Bassa risoluzione
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Bassa risoluzione
Foglio Anarchico e Libertario del gruppo Kronstadt Toscano [email protected] www.kronstadt-toscana.org Maggio 2014 SONO 10 ANNI: BREVE STORIA DEL FOGLIO KRONSTADT Kronstadt nasce dieci anni fa dalle idee di un gruppo di compagn* di Volterra e di Siena provenienti sia dal marxismo rivoluzionario (in particolare dal luxemburghismo/consiliarismo), sia dall’anarchismo che, sulla base di alcuni incontri avvenuti nei primi mesi del 2004, si riconoscevano in un comune pensiero e volontà di agire (nel rispetto di tutte le sensibilità di cui ogni individuo è portatore), decidendo di dar vita alla pubblicazione di un foglio anarchico, libertario e socialista. mento di diffusione del pensiero libertario e di una attiva controinformazione. La partecipazione a queste manifestazioni permette anche di entrare in contatto con organizzazioni ed altri gruppi anarchici ed individualità presenti in Toscana ed anche nel territorio nazionale. Perchè questa pubblicazione? Per rispondere all’esigenza di sviluppare una concreta attività politica e culturale nelle due località utilizzando questo strumento per diffondere le nostre idee. Dopo qualche tempo, quando il gruppo Volterra/Siena aveva già pubblicato i primi numeri del Kronstadt e aveva cominciato a farsi conoscere, entrano a far parte della redazione compagn* di Pisa e Pontedera che condividono l’impostazione di fondo del giornale. Si può dire che la pietra angolare aggregante è riassunta nello stesso nome della testata/foglio. Antecedentemente alla pubblicazione del primo numero vengono diffusi nel corso di alcune manifestazioni nazionali volantini a firma Kronstadt, a testimonianza dell’importanza che il gruppo attribuisce fin dall’inizio della propria vita allo “stampato” come stru- Il significato della scelta del nome viene spiegato fin dall’ editoriale del primo numero pubblicato nel maggio 2004: “…Kronstadt è il nome che abbiamo scelto per questo foglio rivoluzionario, libertario e socialista, perché quella vicenda così lontana la sentiamo attua- le, in quanto rappresenta il bisogno e la capacità d’insorgere della gente sfruttata e ingannata, dei popoli oppressi, delle classi subalterne, dei reietti, dei violentati e dei dannati della Terra di ogni epoca. Rappresenta la necessità di ribellarsi all’attuale sistema del capitale e dello stato, con le sue guerre, i suoi terrorismi, i suoi sfruttamenti e le sue oppressioni. Rappresenta l’urgenza di costruire un mondo migliore attraverso la lotta e la progettualità rivoluzionarie, attraverso il libero pensiero e il libero confronto, la socializzazione materiale e morale, l’autorganizzazione libertaria e socialista senza servi né padroni…..…” L’incontro naturale con i/le compagn* di Pisa e Pontedera, con cui è stato costruito un sodalizio sulla base di un comune sentire All’interno Riflessioni »» Il pensiero unico della democrazia ovvero il totalitarismo democratico »» No Gentrification Sindacalismo »» Il Job Act di Renzi: precariato 4 – dignità del lavoro 0 Lotte »» No Tav: verso il corteo del dieci maggio »» 22 Febbraio 2014 : solidarietà No Tav da tutto il mondo Rubriche »» Il metodo anarchico? »» Balle genetiche: sulla capitalizzazione e strumentalizzazione della genetica e della biologia evoluzionistica 1 Editoriale nelle differenze individuali, ha portato poi a “rifondare” il giornale. L’ingresso di quest* compagn* nella redazione ha permesso al Kronstadt di fare un importante salto qualitativo sul piano teorico e quantitativo nella distribuzione delle copie. E’ stata data una migliore organizzazione interna per tematiche, una regolarità maggiore nelle pubblicazioni (pur restando il foglio aperiodico) ed una veste grafica più fruibile. E’ rimasta e anzi accentuata l’impostazione di foglio proiettato verso una dimensione “internazionale”. Sono infine aumentate le collaborazioni scritte di altre “penne” anarchiche e libertarie. Il funzionamento della redazione è stato sempre orizzontale, ognuno ha scritto sui temi che ha ritenuto più interessanti, con la presenza di un editoriale discusso e condiviso da tutt* coloro che hanno fatto parte del progetto (cercando per quanto possibile di rispettare una turnazione della stesura dello stesso). In ogni numero ci sono stati sempre articoli scritti da compagn* di altre città che hanno garantito un maggiore spessore politico e culturale. Un altro terreno importante, oltre a quello editoriale, è stato inoltre quello, fin dagli esordi, di coniugare la diffusione delle idee e delle informazioni attraverso la distribuzione del giornale, con l’organizzazione d’ iniziative (prima a Volterra e successivamente anche a Pisa) di solidarietà attiva alle lotte internazionali di ispirazione libertaria. Crediamo che il foglio abbia rappresentato uno strumento utile per non pochi/e compagn* anarchic* e libertar*, dal momento che ha dato voce, ha raccontato varie esperienze e movimenti sociali antisistemici in campo internazionale con l’obiettivo di fornire spunti di riflessione per le nostre pratiche nelle lotte in cui siamo coinvolti. Possiamo anche dire che c’è un’area di simpatizzanti dell’anarchismo e in generale delle tematiche libertarie che apprezza la pubblicazione. A partire dai primi anni, il movimento maggiormente seguito dal nostro giornale è stato quello palestinese contro il muro dell’apartheid, a cui hanno preso parte attivisti internazionali e anarchici israeliani. Sul foglio sono usciti nel tempo vari resoconti di quelle lotte che lungi dallo spegnersi sono attualmente attive e radicate e continuano a sperimentare autorganizzazione e azione diretta contro una delle maggiori forze militari del pianeta. Negli anni immediatamente successivi all’esperienza palestinese è stata data ampia copertura al movimento che dal Messico, nello stato di Oaxaca, ha rivendicato la caduta del governatore e lo scioglimento dei poteri dello stato per andare verso una rifondazione radicale del vivere associati, provando a sperimentare una forma di autogoverno dei popoli Oaxaqueñi. Il movimento insorgente, esploso a seguito dell’estendersi della lotta antigovernativa del sindacato degli insegnanti a tutte le istanze rivendicative presenti nello stato, è stato duramente represso ma, nonostante il suo affievolimento, non si può parlare neppure in questo caso di scomparsa, essendo quell’esperienza patrimonio collettivo dei popoli di Oaxaca che ancora oggi combattono decine di lotte contro governi locali, nazionali e imprese multinazionali che sfruttano e depauperano i loro territori. Questi sono stati due fra i principali temi affrontati, ma non dimentichiamo la diffusione data alle lotte dei consiliaristi in Iraq durante le prime fasi dell’invasione statunitense o le riflessioni critiche con contributi anche diretti di compagni libertari sulle recenti rivolte nel medio-oriente . Il movimento di contestazione sviluppatosi in Grecia ha costituito poi un campo di grande interesse per noi anarchici dal momento che si è palesata, e si continua a manifestare, la sperimentazione di idee e pratiche libertarie nelle lotte quotidiane. Lo stesso dicasi – nella sua peculiarità e diversità - del movimento plurale delle Occupy nord americane: da Wall Street ad Oakland passando per Chicago. Esperienze sociali basate sull’azione diretta e la sperimentazione di forme di democrazia diretta nei contesti cittadini che, nonostante il ripiegamento dovuto alla repressione e alle contraddizioni interne, continuano in vario modo ad esprimersi. Proprio il tema della sperimentazione, legato alle lotte che di giorno in giorno emergono nella nostra sola “patria”, il mondo intero, ha costituito uno dei punti cardine della riflessione che il nostro giornale ha voluto portare all’attenzione di altri compagni e compagne come di tutti quelle lettrici e lettori che ci hanno incontrato nelle piazze. Nel far ciò un importante aspetto hanno ricoperto i percorsi costruttivi dello zapatismo, che pur distanti dall’anarchismo in molti loro aspetti, hanno costituito per noi un movimento pratico e una speranza reale di sperimentazione di un’altra società possibile, contribuendo ancora oggi a farci riflettere anche criticamente sul nostro portato anarchico e libertario in tutti i campi di azione e progettualità. Il foglio si è naturalmente occupato anche di temi “interni” come la lotta contro i CIE in Italia e in particolare in Toscana e la lotta No Tav in Val Susa e con vari articoli delle lotte di classe contro lo sfruttamento padronale e burocratico, di mobilitazioni antifasciste/antirazziste/antisessiste e di antimilitarismo, di lotte contro la repressione e 2 contro la devastazione ambientale nei territori dove viviamo ecc… Alcuni spunti d’analisi e progettuali E’ evidente che i rapporti di forza sono assai sfavorevoli al movimento anarchico e libertario ed il nostro compito è estremamente arduo. E c’è anche sempre più bisogno di risorse per diffondere con i giornali, riviste e libri del movimento le idee e le esperienze an-archiche. Il potere, in tutte le sue forme tentacolari (specie quello massmediologico) ha grandi mezzi per spargere mistificazione ed omologazione oltre che, quando lo ritiene necessario, repressione. Noi abbiamo dalla nostra la sola possibilità di essere presenti fisicamente e con le nostre idee nelle piazze e nelle strade, nei quartieri delle città e nei paesi dove ci si mobilita, nei posti dove avviene lo sfruttamento/oppressione delle classi subalterne, schierandoci contro l’ordine vigente e la sua pervasiva industria culturale dello “spettacolo”, provando a rompere l’alienante cappa massmediologica dominante insieme a tutte le persone che contestano e si oppongono. E’ determinante riuscire a far passare in tutti i luoghi squarci di una visione alternativa della realtà; ma ciò dipende molto dalle lotte, dallo sviluppo di movimenti concreti che inizino a mettere in discussione lo status quo. Di tali movimenti, rimanendo in Italia, ce ne sono in vari contesti, però, salvo importanti e illuminanti eccezioni, ancora in una situazione embrionale e di frammentazione generale, con la necessità dunque di svilupparsi sul piano della soggettività e delle pratiche e di mettersi maggiormente in rete. Bisogna però fare i conti con la capacità dei poteri vigenti di inoculare ad arte nei dominati fredda indifferenza o rassegnazione. In risposta a ciò occorre alimentare dal basso e in maniera diffusa una tensione utopica per un altro mondo possibile, altrimenti è estremamente improbo cominciare a rompere la “gabbia mortifera” del sistema. Assume pertanto centralità la questione della comunicazione alternativa, in particolare attraverso il contatto e il confronto diretti con le persone nelle varie situazioni, interagendo in maniera aperta, dialogica e critico/costruttiva, antitetici rispetto ad ogni settarismo e autoreferenzialità manichea in quanto nell’anarchismo i mezzi devono essere in sintonia con i fini. Comunque, secondo noi, la centralità del rapporto non mediato non esclude la rete telematica (e a maggior ragione, quando le forze lo permettono lo strumento radio libere e libertarie) che sta offrendo - per ora e con tutti i limiti e le contraddizioni