Bassa risoluzione

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Bassa risoluzione
Foglio Anarchico e Libertario del gruppo Kronstadt Toscano
[email protected]
www.kronstadt-toscana.org
Maggio 2014
SONO 10 ANNI: BREVE STORIA DEL FOGLIO KRONSTADT
Kronstadt nasce dieci anni fa dalle idee di
un gruppo di compagn* di Volterra e di Siena
provenienti sia dal marxismo rivoluzionario
(in particolare dal luxemburghismo/consiliarismo), sia dall’anarchismo che, sulla base di
alcuni incontri avvenuti nei primi mesi del
2004, si riconoscevano in un comune pensiero e volontà di agire (nel rispetto di tutte le
sensibilità di cui ogni individuo è portatore),
decidendo di dar vita alla pubblicazione di un
foglio anarchico, libertario e socialista.
mento di diffusione del pensiero libertario e
di una attiva controinformazione. La partecipazione a queste manifestazioni permette
anche di entrare in contatto con organizzazioni ed altri gruppi anarchici ed individualità
presenti in Toscana ed anche nel territorio
nazionale.
Perchè questa pubblicazione? Per rispondere all’esigenza di sviluppare una concreta
attività politica e culturale nelle due località
utilizzando questo strumento per diffondere
le nostre idee.
Dopo qualche tempo, quando il gruppo
Volterra/Siena aveva già pubblicato i primi
numeri del Kronstadt e aveva cominciato a
farsi conoscere, entrano a far parte della redazione compagn* di Pisa e Pontedera che
condividono l’impostazione di fondo del
giornale. Si può dire che la pietra angolare
aggregante è riassunta nello stesso nome della testata/foglio.
Antecedentemente alla pubblicazione del
primo numero vengono diffusi nel corso di
alcune manifestazioni nazionali volantini a
firma Kronstadt, a testimonianza dell’importanza che il gruppo attribuisce fin dall’inizio
della propria vita allo “stampato” come stru-
Il significato della scelta del nome viene
spiegato fin dall’ editoriale del primo numero
pubblicato nel maggio 2004: “…Kronstadt è
il nome che abbiamo scelto per questo foglio
rivoluzionario, libertario e socialista, perché
quella vicenda così lontana la sentiamo attua-
le, in quanto rappresenta il bisogno e la capacità d’insorgere della gente sfruttata e ingannata, dei popoli oppressi, delle classi subalterne, dei reietti, dei violentati e dei dannati della
Terra di ogni epoca. Rappresenta la necessità
di ribellarsi all’attuale sistema del capitale e
dello stato, con le sue guerre, i suoi terrorismi, i suoi sfruttamenti e le sue oppressioni.
Rappresenta l’urgenza di costruire un mondo
migliore attraverso la lotta e la progettualità
rivoluzionarie, attraverso il libero pensiero e
il libero confronto, la socializzazione materiale e morale, l’autorganizzazione libertaria e
socialista senza servi né padroni…..…”
L’incontro naturale con i/le compagn*
di Pisa e Pontedera, con cui è stato costruito
un sodalizio sulla base di un comune sentire
All’interno
Riflessioni
»» Il pensiero unico della democrazia ovvero il totalitarismo democratico
»» No Gentrification
Sindacalismo
»» Il Job Act di Renzi: precariato 4
– dignità del lavoro 0
Lotte
»» No Tav: verso il corteo del dieci
maggio
»» 22 Febbraio 2014 : solidarietà No
Tav da tutto il mondo
Rubriche
»» Il metodo anarchico?
»» Balle genetiche: sulla capitalizzazione e strumentalizzazione della genetica e della biologia evoluzionistica
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Editoriale
nelle differenze individuali, ha portato poi a
“rifondare” il giornale. L’ingresso di quest*
compagn* nella redazione ha permesso al
Kronstadt di fare un importante salto qualitativo sul piano teorico e quantitativo nella distribuzione delle copie. E’ stata data una migliore organizzazione interna per tematiche,
una regolarità maggiore nelle pubblicazioni
(pur restando il foglio aperiodico) ed una veste grafica più fruibile. E’ rimasta e anzi accentuata l’impostazione di foglio proiettato
verso una dimensione “internazionale”. Sono
infine aumentate le collaborazioni scritte di
altre “penne” anarchiche e libertarie.
Il funzionamento della redazione è stato sempre orizzontale, ognuno ha scritto sui
temi che ha ritenuto più interessanti, con la
presenza di un editoriale discusso e condiviso da tutt* coloro che hanno fatto parte del
progetto (cercando per quanto possibile di
rispettare una turnazione della stesura dello
stesso). In ogni numero ci sono stati sempre
articoli scritti da compagn* di altre città che
hanno garantito un maggiore spessore politico e culturale.
Un altro terreno importante, oltre a quello editoriale, è stato inoltre quello, fin dagli
esordi, di coniugare la diffusione delle idee e
delle informazioni attraverso la distribuzione
del giornale, con l’organizzazione d’ iniziative (prima a Volterra e successivamente anche
a Pisa) di solidarietà attiva alle lotte internazionali di ispirazione libertaria.
Crediamo che il foglio abbia rappresentato uno strumento utile per non pochi/e compagn* anarchic* e libertar*, dal momento che
ha dato voce, ha raccontato varie esperienze e
movimenti sociali antisistemici in campo internazionale con l’obiettivo di fornire spunti
di riflessione per le nostre pratiche nelle lotte
in cui siamo coinvolti. Possiamo anche dire
che c’è un’area di simpatizzanti dell’anarchismo e in generale delle tematiche libertarie
che apprezza la pubblicazione.
A partire dai primi anni, il movimento
maggiormente seguito dal nostro giornale è
stato quello palestinese contro il muro dell’apartheid, a cui hanno preso parte attivisti internazionali e anarchici israeliani. Sul foglio
sono usciti nel tempo vari resoconti di quelle
lotte che lungi dallo spegnersi sono attualmente attive e radicate e continuano a sperimentare autorganizzazione e azione diretta
contro una delle maggiori forze militari del
pianeta.
Negli anni immediatamente successivi
all’esperienza palestinese è stata data ampia
copertura al movimento che dal Messico, nello stato di Oaxaca, ha rivendicato la caduta
del governatore e lo scioglimento dei poteri
dello stato per andare verso una rifondazione radicale del vivere associati, provando a
sperimentare una forma di autogoverno dei
popoli Oaxaqueñi. Il movimento insorgente,
esploso a seguito dell’estendersi della lotta
antigovernativa del sindacato degli insegnanti a tutte le istanze rivendicative presenti
nello stato, è stato duramente represso ma,
nonostante il suo affievolimento, non si può
parlare neppure in questo caso di scomparsa,
essendo quell’esperienza patrimonio collettivo dei popoli di Oaxaca che ancora oggi
combattono decine di lotte contro governi
locali, nazionali e imprese multinazionali che
sfruttano e depauperano i loro territori.
Questi sono stati due fra i principali temi
affrontati, ma non dimentichiamo la diffusione data alle lotte dei consiliaristi in Iraq durante le prime fasi dell’invasione statunitense
o le riflessioni critiche con contributi anche
diretti di compagni libertari sulle recenti rivolte nel medio-oriente .
Il movimento di contestazione sviluppatosi in Grecia ha costituito poi un campo di
grande interesse per noi anarchici dal momento che si è palesata, e si continua a manifestare, la sperimentazione di idee e pratiche
libertarie nelle lotte quotidiane. Lo stesso
dicasi – nella sua peculiarità e diversità - del
movimento plurale delle Occupy nord americane: da Wall Street ad Oakland passando
per Chicago. Esperienze sociali basate sull’azione diretta e la sperimentazione di forme di
democrazia diretta nei contesti cittadini che,
nonostante il ripiegamento dovuto alla repressione e alle contraddizioni interne, continuano in vario modo ad esprimersi.
Proprio il tema della sperimentazione, legato alle lotte che di giorno in giorno
emergono nella nostra sola “patria”, il mondo intero, ha costituito uno dei punti cardine
della riflessione che il nostro giornale ha voluto portare all’attenzione di altri compagni e
compagne come di tutti quelle lettrici e lettori
che ci hanno incontrato nelle piazze.
Nel far ciò un importante aspetto hanno
ricoperto i percorsi costruttivi dello zapatismo, che pur distanti dall’anarchismo in
molti loro aspetti, hanno costituito per noi un
movimento pratico e una speranza reale di
sperimentazione di un’altra società possibile,
contribuendo ancora oggi a farci riflettere anche criticamente sul nostro portato anarchico
e libertario in tutti i campi di azione e progettualità.
Il foglio si è naturalmente occupato anche di temi “interni” come la lotta contro i
CIE in Italia e in particolare in Toscana e la
lotta No Tav in Val Susa e con vari articoli delle lotte di classe contro lo sfruttamento padronale e burocratico, di mobilitazioni
antifasciste/antirazziste/antisessiste e di antimilitarismo, di lotte contro la repressione e
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contro la devastazione ambientale nei territori dove viviamo ecc…
Alcuni spunti d’analisi e progettuali
E’ evidente che i rapporti di forza sono
assai sfavorevoli al movimento anarchico e
libertario ed il nostro compito è estremamente arduo. E c’è anche sempre più bisogno di
risorse per diffondere con i giornali, riviste
e libri del movimento le idee e le esperienze
an-archiche. Il potere, in tutte le sue forme
tentacolari (specie quello massmediologico)
ha grandi mezzi per spargere mistificazione
ed omologazione oltre che, quando lo ritiene
necessario, repressione. Noi abbiamo dalla
nostra la sola possibilità di essere presenti
fisicamente e con le nostre idee nelle piazze
e nelle strade, nei quartieri delle città e nei
paesi dove ci si mobilita, nei posti dove avviene lo sfruttamento/oppressione delle classi subalterne, schierandoci contro l’ordine
vigente e la sua pervasiva industria culturale
dello “spettacolo”, provando a rompere l’alienante cappa massmediologica dominante
insieme a tutte le persone che contestano e
si oppongono. E’ determinante riuscire a far
passare in tutti i luoghi squarci di una visione
alternativa della realtà; ma ciò dipende molto
dalle lotte, dallo sviluppo di movimenti concreti che inizino a mettere in discussione lo
status quo. Di tali movimenti, rimanendo in
Italia, ce ne sono in vari contesti, però, salvo importanti e illuminanti eccezioni, ancora
in una situazione embrionale e di frammentazione generale, con la necessità dunque di
svilupparsi sul piano della soggettività e delle
pratiche e di mettersi maggiormente in rete.
