluppino comunicazioni e contatti con i propri sottoposti. Questi canali di comunicazione individualizzati devono anche servire a evitare che i lavoratori si rivolgano al sindacato per farsi tutelare in caso di conflitto. Taylor, in linea generale, era contrario al sindacato e si batteva contro ogni vincolo che l'azione sindacale avrebbe potuto imporre alla libertà dell'impresa nella gestione scientifica del personale. Solo negli ultimi anni della sua vita, di fronte alla constatazione che il sindacato era comunque una realtà insopprimibile nelle fabbriche americane, egli si rassegnò all'esistente, raccomandando però che l'azione sindacale non invadesse il campo dell'organizzazione del lavoro, che doveva rimanere prerogativa esclusiva della direzione dell'impresa. • Uniforme distribuzione del lavoro e delle responsabilità tra amministrazione e manodopera. Con questo principio Taylor intende affermare che l'efficienza di un'impresa non dipende soltanto dalla razionalizzazione del lavoro operaio in officina, ma anche dalla radicale riorganizzazione dell'intero apparato direttivo dell'impresa. In altri termini, il taylorismo non consiste soltanto in un nuovo modo di lavorare dell'operaio: esso consiste soprattutto in un nuovo modo di comandare. Per Taylor le mansioni e le responsabilità dei lavoratori, dei quadri e dei manager devono essere certe e chiaramente definite. Data la difficoltà di reperire persone dotate di conoscenze ed esperienze in tutti i campi e per evitare che i capi siano oberati da numerose ed eterogenee mansioni e si lasci spazio all’iniziativa personale basata sull’empiria e la causalità, l’azienda deve essere organizzata in modo da restringere l’arco delle responsabilità affidate ai singoli soggetti, con una rigorosa pianificazione dei compiti. Ciò comporta l’aumento numerico dei quadri intermedi, l’individuazione degli specifici campi di competenza e l’ancoraggio delle prestazioni a norme e procedure prestabilite dalla direzione. Si passa da una direzione di tipo gerarchico puro ad una di management funzionale, in cui i sottoposti non fanno riferimento ad un solo capo, ma ad una pluralità di superiori, ciascuno dei quali si occupa di un aspetto particolare del lavoro. Nasce così una poderosa burocrazia di fabbrica, concepita come strumento di efficienza e di conformità alle direttive del vertice, costituita da otto diverse figure di capi, ciascuna con compiti diversi, comprese naturalmente quelle degli addetti alla verifica del rispetto delle norme di lavorazione ed al computo dei tempi. °°°°°° Dall'esposizione di questi quattro principi fondamentali, l'organizzazione scientifica del lavoro appare come un corpus di dottrine e di ricette organizzativo‐manageriali coerentemente volto ad affermare il primato assoluto dell'organizzazione dell'impresa su ogni componente umana che vi lavora. Questo primato trova la propria legittimazione nel ricorso alla scienza e, in particolare, nel postulato dell'one best way. Quest'ultimo consiste nell'assunto che per ogni problema esiste sempre una e una sola soluzione ottimale, e che tale soluzione può essere raggiunta solo impiegando metodi scientifici di ricerca. La ricerca dell'one best way non garantisce solo una maggiore efficienza, ma proprio la sua scientificità fornisce alla soluzione ottimale una superiorità anche politica, perché la fa apparire al di sopra delle parti. Tutti devono adeguarsi alle norme e ai limiti dettati dalla scienza: gli operai nell'esecuzione materiale della produzione e i tecnici nell'analisi dettagliata delle procedure lavorative e nella ricerca dei possibili miglioramenti produttivi, ma anche i dirigenti e i proprietari devono inchinarsi alle prescrizioni scientifiche che stabiliscono i limiti oltre i quali non è possibile richiedere né superprestazioni alle macchine né uno sforzo eccessivo alla manodopera. Osserva Taylor a questo proposito: <<L'uomo che si trova alla testa dell'azienda è sottoposto come l'operaio alle regole che sono state sviluppate attraverso migliaia di esperimenti, e le norme che sono state sviluppate sono eque. Il codice delle