del caso - nuove possibilità per la comunicazione alternativa. I due piani, quello caldo, empatico perché fisico e diretto e quello telematico, più distante e Riflessioni distaccato, possono non essere in contrapposizione, anzi la sinergia tra i due può dimostrarsi positiva, solo però se manteniamo la prevalenza del primo e l’accessorietà del secondo. Proprio in tale direzione va lo sviluppo della discussione sulla sperimentazione da connettere alle lotte sociali autodirette che rivendicano migliori condizioni di vita per tutte e tutti. Si tratta del concreto e diretto costruire, fin da ora, socialità “altra” nei territori e nelle varie realtà: interazione fra produttori e consumatori non necessariamente basate sul binomio tipico del capitalismo venditore/ cliente; esperienze di educazione alternative a quelle della lezione frontale; esperienze di mutuo aiuto solidaristico, quindi destrutturando la relazione burocratica utente/fornitore, come ad esempio sportelli autorganizzati di informazione/cooperazione per il diritto all’abitare e alla salute; autorganizzazione di spazi culturali come per esempio librerie e bi- blioteche libertarie; spazi sociali occupati con poliedriche attività socializzanti, ludiche e politiche; le esperienze delle comuni agricole autogestite e delle “fabbriche recuperate” in maniera cooperativistica (vedi l’Argentina); le varie forme di autoproduzione solidaristica e realmente rispettosa della natura (antispecismo ed ecologia sociale) e tutte le altre forme sperimentali di stare insieme e cooperare antiautoritarie o tendenzialmente antiautoritarie nei vari contesti dell’esistenza societaria, che costituiscono un ulteriore terreno di lotta pratico e costantemente in divenire. Un terreno fatto di successi e fallimenti, visto nell’ottica propria di noi libertari/e di non dare niente per definitivo, ma di mettere le nostre idee, il nostro patrimonio teorico e le nostre forze al servizio dell’auto-emancipazione da tutte le forme di oppressione, sfruttamento e violenza attuate dal sistema dominante, contro le sue devastazioni militariste e ambientali e contro l’ideologia specista da esso riprodotta su larga scala. E’ chiaro che c’è bisogno, ad ogni latitudine e nel rilancio di un nuovo internazionalismo, di lotte estese e autorganizzate, costanti e radicali, dotate di una forte progettualità da parte dell’insieme degli sfruttati e oppressi per realizzare rotture sociali complessive e rivoluzionarie rispetto all’ordine vigente. A tal proposito le molteplici sperimentazioni “altre” (individuali/collettive) contro di esso nella contemporaneità, riteniamo siano propedeutiche e sinergiche, possiamo dire strategiche, nel quadro di necessari e plurali processi trasformativi dell’esistente, per un mondo senza confini fisici e mentali, di libertà, solidarietà ed uguaglianza nella diversità delle esperienze e dei percorsi di vita. Il pensiero unico della democrazia ovvero il totalitarismo democratico di Alberto “Si chiama Stato il più gelido di tutti i gelidi mostri. Esso è gelido anche quando mente; e questa menzogna gli striscia fuori di bocca: “Io, lo Stato, sono il popolo”.” (Nietzsche, Così parlo Zarathustra, 1885). Molto inchiostro è stato versato nei secoli da parte di filosofi, antropologi, attivisti politici e semplici individui sul tema dello stato, della sua origine, della sua natura e delle sue diverse forme e, per quanto riguarda il movimento anarchico, della sua auspicabile scomparsa. Non ho pertanto la pretesa di scrivere qualcosa di inedito o di straordinariamente innovativo, ma è forte l’esigenza di fornire spunti per una discussione sulle trasformazioni che negli ultimi decenni ha subito la forma di governo dello stato che l’ideologia dominante propaganda come il massimo garante delle libertà individuali e collettive: la democrazia rappresentativa. in discussione apertamente “questa verità assoluta” mostrando i suoi terribili prodotti (guerre globali, devastazioni ambientali mai viste, miseria ed emarginazione in ogni parte del mondo in contrapposizione alle ricchezze indecenti che accumulano le classi possidenti), non debba essere preso in considerazione in quanto quello che abbiamo è il migliore dei mondi possibile. Ma molto semplicemente ed andando alla radice, la democrazia non è altro che una forma di governo che molto subdolamente è stata utilizzata dalle classi dominanti capitaliste, adattandola e trasformandola in base alle esigenze delle diverse fasi storiche, per ingannare le classi dominate e subalterne facendo credere agli individui di essere liberi di scegliere i loro rappresentanti attraverso il rituale del voto. In realtà il voto serve La parola democrazia , nonostante gli usi e gli abusi che ne hanno fatto e ne fanno, politici bugiardi (lo sono quasi sempre) e demagoghi, tiranni e dittatori, provoca senza dubbio nella maggior parte delle persone un’indiscutibile attrazione. Spesso non ne viene intravista un’alternativa, quasi sempre non se ne colgono le sue caratteristiche né, a maggior ragione, la sua essenza. E’ un dogma indiscutibile l’affermazione che con l’avvento delle democrazie occidentali le libertà abbiano avuto un’espansione incredibile e che grazie alle stesse ci sia stata la più grande diffusione di benessere tra i cittadini. Da ciò ne consegue che chiunque metta 3 semplicemente a scegliere quali saranno gli oppressori che decideranno le modalità esecutive del governo di turno ed in particolare a comunicare le decisioni dettate dai potentati economici. Ora è vero che la democrazia rappresentativa per come si è affermata nel secondo dopoguerra in occidente, non mostrava una così evidente unilateralità nel difendere gli interessi dei monopoli senza sfumature così come la conosciamo ai giorni nostri. Non era effettivamente sempre la stessa linea politica quella posta in essere dai vincitori delle elezioni: esistevano governi di sinistra (che spesso vincevano le elezioni al culmine di forti movimenti popolari) che attuavano scelte politiche più propizie alle classi subalterne e governi di destra che erano direttamente legati agli interessi delle classi possidenti. Riflessioni L’inganno era forse più viscido e sortiva spesso l’effetto di convogliare le lotte più radicali, spuntandone la forza eversiva, verso la cerimonia elettorale attraverso partiti comunisti e socialisti e sindacati dagli stessi diretti. E lo stato aveva bisogno di tali istituzioni, partiti e sindacati che compiacenti recitavano la parte dei “difensori del popolo”, per non dover impiegare solo la forza repressiva di polizia ed esercito, anche perché le democrazie occidentali dovevano apparire meno totalitarie rispetto ai paesi del Patto di Varsavia e alla Cina. Ma d’altra parte c’è da riconoscere che la somma totale del prelievo effettuato attraverso le tasse veniva dagli stati destinata in quota maggiore, rispetto all’attualità, alla salute, alla previdenza sociale, ai trasporti, alla manutenzione del territorio ed all’istruzione (fermo restando che le quote più rilevanti venivano utilizzate per l’acquisto degli armamenti, erogate a favore degli apparati industriali e le banche e per il mantenimento dell’apparato burocratico statale). Ma a partire dagli anni ’80, a partire dai governi Thatcher e Reagan, con l’applicazione selvaggia delle teorie neoliberiste (o più correttamente neomonopoliste), la caduta di buona parte dei sedicenti regimi comunisti, lo sviluppo di nuovi sistemi di controllo (massmediologico ed informatico), le democrazie hanno cambiato vestito, mostrando il volto crudo del Leviatano: lo stato e le sue istituzioni, detentore del monopolio della violenza e strumento sempre necessario per la difesa degli interessi dei monopoli, delle multinazionali, della finanza e delle banche (che peraltro utilizzano anche le altre istituzioni internazionali, dall’ONU e le sue ramificazioni, al WTO, alla Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Mondiale, alla organizzazioni regionali come la Comunità Europea ecc.). Sono perciò state aggiornate le legislazioni nazionali (valga come esempio il Patriot Act degli Stati Unitì), e a volte le costituzioni nazionali (come per il caso italiano), per adeguarsi alle nuove necessità: governi legalmente eletti da infime minoranze, normative sempre più repressive, carceri utilizzati per rinchiuderci milioni di poveri, controllo militare del territorio (nei casi di lotte popolari prolungate, vedi movimento NOTAV in Italia), limitazione dei diritti elementari del “cittadino” (frequente eliminazione dell’habeas corpus strumento del diritto borghese tradizionale contro l’azione arbitraria dello stato). Ed i governi “democraticamente” eletti dal popoli, di destra, di sinistra, di centro sinistra o centrodestra, hanno sempre una politica identica senza neanche diversità di sfumature; sono perfettamente intercambiali. Le associazioni dei lavoratori, i sindacati, sono sovente emanazione diretta dello stato o comunque quasi sempre asserviti al padronato; quelli che non lo sono non hanno diritto di agibilità nei luoghi di lavoro. I territori ed il patrimonio ambientale è costantemente depredato dai colossi del profitto, spesso con la scorta armata, come prima veniva fatto solo nelle terre sottoposte al neocolonialismo occidentale. Il globo è stato omogeneizzato nell’oppressione e nella devastazione. La salute non è più un diritto ma una merce, tra le tante, la pensione una chimera irraggiungibile per i più. Con la favola della crisi, le entrate degli stati sono quasi esclusivamente versate nelle tasche dei ricchi capitalisti, finanzieri e banchieri. Dello stato, anche nella sua forma di governo democratico, rimangono pertanto quasi solamente gli apparati repressivi e quelli necessari alla riscossione delle imposte. E quotidianamente ed inevitabilmente ogni individuo si trova a doverne affrontare la sua pervasività e le sue oppressioni, che possono essere rappresentate dal poliziotto che ti chiede i documenti (e che qualche volta senza alcuna ragione “democraticamente e legalmente” ti massacra di botte), dalla fila che devi fare per essere curato in ospedale, dai moduli che devi compilare per usufruire di un servizio o dal politico di turno che sei 4 costretto a vedere in televisione tutti i giorni ecc. Spesso ne discutiamo con i nostri colleghi, i nostri vicini di casa oppure al bar ma quasi mai riusciamo a capire che come ogni istituzione umana esso avrà una fine, che non è sempre esistito e possono essere edificate società senza classi (senza ricchi che spossessano i poveri). Società senza divisioni tra dominanti e dominati (senza organi separati di potere). Lo Stato non è il fondamento inevitabile di ogni società umana, rappresenta solo un prodotto storico, il peggiore della specie umana, che ha permesso il perpetuarsi plurimillenario del potere di pochi individui sulle maggioranze sterminate ed in cui l’essere umano ha rinunciato alla propria natura: come scriveva Etienne de La Boétie (pensatore francese del ’500) «l’esser nato propriamente per vivere libero», Ma come scriveva alcuni anni fa l’antropologo Pierre Clastres “«L’esempio delle società primitive ci insegna che la divisione non è insita nell’essere sociale o, in altri termini, che lo