Bisogna però fare i conti con la capacità dei
poteri vigenti di inoculare ad arte nei dominati fredda indifferenza o rassegnazione. In
risposta a ciò occorre alimentare dal basso e
in maniera diffusa una tensione utopica per
un altro mondo possibile, altrimenti è estremamente improbo cominciare a rompere la
“gabbia mortifera” del sistema. Assume pertanto centralità la questione della comunicazione alternativa, in particolare attraverso il
contatto e il confronto diretti con le persone
nelle varie situazioni, interagendo in maniera
aperta, dialogica e critico/costruttiva, antitetici rispetto ad ogni settarismo e autoreferenzialità manichea in quanto nell’anarchismo i
mezzi devono essere in sintonia con i fini.
Comunque, secondo noi, la centralità del
rapporto non mediato non esclude la rete telematica (e a maggior ragione, quando le forze
lo permettono lo strumento radio libere e libertarie) che sta offrendo - per ora e con tutti
i limiti e le contraddizioni del caso - nuove
possibilità per la comunicazione alternativa. I
due piani, quello caldo, empatico perché fisico e diretto e quello telematico, più distante e
Riflessioni
distaccato, possono non essere in contrapposizione, anzi la sinergia tra i due può dimostrarsi positiva, solo però se manteniamo la prevalenza del primo e l’accessorietà del secondo.
Proprio in tale direzione va lo sviluppo
della discussione sulla sperimentazione da
connettere alle lotte sociali autodirette che rivendicano migliori condizioni di vita per tutte
e tutti. Si tratta del concreto e diretto costruire, fin da ora, socialità “altra” nei territori e
nelle varie realtà: interazione fra produttori
e consumatori non necessariamente basate
sul binomio tipico del capitalismo venditore/
cliente; esperienze di educazione alternative
a quelle della lezione frontale; esperienze di
mutuo aiuto solidaristico, quindi destrutturando la relazione burocratica utente/fornitore, come ad esempio sportelli autorganizzati
di informazione/cooperazione per il diritto
all’abitare e alla salute; autorganizzazione di
spazi culturali come per esempio librerie e bi-
blioteche libertarie; spazi sociali occupati con
poliedriche attività socializzanti, ludiche e
politiche; le esperienze delle comuni agricole
autogestite e delle “fabbriche recuperate” in
maniera cooperativistica (vedi l’Argentina);
le varie forme di autoproduzione solidaristica
e realmente rispettosa della natura (antispecismo ed ecologia sociale) e tutte le altre forme
sperimentali di stare insieme e cooperare antiautoritarie o tendenzialmente antiautoritarie
nei vari contesti dell’esistenza societaria, che
costituiscono un ulteriore terreno di lotta pratico e costantemente in divenire. Un terreno
fatto di successi e fallimenti, visto nell’ottica
propria di noi libertari/e di non dare niente
per definitivo, ma di mettere le nostre idee, il
nostro patrimonio teorico e le nostre forze al
servizio dell’auto-emancipazione da tutte le
forme di oppressione, sfruttamento e violenza
attuate dal sistema dominante, contro le sue
devastazioni militariste e ambientali e contro
l’ideologia specista da esso riprodotta su larga
scala.
E’ chiaro che c’è bisogno, ad ogni latitudine e nel rilancio di un nuovo internazionalismo, di lotte estese e autorganizzate, costanti
e radicali, dotate di una forte progettualità da
parte dell’insieme degli sfruttati e oppressi
per realizzare rotture sociali complessive e
rivoluzionarie rispetto all’ordine vigente. A
tal proposito le molteplici sperimentazioni
“altre” (individuali/collettive) contro di esso
nella contemporaneità, riteniamo siano propedeutiche e sinergiche, possiamo dire strategiche, nel quadro di necessari e plurali processi
trasformativi dell’esistente, per un mondo
senza confini fisici e mentali, di libertà, solidarietà ed uguaglianza nella diversità delle
esperienze e dei percorsi di vita.
Il pensiero unico della democrazia ovvero il totalitarismo democratico
di Alberto
“Si chiama Stato il più gelido di tutti i gelidi mostri. Esso
è gelido anche quando mente; e
questa menzogna gli striscia fuori di bocca: “Io, lo Stato, sono il
popolo”.” (Nietzsche, Così parlo
Zarathustra, 1885).
Molto inchiostro è stato versato nei secoli da parte di filosofi, antropologi, attivisti
politici e semplici individui sul tema dello
stato, della sua origine, della sua natura e delle sue diverse forme e, per quanto riguarda il
movimento anarchico, della sua auspicabile
scomparsa.
Non ho pertanto la pretesa di scrivere
qualcosa di inedito o di straordinariamente
innovativo, ma è forte l’esigenza di fornire
spunti per una discussione sulle trasformazioni che negli ultimi decenni ha subito la
forma di governo dello stato che l’ideologia
dominante propaganda come il massimo garante delle libertà individuali e collettive: la
democrazia rappresentativa.
in discussione apertamente “questa verità
assoluta” mostrando i suoi terribili prodotti
(guerre globali, devastazioni ambientali mai
viste, miseria ed emarginazione in ogni parte
del mondo in contrapposizione alle ricchezze
indecenti che accumulano le classi possidenti), non debba essere preso in considerazione
in quanto quello che abbiamo è il migliore
dei mondi possibile.
Ma molto semplicemente ed andando alla radice, la democrazia non è altro che una
forma di governo che molto subdolamente è
stata utilizzata dalle classi dominanti capitaliste, adattandola e trasformandola in base
alle esigenze delle diverse fasi storiche, per
ingannare le classi dominate e subalterne facendo credere agli individui di essere liberi
di scegliere i loro rappresentanti attraverso il rituale del voto. In realtà il voto serve
La parola democrazia , nonostante gli
usi e gli abusi che ne hanno fatto e ne fanno, politici bugiardi (lo sono quasi sempre)
e demagoghi, tiranni e dittatori, provoca senza dubbio nella maggior parte delle persone
un’indiscutibile attrazione. Spesso non ne
viene intravista un’alternativa, quasi sempre non se ne colgono le sue caratteristiche
né, a maggior ragione, la sua essenza. E’ un
dogma indiscutibile l’affermazione che con
l’avvento delle democrazie occidentali le
libertà abbiano avuto un’espansione incredibile e che grazie alle stesse ci sia stata la più
grande diffusione di benessere tra i cittadini. Da ciò ne consegue che chiunque metta
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semplicemente a scegliere quali saranno gli
oppressori che decideranno le modalità esecutive del governo di turno ed in particolare a
comunicare le decisioni dettate dai potentati
economici.
Ora è vero che la democrazia rappresentativa per come si è affermata nel secondo
dopoguerra in occidente, non mostrava una
così evidente unilateralità nel difendere gli
interessi dei monopoli senza sfumature così
come la conosciamo ai giorni nostri. Non era
effettivamente sempre la stessa linea politica quella posta in essere dai vincitori delle
elezioni: esistevano governi di sinistra (che
spesso vincevano le elezioni al culmine di
forti movimenti popolari) che attuavano scelte politiche più propizie alle classi subalterne
e governi di destra che erano direttamente
legati agli interessi delle classi possidenti.
Riflessioni
L’inganno era forse più viscido e sortiva spesso l’effetto di convogliare le lotte più radicali,
spuntandone la forza eversiva, verso la cerimonia elettorale attraverso partiti comunisti e
socialisti e sindacati dagli stessi diretti. E lo
stato aveva bisogno di tali istituzioni, partiti
e sindacati che compiacenti recitavano la parte dei “difensori del popolo”, per non dover
impiegare solo la forza repressiva di polizia
ed esercito, anche perché le democrazie occidentali dovevano apparire meno totalitarie
rispetto ai paesi del Patto di Varsavia e alla
Cina. Ma d’altra parte c’è da riconoscere che
la somma totale del prelievo effettuato attraverso le tasse veniva dagli stati destinata in
quota maggiore, rispetto all’attualità, alla
salute, alla previdenza sociale, ai trasporti,
alla manutenzione del territorio ed all’istruzione (fermo restando che le quote più rilevanti venivano utilizzate per l’acquisto degli
armamenti, erogate a favore degli apparati
industriali e le banche e per il mantenimento
dell’apparato burocratico statale).
Ma a partire dagli anni ’80, a partire dai
governi Thatcher e Reagan, con l’applicazione selvaggia delle teorie neoliberiste (o più
correttamente neomonopoliste), la caduta di
buona parte dei sedicenti regimi comunisti, lo
sviluppo di nuovi sistemi di controllo (massmediologico ed informatico), le democrazie
hanno cambiato vestito, mostrando il volto
crudo del Leviatano: lo stato e le sue istituzioni, detentore del monopolio della violenza
e strumento sempre necessario per la difesa
degli interessi dei monopoli, delle multinazionali, della finanza e delle banche (che peraltro
utilizzano anche le altre istituzioni internazionali, dall’ONU e le sue ramificazioni, al
WTO, alla Fondo Monetario Internazionale,
alla Banca Mondiale, alla organizzazioni regionali come la Comunità Europea ecc.).
Sono perciò state aggiornate le legislazioni nazionali (valga come esempio il Patriot
Act degli Stati Unitì), e a volte le costituzioni nazionali (come per il caso italiano), per
adeguarsi alle nuove necessità: governi legalmente eletti da infime minoranze, normative
sempre più repressive, carceri utilizzati per
rinchiuderci milioni di poveri, controllo militare del territorio (nei casi di lotte popolari
prolungate, vedi movimento NOTAV in Italia), limitazione dei diritti elementari del “cittadino” (frequente eliminazione dell’habeas
corpus strumento del diritto borghese tradizionale contro l’azione arbitraria dello stato).
Ed i governi “democraticamente” eletti
dal popoli, di destra, di sinistra, di centro sinistra o centrodestra, hanno sempre una politica
identica senza neanche diversità di sfumature;
sono perfettamente intercambiali. Le associazioni dei lavoratori, i sindacati, sono sovente
emanazione diretta dello stato o comunque
quasi sempre asserviti al padronato; quelli
che non lo sono non hanno diritto di agibilità
nei luoghi di lavoro. I territori ed il patrimonio ambientale è costantemente depredato dai
colossi del profitto, spesso con la scorta armata, come prima veniva fatto solo nelle terre
sottoposte al neocolonialismo occidentale. Il
globo è stato omogeneizzato nell’oppressione
e nella devastazione. La salute non è più un
diritto ma una merce, tra le tante, la pensione
una chimera irraggiungibile per i più. Con la
favola della crisi, le entrate degli stati sono
quasi esclusivamente versate nelle tasche dei
ricchi capitalisti, finanzieri e banchieri.