leggi è giusto, e quelle questioni che con gli altri sistemi sono oggetto di giudizio arbitrario e perciò possono portare a disaccordi, sono state oggetto del più accurato e attento studio al quale hanno preso parte sia il lavoratore che la direzione, portando alla soddisfazione di entrambe le parti>>. Siamo di fronte a una versione idealizzata dell'organizzazione scientifica del lavoro che tuttavia risponde pienamente all'intima convinzione di Taylor che la scienza sia neutrale e che la sua applicazione rigorosa possa portare l'umanità a un’era di abbondanza e di concordia sociale. Il secondo aspetto da sottolineare è il profondo processo di burocratizzazione a cui il taylorismo sottopone le fabbriche. È un processo ambivalente: da un lato la crescita della burocrazia di fabbrica diventa lo strumento più efficace per garantire il completo controllo della direzione su tutto il processo produttivo; dall'altro la fissazione di norme universali fornisce anche ai sottoposti la certezza di un diritto, quanto meno la conoscenza di norme che stabiliscono il limite massimo dello sfruttamento. Questo processo di burocratizzazione presenta non poche affinità con la costruzione dello Stato moderno descritta da Weber. Come i funzionari nominati in base a criteri di legittimità burocratica sostituiscono i feudatari nel rappresentare il potere centrale in periferia, così in fabbrica i capi intermedi agiscono in quanto rappresentanti legali della direzione e non più come capi a cui è stato fiduciariamente delegato un potere senza controllo. In un caso come nell'altro si creano i presupposti per l'esercizio di un potere legittimato in base a criteri legali e non espressione di semplice arbitrio. Così come dallo Stato assoluto allo Stato di diritto gli individui passano dalla condizione di sudditi a quella di cittadini, nella fabbrica taylorizzata i dipendenti passano dalla condizione di “plebaglia” vista con occhio sospettoso e ostile a quella di manodopera disciplinata in base a norme universalmente condivise. °°°°°° L’organizzazione scientifica del lavoro ha costituito una tappa fondamentale nello sviluppo dell'industria mondiale del XX secolo. Essa ha segnato l'avvento della fase della moderna produzione di massa che avrebbe poi trovato nel fordismo la sua espressione più compiuta. Il metodo taylorista ebbe larghissima applicazione prima nelle fabbriche americane e poi in quelle europee, diffondendo i sistemi di lavorazione in serie e a catena. Il successo fu tale da fare entrare l’espressione taylorismo nell’uso corrente. Con l’andar del tempo il termine ha infatti assunto un significato più vasto: per esso si intende un’idea, al contempo negativa ed efficientista, che sta a indicare tutti gli aspetti di un lavoro, sia manuale che impiegatizio, organizzato secondo criteri ripetitivi, parcellari e standardizzati, dove la mancanza di discrezionalità e di contenuti intelligenti è vista come una condizione necessaria per ottenere una resa produttiva più intensa ed uniforme. Ancora oggi l’organizzazione scientifica del lavoro di Taylor è di fondamentale importanza nello studio dei problemi della gestione delle risorse umane, perchè rappresenta il primo modello compiuto di gestione del personale. Al di là di ciò stupisce anche l’attualità di alcuni aspetti di questa teoria, come la necessità della formazione della manodopera e di instaurazione di rapporti di collaborazione tra questa e la direzione. Fin dall'inizio, tuttavia, l'applicazione del taylorismo suscitò le più veementi proteste di operai, sindacalisti, uomini di cultura di orientamento pro‐labour. L'accusa era sempre la stessa: la messa in pratica delle prescrizioni di sfruttamento scientifico della forza lavoro si traduceva in un aumento insopportabile dello sforzo fisico e psichico, dei controlli autoritari, dell'impoverimento dei contenuti intellettuali del lavoro, del degrado e dell'abbrutimento provocati dall'eseguire a ritmi frenetici lavori senza senso per molte ore al giorno. Invano Taylor e i suoi fautori sostennero per decenni che quegli eccessi erano del tutto contrari allo