Stato non è eterno, che ha qui o lì una data di nascita… E la luce così gettata sul momento della nascita dello Stato renderà forse chiare anche le condizioni (realizzabili o no) della sua possibile morte» e forse sarà possibile (se non necessario) ri-costruire, fuori dagli stati e dalle loro nefaste ideologie, momenti e luoghi di socialità libera, orizzontale e cooperativa, anche se, è quasi sicuro, dovrà essere affrontata la forza repressiva degli stati, in tutte le sue forme di governo, apertamente totalitarie o democraticamente totalitarie, e concretamente dei suoi servitori più stupidi e fedeli. Ma più saranno gli spazi, fisici e culturali, strappati al dominio del capitale, degli stati e della loro ideologia e minore dovrà essere la violenza necessaria per distruggere il potere in tutte le sue forme. Riflessioni No Gentrification di Alex La gentrification* è l’imposizione di una ri-urbanizzazione dall’alto voluta da amministrazioni di ogni colore (nazionali e locali) d’intesa con il capitale in quartieri storici delle città, grandi e medie, in cui gli abitanti proletari o sottoproletari e il piccolo artigianato, le famiglie a reddito basso, gli immigrati, varie minoranze etniche e politiche vengono progressivamente espulsi per far posto alla speculazione/privatizzazione immobiliare e commerciale all’insegna del lusso e della mercificazione. Questo processo si basa da un lato sul fatto che il costo degli immobili e della vita diventa insostenibile per gli abitanti originari che se ne devono andare, dall’altro agisce la violenza istituzionale fatta di sfratti, sgomberi, deportazioni ed emarginazione coatta. Tutto ciò liquida anche relazioni comunitarie spontanee, per far posto ad una preconfezionata e standardizzata zonizzazione classista e autoritaria. Le classi sociali subalterne vengono spinte sempre di più verso le lontane e anonime periferie. Si tratta di un processo globale di “borghesizzazione urbanistica postmoderna” probabilmente analizzato per la prima volta negli anni sessanta a Londra, ma che è cresciuto prepotentemente negli anni novanta e continua a pieno regime, accentuandosi ulteriormente. zi Park è stato occupato per protesta con le tende. La risposta securitaria a questa azione diretta è stata la scintilla che ha infiammato l’insorgenza degli sfruttati e oppressi contro l’autoritarismo e per la giustizia sociale, che si è estesa a tutta la Turchia … Contro l’opposizione sociale c’è sta una criminale repressione, Gezi Park e piazza Taksim (simboli della ribellione ) sono stati sgomberati, ma la lotta Oppure si pensi a quanto è avvenuto po- continua … co tempo fa nel quartiere operaio Gamonal a Questi sono alcuni esempi, la lista è lunBurgos, in Spagna: contro la costruzione di ga…Vediamo ora più nel dettaglio i recenti un “boulevard” lussuoso con megaparcheggio fatti di Amburgo … voluti dal sindaco Lacalle del partito popolare, ennesima opera devastante per speculare Amburgo ribelle ed emarginare sottraendo risorse per i bisogni sociali, la gente si è mobilitata compattamen«I posteri abbiano cura di te, l’intervento violento della polizia ha inneconservare degnamente la liberscato una rivolta popolare, il progetto scelletà che gli antenati partorirono» rato è stato bloccato. edifici occupati da rifugiati, immigrati, disoccupati, sfrattati, studenti fuori sede e di uno spazio politico/sociale occupato come quello di Progetto Conciatori, ubicato in via dei Conciatori nei pressi del centrale quartiere Santa Croce, un partecipato luogo di socializzazione e progettualità antiautoritarie. Contro queste prepotenze affaristiche ci sono state importanti resistenze e mobilitazioni dal basso. Nella primavera dell’anno scorso poi, nel cuore di Instanbul a Gezi Park, c’è stata una mobilitazione per difendere un parco storico, uno degli ultimi spazi verdi rimasti e area di ristoro per tanta gente, dalla speculazione edilizia che avanza come un rullo compressore. Il potere politico voleva distruggere il parco per costruire un edificio/caserma con centro commerciale e appartamenti di lusso, Ge- Frammentazione dello spazio, moltiplicazione dei volumi, abbattimento di edifici storici e proliferazione di hotel di lusso, shopping malls, boulevards della moda, banche, sedi d’imprese commerciali e assicurazioni, strutture residenziali per i ceti facoltosi, spazi riservati ad un marketing della dimensione artistica … La trasformazione neoliberista e il conseguente processo di globalizzazione hanno provocato una trasformazione profonda anche del tessuto urbano delle città. A causa di questa nuova struttura economica - centrata sull’affarismo finanziario globalizzato - lo spazio urbano delle città, in particolare le antiche zone centrali e popolari, è diventato uno strumento per l’accumulazione di capitale. Vengono predisposte delle città-vetrina azzerando ogni forma di autonomia sociale e culturale sedimentatasi nel tempo dal basso nonostante le tante difficoltà e problematiche aperte. Poteri politici, multinazionali e speculatori vari per gestire a piacimento lo spazio “pubblico”, espellono e segregano i “corpi estranei”, i quali però in vari casi non ci stanno e si rivoltano! Si pensi ai brutali sgomberi degli ultimi mesi e anni a Firenze per volontà del rampante leader neoliberista, il piddino Renzi, di 5 (Motto della città di Amburgo) A dicembre e gennaio scorsi c’è stata ad Amburgo una radicale mobilitazione sociale contro il processo repressivo di gentrification imposto dal potere costituito statal/capitalistico. Nella città portuale tedesca le classi dominanti mirano ad espellere i più poveri dallo Riflessioni dossalmente quanto strumentalmente la dimensione underground viene utilizzata, attraverso un rovesciamento di senso, dai gruppi d’affari per la concentrazione di stili di vita trendy e alla moda (una sorta di vita pseudobohemien di plastica) altamente remunerativi e funzionali ad un ulteriore monetizzazione di determinate zone socio-urbane. Ecco allora l’espulsione della popolazione più povera e “deviante” che lì abita da parte dell’autorità, per riparametrare/normalizzare su un piano speculativo/consumistico, all’insegna della rendita/profitto capitalistica. Comunque contro tutto ciò sono nate forti resistenze. storico quartiere operaio e antifascista di St. Pauli per dare spazio a progetti di “riqualificazione” urbana, destinati a chi potrà permetterselo: 70 abitanti dell’Esso_Hauser, un complesso di vecchi edifici, sono stati cacciati dalle loro case e depositati in alberghi. Vari edifici occupati da immigranti e famiglie in difficoltà sono sotto sfratto. La mobilitazione degli attivisti e di tanti cittadini alla minaccia di sgombero del più amato centro sociale di Amburgo, il Rote Flora, e contro gli altri sgomberi e sfratti, si è saldata solidalmente con le lotte degli immigrati del coordinamento “Lampedusa in Hamburg” che lì vivono. Sono rifugiati della guerra della Nato in Libia che, provenienti dalla Sicilia, si ritrovano senza diritti, e rischiano costantemente la deportazione. Essi, dopo la strage di Lampedusa nell’ottobre 2013, hanno deciso di autorganizzarsi, aiutati da varie associazioni laiche e religiose e gruppi politici antirazzisti di Amburgo, e di opporsi con delle manifestazioni che sono state criminalizzate dai media mainstream e represse violentemente dagli apparati statali. fuoco per 9 giorni con la militarizzazione di tre quartieri: St. Pauli, Altona, e Sternschanze. Nella cosiddetta gefahrengebiet ,”area di pericolo” (così è stata soprannominata la zona interdetta), sono stati istituiti posti di blocco e perquisizioni a tappeto. Qualsiasi persona poteva essere arrestata arbitrariamente della polizia, ci si poteva muovere solo a piedi e in certi orari prestabiliti, off limits fotografi e giornalisti. In una vasta area cittadina le stesse “garanzie” formali “liberal-democratiche” sono state sospese per diversi giorni secondo la legge marziale. Il tutto con la complicità del sistema mediatico. Il coprifuoco ha comunque prodotto in tanta gente l’effetto contrario rispetto a quello sperato dall’autorità: invece che ripiegamento nel privato una maggior politicizzazione critica. Varie manifestazioni hanno continuato a sfidare il coprifuoco, solidarietà attiva è giunta da altre città. I fatti di Amburgo rivelano, ancora una volta, una sorta di “sperimentazione” nella repressione dei movimenti autorganizzati antisistemici da parte dei poteri dominanti della “Caserma/Fortezza Europa”, delle metodologie militariste da replicare nei vari contesti dove si aprono delle fratture nel sistema di dominio, si pensi al No Tav in Val Susa, con la tendenza ad attuare politiche sempre più liberticide nel controllo sistematico delle popolazioni e degli individui … Inoltre il Rote Flora, un vecchio teatro ocComunque anche in Germania, checchè cupato sin dal 1989, centro sociale di aggrene dicano la politica e i media di regime, non E’ dunque cresciuta una radicale conflitgazione dal basso e lotta anticapitalistica/anpare esserci tutta quella “pace sociale” sistetualità diretta da parte di migliaia di persone tiautoritaria fra i più significativi in Germania, mica propagandata a destra e a manca… all’insegna dello slogan unificante “la citè stato messo all’asta e rischia lo sgombero. tà è di tutt@” . Il 21 dicembre c’è stata una La gentrification ad Amburgo ma anche a grande e determinata manifestazione a Saint Note Berlino e Dresda colpisce le aree dove sono Pauli contro la gentrification, gli sgomberi e *Il termine inglese gentrification deriva originapresenti da tempo originali e coinvolgenti il razzismo di stato. Le forze repressive, su riamente da “gentry”, ossia piccola nobiltà inglese e esperienze artistiche underground fuori dai ordine del governo locale socialdemocratico in seguito borghesia. E’ una categoria interpretativa sviluppatasi nell’ambito critico-sociologico contempocanoni artificiali del mercato capitalistico. Ma appoggiato da quello nazionale della cancel- raneo. gli storici locali e ambienti alternativi richia- liera Merkel, hanno caricato violentemente mano anche molta gente della middle class e il corteo, ci sono stati scontri con numerosi fanno gola alle oligarchie affaristiche. Para- feriti e arresti. Poi è stato dichiarato il copri- 6 Sindacalismo Il Job Act di Renzi: precariato 4 – dignità del lavoro 0 di Claudio Lavoratore “stai sereno”! L’idea del Job Act,(o Piano per il lavoro) di Renzi è l’ennesima polpetta avvelenata per i lavoratori e le giovani generazioni. Esso si andrà ad aggiungere ai già nefasti Pacchetto Treu, Legge Biagi e Riforma Fornero che hanno reso precario il lavoro e la vita di milioni di lavoratori, gettandoli nell’insicurezza e nella disperazione. Gli 80 euro, promessi in busta-paga dal nuovo “piazzista” della politica italiana, sono solo lo zuccherino per addolcire una pillola amara di cui molti prenderanno presto coscienza! le Cooperative, Giuliano Poletti, questi due contratti interesseranno 7 assunzioni su 10. Da ciò si capisce perché intanto si approvano queste norme rapidamente per mezzo di un decreto e ci si dà più tempo per il resto. Per altro la definitiva cancellazione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, tramite il cosiddetto