Dello stato, anche nella sua forma di governo democratico, rimangono pertanto quasi
solamente gli apparati repressivi e quelli necessari alla riscossione delle imposte.
E quotidianamente ed inevitabilmente
ogni individuo si trova a doverne affrontare
la sua pervasività e le sue oppressioni, che
possono essere rappresentate dal poliziotto
che ti chiede i documenti (e che qualche volta senza alcuna ragione “democraticamente
e legalmente” ti massacra di botte), dalla fila
che devi fare per essere curato in ospedale,
dai moduli che devi compilare per usufruire
di un servizio o dal politico di turno che sei
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costretto a vedere in televisione tutti i giorni
ecc. Spesso ne discutiamo con i nostri colleghi, i nostri vicini di casa oppure al bar ma
quasi mai riusciamo a capire che come ogni
istituzione umana esso avrà una fine, che non
è sempre esistito e possono essere edificate
società senza classi (senza ricchi che spossessano i poveri). Società senza divisioni tra
dominanti e dominati (senza organi separati di
potere). Lo Stato non è il fondamento inevitabile di ogni società umana, rappresenta solo
un prodotto storico, il peggiore della specie
umana, che ha permesso il perpetuarsi plurimillenario del potere di pochi individui sulle maggioranze sterminate ed in cui l’essere
umano ha rinunciato alla propria natura: come scriveva Etienne de La Boétie (pensatore
francese del ’500) «l’esser nato propriamente
per vivere libero»,
Ma come scriveva alcuni anni fa l’antropologo Pierre Clastres “«L’esempio delle società primitive ci insegna che la divisione non
è insita nell’essere sociale o, in altri termini,
che lo Stato non è eterno, che ha qui o lì una
data di nascita… E la luce così gettata sul momento della nascita dello Stato renderà forse
chiare anche le condizioni (realizzabili o no)
della sua possibile morte» e forse sarà possibile (se non necessario) ri-costruire, fuori
dagli stati e dalle loro nefaste ideologie, momenti e luoghi di socialità libera, orizzontale
e cooperativa, anche se, è quasi sicuro, dovrà
essere affrontata la forza repressiva degli stati,
in tutte le sue forme di governo, apertamente
totalitarie o democraticamente totalitarie, e
concretamente dei suoi servitori più stupidi e
fedeli. Ma più saranno gli spazi, fisici e culturali, strappati al dominio del capitale, degli
stati e della loro ideologia e minore dovrà essere la violenza necessaria per distruggere il
potere in tutte le sue forme.
Riflessioni
No Gentrification
di Alex
La gentrification* è l’imposizione di una
ri-urbanizzazione dall’alto voluta da amministrazioni di ogni colore (nazionali e locali) d’intesa con il capitale in quartieri storici
delle città, grandi e medie, in cui gli abitanti
proletari o sottoproletari e il piccolo artigianato, le famiglie a reddito basso, gli immigrati,
varie minoranze etniche e politiche vengono
progressivamente espulsi per far posto alla
speculazione/privatizzazione
immobiliare
e commerciale all’insegna del lusso e della
mercificazione. Questo processo si basa da
un lato sul fatto che il costo degli immobili e
della vita diventa insostenibile per gli abitanti
originari che se ne devono andare, dall’altro
agisce la violenza istituzionale fatta di sfratti,
sgomberi, deportazioni ed emarginazione coatta. Tutto ciò liquida anche relazioni comunitarie spontanee, per far posto ad una preconfezionata e standardizzata zonizzazione classista e autoritaria. Le classi sociali subalterne
vengono spinte sempre di più verso le lontane
e anonime periferie.
Si tratta di un processo globale di “borghesizzazione urbanistica postmoderna” probabilmente analizzato per la prima volta negli
anni sessanta a Londra, ma che è cresciuto
prepotentemente negli anni novanta e continua a pieno regime, accentuandosi ulteriormente.
zi Park è stato occupato per protesta con le
tende. La risposta securitaria a questa azione
diretta è stata la scintilla che ha infiammato
l’insorgenza degli sfruttati e oppressi contro
l’autoritarismo e per la giustizia sociale, che si
è estesa a tutta la Turchia … Contro l’opposizione sociale c’è sta una criminale repressione, Gezi Park e piazza Taksim (simboli della
ribellione ) sono stati sgomberati, ma la lotta
Oppure si pensi a quanto è avvenuto po- continua …
co tempo fa nel quartiere operaio Gamonal a
Questi sono alcuni esempi, la lista è lunBurgos, in Spagna: contro la costruzione di ga…Vediamo ora più nel dettaglio i recenti
un “boulevard” lussuoso con megaparcheggio fatti di Amburgo …
voluti dal sindaco Lacalle del partito popolare, ennesima opera devastante per speculare
Amburgo ribelle
ed emarginare sottraendo risorse per i bisogni
sociali, la gente si è mobilitata compattamen«I posteri abbiano cura di
te, l’intervento violento della polizia ha inneconservare
degnamente la liberscato una rivolta popolare, il progetto scelletà che gli antenati partorirono»
rato è stato bloccato.
edifici occupati da rifugiati, immigrati, disoccupati, sfrattati, studenti fuori sede e di uno
spazio politico/sociale occupato come quello
di Progetto Conciatori, ubicato in via dei Conciatori nei pressi del centrale quartiere Santa
Croce, un partecipato luogo di socializzazione
e progettualità antiautoritarie. Contro queste
prepotenze affaristiche ci sono state importanti resistenze e mobilitazioni dal basso.
Nella primavera dell’anno scorso poi, nel
cuore di Instanbul a Gezi Park, c’è stata una
mobilitazione per difendere un parco storico,
uno degli ultimi spazi verdi rimasti e area di
ristoro per tanta gente, dalla speculazione edilizia che avanza come un rullo compressore.
Il potere politico voleva distruggere il parco
per costruire un edificio/caserma con centro
commerciale e appartamenti di lusso, Ge-
Frammentazione dello spazio, moltiplicazione dei volumi, abbattimento di edifici
storici e proliferazione di hotel di lusso, shopping malls, boulevards della moda, banche,
sedi d’imprese commerciali e assicurazioni,
strutture residenziali per i ceti facoltosi, spazi riservati ad un marketing della dimensione
artistica … La trasformazione neoliberista e il
conseguente processo di globalizzazione hanno provocato una trasformazione profonda
anche del tessuto urbano delle città. A causa
di questa nuova struttura economica - centrata sull’affarismo finanziario globalizzato - lo
spazio urbano delle città, in particolare le
antiche zone centrali e popolari, è diventato
uno strumento per l’accumulazione di capitale. Vengono predisposte delle città-vetrina
azzerando ogni forma di autonomia sociale
e culturale sedimentatasi nel tempo dal basso
nonostante le tante difficoltà e problematiche
aperte. Poteri politici, multinazionali e speculatori vari per gestire a piacimento lo spazio
“pubblico”, espellono e segregano i “corpi
estranei”, i quali però in vari casi non ci stanno e si rivoltano!
Si pensi ai brutali sgomberi degli ultimi
mesi e anni a Firenze per volontà del rampante leader neoliberista, il piddino Renzi, di
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(Motto della città di Amburgo)
A dicembre e gennaio scorsi c’è stata ad
Amburgo una radicale mobilitazione sociale
contro il processo repressivo di gentrification
imposto dal potere costituito statal/capitalistico.
Nella città portuale tedesca le classi dominanti mirano ad espellere i più poveri dallo
Riflessioni
dossalmente quanto strumentalmente la dimensione underground viene utilizzata, attraverso un rovesciamento di senso, dai gruppi
d’affari per la concentrazione di stili di vita
trendy e alla moda (una sorta di vita pseudobohemien di plastica) altamente remunerativi
e funzionali ad un ulteriore monetizzazione di
determinate zone socio-urbane.
Ecco allora l’espulsione della popolazione più povera e “deviante” che lì abita da
parte dell’autorità, per riparametrare/normalizzare su un piano speculativo/consumistico,
all’insegna della rendita/profitto capitalistica.
Comunque contro tutto ciò sono nate forti
resistenze.
storico quartiere operaio e antifascista di St.
Pauli per dare spazio a progetti di “riqualificazione” urbana, destinati a chi potrà permetterselo: 70 abitanti dell’Esso_Hauser, un
complesso di vecchi edifici, sono stati cacciati
dalle loro case e depositati in alberghi.
Vari
edifici occupati da immigranti e famiglie in
difficoltà sono sotto sfratto.
La mobilitazione degli attivisti e di tanti
cittadini alla minaccia di sgombero del più
amato centro sociale di Amburgo, il Rote Flora, e contro gli altri sgomberi e sfratti, si è saldata solidalmente con le lotte degli immigrati
del coordinamento “Lampedusa in Hamburg”
che lì vivono. Sono rifugiati della guerra della
Nato in Libia che, provenienti dalla Sicilia, si
ritrovano senza diritti, e rischiano costantemente la deportazione. Essi, dopo la strage di
Lampedusa nell’ottobre 2013, hanno deciso
di autorganizzarsi, aiutati da varie associazioni laiche e religiose e gruppi politici antirazzisti di Amburgo, e di opporsi con delle manifestazioni che sono state criminalizzate dai
media mainstream e represse violentemente
dagli apparati statali.
fuoco per 9 giorni con la militarizzazione di
tre quartieri: St. Pauli, Altona, e Sternschanze. Nella cosiddetta gefahrengebiet ,”area di
pericolo” (così è stata soprannominata la zona
interdetta), sono stati istituiti posti di blocco
e perquisizioni a tappeto. Qualsiasi persona
poteva essere arrestata arbitrariamente della
polizia, ci si poteva muovere solo a piedi e
in certi orari prestabiliti, off limits fotografi e
giornalisti. In una vasta area cittadina le stesse “garanzie” formali “liberal-democratiche”
sono state sospese per diversi giorni secondo
la legge marziale. Il tutto con la complicità del
sistema mediatico. Il coprifuoco ha comunque
prodotto in tanta gente l’effetto contrario rispetto a quello sperato dall’autorità: invece
che ripiegamento nel privato una maggior
politicizzazione critica. Varie manifestazioni
hanno continuato a sfidare il coprifuoco, solidarietà attiva è giunta da altre città.