spirito dell'organizzazione scientifica del lavoro, che prevede invece la continua ricerca del consenso dei sottoposti, limiti rigorosi e una cura attenta nell'applicazione. Oggi si può dire che il taylorismo offriva lo strumento tecnico per razionalizzare il processo produttivo, eliminando tuttavia anche quelle inefficienze che nel lavoro operaio potevano tradursi in occasioni per umanizzare il lavoro con pause, rallentamenti, momenti di socialità e iniziative informali. Taylor calcolò, come si è visto, che era possibile aumentare anche di tre o quattro volte l’efficienza produttiva delle fabbriche se si separava completamente il lavoro tecnico da quello esecutivo e se si standardizzava quest’ultimo prescrivendo in modo meticoloso tempi, movimenti fisici e strumenti. Non considerò invece che quello strumento tecnico, messo nelle mani di una imprenditoria incolta e rapace, non poteva che portare alle conseguenze sociali suddette. Taylor e i tayloristi sottovalutarono il fatto che proprio la potenza tecnica della loro novità imponeva un'autolimitazione dello sfruttamento umano che non poteva nascere se non da una profonda rivoluzione culturale tesa a riformare dalle radici i rapporti sociali sui luoghi di lavoro. Tutto questo sarebbe avvenuto in modo lento e contraddittorio nel corso dei decenni, sulla spinta della protesta operaia ma anche del dibattito suscitato dallo stesso successo mondiale del taylorismo. °°°°°°° I costi umani del processo di taylorizzazione, la resistenza che suscitò nelle fabbriche, i tentativi di recuperare una dimensione umana nel lavoro hanno costituito l’argomento centrale della sociologia industriale di tutto il XX secolo. Infine l’azione congiunta delle nuove tecnologie, della protesta operaia e dei nuovi orientamenti del management ha avuto l’effetto di attenuare la penosità del primo taylorismo, tanto che oggi alcuni sostengono che si possa parlare di una pluralità storica di taylorismi. Allo stesso modo come nel modello weberiano di burocrazia si introduce la distinzione tra burocrazia professionale e burocrazia meccanica, così appare opportuno distinguere tra il taylorismo originario ed estremo e forme attenuate di taylorismo, fino al cosiddetto neotaylorismo informatizzato che oggi troviamo in tante produzioni a tecnologia avanzata. In questi anni tuttavia si assiste anche a un altro singolare fenomeno: che mentre nelle fabbriche vi è un diffuso abbandono delle forme estreme di taylorismo, questo conosce una imprevista fioritura nei servizi. Un esempio estremo di taylorismo applicato al mondo dei servizi è quello offerto dalle catene di ristorazione McDonald. Si tratta di un processo molto avanzato di standardizzazione sia del processo lavorativo, con la parcellizzazione spinta delle mansioni lavorative, che del prodotto commestibile: in altri termini, viene taylorizzato non soltanto il lavoro dei dipendenti, ma anche il trattamento dei clienti. Si può definire neotayloristico anche il lavoro telefonico nei call center dove decine di addetti (in genere giovani donne) contattano i possibili utenti seguendo codici comunicativi rigorosamente predeterminati. Persino alcune professioni tradizionali sono oggi investite da un processo di burocratizzazione e di taylorizzazione, come può constatare chiunque abbia la ventura di frequentare moderni studi medici, dentistici o legali. Nella stessa seduta si susseguono più tecnici, tutti asettici, sorridenti e specializzatissimi per interventi brevi, precisi, localizzati. Scompaiono i vecchi studi gestiti da un solo professionista con l’aiuto tutt’al più di un assistente; sicchè i giovani all’inizio di carriera possono trovare lavoro solo come dipendenti burocratizzati con uno stipendio fisso pagato dallo studio, non proporzionale alle parcelle dei clienti. Allo stesso tempo le competenze diventano sempre più settoriali, tanto che il professionista contemporaneo sembra confermare l’ironica profezia secondo cui il perfetto specializzato è colui che a furia di conoscere sempre di più in un campo sempre più ristretto arriva a conoscere tutto su nulla. Giuseppe Pompella