contratto unico a tutele crescenti e la restrizione delle libertà sindacali, tramite la Legge sulla Rappresentanza, previste dal Job Act di Renzi, non vengono abbandonate. Sono solo rinviate ad una successiva Legge Delega. Dunque: lavoratore “stai sereno”! Al momento in cui scriviamo (17 marzo) Il Renzi-pensiero sul lavoro, tra il è in via di stesura il Decreto-Poletti sui i contratti a termine e l’apprendistato, in cui già si Professor Ichino e Oscar Farinetti dà un nuovo forte impulso alla precarizzazioNella originaria e brevissima stesura del ne sociale, in particolare dei giovani. Job Act, l’asse centrale era costituito dal co1. Viene peggiorata ferocemente la nor- siddetto “contratto unico a tutele crescenti”. mativa sul contatto di apprendistato che Al momento non sappiamo se questo strudiventerà così la forma di lavoro “usa e get- mento verrà poi effettivamente messo in camta” preferita dai padroni. Viene cancellato po con la Legge Delega o si studieranno altre l’obbligo, fino ad ora vigente, di assumere diavolerie. Tuttavia l’idea del “contratto unialmeno un apprendista su tre alla fine del co” ci dice molto sulle concezioni dell’attuale contratto. Viene abolito l’obbligo del padro- Presidente del Consiglio in materia di lavoro. ne di rendere conto all’ente pubblico della L’espressione “contratto unico” nasce dalla formazione professionale svolta all’appren- elaborazione del Professor Pietro Ichino, noto dista. Viene abbassato il salario (!) fino al zelante ideologo del padronato italiano. Co35% nella prima fase del rapporto di lavoro. stui ha sempre teorizzato che, per dare qualQuindi quale apprendistato? Sarà solo un con- che tutela ai lavoratori precari, sarebbe stato tratto schiavistico! necessario fare tabula rasa di ogni conquista 2. Si estende la acasualità (cioè l’uso sen- storica del movimento operaio . In particoza giustificazione) dei contratti a termine da- lare, Ichino sosteneva l’abolizione totale del gli attuali 12 mesi fino a 36 mesi. I padroni reintegro obbligatorio per chi viene licenziato potranno quindi abusare dei contratti a termi- senza giustificato motivo (articolo 18 dello ne a loro piacimento ancora di più di quanto Statuto dei Lavoratori). fanno già oggi. Oggi l’articolo 18 interessa solo i lavoraSecondo il nuovo Ministro del Lavoro, tori dipendenti di aziende con più di 15 adnonché Presidente della “rossa” Lega del- detti (circa 7 milioni e mezzo di lavoratori, circa il 65% dei dipendenti, se si escludono stagionali agricoli, CoCoPro e pubblico impiego) e non va dimenticato che la riforma Fornero ne ha già diminuito il grado di protezione, consentendo i licenziamenti per motivi “economici”, (previo piccolo indennizzo economico). Infine è importante tener presente che le assunzioni a tempo indeterminato sono molti anni una minoranza delle assunzioni totali, a vantaggio dei contratti a termine, interinali, a chiamata, a progetto, ecc. Nonostante tutto ciò, la cancellazione dell’articolo 18, cioè la piena licenziabilità e di conseguenza la piena ricattabilità di tutti i lavoratori, è considerata dal padronato come un passaggio essenziale per dare la spallata finale alla classe lavoratrice. In questo quadro la proposta di Ichino e di altri lacchè confindustriali, era quella di riunire le varie tipologie di contratto sotto un contratto unico per tutti i lavoratori, in cui, per alcuni anni dopo l’assunzione, tutti i lavoratori sarebbero stati licenziabili a piena discrezione del padrone. Ovvero: con la scusa di rendere più “equa” ed omogenea la condizione dei lavoratori, Ichino proponeva di abolire la possibilità stessa di una assunzione stabile, protetta dai licenziamenti arbitrari. Accanto al fetido professor Ichino, come ispiratore del Job Act renziano, merita di essere menzionato anche Oscar Farinetti, padrone di una grossa catena internazionale di ristorazione (Eataly), con 300 milioni di fatturato, migliaia di dipendenti, mega complessi in tutto il mondo. Eataly e Oscar Farinetti sono ormai famosi per il cosiddetto “modello 800 euro”, cioè un modello lavorativo basato su 40 ore settimanali (festivi compresi) pagati 800 euro. Eataly è famosa anche per il fatto che la totalità dei dipendenti ha contratti di lavoro precari (della durata di 2-3 mesi) ed il lavoro a tempo indeterminato non è neanche concepito. Infine, Eataly è nota per trattamenti degradanti verso il suo personale che arrivano fino alle perquisizioni dei dipendenti alla fine dell’orario del turno lavorativo e il controllo telematico delle pause (pratica che dovrebbe essere esclusa dallo Statuto dei lavoratori). Farinetti non si nasconde per altro dietro alcun velo di ipocrisia, rivendica spudoratamente ogni aspetto del suo sistema di impresa e rifiuta l’idea stessa di contrattazione sindacale. Bene, questo “simpatico” individuo è l’imprenditore di riferimento di Matteo Renzi, uno dei suoi principali consu- 7 Sindacalismo lenti, suo amico personale e, non ultimo, suo finanziatore. Il contratto unico previsto nel Job Act, al momento rinviato Renzi, collocandosi nel solco culturale di Ichino ha lanciato il cosiddetto “contratto a tutele crescenti” con libertà di licenziamento per i primi 3 anni dall’inizio del rapporto di lavoro. Il concetto di “tutele crescenti” si riferisce ad un eventuale indennizzo a cui il lavoratore avrebbe diritto in caso di un licenziamento riconosciuto dal giudice come licenziamento illegittimo. L’indennizzo sarebbe crescente in proporzione al tempo lavorato dal dipendente. Chiunque conosca l’esperienza delle aziende al di sotto dei 15 dipendenti, dove esiste già il sistema dell’indennizzo, sa benissimo che esso non costituisce un disincentivo al licenziamento. Anzi, spesso il lavoratore licenziato, rinuncia alla causa perché lo sforzo non vale la posta in gioco, ovvero un compenso minimo e rinviato nel tempo. Dunque è chiaro che introdurre il contratto unico al posto degli attuali contratti a tempo indeterminato significa abolire totalmente l’articolo 18 e rendere del tutto liberi i licenziamenti. Attenzione! Per il momento Renzi parla di licenziamenti liberi nei primi 3 anni, ma l’esperienza degli ultimi decenni ci insegna che ogni norma introdotta a danno dei lavoratori, una volta accettata, è destinata ad essere estesa nel tempo e quindi a peggiorare ulteriormente le condizioni dei lavoratori. Oggi sarebbero 3 anni, domani 4, domani l’altro 5, alla fine per sempre. Per altro è già emerso senza ombra di dubbio che il” contratto a tutele crescenti”, se sarà adottato, non sarà unico, cioè non assorbirà tutte le tipologie di contratto. Ad essere aboliti saranno solo i contratti meno usati dai padroni. Anzi con l’attuale Decreto Poletti si va verso il rafforzamentodi alcune precise tipologie di lavoro precario. L’assegno di disoccupazione. Come contropartita alla ulteriore precarizzazione dei contratti di lavoro, viene sbandierato il cosiddetto assegno “universale” di disoccupazione. Una proposta che sta riscuotendo certo fascino, non solo negli ambienti filo-padronali o dei sindacati istituzionali, ma anche in larghe fasce giovanili comprensibilmente angosciate da un futuro sempre più nero. Se però ci si cala nel concreto delle proposte renziane, qualsiasi fascino è presto dissolto. Innanzitutto, la platea a cui dovrebbe spettare il famoso assegno di disoccupazione è ancora incerta e comunque sembra essere poco più ampia di quella prevista Riforma Fornero (1). Insomma non spetterà a tutti i disoc- cupati, cioè non sarà veramente universale. Inoltre sembra ben chiara l’intenzione di Renzi a rafforzare quegli obblighi (già previsti dalla Fornero) a cui il disoccupato deve sottostare per ricevere l’assegno stesso: 1) obbligo di seguire un corso di formazione professionale e 2) di non rifiutare più di una uova proposta di lavoro qualunque essa sia. Molto interessante da questo punto di vista, è capire, soprattutto in una prospettiva più lunga, che cosa ha concretamente in mente Renzi quando parla di formazione professionale. Secondo il “rottamatore”, la formazione professionale in Italia” fa schifo” ed è necessario riformarla prendendo a prestito il modello tedesco. In realtà, il tanto acclamato modello tedesco è un modello profondamente autoritario, basato essenzialmente sul dominio istituzionalizzato dell’impresa sulla formazione. Il lavoratore che fa formazione professionale in Germania, la fa tramite tirocini all’interno delle imprese (sistema duale). I padroni hanno così a disposizione una gran massa di lavoratori che da un lato possono sfruttare a minor costo, dall’altro possono selezionare, ancor prima dell’assunzione vera e propria, secondo il grado di servilismo. Le aziende hanno un potere molteplice su questi lavoratori in formazione o in riqualificazione professionale: sono nei fatti i loro datori di lavoro, rilasciano loro il certificato di “buona frequenza”, ma sono anche determinanti nell’eventuale conseguimento dei titoli, in quanto gli esami vengono fatti dalle camere di industria, di commercio e di artigianato. rappresentano serbatoi di super-sfruttamento della forza-lavoro. Adottare il modello tedesco nella formazione professionale significherebbe incrementare,, sistematizzare, generalizzare un qualcosa già tristemente noto anche da noi. Però, con una differenza fondamentale rispetto alla Germania: a noi non spetteranno mai i salari tedeschi! (2) A noi toccherà il dispotismo, la precarietà, sì certo; ma sempre salari da fame! Job Act e relazioni sociali integralmente autoritarie “Bacia la mano che ruppe il tuo naso, perché le chiedevi un boccone...” (Fabrizio De Andrè Il testamento di Tito) A chi è capitato di ascoltare Renzi parlare di chi perde il lavoro, avrà sentito spesso usare espressioni come “lo Stato ti prende per mano” o “lo Stato ti dà una mano”. Una “mano” da tenere il più possibile lontana da noi. Come abbiamo già visto il modello Renzi renderà tutti i lavoratori ancor più precari di quanto non lo siano già oggi. Tutti i nuovi assunti saranno in un modo o nell’altro licenziabili in ogni momento, perciò spremuti come limoni fino a che serviranno. Poi una volta licenziati verranno “presi per mano” dallo Stato che, in cambio del famoso assegno di disoccupazione, li spedirà da altri padroniE non è tutto. Le aziende possono amplia- “benefattori” che li “riqualificheranno profesre o restringere i programmi d’insegnamento sionalmente” a modo loro. secondo le proprie immediate esigenze proIn ogni caso il lavoratore dovrà presto duttive. Questo aspetto è tutto sommato a noi accettare un lavoro schifoso qualunque e rifamiliare. Cosa significhino i tirocini nelle aziende lo sappiamo già anche noi in Italia. cominciare nuovamente a lavorare per un Là dove vengono adottati, non solo nei set- nuovo padrone che a sua volta lo spremerà tori privati del commercio, dell’artigianato come un limone per poi licenziarlo al momene dell’industria, ma anche in alcuni settori to opportuno, in un circolo vizioso senza fine. pubblici come la sanità o la ricerca, i tirocini In sostanza ciò che già oggi accade a molti 8 Sindacalismo (gli attuali precari), domani accadrebbe a tutti (eccola l’equità sociale!). L’assegno di disoccupazione servirà a garantire la mera sopravvivenza fisica della