I fatti di Amburgo rivelano, ancora una
volta, una sorta di “sperimentazione” nella
repressione dei movimenti autorganizzati antisistemici da parte dei poteri dominanti della
“Caserma/Fortezza Europa”, delle metodologie militariste da replicare nei vari contesti dove si aprono delle fratture nel sistema
di dominio, si pensi al No Tav in Val Susa,
con la tendenza ad attuare politiche sempre
più liberticide nel controllo sistematico delle
popolazioni e degli individui …
Inoltre il Rote Flora, un vecchio teatro ocComunque anche in Germania, checchè
cupato sin dal 1989, centro sociale di aggrene dicano la politica e i media di regime, non
E’ dunque cresciuta una radicale conflitgazione dal basso e lotta anticapitalistica/anpare esserci tutta quella “pace sociale” sistetualità
diretta da parte di migliaia di persone
tiautoritaria fra i più significativi in Germania,
mica propagandata a destra e a manca…
all’insegna dello slogan unificante “la citè stato messo all’asta e rischia lo sgombero.
tà è di tutt@” . Il 21 dicembre c’è stata una
La gentrification ad Amburgo ma anche a grande e determinata manifestazione a Saint
Note
Berlino e Dresda colpisce le aree dove sono Pauli contro la gentrification, gli sgomberi e
*Il termine inglese gentrification deriva originapresenti da tempo originali e coinvolgenti il razzismo di stato. Le forze repressive, su riamente da “gentry”, ossia piccola nobiltà inglese e
esperienze artistiche underground fuori dai ordine del governo locale socialdemocratico in seguito borghesia. E’ una categoria interpretativa
sviluppatasi nell’ambito critico-sociologico contempocanoni artificiali del mercato capitalistico. Ma appoggiato da quello nazionale della cancel- raneo.
gli storici locali e ambienti alternativi richia- liera Merkel, hanno caricato violentemente
mano anche molta gente della middle class e il corteo, ci sono stati scontri con numerosi
fanno gola alle oligarchie affaristiche. Para- feriti e arresti. Poi è stato dichiarato il copri-
6
Sindacalismo
Il Job Act di Renzi: precariato 4 – dignità del lavoro 0
di Claudio
Lavoratore “stai sereno”!
L’idea del Job Act,(o Piano per il lavoro) di Renzi è l’ennesima polpetta avvelenata per i lavoratori e le giovani generazioni. Esso si andrà ad aggiungere ai già nefasti Pacchetto Treu, Legge Biagi e Riforma
Fornero che hanno reso precario il lavoro
e la vita di milioni di lavoratori, gettandoli nell’insicurezza e nella disperazione.
Gli 80 euro, promessi in busta-paga dal nuovo “piazzista” della politica italiana, sono solo
lo zuccherino per addolcire una pillola amara
di cui molti prenderanno presto coscienza!
le Cooperative, Giuliano Poletti, questi due
contratti interesseranno 7 assunzioni su 10.
Da ciò si capisce perché intanto si approvano queste norme rapidamente per mezzo di
un decreto e ci si dà più tempo per il resto.
Per altro la definitiva cancellazione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, tramite
il cosiddetto contratto unico a tutele crescenti e
la restrizione delle libertà sindacali, tramite la
Legge sulla Rappresentanza, previste dal Job
Act di Renzi, non vengono abbandonate. Sono
solo rinviate ad una successiva Legge Delega.
Dunque: lavoratore “stai sereno”!
Al momento in cui scriviamo (17 marzo)
Il Renzi-pensiero sul lavoro, tra il
è in via di stesura il Decreto-Poletti sui i contratti a termine e l’apprendistato, in cui già si Professor Ichino e Oscar Farinetti
dà un nuovo forte impulso alla precarizzazioNella originaria e brevissima stesura del
ne sociale, in particolare dei giovani.
Job Act, l’asse centrale era costituito dal co1. Viene peggiorata ferocemente la nor- siddetto “contratto unico a tutele crescenti”.
mativa sul contatto di apprendistato che Al momento non sappiamo se questo strudiventerà così la forma di lavoro “usa e get- mento verrà poi effettivamente messo in camta” preferita dai padroni. Viene cancellato po con la Legge Delega o si studieranno altre
l’obbligo, fino ad ora vigente, di assumere diavolerie. Tuttavia l’idea del “contratto unialmeno un apprendista su tre alla fine del co” ci dice molto sulle concezioni dell’attuale
contratto. Viene abolito l’obbligo del padro- Presidente del Consiglio in materia di lavoro.
ne di rendere conto all’ente pubblico della L’espressione “contratto unico” nasce dalla
formazione professionale svolta all’appren- elaborazione del Professor Pietro Ichino, noto
dista. Viene abbassato il salario (!) fino al zelante ideologo del padronato italiano. Co35% nella prima fase del rapporto di lavoro. stui ha sempre teorizzato che, per dare qualQuindi quale apprendistato? Sarà solo un con- che tutela ai lavoratori precari, sarebbe stato
tratto schiavistico!
necessario fare tabula rasa di ogni conquista
2. Si estende la acasualità (cioè l’uso sen- storica del movimento operaio . In particoza giustificazione) dei contratti a termine da- lare, Ichino sosteneva l’abolizione totale del
gli attuali 12 mesi fino a 36 mesi. I padroni reintegro obbligatorio per chi viene licenziato
potranno quindi abusare dei contratti a termi- senza giustificato motivo (articolo 18 dello
ne a loro piacimento ancora di più di quanto Statuto dei Lavoratori).
fanno già oggi.
Oggi l’articolo 18 interessa solo i lavoraSecondo il nuovo Ministro del Lavoro, tori dipendenti di aziende con più di 15 adnonché Presidente della “rossa” Lega del- detti (circa 7 milioni e mezzo di lavoratori,
circa il 65% dei dipendenti, se si escludono
stagionali agricoli, CoCoPro e pubblico impiego) e non va dimenticato che la riforma
Fornero ne ha già diminuito il grado di protezione, consentendo i licenziamenti per motivi “economici”, (previo piccolo indennizzo
economico). Infine è importante tener presente che le assunzioni a tempo indeterminato
sono molti anni una minoranza delle assunzioni totali, a vantaggio dei contratti a termine, interinali, a chiamata, a progetto, ecc.
Nonostante tutto ciò, la cancellazione
dell’articolo 18, cioè la piena licenziabilità e di conseguenza la piena ricattabilità di
tutti i lavoratori, è considerata dal padronato come un passaggio essenziale per dare la spallata finale alla classe lavoratrice.
In questo quadro la proposta di Ichino e di
altri lacchè confindustriali, era quella di
riunire le varie tipologie di contratto sotto un contratto unico per tutti i lavoratori,
in cui, per alcuni anni dopo l’assunzione, tutti i lavoratori sarebbero stati licenziabili a piena discrezione del padrone.
Ovvero: con la scusa di rendere più “equa”
ed omogenea la condizione dei lavoratori,
Ichino proponeva di abolire la possibilità
stessa di una assunzione stabile, protetta dai
licenziamenti arbitrari.
Accanto al fetido professor Ichino, come
ispiratore del Job Act renziano, merita di essere menzionato anche Oscar Farinetti, padrone
di una grossa catena internazionale di ristorazione (Eataly), con 300 milioni di fatturato, migliaia di dipendenti, mega complessi in
tutto il mondo.
Eataly e Oscar Farinetti sono ormai famosi per il cosiddetto “modello 800 euro”,
cioè un modello lavorativo basato su 40 ore
settimanali (festivi compresi) pagati 800 euro.
Eataly è famosa anche per il fatto che la totalità dei dipendenti ha contratti di lavoro precari
(della durata di 2-3 mesi) ed il lavoro a tempo
indeterminato non è neanche concepito. Infine, Eataly è nota per trattamenti degradanti
verso il suo personale che arrivano fino alle
perquisizioni dei dipendenti alla fine dell’orario del turno lavorativo e il controllo telematico delle pause (pratica che dovrebbe essere
esclusa dallo Statuto dei lavoratori).
Farinetti non si nasconde per altro dietro
alcun velo di ipocrisia, rivendica spudoratamente ogni aspetto del suo sistema di impresa
e rifiuta l’idea stessa di contrattazione sindacale.
Bene, questo “simpatico”
individuo è l’imprenditore di riferimento di
Matteo Renzi, uno dei suoi principali consu-
7
Sindacalismo
lenti, suo amico personale e, non ultimo, suo
finanziatore.
Il contratto unico previsto nel Job
Act, al momento rinviato
Renzi, collocandosi nel solco culturale
di Ichino ha lanciato il cosiddetto “contratto
a tutele crescenti” con libertà di licenziamento per i primi 3 anni dall’inizio del rapporto
di lavoro. Il concetto di “tutele crescenti” si
riferisce ad un eventuale indennizzo a cui il
lavoratore avrebbe diritto in caso di un licenziamento riconosciuto dal giudice come licenziamento illegittimo. L’indennizzo sarebbe
crescente in proporzione al tempo lavorato
dal dipendente. Chiunque conosca l’esperienza delle aziende al di sotto dei 15 dipendenti,
dove esiste già il sistema dell’indennizzo, sa
benissimo che esso non costituisce un disincentivo al licenziamento. Anzi, spesso il lavoratore licenziato, rinuncia alla causa perché lo
sforzo non vale la posta in gioco, ovvero un
compenso minimo e rinviato nel tempo. Dunque è chiaro che introdurre il contratto unico
al posto degli attuali contratti a tempo indeterminato significa abolire totalmente l’articolo
18 e rendere del tutto liberi i licenziamenti.
Attenzione! Per il momento Renzi parla
di licenziamenti liberi nei primi 3 anni, ma
l’esperienza degli ultimi decenni ci insegna
che ogni norma introdotta a danno dei lavoratori, una volta accettata, è destinata ad essere
estesa nel tempo e quindi a peggiorare ulteriormente le condizioni dei lavoratori. Oggi
sarebbero 3 anni, domani 4, domani l’altro 5,
alla fine per sempre.
Per altro è già emerso senza ombra di
dubbio che il” contratto a tutele crescenti”, se
sarà adottato, non sarà unico, cioè non assorbirà tutte le tipologie di contratto. Ad essere
aboliti saranno solo i contratti meno usati dai
padroni. Anzi con l’attuale Decreto Poletti si
va verso il rafforzamentodi alcune precise tipologie di lavoro precario.
L’assegno di disoccupazione.
Come contropartita alla ulteriore precarizzazione dei contratti di lavoro, viene sbandierato il cosiddetto assegno “universale” di
disoccupazione. Una proposta che sta riscuotendo certo fascino, non solo negli ambienti
filo-padronali o dei sindacati istituzionali, ma
anche in larghe fasce giovanili comprensibilmente angosciate da un futuro sempre più nero.
Se
però ci si cala nel concreto delle proposte
renziane, qualsiasi fascino è presto dissolto.
Innanzitutto, la platea a cui dovrebbe spettare
il famoso assegno di disoccupazione è ancora incerta e comunque sembra essere poco
più ampia di quella prevista Riforma Fornero (1). Insomma non spetterà a tutti i disoc-
cupati, cioè non sarà veramente universale.
Inoltre sembra ben chiara l’intenzione di
Renzi a rafforzare quegli obblighi (già previsti dalla Fornero) a cui il disoccupato deve
sottostare per ricevere l’assegno stesso: 1)
obbligo di seguire un corso di formazione
professionale e 2) di non rifiutare più di una
uova proposta di lavoro qualunque essa sia.
Molto interessante da questo punto di
vista, è capire, soprattutto in una prospettiva
più lunga, che cosa ha concretamente in mente Renzi quando parla di formazione professionale.
Secondo il “rottamatore”, la
formazione professionale in Italia” fa schifo”
ed è necessario riformarla prendendo a prestito il modello tedesco. In realtà, il tanto acclamato modello tedesco è un modello profondamente autoritario, basato essenzialmente sul
dominio istituzionalizzato dell’impresa sulla
formazione. Il lavoratore che fa formazione
professionale in Germania, la fa tramite tirocini all’interno delle imprese (sistema duale).
I padroni hanno così a disposizione una gran
massa di lavoratori che da un lato possono
sfruttare a minor costo, dall’altro possono selezionare, ancor prima dell’assunzione vera
e propria, secondo il grado di servilismo. Le
aziende hanno un potere molteplice su questi
lavoratori in formazione o in riqualificazione
professionale: sono nei fatti i loro datori di
lavoro, rilasciano loro il certificato di “buona frequenza”, ma sono anche determinanti
nell’eventuale conseguimento dei titoli, in
quanto gli esami vengono fatti dalle camere di
industria, di commercio e di artigianato.
rappresentano serbatoi di super-sfruttamento
della forza-lavoro. Adottare il modello tedesco nella formazione professionale significherebbe incrementare,, sistematizzare, generalizzare un qualcosa già tristemente noto anche
da noi. Però, con una differenza fondamentale
rispetto alla Germania: a noi non spetteranno
mai i salari tedeschi! (2) A noi toccherà il dispotismo, la precarietà, sì certo; ma sempre
salari da fame!
Job Act e relazioni sociali integralmente autoritarie
“Bacia la mano che ruppe il
tuo naso, perché le chiedevi un
boccone...” (Fabrizio De Andrè Il testamento di Tito)
A chi è capitato di ascoltare Renzi parlare di chi perde il lavoro, avrà sentito spesso
usare espressioni come “lo Stato ti prende per
mano” o “lo Stato ti dà una mano”.
Una “mano” da tenere il più possibile lontana da noi.
Come abbiamo già visto il modello Renzi renderà tutti i lavoratori ancor più precari
di quanto non lo siano già oggi. Tutti i nuovi
assunti saranno in un modo o nell’altro licenziabili in ogni momento, perciò spremuti come limoni fino a che serviranno. Poi una volta
licenziati verranno “presi per mano” dallo
Stato che, in cambio del famoso assegno di
disoccupazione, li spedirà da altri padroniE non è tutto. Le aziende possono amplia- “benefattori” che li “riqualificheranno profesre o restringere i programmi d’insegnamento sionalmente” a modo loro.
secondo le proprie immediate esigenze proIn ogni caso il lavoratore dovrà presto
duttive. Questo aspetto è tutto sommato a noi
accettare
un lavoro schifoso qualunque e rifamiliare. Cosa significhino i tirocini nelle
aziende lo sappiamo già anche noi in Italia. cominciare nuovamente a lavorare per un
Là dove vengono adottati, non solo nei set- nuovo padrone che a sua volta lo spremerà
tori privati del commercio, dell’artigianato come un limone per poi licenziarlo al momene dell’industria, ma anche in alcuni settori to opportuno, in un circolo vizioso senza fine.
pubblici come la sanità o la ricerca, i tirocini In sostanza ciò che già oggi accade a molti
8
Sindacalismo
(gli attuali precari), domani accadrebbe a
tutti (eccola l’equità sociale!). L’assegno di
disoccupazione servirà a garantire la mera sopravvivenza fisica della forza-lavoro e il suo
transitare da un lavoro precario e sotto-pagato
a un altro altrettanto precario e sottopagato.
Per altro anche la forza contrattuale dei lavoratori più anziani subirà inevitabilmente una
drastica diminuzione.
lo smantellamento dei contratti nazionali di
lavoro accettando il sistema delle deroghe
aziendali, espressamente previsto nell’accordo del 10 /1/2014.. L’inclusione di una Legge
sulla Rappresentanza Sindacale nel progetto
di Job Act, testimonia chiaramente l’intenzione di Renzi e del “nuovo” PD, di trasformare
in legge le porcherie partorite dai sindacati
istituzionali e dalla Confindustria.
I lavoratori saranno sempre più inseriti un
sistema di relazioni sociali integralmente auRivolta per l’alternativa!
toritarie: schiavizzati dall’impresa, sottomessi
A questo punto il cerchio si chiude. Con
ai capricci del mercato e oppressi dallo Stato,
l’annunciato Piano per il Lavoro, Renzi ed il
che in cambio di un “tozzo di pane”, gli ordiPD vogliono portare a termine quel lungo pronerà cosa deve fare e come farlo.
cesso cominciato con la sconfitta operaia alla
Fiat del 1980.
Si vuole rendere la precarieAltro capitolo del Job Act: la Leg- tà (già dilagante) una regola che non ammette
eccezioni.
Si vuole fare della formage sulla Rappresentanza Sindacale.
zione professionale per i disoccupati un granUn terzo punto strategico del Job Act è la
de serbatoio di forza-lavoro super-sfruttata.
prevista Legge sulla Rappresentanza SindacaSi vuole restringere ulteriormente e se
le. Tale proposta è pensata e partorita per dapossibile cancellare la libertà sindacale e di
re una sponda legislativa ai due accordi sulla
sciopero.
rappresentanza sindacale recentemente firmaSi vuole cancellare il Contratto Nazioti da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria, validi per
il settore privato (accordi del 31/5/2013 e del nale di Lavoro come strumento di solida10/1/2014). Due accordi che contengono terri- rietà e garanzia minima per i lavoratori.
bili norme liberticide, che vanno a restringere In questo modo si avranno salari sempre più
gli spazi dell’azione sindacale. Soprattutto è da fame, orari di lavoro sempre più lunghi,
attaccata duramente la libertà di sciopero po- luoghi di lavoro sempre più insalubri, condinendola in alternativa ad ogni altro diritto sin- zioni di lavoro sempre più invivibili.
dacale.
In
Ma questo destino non è ineluttabile. E’
pratica, secondo questi accordi, un qualsiasi possibile e necessario ribellarci, organizzarsi
sindacato se vuole avere la possibilità di e lottare. Anche in questi anni di arretrameneleggere rappresentanti sindacali con relativi to, la lotta autorganizzata degli sfruttati ha
diritti (assemblea, permessi, affissione, propa- dimostrato in alcune occasioni che si possoganda, eccetera) deve: a) firmare un impegno no ottenere dei risultati e che si può ancora
a non scioperare contro i contratti/capestro riuscire a far cambiare la direzione del vento.
firmati da Cgil, Cisl e Uil; b) sottoscrivere Lo hanno dimostrato recentemente le lotte dei
9
lavoratori della logistica, gli scioperi radicali
dei tramvieri, le lotte degli ospedalieri milanesi. Lo dimostra ogni giorno il movimento di
occupazione delle case.
Noi anarco-sindacalisti siamo e saremo
dentro il movimento di resistenza degli sfuttati per costruire una alternativa aurogestionaria, egualitaria e libertaria al tetro futuro a cui
vecchi e nuovi piazzisti della politica vogliono condannarci.
Note
(1) La Riforma Fornero, il cui pieno regime è previsto nel 2017 , elimina per altro in un sol colpo la
cassa integrazione straordinaria (CIGS) e l’indennità
di mobilità, riducendo i tempi per i quali i disoccupati
godono dei sussidi.
(2) E’ bene ricordare comunque che anche nella
“ricca” Germania esistono 7 milioni di cosiddetti mini
job con salario inferiore ai 450 euro
Lotte
No Tav: verso il corteo del dieci maggio
di Luca
Il movimento contro la costruzione della
Torino-Lione, Linea Alta Velocità Alta Capacità, è un movimento che ormai da oltre un
ventennio resiste ad una grande opera, che
come molti studi dimostrano(1) ha un forte
impatto ambientale, sociale ed economico sul
territorio.
Il movimento ha sperimentato molte forme di resistenza e ha mostrato come una enorme varietà di soggetti attraverso la partecipazione diretta e utilizzando forme orizzontali
di organizzazione, sia capace di rinnovarsi e
rispondere in modo sempre diverso ai sostenitori dell’opera che con ogni mezzo hanno tentato di reprimere la resistenza popolare. Nel
corso dei vent’anni passati le forme di repressione che sono state utilizzate sono molteplici
e vanno dalla persuasione alle manganellate
sui manifestanti in molteplici occasioni.
Quanto si può registrare negli ultimi tre
anni e mezzo è però un salto di qualità nell’utilizzo delle forze repressive di notevole rilievo. Infatti, dopo l’esperienza della Libera
Repubblica della Maddalena, attraverso l’autogestione dei terreni nei quali doveva sorgere
il cantiere della Maddalena di Chiomonte per
la realizzazione del tunnel geognostico, si è
assistito ad una progressiva militarizzazione
del territorio.
In seguito alla militarizzazione e alla
fortificazione del cantiere, con l’uso di reti
metalliche su basi di cemento, la macchina
repressiva non ha comunque toccato il suo
picco. Infatti, è stata mossa l’accusa di terrorismo con l’applicazione da parte della procura
dell’art. 270 sexies, “Attentato con finalità
terroristiche, atto di terrorismo con ordigni
micidiali ed esplosivi, oltre che detenzione di
armi da guerra e danneggiamenti”.
Ricordiamo che il fatto a cui si intende
applicare tale giudizio concerne il danneggiamento di un compressore all’interno della
zona militarizzata.