forza-lavoro e il suo transitare da un lavoro precario e sotto-pagato a un altro altrettanto precario e sottopagato. Per altro anche la forza contrattuale dei lavoratori più anziani subirà inevitabilmente una drastica diminuzione. lo smantellamento dei contratti nazionali di lavoro accettando il sistema delle deroghe aziendali, espressamente previsto nell’accordo del 10 /1/2014.. L’inclusione di una Legge sulla Rappresentanza Sindacale nel progetto di Job Act, testimonia chiaramente l’intenzione di Renzi e del “nuovo” PD, di trasformare in legge le porcherie partorite dai sindacati istituzionali e dalla Confindustria. I lavoratori saranno sempre più inseriti un sistema di relazioni sociali integralmente auRivolta per l’alternativa! toritarie: schiavizzati dall’impresa, sottomessi A questo punto il cerchio si chiude. Con ai capricci del mercato e oppressi dallo Stato, l’annunciato Piano per il Lavoro, Renzi ed il che in cambio di un “tozzo di pane”, gli ordiPD vogliono portare a termine quel lungo pronerà cosa deve fare e come farlo. cesso cominciato con la sconfitta operaia alla Fiat del 1980. Si vuole rendere la precarieAltro capitolo del Job Act: la Leg- tà (già dilagante) una regola che non ammette eccezioni. Si vuole fare della formage sulla Rappresentanza Sindacale. zione professionale per i disoccupati un granUn terzo punto strategico del Job Act è la de serbatoio di forza-lavoro super-sfruttata. prevista Legge sulla Rappresentanza SindacaSi vuole restringere ulteriormente e se le. Tale proposta è pensata e partorita per dapossibile cancellare la libertà sindacale e di re una sponda legislativa ai due accordi sulla sciopero. rappresentanza sindacale recentemente firmaSi vuole cancellare il Contratto Nazioti da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria, validi per il settore privato (accordi del 31/5/2013 e del nale di Lavoro come strumento di solida10/1/2014). Due accordi che contengono terri- rietà e garanzia minima per i lavoratori. bili norme liberticide, che vanno a restringere In questo modo si avranno salari sempre più gli spazi dell’azione sindacale. Soprattutto è da fame, orari di lavoro sempre più lunghi, attaccata duramente la libertà di sciopero po- luoghi di lavoro sempre più insalubri, condinendola in alternativa ad ogni altro diritto sin- zioni di lavoro sempre più invivibili. dacale. In Ma questo destino non è ineluttabile. E’ pratica, secondo questi accordi, un qualsiasi possibile e necessario ribellarci, organizzarsi sindacato se vuole avere la possibilità di e lottare. Anche in questi anni di arretrameneleggere rappresentanti sindacali con relativi to, la lotta autorganizzata degli sfruttati ha diritti (assemblea, permessi, affissione, propa- dimostrato in alcune occasioni che si possoganda, eccetera) deve: a) firmare un impegno no ottenere dei risultati e che si può ancora a non scioperare contro i contratti/capestro riuscire a far cambiare la direzione del vento. firmati da Cgil, Cisl e Uil; b) sottoscrivere Lo hanno dimostrato recentemente le lotte dei 9 lavoratori della logistica, gli scioperi radicali dei tramvieri, le lotte degli ospedalieri milanesi. Lo dimostra ogni giorno il movimento di occupazione delle case. Noi anarco-sindacalisti siamo e saremo dentro il movimento di resistenza degli sfuttati per costruire una alternativa aurogestionaria, egualitaria e libertaria al tetro futuro a cui vecchi e nuovi piazzisti della politica vogliono condannarci. Note (1) La Riforma Fornero, il cui pieno regime è previsto nel 2017 , elimina per altro in un sol colpo la cassa integrazione straordinaria (CIGS) e l’indennità di mobilità, riducendo i tempi per i quali i disoccupati godono dei sussidi. (2) E’ bene ricordare comunque che anche nella “ricca” Germania esistono 7 milioni di cosiddetti mini job con salario inferiore ai 450 euro Lotte No Tav: verso il corteo del dieci maggio di Luca Il movimento contro la costruzione della Torino-Lione, Linea Alta Velocità Alta Capacità, è un movimento che ormai da oltre un ventennio resiste ad una grande opera, che come molti studi dimostrano(1) ha un forte impatto ambientale, sociale ed economico sul territorio. Il movimento ha sperimentato molte forme di resistenza e ha mostrato come una enorme varietà di soggetti attraverso la partecipazione diretta e utilizzando forme orizzontali di organizzazione, sia capace di rinnovarsi e rispondere in modo sempre diverso ai sostenitori dell’opera che con ogni mezzo hanno tentato di reprimere la resistenza popolare. Nel corso dei vent’anni passati le forme di repressione che sono state utilizzate sono molteplici e vanno dalla persuasione alle manganellate sui manifestanti in molteplici occasioni. Quanto si può registrare negli ultimi tre anni e mezzo è però un salto di qualità nell’utilizzo delle forze repressive di notevole rilievo. Infatti, dopo l’esperienza della Libera Repubblica della Maddalena, attraverso l’autogestione dei terreni nei quali doveva sorgere il cantiere della Maddalena di Chiomonte per la realizzazione del tunnel geognostico, si è assistito ad una progressiva militarizzazione del territorio. In seguito alla militarizzazione e alla fortificazione del cantiere, con l’uso di reti metalliche su basi di cemento, la macchina repressiva non ha comunque toccato il suo picco. Infatti, è stata mossa l’accusa di terrorismo con l’applicazione da parte della procura dell’art. 270 sexies, “Attentato con finalità terroristiche, atto di terrorismo con ordigni micidiali ed esplosivi, oltre che detenzione di armi da guerra e danneggiamenti”. Ricordiamo che il fatto a cui si intende applicare tale giudizio concerne il danneggiamento di un compressore all’interno della zona militarizzata. I quattro compagni no Tav accusati di aver compiuto il fatto avrebbero quindi danneggiato l’immagine dell’Italia a livello internazionale, dato che l’opera pubblica in questione assume rilievo internazionale, inserendosi nel famoso corridoio cinque, di cui ad oggi quasi non abbiamo traccia della sua realizzazione in nessuna parte dell’Europa. (2) Il processo ai quattro compagni inizierà il 22 maggio prossimo, ma già il 15 si terrà l’udienza che dovrà stabilire la pertinenza di muovere tale accusa (3). Intanto il movimento non si piega e dopo aver dimostrato per l’ennesima volta l’intelligenza di lottare in più arene contemporaneamente, dalle aule di tribunale al bosco, passerà per la piazza torinese con il corteo nazionale del 10 maggio prossimo. Inoltre, come spiegavano alcuni avvocati durante il convegno del 7 dicembre 2013, tenutosi a Bussoleno, dal titolo “Diritto alla resistenza”, il salto di qualità non è dovuto solo all’evoluzione nella gravità delle accuse e dei reati contestati ai no Tav da vent’anni a questa parte, ma è rintracciabile anche in tanti aspetti procedurali dei processi contro il movimento. Ciononostante, i No Tav continuano la loro lotta ed infatti il 10 maggio si terrà a Torino una manifestazione dove i compagni e le compagne rivendicheranno il diritto di resistere. “Colpevoli di resistere!” è infatti il titolo del tour che i diversi attivisti hanno intrapreso in diverse città italiane per sensibilizzare ed invitare alla manifestazione. Il 10 maggio il ritrovo è alle 14h in piazza Adriano a Torino. Invitiamo dalle colonne di questo foglio alla partecipazione di tutti e tutte. Contro i manganelli e le armi della repressione che costringono quattro esseri umani all’isolamento con l’accusa di aver danneggiato un macchinario da lavoro; contro chi vuol devastare territori in nome di profitti per partiti e/o mafie di ogni sorta; contro lo Stato che in un crescendo di riduzione di diritti sostanziali mostra sempre più il suo arrogante volto violento e autoritario. Sono queste le riflessioni che da un punto di vista anarchico sembra necessario evidenziare per contribuire, come i compagni anarchici/che hanno fatto da quasi un ventennio, alla lotta No Tav che ormai non è più solo lotta contro una grande opera ma anche contro un sistema che opprime territori, classi sociali subalterne e vite umane. Colpevoli di resistere! “Tutti sogniamo che la rabbia popolare, la rabbia di chi sta respirando le polveri venefiche di quel cantiere, possa spazzarlo via una volta per tutte”(4). Note (1) http://www.notav.e u/article-print-5907.htm l) (2) Luca Rastello, Andrea de Benedetti, Binario morto, Chierelettere 2013 (3) http://torino.repubblica.it/cronaca/2014/04/23/ news/attentato_al_cantiere_tav _la_cassazione_decider_se_stato_terrorismo-84223700/ (4) http://anarresinfo.noblogs.org 22 Febbraio 2014 : solidarietà No Tav da tutto il mondo di Mako Il 22 febbraio 2014 si è tenuta la giornata nazionale No Tav con manifestazioni e presidi in Val di Susa e in tante città italiane, per ribadire il nostro no alla costruzione dell’alta velocità Torino-Lione, e per solidarizzare con tutti gli indagati/e e arrestari/e tra cui Chiara, Niccolo, Claudio e Mattia, accusati di terrorismo per aver distrutto dei macchinari per la costruzione di questa abominevole opera. La solidarietà non è arrivata solo dal Bel Paese, bensì da altri paesi del mondo come Turchia, Francia , Grecia e Messico. Nella notte del 20 febbraio i compagni del ELF (ELF- FAI/IRF), hanno dato alle fiamme un escavatore all’interno di un cantiere in una foresta del nord del paese, all’interno della regione di Poyraz (Istanbul), contro i progetti di devastazione e cementificazione voluti dal governo Erdogan . L’azione è stata dedicata a tutti i compagni ecologisti caduti, prigionieri o in fuga di tutto il mondo, tra cui la resistenza No Tav e sopratutto Chiara Niccolo, Claudio e Mattia . Il 22 febbraio a Città del Messico, sotto il monumento che celebra la rivoluzione messicana del 1910 dove da vari giorni si trova il presidio permanente dei maestri messicani che si oppongono al progetto devastatore di nuove riforme educative del presidente Pena Nieto e dai suoi sgherri, i compagni/e del P.I.R.A.T.A (plataforma internacionalista per la resistencia y la autogestione tejliendo autonomia), hanno partecipato con uno striscione e volantini, ribadendo la loro solidarietà al movimento no tav, alla resistenza delle comunità zapatiste attaccate da incursioni da parte 10 dei para militari del governo messicano, e alla lotta degli ZAD in Francia. In Grecia i compagni/e sono scesi in piazza Monastiraki (Atene), organizzando un presidio di solidarietà con il movimento No Tav e per la liberazione dei 4 anarchici arrestati in Italia . L’8 febbraio, a Toulose, in Francia, è stato appeso uno striscione in solidarietà con la lotta No Tav e gli arrestati del 9 dicembre, con su scritto “libertà per i prigionieri No Tav - terrorista è lo stato”, da parte degli attivisti/e della lotta ZAD, contro la costruzione del nuovo aeroporto di Notre Dame Des Landes. NO ALLA TAV, TERRORISTA È LO STATO! Internazionale Nuovi venti iberici di patriarcato Un quadro generale sulle nuove riforme che il Partido Popular sta elaborando per far girare le ovaie alle spagnole di Denise Feto vs Mujer aborto come “attentato alla Patria”. A livello sociale la donna veniva ancor più perseguitata e stigmatizzata per il crimine e reato commesso. Gli aborti venivano realizzati nella più assoluta solitudine, clandestinità