I quattro compagni no Tav accusati di aver
compiuto il fatto avrebbero quindi danneggiato l’immagine dell’Italia a livello internazionale, dato che l’opera pubblica in questione
assume rilievo internazionale, inserendosi nel
famoso corridoio cinque, di cui ad oggi quasi
non abbiamo traccia della sua realizzazione in
nessuna parte dell’Europa. (2)
Il processo ai quattro compagni inizierà
il 22 maggio prossimo, ma già il 15 si terrà
l’udienza che dovrà stabilire la pertinenza di
muovere tale accusa (3). Intanto il movimento
non si piega e dopo aver dimostrato per l’ennesima volta l’intelligenza di lottare in più
arene contemporaneamente, dalle aule di tribunale al bosco, passerà per la piazza torinese
con il corteo nazionale del 10 maggio prossimo. Inoltre, come spiegavano alcuni avvocati
durante il convegno del 7 dicembre 2013, tenutosi a Bussoleno, dal titolo “Diritto alla resistenza”, il salto di qualità non è dovuto solo
all’evoluzione nella gravità delle accuse e dei
reati contestati ai no Tav da vent’anni a questa
parte, ma è rintracciabile anche in tanti aspetti
procedurali dei processi contro il movimento.
Ciononostante, i No Tav continuano la
loro lotta ed infatti il 10 maggio si terrà a
Torino una manifestazione dove i compagni
e le compagne rivendicheranno il diritto di
resistere. “Colpevoli di resistere!” è infatti
il titolo del tour che i diversi attivisti hanno
intrapreso in diverse città italiane per sensibilizzare ed invitare alla manifestazione. Il 10
maggio il ritrovo è alle 14h in piazza Adriano
a Torino. Invitiamo dalle colonne
di questo foglio alla partecipazione di tutti
e tutte. Contro i manganelli e le armi della repressione che costringono quattro esseri umani all’isolamento con l’accusa di aver danneggiato un macchinario da lavoro; contro chi
vuol devastare territori in nome di profitti per
partiti e/o mafie di ogni sorta; contro lo Stato
che in un crescendo di riduzione di diritti sostanziali mostra sempre più il suo arrogante
volto violento e autoritario.
Sono queste le riflessioni che da un punto
di vista anarchico sembra necessario evidenziare per contribuire, come i compagni anarchici/che hanno fatto da quasi un ventennio,
alla lotta No Tav che ormai non è più solo lotta contro una grande opera
ma anche contro un sistema che opprime
territori, classi sociali subalterne e vite umane.
Colpevoli di resistere! “Tutti sogniamo
che la rabbia popolare, la rabbia di chi sta respirando le polveri venefiche di quel cantiere,
possa spazzarlo via una volta per tutte”(4).
Note
(1) http://www.notav.e u/article-print-5907.htm l)
(2) Luca Rastello, Andrea de Benedetti, Binario
morto, Chierelettere 2013
(3) http://torino.repubblica.it/cronaca/2014/04/23/
news/attentato_al_cantiere_tav
_la_cassazione_decider_se_stato_terrorismo-84223700/
(4) http://anarresinfo.noblogs.org
22 Febbraio 2014 : solidarietà No Tav da tutto il mondo
di Mako
Il 22 febbraio 2014 si è tenuta la giornata
nazionale No Tav con manifestazioni e presidi in Val di Susa e in tante città italiane, per
ribadire il nostro no alla costruzione dell’alta
velocità Torino-Lione, e per solidarizzare con
tutti gli indagati/e e arrestari/e tra cui Chiara,
Niccolo, Claudio e Mattia, accusati di terrorismo per aver distrutto dei macchinari per la
costruzione di questa abominevole opera.
La solidarietà non è arrivata solo dal Bel
Paese, bensì da altri paesi del mondo come
Turchia, Francia , Grecia e Messico.
Nella notte del 20 febbraio i compagni del
ELF (ELF- FAI/IRF), hanno dato alle fiamme
un escavatore all’interno di un cantiere in una
foresta del nord del paese, all’interno della
regione di Poyraz (Istanbul), contro i progetti
di devastazione e cementificazione voluti dal
governo Erdogan . L’azione è stata dedicata a
tutti i compagni ecologisti caduti, prigionieri
o in fuga di tutto il mondo, tra cui la resistenza
No Tav e sopratutto Chiara Niccolo, Claudio
e Mattia .
Il 22 febbraio a Città del Messico, sotto il
monumento che celebra la rivoluzione messicana del 1910 dove da vari giorni si trova
il presidio permanente dei maestri messicani
che si oppongono al progetto devastatore di
nuove riforme educative del presidente Pena Nieto e dai suoi sgherri, i compagni/e del
P.I.R.A.T.A (plataforma internacionalista per
la resistencia y la autogestione tejliendo autonomia), hanno partecipato con uno striscione
e volantini, ribadendo la loro solidarietà al
movimento no tav, alla resistenza delle comunità zapatiste attaccate da incursioni da parte
10
dei para militari del governo messicano, e alla
lotta degli ZAD in Francia.
In Grecia i compagni/e sono scesi in piazza Monastiraki (Atene), organizzando un presidio di solidarietà con il movimento No Tav
e per la liberazione dei 4 anarchici arrestati
in Italia .
L’8 febbraio, a Toulose, in Francia, è stato appeso uno striscione in solidarietà con la
lotta No Tav e gli arrestati del 9 dicembre,
con su scritto “libertà per i prigionieri No Tav
- terrorista è lo stato”, da parte degli attivisti/e
della lotta ZAD, contro la costruzione del
nuovo aeroporto di Notre Dame Des Landes.
NO ALLA TAV, TERRORISTA È LO
STATO!
Internazionale
Nuovi venti iberici di patriarcato
Un quadro generale sulle nuove riforme che il Partido Popular sta elaborando per far girare le ovaie alle spagnole
di Denise
Feto vs Mujer
aborto come “attentato alla Patria”. A livello
sociale la donna veniva ancor più perseguitata e stigmatizzata per il crimine e reato commesso. Gli aborti venivano realizzati nella più
assoluta solitudine, clandestinità e rischio per
le gestanti (chiaramente di classi inferiori,
con poche risorse economiche), che dovevano
abbandonarsi alle mani di un “esperta” de ai
suoi preparati spesso tossici che portavano, in
non poche occasioni, alla morte o a problemi
fisici temporanei o cronici per il corpo delle
stesse. Quando una donna senza molti mezzi
economici veniva sorpresa con una emorraggia “sospetta”, veniva incarcerata e sottoposta
a quarantena, fino a quando un medico forense non decretava dall’alto del suo bel camice bianco se si trattava di aborto naturale o
indotto.
I settori ultraconservatori cattolici spagnoli esultano e brindano al ritorno in auge
del modello della famiglia tradizionale e della
donna “angelo del focolare”.
Dopo i pesanti e ripetuti tagli del governo
del Partido Popular a tutti i settori della spesa
sociale, con l’aiuto della crisi occupazionale e
l’aumento della disparità salariale tra uomini
e donne (23%), quest’ultime ritornano al posto gerarchico che le compete e presto anche
pronte a sfornare prole per i loro pater familias, grazie al ministro della giustizia, ormai
noto come Don Gallardón.
Il paladino dei bambini non nati ha redatto una nuova Riforma sull’aborto, approvata
dal Consiglio dei ministri lo scorso Dicembre
2013 ed ora in fase di valutazione alle Camere.
Se la Riforma verrà approvata, sarà possibile abortire solo in due casi eccezionali:
concepimento a seguito di violenza sessuale
(entro le 12 settimane) e pericolo di vita e salute psichica della donna (entro le 22 settimane). In entrambi i casi si apre per le donne
una vera “via crucis”: l’accertazione dell’eccezione prevista per legge dovrà passare in
primo luogo per una visita ginecologica per
confermare la gestazione; successivamente
per l’autorizzazione di due psichiatri, che non
esercitino nello stesso centro e che diagnostichino lo stesso tipo di distrurbo mentale della
qui presente signora tal dei tali, in due consultazioni separate e successive l’una all’altra;
completando il tutto con l’obbligo di 7 giorni
di riflessione, prima di confermare la propria
decisione di abortire e con il consenso firmato
di entrambi i genitori nei casi di minori di 17
anni.
Già nel nome, la “Legge per la protezione
del concepito e dei diritti della donna” racchiude un ossimoro carico d’ipocrisia che
relega la donna a mero strumento della maternità ed al ruolo passivo di vittima dell’aborto per mano di sadici medici (probabilmente
atei).
donne, che sono vittime dell’aborto. Così difendiamo i più deboli..”.
Davanti allo sconcerto e rifiuto da parte
dell’ 80% degli spagnoli ad una Riforma che
riporta quasi alle condizioni che vigevano durante il franchismo, gli ha subito fatto eco la
sua vice presidente, la pia Soraya Sàenz de
Santamarìa dalle pagine de El País sostenendo che “l’aver presupposto come condizione
legale per l’aborto la malformazione del feto”
(attuale legge sull’aborto del Governo Zapatero, 2009), “consegue alla realizzazione di
aborti eugenetici, che ci riporta alla memoria
infausti periodi della Storia, in cui vi erano
persone che sostenevano di sopprimere le ‘vite che non sono vite’ e le ‘vite che sono un
peso’, ossia i nazisti”.
La giovane Santamaría (mai cognome fu
più azzeccato), scomodatasi in una lezione
di Storia contemporanea, si dimentica di una
parte importante della storia del suo Paese, da
lei non vissuta quanto il nazismo, in cui il
proibizionismo assoluto dell’aborto ha ucciso indirettamente ed incarcerato migliaia di
donne spagnole, nel tentativo di esercitare il
proprio diritto di scelta riproduttivo.
Escluse le due eccezioni, la legge infatti
prevede la pena per il reato d’aborto ricadere
Aborto in Spagna nelle decadi
sui medici che li realizzano o li favoriscono,
con privazione della libertà personale fino a precedenti
6 anni e divieto assoluto ad esercitare la proIn merito al disegno di legge del PP in
fessione. Lo stesso Guillardón ha dichiarato molti hanno rievocato l’era franchista rispetalla stampa che “..non è mancanza di fiducia, to a dettami e modelli imposti, repressione e
quello che facciamo è dare più garanzie alle conseguenze in materia di aborto. A livello
giuridico, come molti regimi fascisti , il Codice penale franchista contemplava il reato di
11
Successivamente in Spagna venne approvata, nel 1985, una sostanziale depenalizzazione dell’aborto, con una legge che prevedeva l’atto non punibile in tre casi specifici: per
evitare un grave pericolo per la vita e la salute
fisica o psichica della donna (senza limiti di
tempo); a seguito di violenza sessuale (entro
le 12 settimane di gravidanza) de in caso di
malformazioni fisiche o psichiche del feto
(entro le 22 settimane). Il governo socialista
optò per una parziale depenalizzazione, non
riconoscendo alcun diritto riproduttivo alla
donna. Nonostante questo la Chiesa cattolica
de i nostalgici franchisti insorsero, predicando un futuro nefasto di omicidi di innocenti
e disintegrazione sociale, come se reprimere
e sopprire milioni di persone in nome di una
fede o ideologia sia legittimo de auspicabile,
mentre abortire un feto l’apocalisse.
Per i successivi 23 anni, la legge del ‘85
è stata accettata pienamente a livello sociale,
esclusi chiaramente i settori cattolici e conservatori, e ritornata al centro del dibattito politico spagnolo solo durante il governo Zapatero.
Da una parte ritornarono alla carica gli irriducibili gruppi antiabortisti, sostenuti dall’Opus
Dei e movimenti provita, dedicandosi a manifestare e perseguitare donne, medici e cliniche
che praticavano l’aborto, mentre dall’altra i
gruppi femministi esigevano il riconoscimento della possibilità di abortire come diritto:
diritto a decidere sulla propria sessualità, possibilità di maternità e diritto all’autonomia sul
proprio corpo. Sostenendo in sostanza di poter
abortire senza dover dichiarare di avere alcun
problema psichico o fisico (il 97% degli aborti eseguiti dal 1985 sono stati eseguiti perché
le donne si dichiaravano “insane di mente”) e
richiedendo una totale legalizzazione dell’a-
Internazionale
borto, de in generale alle questione annesse a le diritto dovranno elemosinare tra amici e pa- che dentro i codici del castigo si riversino tutti
renti per pagarsi il tristemente noto “Viaggio i residui patriarcali possibili.
sessualità e maternità.
Nel febbraio 2009 il governo socialista a Londra”, che non tutte possono permettersi.
La famiglia tradizionale sostenuta dal
pilastro imperativo dell’eterosessualità permette da tempi immemori la riproduzione al
suo interno di elementi strutturali tanto cari al
capitalismo, come la gerarchia o la divisione
sessuale del lavoro; chi disobbedisce a tali
imperativi debe essere stigmatizzato, ostracizzato, punito o privato di un diritto naturale,
come quello di procreare. I collettivi lesbo
rivendicano il loro diritto alla maternità, che
le viene negato dalla società macista dell’etePer quanto molte donne acclamarono la ropatriarcato.
Per completare il quadro però, manca la
Legge voluta dai socialisti, amaramente permase il non riconoscimento del diritto a de- firma dell’artista: Don Gallardón si preoccupa
cidere sui propri corpi, sempre sottomessi al di riportare le donne al loro focolare, da bracontrollo de alla legalità dell’apparato statale, ve mogli, madri e sante che incassano pugni
diritto per il quale le femministe hanno conti- del marito senza fiatare. L’ambizioso ministro
nuato la loro lotta nonostante la Riforma del profamiglia sta infatti elaborando la modifica
2009, ancora ignare dell’oscuro orizzonte che del Codice Penale, di cui la Riforma dell’astava per abbattersi sui loro uteri con la suc- borto fa parte. All’interno di questa riformulazione si situa la proposta de “La nuova
cessiva legislatura del Partido Popular.
legge per la sicurezza cittadina” che in alcune
disposizioni ricade in particolare sulle donne,
Non solo aborto
contemplando ad esempio infrazioni amminiIn seguito alla approvazione del disegno strative gravi per le lavoratrici sussuali (fino a
di legge al Consiglio dei Ministri, con molte 30.000 euro di multa), per il fatto di esercitare
discrepanze d’opinione all’interno dello stes- la professione in spazi “utilizzati da minori”
so Partido Popular, in tutto il Paese i movi- ed in luoghi “dove si ponga in pericolo la viamenti femministi sono partiti alla carica con bilità”. Questo può comportare, in pratica, che
presidi, manifestazioni de autorganizzandosi tutte le lavoratrici sessuali che esercitano nei
in azioni collettive e di singole: come inca- pressi delle strade siano penalizzate. Altre motenanamenti periodici alla Sagrada Familia a difiche che colpiscono specialmente le donne
Barcellona e istituzione di registri aperti alle sono quelle in relazione alla “Legge Organica
donne per dichiarare la proprietá sui propri di Misure di Protezione Integrale Contro la
corpi, come avvenuto a Saragozza. Il deten- Violenza di Genere”, la quale rielaborazione
tore legittimo della forza ovviamente non è cancella dal codice penale il concetto di “viorimasto a guardare e da alcuni mesei si susse- lenza di genere” e depenalizza le minacce e
guono le detenzioni, identificazioni e minacce la coercizione verso le donne, classificandola
alle donne che partecipano a manifestazioni come reato minore. Inoltre si propone che le
de azioni contro il governo dei corpi da parte aggressioni commesse davanti a figli e figlie
dello Stato, come a Palma, Siviglia, la Bisbal non vengano più considerate come aggravanti
de Renes, Sabadell, de in molte altre cittá spa- (come previsto attualmente), e con una pena
che potrebbe essere in qualche caso, solo di
gnole.
Parte del movimento femminista pe- una multa. Giá attualmente in casi di violenza
rò concentra la sua azione contro la riforma quando le donne sono le carnefici, non si tiene
dell’aborto, tralasciando momentaneamente in conto o hanno poco peso le condizioni relaal margine altre questioni connesse ai dirit- zionate con il ruolo di genere, mentre invece
ti sessuali e riproduttivi della donna. Una di quando le donne sono le principali vittime di
queste è la discriminazione dell’accesso alla reati commessi soprattutto da parte di uomini,
riproduzione assistita nel sistema pubblico, si vedono questionate, e vengono sollevati soalle donne senza un compagno. Argomento spetti concreti sulla loro condotta.
approvò la nuova Riforma sull’aborto che
aboliva la necessità di giustificazione e spiegazioni da parte della donna per ricorrere a tale atto, ma ponendo al tempo stesso limiti legali per la sua esecuzione: entro le 14 settimane di gravidanza; fino a 22 in caso di pericolo
di vita per la madre e/o il feto e senza alcun
limite di tempo in caso di gravi anomalie del
feto. Altra novità introdotta dalla Legge fu la
possibilità di abortire senza l’autorizzazione
dei genitori dai 16 anni d’età.
questo a livelli di eresia nella nostra “laica”
Repubblica, ma in Spagna socialmente e legalmente accettato, cosí come i matrimoni fra
persone dello stesso sesso e le coppie di fatto
(che recentemente hanno raggiunto la parificazione giuridica con le coppie sposate). Con
questo quadro si delinea un futuro in cui coppie lesbo e madri single dovranno per forza
presentarsi alla clinica con un pater familias
per reclamare il loro diritto a procreare, mentre altre donne che non vogliono esercitare ta-
La produzione del Diritto è sempre stata
in mano al potere, sostenenuto dalle relazioni
della dominazione eteropatriarcale e la visione androcentrica della società. Per tanto, se
teniamo conto che il Diritto colpisce specialmente gli strati più discriminati, non è strano
12
L’innata debolezza femminile
Indipendentemente dalle idee e dal giudizio individuale di chi legge, è innegabile come con la Riforma dell’aborto e del Codice
penale (riguardo alle questioni femminili) si
legiferi su questioni concernenti alla donna,
mentre quest’ultima rimanga completamente
assente dal dibattito, se non come vittima o
equiparata giuridicamente a un minore. L’aborto in particolare è il punto d’appoggio di
una lotta ideologica più ampia che mette in
gioco le questioni della famiglia, della maternitá e della sessualitá delle donne. Per questo
le politiche in materia, o per meglio dire le
politiche del controllo in materia, sono di fondamentale importanza per le donne, incluse
quelle che decidono di non abortire, perché
determinano lo status di tutte, riportando la
donna al suo posto di paria sociale sottomesso
al volere de alla clemenza dell’uomo.
Il fratello maggiore del capitalismo, il
patriarcato, riafferma così l’inferiorità delle
donne riguardo a capacitá e caratteristiche
innate: le donne devono essere controllate,
istruite de accompagnare nelle decisioni.
Questa infantilizzazione della donna da parte
del patriarcato non solo si afferma all’interno
delle decisioni inerenti alla famiglia (tradizionale, ovviamente), ma anche rispetto ai cicli
biologici del suo corpo e decisioni in merito,
in questo caso il “sapere scientifico” prende
parola e potere decisionale sul giusto o sbagliato per le donne in temi come parlare e
vivere la sessualità, il piacere, il desiderio, la
riproduzione o l’aborto (per non parlare della
“salute mentale”).
Con tali riforme si disegna quindi una
donna incapace di intendere, di volere e di
poter decidere, sottomessa con la forza da
decisioni altrui e bisognosa di un tutore per
poter decidere sul proprio corpo. Si condanna
e discriminano forme di sessualitá e comportamenti non in linea con l’etero-patriarcato, e
con i valori cattolici. Si obbligano le donne a
procreare o a dichiararsi pazze “pluricertificate” (o ad emigrare).
Per tutto questo le spagnole continuano
a scendere nelle strade esigendo la completa
depenalizzazione dell’aborto e di tutte le questioni concernenti la maternitá e la sessualitá,
contro la “Santa Alianza de Iglesia y Patriarcado Capitalista” che vogliono imporsi sulle
loro vite de i loro corpi come una specie di
“Reconquista” inquisitoria.
Per tutto questo non si stancano di gridare
contro gli uomini che vogliono decidere sui
loro uteri“Aborto Libre y gratuito, fuera del
Codigo Penal” e “¡¡Fuera los rosarios de nuestros ovarios!!”.
Filosofia e Anarchia
Il metodo anarchico?
Ovvero, cosa rispondo a chi mi chiede come funziona l’anarchia
di Gianluca
Tratto dal seminario “Filosofia e Anar- Brissot usava il termine in senso negativo, bile stabilire cosa sia, se non oggettivamente,
cioè come assenza di leggi2.
almeno inter-soggetivamente, connaturato
chia”, tenuto a Pisa il 2 aprile 2014
Preferisco il termine corretto: A-crazia all’essere umano, come sia il bene e cosa il
(a-kratos), ovvero assenza di dominio e di au- male. Purtroppo di solito convincendo della
torità. Quindi il problema non è l’assenza di bontà di questi principi facendoli derivare da
Abstract: la classica difficolleggi o regole quanto l’assenza di una autorità qualche divinità (quindi di fatto sconfessando
tà di molti anarchici è sempre
che possa imporle. A questo punto il difficile è che all’uomo sia dato giustificarseli da solo).
rispondere all’annosa questione:
spiegare come possano darsi leggi se nessuno Che sia comunque un uomo o Dio a imporceli
come funziona l’anarchia? Chi
questo contraddirebbe la mia ipotesi iniziale,
le impone.
governa? Chi fa le leggi? Come?
e cioè che l’acrazia sia la possibilità di darsi
Nessuno fa leggi? E allora tutti
una società senza autorità e quindi dobbiamo
Etica e sofismi
fanno come vogliono, è il caos,
cercare questi principi in altro modo.