e rischio per le gestanti (chiaramente di classi inferiori, con poche risorse economiche), che dovevano abbandonarsi alle mani di un “esperta” de ai suoi preparati spesso tossici che portavano, in non poche occasioni, alla morte o a problemi fisici temporanei o cronici per il corpo delle stesse. Quando una donna senza molti mezzi economici veniva sorpresa con una emorraggia “sospetta”, veniva incarcerata e sottoposta a quarantena, fino a quando un medico forense non decretava dall’alto del suo bel camice bianco se si trattava di aborto naturale o indotto. I settori ultraconservatori cattolici spagnoli esultano e brindano al ritorno in auge del modello della famiglia tradizionale e della donna “angelo del focolare”. Dopo i pesanti e ripetuti tagli del governo del Partido Popular a tutti i settori della spesa sociale, con l’aiuto della crisi occupazionale e l’aumento della disparità salariale tra uomini e donne (23%), quest’ultime ritornano al posto gerarchico che le compete e presto anche pronte a sfornare prole per i loro pater familias, grazie al ministro della giustizia, ormai noto come Don Gallardón. Il paladino dei bambini non nati ha redatto una nuova Riforma sull’aborto, approvata dal Consiglio dei ministri lo scorso Dicembre 2013 ed ora in fase di valutazione alle Camere. Se la Riforma verrà approvata, sarà possibile abortire solo in due casi eccezionali: concepimento a seguito di violenza sessuale (entro le 12 settimane) e pericolo di vita e salute psichica della donna (entro le 22 settimane). In entrambi i casi si apre per le donne una vera “via crucis”: l’accertazione dell’eccezione prevista per legge dovrà passare in primo luogo per una visita ginecologica per confermare la gestazione; successivamente per l’autorizzazione di due psichiatri, che non esercitino nello stesso centro e che diagnostichino lo stesso tipo di distrurbo mentale della qui presente signora tal dei tali, in due consultazioni separate e successive l’una all’altra; completando il tutto con l’obbligo di 7 giorni di riflessione, prima di confermare la propria decisione di abortire e con il consenso firmato di entrambi i genitori nei casi di minori di 17 anni. Già nel nome, la “Legge per la protezione del concepito e dei diritti della donna” racchiude un ossimoro carico d’ipocrisia che relega la donna a mero strumento della maternità ed al ruolo passivo di vittima dell’aborto per mano di sadici medici (probabilmente atei). donne, che sono vittime dell’aborto. Così difendiamo i più deboli..”. Davanti allo sconcerto e rifiuto da parte dell’ 80% degli spagnoli ad una Riforma che riporta quasi alle condizioni che vigevano durante il franchismo, gli ha subito fatto eco la sua vice presidente, la pia Soraya Sàenz de Santamarìa dalle pagine de El País sostenendo che “l’aver presupposto come condizione legale per l’aborto la malformazione del feto” (attuale legge sull’aborto del Governo Zapatero, 2009), “consegue alla realizzazione di aborti eugenetici, che ci riporta alla memoria infausti periodi della Storia, in cui vi erano persone che sostenevano di sopprimere le ‘vite che non sono vite’ e le ‘vite che sono un peso’, ossia i nazisti”. La giovane Santamaría (mai cognome fu più azzeccato), scomodatasi in una lezione di Storia contemporanea, si dimentica di una parte importante della storia del suo Paese, da lei non vissuta quanto il nazismo, in cui il proibizionismo assoluto dell’aborto ha ucciso indirettamente ed incarcerato migliaia di donne spagnole, nel tentativo di esercitare il proprio diritto di scelta riproduttivo. Escluse le due eccezioni, la legge infatti prevede la pena per il reato d’aborto ricadere Aborto in Spagna nelle decadi sui medici che li realizzano o li favoriscono, con privazione della libertà personale fino a precedenti 6 anni e divieto assoluto ad esercitare la proIn merito al disegno di legge del PP in fessione. Lo stesso Guillardón ha dichiarato molti hanno rievocato l’era franchista rispetalla stampa che “..non è mancanza di fiducia, to a dettami e modelli imposti, repressione e quello che facciamo è dare più garanzie alle conseguenze in materia di aborto. A livello giuridico, come molti regimi fascisti , il Codice penale franchista contemplava il reato di 11 Successivamente in Spagna venne approvata, nel 1985, una sostanziale depenalizzazione dell’aborto, con una legge che prevedeva l’atto non punibile in tre casi specifici: per evitare un grave pericolo per la vita e la salute fisica o psichica della donna (senza limiti di tempo); a seguito di violenza sessuale (entro le 12 settimane di gravidanza) de in caso di malformazioni fisiche o psichiche del feto (entro le 22 settimane). Il governo socialista optò per una parziale depenalizzazione, non riconoscendo alcun diritto riproduttivo alla donna. Nonostante questo la Chiesa cattolica de i nostalgici franchisti insorsero, predicando un futuro nefasto di omicidi di innocenti e disintegrazione sociale, come se reprimere e sopprire milioni di persone in nome di una fede o ideologia sia legittimo de auspicabile, mentre abortire un feto l’apocalisse. Per i successivi 23 anni, la legge del ‘85 è stata accettata pienamente a livello sociale, esclusi chiaramente i settori cattolici e conservatori, e ritornata al centro del dibattito politico spagnolo solo durante il governo Zapatero. Da una parte ritornarono alla carica gli irriducibili gruppi antiabortisti, sostenuti dall’Opus Dei e movimenti provita, dedicandosi a manifestare e perseguitare donne, medici e cliniche che praticavano l’aborto, mentre dall’altra i gruppi femministi esigevano il riconoscimento della possibilità di abortire come diritto: diritto a decidere sulla propria sessualità, possibilità di maternità e diritto all’autonomia sul proprio corpo. Sostenendo in sostanza di poter abortire senza dover dichiarare di avere alcun problema psichico o fisico (il 97% degli aborti eseguiti dal 1985 sono stati eseguiti perché le donne si dichiaravano “insane di mente”) e richiedendo una totale legalizzazione dell’a- Internazionale borto, de in generale alle questione annesse a le diritto dovranno elemosinare tra amici e pa- che dentro i codici del castigo si riversino tutti renti per pagarsi il tristemente noto “Viaggio i residui patriarcali possibili. sessualità e maternità. Nel febbraio 2009 il governo socialista a Londra”, che non tutte possono permettersi. La famiglia tradizionale sostenuta dal pilastro imperativo dell’eterosessualità permette da tempi immemori la riproduzione al suo interno di elementi strutturali tanto cari al capitalismo, come la gerarchia o la divisione sessuale del lavoro; chi disobbedisce a tali imperativi debe essere stigmatizzato, ostracizzato, punito o privato di un diritto naturale, come quello di procreare. I collettivi lesbo rivendicano il loro diritto alla maternità, che le viene negato dalla società macista dell’etePer quanto molte donne acclamarono la ropatriarcato. Per completare il quadro però, manca la Legge voluta dai socialisti, amaramente permase il non riconoscimento del diritto a de- firma dell’artista: Don Gallardón si preoccupa cidere sui propri corpi, sempre sottomessi al di riportare le donne al loro focolare, da bracontrollo de alla legalità dell’apparato statale, ve mogli, madri e sante che incassano pugni diritto per il quale le femministe hanno conti- del marito senza fiatare. L’ambizioso ministro nuato la loro lotta nonostante la Riforma del profamiglia sta infatti elaborando la modifica 2009, ancora ignare dell’oscuro orizzonte che del Codice Penale, di cui la Riforma dell’astava per abbattersi sui loro uteri con la suc- borto fa parte. All’interno di questa riformulazione si situa la proposta de “La nuova cessiva legislatura del Partido Popular. legge per la sicurezza cittadina” che in alcune disposizioni ricade in particolare sulle donne, Non solo aborto contemplando ad esempio infrazioni amminiIn seguito alla approvazione del disegno strative gravi per le lavoratrici sussuali (fino a di legge al Consiglio dei Ministri, con molte 30.000 euro di multa), per il fatto di esercitare discrepanze d’opinione all’interno dello stes- la professione in spazi “utilizzati da minori” so Partido Popular, in tutto il Paese i movi- ed in luoghi “dove si ponga in pericolo la viamenti femministi sono partiti alla carica con bilità”. Questo può comportare, in pratica, che presidi, manifestazioni de autorganizzandosi tutte le lavoratrici sessuali che esercitano nei in azioni collettive e di singole: come inca- pressi delle strade siano penalizzate. Altre motenanamenti periodici alla Sagrada Familia a difiche che colpiscono specialmente le donne Barcellona e istituzione di registri aperti alle sono quelle in relazione alla “Legge Organica donne per dichiarare la proprietá sui propri di Misure di Protezione Integrale Contro la corpi, come avvenuto a Saragozza. Il deten- Violenza di Genere”, la quale rielaborazione tore legittimo della forza ovviamente non è cancella dal codice penale il concetto di “viorimasto a guardare e da alcuni mesei si susse- lenza di genere” e depenalizza le minacce e guono le detenzioni, identificazioni e minacce la coercizione verso le donne, classificandola alle donne che partecipano a manifestazioni come reato minore. Inoltre si propone che le de azioni contro il governo dei corpi da parte aggressioni commesse davanti a figli e figlie dello Stato, come a Palma, Siviglia, la Bisbal non vengano più considerate come aggravanti de Renes, Sabadell, de in molte altre cittá spa- (come previsto attualmente), e con una pena che potrebbe essere in qualche caso, solo di gnole. Parte del movimento femminista pe- una multa. Giá attualmente in casi di violenza rò concentra la sua azione contro la riforma quando le donne sono le carnefici, non si tiene dell’aborto, tralasciando momentaneamente in conto o hanno poco peso le condizioni relaal margine altre questioni connesse ai dirit- zionate con il ruolo di genere, mentre invece ti sessuali e riproduttivi della donna. Una di quando le donne sono le principali vittime di queste è la discriminazione dell’accesso alla reati commessi soprattutto da parte di uomini, riproduzione assistita nel sistema pubblico, si vedono questionate, e vengono sollevati soalle donne senza un compagno. Argomento spetti concreti sulla loro condotta. approvò la nuova Riforma sull’aborto che aboliva la necessità di giustificazione e spiegazioni da parte della donna per ricorrere a tale atto, ma ponendo al tempo stesso limiti legali per la sua esecuzione: entro le 14 settimane di gravidanza; fino a 22 in caso di pericolo di vita per la madre e/o il feto e senza alcun limite di tempo in caso di gravi anomalie del feto. Altra novità introdotta dalla Legge fu la possibilità di abortire senza l’autorizzazione dei genitori dai 16 anni d’età. questo a livelli di eresia nella nostra “laica” Repubblica, ma in Spagna socialmente e legalmente accettato, cosí come i matrimoni fra persone dello stesso sesso e le coppie di fatto (che recentemente hanno raggiunto la parificazione giuridica con le coppie sposate). Con questo quadro si delinea un futuro in cui coppie lesbo e madri single dovranno per forza presentarsi alla clinica con un pater familias per reclamare il loro diritto a procreare, mentre altre donne che non vogliono esercitare ta- La produzione del Diritto è sempre stata in mano al potere, sostenenuto dalle relazioni della dominazione eteropatriarcale e la visione androcentrica della società. Per tanto, se teniamo conto che il Diritto colpisce specialmente gli strati più discriminati, non è strano 12 L’innata debolezza femminile Indipendentemente dalle idee e dal giudizio individuale di chi legge, è innegabile come con la Riforma dell’aborto e del Codice penale (riguardo alle questioni femminili) si legiferi su questioni concernenti alla donna, mentre quest’ultima rimanga completamente assente dal dibattito, se non come vittima o equiparata giuridicamente a un minore. L’aborto in particolare è il punto d’appoggio di una lotta ideologica più ampia che mette in gioco le questioni della famiglia, della maternitá e della sessualitá delle donne. Per questo le politiche in materia, o per meglio dire le politiche del controllo in materia, sono di fondamentale importanza per le donne, incluse quelle che decidono di non abortire, perché determinano lo status di tutte, riportando la donna al suo posto di paria sociale sottomesso al volere de alla clemenza dell’uomo. Il fratello maggiore del capitalismo, il patriarcato, riafferma così l’inferiorità delle donne riguardo a capacitá e caratteristiche innate: le donne devono essere controllate, istruite de accompagnare nelle decisioni. Questa infantilizzazione della donna da parte del patriarcato non solo si afferma all’interno delle decisioni inerenti alla famiglia (tradizionale, ovviamente), ma anche rispetto ai cicli biologici del suo corpo e decisioni in merito, in questo caso il “sapere scientifico” prende parola e potere decisionale sul giusto o sbagliato per le donne in temi come parlare e vivere la sessualità, il piacere, il desiderio, la riproduzione o l’aborto (per non parlare della “salute mentale”). Con tali riforme si disegna quindi una donna incapace di intendere, di volere e di poter decidere, sottomessa con la forza da decisioni altrui e bisognosa di un tutore per poter decidere sul proprio corpo. Si condanna e discriminano forme di sessualitá e comportamenti non in linea con l’etero-patriarcato, e con i valori cattolici. Si obbligano le donne a procreare o a dichiararsi pazze “pluricertificate” (o ad emigrare). Per tutto questo le spagnole continuano a scendere nelle strade esigendo la completa depenalizzazione dell’aborto e di tutte le questioni concernenti la maternitá e la sessualitá, contro la “Santa Alianza de Iglesia y Patriarcado Capitalista” che vogliono imporsi sulle loro vite de i loro corpi come una specie di “Reconquista” inquisitoria. Per tutto questo non si stancano di gridare contro gli uomini che vogliono decidere sui loro uteri“Aborto Libre y gratuito, fuera del Codigo Penal” e “¡¡Fuera los rosarios de nuestros ovarios!!”. Filosofia e Anarchia Il metodo anarchico? Ovvero, cosa rispondo a chi mi chiede come funziona l’anarchia di Gianluca Tratto dal seminario “Filosofia e Anar- Brissot usava il termine in senso negativo, bile stabilire cosa sia, se non oggettivamente, cioè come assenza di leggi2. almeno inter-soggetivamente, connaturato chia”, tenuto a Pisa il 2 aprile 2014 Preferisco il termine corretto: A-crazia all’essere umano, come sia il bene e cosa il (a-kratos), ovvero assenza di dominio e di au- male. Purtroppo di solito convincendo della torità. Quindi il problema non è l’assenza di bontà di questi principi facendoli derivare da Abstract: la classica difficolleggi o regole quanto l’assenza di una autorità qualche divinità (quindi di fatto sconfessando tà di molti anarchici è sempre che possa imporle. A questo punto il difficile è che all’uomo sia dato giustificarseli da solo). rispondere all’annosa questione: spiegare come possano darsi leggi se nessuno Che sia comunque un uomo o Dio a imporceli come funziona l’anarchia? Chi questo contraddirebbe la mia ipotesi iniziale, le impone. governa? Chi fa le leggi? Come? e cioè che l’acrazia sia la possibilità di darsi Nessuno fa leggi? E allora tutti una società senza autorità e quindi dobbiamo Etica e sofismi fanno come vogliono, è il caos, cercare questi principi in altro modo. Gli argomenti che si possono sviluppare il disordine, la barbarie! A lungo Il problema resta nel rapporto tra principi sono almeno tre: etica, politica e bioetica. Per e regole: si stabiliscono prima i principi (e cola mia riflessione è stata non nel semplicità e brevità di solito scelgo il primo. me?) e si deducono le leggi, o sulla base delle cosa dire ma nel “come” dirlo: come spiegare che una società libera non può essere disegnata, progettata, fissata una volta per tutte ancora prima che essa sia realizzata da quegli uomini che liberi in quella società vogliono mantenersi? Ho provato cercando idee, spunti e parole nella storia della filosofia classica e questo è il non riuscito (e vedremo volutamente perché) risultato Ho già parlato di etica in questa rubrica (Kronstadt, numero di maggio 2010) in un contesto più ampio di filosofia pratica e come scrissi essa è comunemente ritenuta qualcosa che assomiglia ad un sistema di divieti e prescrizioni, leggi e punizioni, se non fisiche almeno spirituali oppure, anche peggio, come un sistema ideale ma nella pratica inefficace mentre un giudizio etico che non ha efficacia in pratica non ha nemmeno senso chiamarlo etico, dal momento che compito dell’etica è proprio quello di guidare la vita pratica. Seguendo Aristotele invece descrivevamo l’etica come una scienza che, dati dei principi (che Idola Fori non è scontato avere), prescrive di agire in co3 Intanto cominciamo con il dire che il pro- erenza ad essi, come una scienza deduttiva . Ma allora quali sono questi principi? blema è anche nel termine stesso “Anarchia”. In senso positivo (cioè di descrizione di conRousseau (che non è certo anarchico) indizioni di una data società) è relativamente dica la morale come una delle arti, insieme alrecente (il primo credo sia stato Proudhon la geometria (per la divisione della proprietà) ad usarlo1) e quindi il suo significato (positi- e l’eloquenza, per convincere gli altri di cosa vo) non è certo nel modo di pensare comune sia giusto e sbagliato), per regolare la vita in quando quello originale, usato per qualche se- società indicando in certi principi degli ordini colo in più: An-archè, ovvero assenza di prin- da perseguire con il fine di mantenere ordine cipio e quindi di leggi derivabili da esse. Le in società4. La morale ha quindi un obiettivo: leggi di cui si parlava originariamente erano stabilire cosa è buono e cattivo per dedurre rele leggi della natura, non certo quelle civili, gole di comportamento per il mantenimento di ma dal V secolo a.C in poi il trasferimento di un ordine. La filosofia etica ha spesso cercato significato è diventato quasi obbligato. Anco- di indicarlei con la pretesa (dunque assurda ra durante la rivoluzione francese il girondino secondo Rousseau) che per l’uomo sia possi- leggi che ci si danno si condividono principi? Che è come dire: la morale è deduttiva o induttiva? Provo a seguire il ragionamento di un altro sofista, Protagora, il quale sostenne (almeno a quanto ci racconta Platone5) che le leggi sono l’inveramento della natura umana. Cosa significa? Che per natura l’uomo non può non darsi regole, perché è sua natura vivere con gli altri uomini, ma dice anche che i contenuti di queste regole non sono scritte nella natura, ma sono convenzioni che si danno naturalmente (e necessariamente) coloro che vivono insieme. Detto meglio: non sono libero se darmi regole, ma sono libero di scegliere che regole darmi. Se esiste qualcuno che possa stabilire di principio cosa sia l’essere umano per natura e cosa sia dunque per lui, universalmente, cosa siano il bene e il male, allora sulla base di quei principi posso dedurre tutta la morale e leggi necessarie che voglio, ma se accetto il principio di essere solo un uomo (Socrate6) e non un Dio, allora la ricerca di quei principi dovrà essere fatta solo da coloro che le regole se le danno, e senza la pretesa che valgano sempre, per tutti e ovunque, cioè anche da chi quelle regole non se le è (necessariamente) scelte. Accetto, invece, solo che valga sempre il principio secondo il quale esse siano fatte da coloro che se le danno. Il Mito del Buon Selvaggio Sempre Rousseau prova a contrastare alla morale come tecnica un’altra morale, che chiama naturale7, la quale avrebbe come unico principio quello di perseguire il soddisfacimento dei bisogni naturali (gli unici necessari), come da sempre sostengono scettici, epicurei e stoici, chiedendosi come sia stato 13 Filosofia e Anarchia di quell’ordine e di questa libertà limitata che esso dovrebbe garantire: come dire, per essere libero devo seguire principi imposti per tutti e deve esserci anche una forza coercitiva che mi obblighi a farlo. Lo Stato diventa una necessità naturale al posto dei bisogni: se la società è naturale, come abbiamo detto con Protagora, allora lo è anche lo Stato? Se così fosse allora possiamo parafrasare Antifonte9 e dire che per questo è “meglio una cattiva legge che nessuna legge”. Ma se una cattiva legge è quella che per far rispettare l’ordine mi impedisce di soddisfare i miei naturali bisogni? Posso seguirla? Ho l’obbligo di seguirla? Sarà per questo che Crizia ha anche aggiunto: “dove non arrivano le leggi, arrivano gli Dèi”10. possibile costruire società i cui precetti morali sembrano andare nella direzione opposta del soddisfacimento di questi bisogni. Mangiare è facile, sosteneva Epicuro: hai fame? Mangia! Qualcosa che dovrebbe essere naturale, facile da soddisfare, sembra essere ostacolato dalla morale stessa della civiltà moderna: Hai fame? Lavora! Il lavoro diventa quindi un obbligo morale. Si lavora per soddisfare bisogni che dovrebbero essere naturali ma questo crea bisogni che non sono più naturali e si lavora di più per soddisfarli e alla fine si lavora e non si ha il tempo di pensare al soddisfacimento dei propri bisogni8. Il liberalismo impone quindi una libertà negativa, ma possiamo formulare una sua definizione positiva? Qui è possibile citare Bakunin: «Io non sono veramente libero che quando tutti gli esseri umani che mi circondano, uomini e donne, non sono ugualmente liberi». Liberi di cosa? Di decidere, da umani, che non potendo trovare principi, leggi e regole che siano universalmente validi, decido di cercarli e condividerli solo con chi è disposto a farlo con me. Come funziona l’anarchia? Torniamo alla domanda da cui siamo partiti: come funziona l’anarchia? Chi governa? Chi fa le leggi? Se avessi questa risposta avrei la risposta alla domanda: cosa è giusto e cosa è sbagliato? Sarei, citando Socrate, un dio e non un uomo (e quindi avrei l’autorità per farlo). Ma Cosa manca in tutto questo? La libertà. La essendo solo un uomo non posso che cercalibertà di poter almeno decidere se poter soddisfare i bisogni naturali. Una digressione sulla libertà porterebbe lontano ma qualcosa bisogna dire. La libertà è condizione necessaria per un’etica: se non sono libero di agire, non ha nemmeno senso pormi dei principi da seguire. Ma se non so quali sono i principi posso lasciare che mi siano imposti da qualche autorità magari spacciata da divinità? La libertà diventa condizione per poterli cercare, adottare e quindi appunto seguire. A questo proposito è evidente una delle contraddizioni della civiltà moderna: il pensare che si possa essere liberi in una società dove questa sia garantita da leggi e principi decisi universalmente per tutti per il soddisfacimento di bisogni che invece sono necessariamente personali. Questo è infatti uno dei cardini del liberalismo: ti dico cosa devi fare perché sia garantita la tua libertà: la classica libertà “limitata” (la mia finisce dove inizia la tua) sulla cui contraddizione non faccio commenti. Qui nasce di conseguenza la ritenuta necessità dello Stato, come bisogno di rendere coercitivo il rispetto 14 re le leggi migliori in un solo modo: condividendole con chi decido, con me, che deve rispettarle. Quindi quale la società più giusta? Quella che, una volta liberi, decidiamo di decidere come realizzarla. Se Anarchia significa assenza di dominio e quindi autorità, come posso io descrivere quale sarà la società che essa realizzerà? Che è un po’ come rispondere: non lo so come funziona! Non posso saperlo prima di decidere di essere libero. La filosofia è un atteggiamento, non una dottrina, quindi la risposta è non lo so, e proprio per questo possiamo realizzarla. Note 1. J. Prodhoun, Che cos’è la proprietà (1840) 2. Parlando a proposito degli Enragés (“Gli arrabbiati”) gruppo rivoluzionario molto attivo durante la rivoluzione francese, considerato molti una sorta gruppo proto-anarchico. 3. Aristotele, Etica Nicomachea 4. J.J. Rousseau, Discorso sulle scienze e sulle arti (1790) 5. Platone, Protagora 6. Questa è solo una parafrasi, tratta da Platone, Apologia di Socrate 7. J.J. Rousseau, Discorso sulle scienze e sulle arti (1790) 8. A questo proposito consiglio un’opera di Diderot in particolare: Supplemento al viaggio di Bouganville (1796) 9. Filosofo e drammaturgo greco, vissuto ad Atene tra il 480 e il 410 a.C. 10. Zio di Platone, uno dei trenta tiranni di Atene dopo la sconfitta della città subita da Sparta nella guerra del Peloponneso (404 a.C). Scienza e Anarchia Balle genetiche: sulla capitalizzazione e strumentalizzazione della genetica e della biologia evoluzionistica Di Marcello Il capitalismo non segue alcuna legge fissa; l’odierna società è liquida, ovverosia precaria in tutto: nei rapporti, negli affetti, etc., come sostiene da più di un decennio Zygmunt Bauman e la scienza è sempre più asservita alle logiche del profitto. Tutto ciò è più che condivisibile anche se come ho più volte detto la scienza per progredire ha bisogno della libertà più assoluta, in questo senso è un’impresa essenzialmente anarchica, non riconoscendo alcun vincolo alla sua attività, né alcuna autorità al di sopra di sé, neppure la ragione. La libertà è tutto ma le bufale che oggi affermano vari “sedicenti scienziati”, conseguentemente riportate da svariati quotidiani mainstream, hanno una eco troppo forte e rischiano di far molto rumore e di provocare sostanzialmente dei danni invece che “migliorare” la vita dell’uomo sulla Terra. Prendiamo ad esempio le ultime “scoperte” della genetica e le biotecnologie da essa derivate. Secondo alcuni psicologi del King’s College di Londra diretti da Robert Plomin le differenze nei risultati scolastici sarebbero altamente ereditabili cioè la variabilità dei voti a scuola sarebbe in larga parte attribuibile alla genetica anziché all’educazione scolastica, all’ambiente familiare e all’impegno personale. Il corredo genetico peserebbe per circa il 60% rispetto al 29% di un buon insegnante. Insomma, intelligenti si nasce e non si diventa. Questa diatriba è oramai consunta, altro che scoperta, e deriva da un famoso articolo di Jensen del 1969 in cui lo scienziato asseriva che l’intelligenza di una persona è principalmente da attribuire al corredo genetico e non a caratteristiche attitudinali, sociali ed educative. Negli anni Ottanta due famosi psicologi Eysenck e Kamin ripresero questo dibattito muovendosi accuse senza esclusioni di colpi. Il loro principale strumento d’indagine è stato il test QI (Quoziente di Intelligenza) un test società in compiti specifici predeterminati e altamente ambiguo capace di dimostrare, così a favorire una educazione personalizzata altamente classista e dai sapori fortemente eucome la statistica mal applicata, tutto ed il contrario di tutto a genetici. seconda dell’uso che se ne vuol fare. Infatti, è molto difficile in questi test “disaggregare” ciò che è stato acquisito da ciò che è innato. Secondo Eysenck l’intelligenza era da attribuire per l’80% alla genetica e per il 20% all’ambiente. Kamin muoveva accuse di superficialità e di razzismo alle tesi di Eysenck e dei suoi collaboratori. Certo, allora la mappatura del genoma umano non era nota e gli esperimenti non erano condotti essenzialmente su gemelli monozigoti, come invece fatto nella ricerca condotta al King’s College, ma tutti questi sforzi servirebbero a teorizzare una divisione della 15 Vediamo di fare una piccola analisi. La genetica ha avuto storicamente tre tipi di approcci: uno meccanicistico di tipo mendeleiano, uno di tipo stocastico che assegna al caso un ruolo preponderante, ed il terzo che vede nella storia e nell’interazione degli elementi che formano un organismo le basi essenziali della vita e del suo divenire. L’organizzazione ed il comportamento sociale si basano su leggi e regole che non contraddicono quelle biologiche (ad esempio l’evoluzione della vita comporta sia la differenziazione sia la trasformazione delle specie, con un aumento in genere della varietà dei tipi esistenti), ma sono anche diverse da esse. Inoltre, il comportamento collettivo non è interpretabile solo su quanto si sa sulla biologia evoluzionistica e sullo stesso comportamento animale (etologico). Allo stesso mdo, la trasmissione culturale si realizza in molti modi e può essere ben più rapida di quella biologica, in cui ogni novità viene trasferita dai genitori a pochi figli e deve attendere una nuova generazione per diffondersi ulteriormente. L’intelligenza è equidistribuita a livello basale, tutto il resto, tranne il caso del genio, è il prodotto di fattori sociali, e pedagogici. Quindi allora come ora tutto ciò implica la strumentaliz- Scienza e Anarchia Non siamo esseri biologicamente obbligati alla guerra, così come non siamo unilateralmente predisposti alla pace, ma siamo tutti incastrati nell’obbligo di valutare la nostra situazione umana il più onestamente possibile e di operare le scelte socialmente più giuste. Come anarchici siamo favorevoli ad una scienza libera, a saperi liberi, per una sottrazione di saperi mediati dal conflitto sociale, per una scienza atta a fini sociali capace di liberarci dal giogo del predominio, sicuri finalmente di camminare in un mondo di liberi ed eguali. Bibliografia AA.VV., Psicobiologia e potere, Feltrinelli 1977 zazione della genetica a scopi socio-politici ha portato avanti con forza l’idea che la violenza umana è sostanzialmente diminuita nei dominanti. Ancora più massiva è stata la diffusione tempi recenti. Anche se occorre affermare che la violendel concetto, da parte di alcuni biologi evoluzionisti, che l’uomo faccia la guerra istin- za, non ci soffermiamo sul piano strettamente filosofico del concetto, è una cosa e sicurativamente. Queste ipotesi nacque molto tempo fa nel mente è abbastanza diffusa nella società uma1924 proposta dall’antropologo Dart dopo na, altra cosa è una violenza di gruppo letale, la scoperta dei primi fossili di australopite- cioè la guerra. co descritti come degli assassini nati. Questa tendenza ha avuto molto proseliti nella dottrina cristiana diffondendosi così in ambiti molto differenti da quelli antropologici ed evoluzionistici come quelli filosofici e sociologici. La guerra diviene così ineluttabile, uno stato “cronico” della società umana: guerre tribali, guerre tra villaggi, guerre per il dominio. L’uomo sarebbe così condannato ad una perenne guerra istintiva. La bellicosità dell’uomo viene considerata talmente innata, sedimentata ormai nel patrimonio genetico, che un quesito del tipo “la guerra è istintiva?” susciterebbe quasi fastidio o ironia. L’uomo a differenza di molti altri animali non agisce solo di istinto, ovvero non ha comportamenti preordinati, ma le sue azioni sono mediate da scelte che possono essere di varia natura: culturali, sociali, di sopravvivenza. La storia dell’umanità dimostra quanto sia recente la guerra nella nostra storia evolutiva. Inoltre, lo psicologo evoluzionista Steven Pinker Quindi la verità è un’altra. Come dimostrato da studi recenti dell’antropologo Douglas Fry, il modo di vita predominante per la maggior parte della nostra storia evolutiva era quello dei cacciatori-raccoglitori nomadi. E nonostante queste genti indulgano nella loro parte di violenza interpersonale, la guerra intesa come violenza letale di un gruppo diretta ad un altro gruppo è quasi inesistente, essendosi manifestata solo con i primi surplus agricoli e l’elaborazione di organizzazioni tribali di scala più ampia, complete di un’etica del guerriero e di una leadership proto-militare. Il cosiddetto istinto guerriero non è innato nell’uomo ne un prodotto dell’evoluzione biologica, ma è un istinto artificiale mediato dalla società e rafforzato dall’educazione ed “imposta” da una società guerrafondaia e fondamentale prevaricatrice e sfruttatrice dell’uomo sull’uomo. Per dirla con Jean-Paul Sartre: gli esseri umani sono «condannati ad essere liberi». AA.VV., Voti a scuola: già scritti nel DNA, La Stampa 12 dicembre 2013 Bruce Alberts, Danny Bray, Julian Lewis, Martin Raff, Keith Roberts, James D.Watson, Biologia molecolare della cellula, Zanichelli 1996 Zygmunt Bauman, Moderrnità liquida, Laterza 2000 Marcello Buiatti, Le frontiere della generica. Il codice della vita fra scienza e società, Riuniti 1984 Marcello Cini, Un Paradiso perduto. Dall’Universo delle leggi naturali al mondo dei processi evolutivi, Feltrinelli 1994 Richard Dawkins, Il gene egoista, Mondadori 1989 Elena Dusi, “I voti a scuola sono scritti nel DNA”, ecco perché primi della classe si nasce, La Repubblica 12 dicembre 2013 Hans J. Eysenck, Leon Kamin, Intelligenti si nasce o si diventa?, Laterza 1993 Paul K. Feyerabend, Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, Feltrinelli 1979 Martin Gardner, Nel nome della scienza, Transeuropa 1999 Paul E. Hertz, Beverly McMillan, Peter J. Russell, Cecie Starr, Stephen L. Wolfe, Biologia evoluzionistica e biodiversità, EdiSES 2009 Jean-Jacques Kupiec, Pierre Sonigo, Né dio né genoma, Elèuthera 2009 L.A.S.E.R. (Laboratorio Autonomo Scienza Epistemologia Ricerca), Scienza Spa. Scienziati, tecnici e conflitti, DeriveApprodi 2002 Antonello La Vergata, Guerra e Darwinismo sociale, Rubbettino 2005 Marcello, Brevettare la vita. No, Kronstadt giugno 2010 seguici su www.kronstadt-toscana.org scrivi su [email protected] o [email protected] Le riunioni di Kronstadt si effettuano ogni Giovedì alle 19.00 presso il “circolo anarchico Kronstadt” in vicolo del Tidi 20, Pisa e ogni Venerdì alle 21.30 presso Spazio libertario Pietro Gori in via D. Minzoni 58, Volterra (PI) 16