Gli argomenti che si possono sviluppare
il disordine, la barbarie! A lungo
Il problema resta nel rapporto tra principi
sono almeno tre: etica, politica e bioetica. Per e regole: si stabiliscono prima i principi (e cola mia riflessione è stata non nel
semplicità e brevità di solito scelgo il primo. me?) e si deducono le leggi, o sulla base delle
cosa dire ma nel “come” dirlo:
come spiegare che una società
libera non può essere disegnata,
progettata, fissata una volta per
tutte ancora prima che essa sia
realizzata da quegli uomini che
liberi in quella società vogliono
mantenersi? Ho provato cercando
idee, spunti e parole nella storia
della filosofia classica e questo è
il non riuscito (e vedremo volutamente perché) risultato
Ho già parlato di etica in questa rubrica
(Kronstadt, numero di maggio 2010) in un
contesto più ampio di filosofia pratica e come
scrissi essa è comunemente ritenuta qualcosa che assomiglia ad un sistema di divieti e
prescrizioni, leggi e punizioni, se non fisiche
almeno spirituali oppure, anche peggio, come
un sistema ideale ma nella pratica inefficace
mentre un giudizio etico che non ha efficacia
in pratica non ha nemmeno senso chiamarlo
etico, dal momento che compito dell’etica è
proprio quello di guidare la vita pratica. Seguendo Aristotele invece descrivevamo l’etica come una scienza che, dati dei principi (che
Idola Fori
non è scontato avere), prescrive di agire in co3
Intanto cominciamo con il dire che il pro- erenza ad essi, come una scienza deduttiva .
Ma
allora
quali
sono
questi
principi?
blema è anche nel termine stesso “Anarchia”.
In senso positivo (cioè di descrizione di conRousseau (che non è certo anarchico) indizioni di una data società) è relativamente dica la morale come una delle arti, insieme alrecente (il primo credo sia stato Proudhon la geometria (per la divisione della proprietà)
ad usarlo1) e quindi il suo significato (positi- e l’eloquenza, per convincere gli altri di cosa
vo) non è certo nel modo di pensare comune sia giusto e sbagliato), per regolare la vita in
quando quello originale, usato per qualche se- società indicando in certi principi degli ordini
colo in più: An-archè, ovvero assenza di prin- da perseguire con il fine di mantenere ordine
cipio e quindi di leggi derivabili da esse. Le in società4. La morale ha quindi un obiettivo:
leggi di cui si parlava originariamente erano stabilire cosa è buono e cattivo per dedurre rele leggi della natura, non certo quelle civili, gole di comportamento per il mantenimento di
ma dal V secolo a.C in poi il trasferimento di un ordine. La filosofia etica ha spesso cercato
significato è diventato quasi obbligato. Anco- di indicarlei con la pretesa (dunque assurda
ra durante la rivoluzione francese il girondino secondo Rousseau) che per l’uomo sia possi-
leggi che ci si danno si condividono principi?
Che è come dire: la morale è deduttiva o induttiva?
Provo a seguire il ragionamento di un altro sofista, Protagora, il quale sostenne (almeno a quanto ci racconta Platone5) che le leggi
sono l’inveramento della natura umana. Cosa
significa? Che per natura l’uomo non può non
darsi regole, perché è sua natura vivere con gli
altri uomini, ma dice anche che i contenuti di
queste regole non sono scritte nella natura, ma
sono convenzioni che si danno naturalmente
(e necessariamente) coloro che vivono insieme.
Detto meglio: non sono libero se darmi
regole, ma sono libero di scegliere che regole
darmi.
Se esiste qualcuno che possa stabilire di
principio cosa sia l’essere umano per natura
e cosa sia dunque per lui, universalmente, cosa siano il bene e il male, allora sulla base di
quei principi posso dedurre tutta la morale e
leggi necessarie che voglio, ma se accetto il
principio di essere solo un uomo (Socrate6) e
non un Dio, allora la ricerca di quei principi
dovrà essere fatta solo da coloro che le regole se le danno, e senza la pretesa che valgano
sempre, per tutti e ovunque, cioè anche da chi
quelle regole non se le è (necessariamente)
scelte. Accetto, invece, solo che valga sempre
il principio secondo il quale esse siano fatte da
coloro che se le danno.
Il Mito del Buon Selvaggio
Sempre Rousseau prova a contrastare
alla morale come tecnica un’altra morale,
che chiama naturale7, la quale avrebbe come
unico principio quello di perseguire il soddisfacimento dei bisogni naturali (gli unici necessari), come da sempre sostengono scettici,
epicurei e stoici, chiedendosi come sia stato
13
Filosofia e Anarchia
di quell’ordine e di questa libertà limitata che
esso dovrebbe garantire: come dire, per essere
libero devo seguire principi imposti per tutti e
deve esserci anche una forza coercitiva che mi
obblighi a farlo. Lo Stato diventa una necessità naturale al posto dei bisogni: se la società è
naturale, come abbiamo detto con Protagora,
allora lo è anche lo Stato? Se così fosse allora
possiamo parafrasare Antifonte9 e dire che per
questo è “meglio una cattiva legge che nessuna legge”. Ma se una cattiva legge è quella
che per far rispettare l’ordine mi impedisce
di soddisfare i miei naturali bisogni? Posso
seguirla? Ho l’obbligo di seguirla? Sarà per
questo che Crizia ha anche aggiunto: “dove
non arrivano le leggi, arrivano gli Dèi”10.
possibile costruire società i cui precetti morali
sembrano andare nella direzione opposta del
soddisfacimento di questi bisogni. Mangiare
è facile, sosteneva Epicuro: hai fame? Mangia! Qualcosa che dovrebbe essere naturale,
facile da soddisfare, sembra essere ostacolato
dalla morale stessa della civiltà moderna: Hai
fame? Lavora! Il lavoro diventa quindi un obbligo morale. Si lavora per soddisfare bisogni
che dovrebbero essere naturali ma questo crea
bisogni che non sono più naturali e si lavora di
più per soddisfarli e alla fine si lavora e non si
ha il tempo di pensare al soddisfacimento dei
propri bisogni8.
Il liberalismo impone quindi una libertà negativa, ma possiamo formulare una sua
definizione positiva? Qui è possibile citare
Bakunin: «Io non sono veramente libero che
quando tutti gli esseri umani che mi circondano, uomini e donne, non sono ugualmente
liberi». Liberi di cosa? Di decidere, da umani,
che non potendo trovare principi, leggi e regole che siano universalmente validi, decido di
cercarli e condividerli solo con chi è disposto
a farlo con me.
Come funziona l’anarchia?
Torniamo alla domanda da cui siamo partiti: come funziona l’anarchia? Chi governa?
Chi fa le leggi? Se avessi questa risposta avrei
la risposta alla domanda: cosa è giusto e cosa
è sbagliato?
Sarei, citando Socrate, un dio e non un
uomo (e quindi avrei l’autorità per farlo). Ma
Cosa manca in tutto questo? La libertà. La essendo solo un uomo non posso che cercalibertà di poter almeno decidere se poter soddisfare i bisogni naturali.
Una digressione sulla libertà porterebbe
lontano ma qualcosa bisogna dire.
La libertà è condizione necessaria per
un’etica: se non sono libero di agire, non ha
nemmeno senso pormi dei principi da seguire. Ma se non so quali sono i principi posso
lasciare che mi siano imposti da qualche autorità magari spacciata da divinità? La libertà
diventa condizione per poterli cercare, adottare e quindi appunto seguire. A questo proposito è evidente una delle contraddizioni della
civiltà moderna: il pensare che si possa essere
liberi in una società dove questa sia garantita
da leggi e principi decisi universalmente per
tutti per il soddisfacimento di bisogni che invece sono necessariamente personali. Questo
è infatti uno dei cardini del liberalismo: ti dico cosa devi fare perché sia garantita la tua
libertà: la classica libertà “limitata” (la mia
finisce dove inizia la tua) sulla cui contraddizione non faccio commenti. Qui nasce di
conseguenza la ritenuta necessità dello Stato,
come bisogno di rendere coercitivo il rispetto
14
re le leggi migliori in un solo modo: condividendole con chi decido, con me, che deve
rispettarle. Quindi quale la società più giusta?
Quella che, una volta liberi, decidiamo di decidere come realizzarla. Se Anarchia significa
assenza di dominio e quindi autorità, come
posso io descrivere quale sarà la società che
essa realizzerà?
Che è un po’ come rispondere: non lo so
come funziona! Non posso saperlo prima di
decidere di essere libero. La filosofia è un
atteggiamento, non una dottrina, quindi la risposta è non lo so, e proprio per questo possiamo realizzarla.
Note
1. J. Prodhoun, Che cos’è la proprietà (1840)
2. Parlando a proposito degli Enragés (“Gli arrabbiati”) gruppo rivoluzionario molto attivo durante
la rivoluzione francese, considerato molti una sorta
gruppo proto-anarchico.
3. Aristotele, Etica Nicomachea
4. J.J. Rousseau, Discorso sulle scienze e sulle
arti (1790)
5. Platone, Protagora
6. Questa è solo una parafrasi, tratta da Platone,
Apologia di Socrate
7. J.J. Rousseau, Discorso sulle scienze e sulle
arti (1790)
8. A questo proposito consiglio un’opera di Diderot in particolare: Supplemento al viaggio di Bouganville (1796)
9. Filosofo e drammaturgo greco, vissuto ad Atene tra il 480 e il 410 a.C.
10. Zio di Platone, uno dei trenta tiranni di Atene dopo la sconfitta della città subita da Sparta nella
guerra del Peloponneso (404 a.C).
Scienza e Anarchia
Balle genetiche: sulla capitalizzazione e strumentalizzazione della genetica e della biologia evoluzionistica
Di Marcello
Il capitalismo non segue alcuna legge fissa; l’odierna società è liquida, ovverosia precaria in tutto: nei rapporti, negli affetti, etc.,
come sostiene da più di un decennio Zygmunt
Bauman e la scienza è sempre più asservita alle logiche del profitto. Tutto ciò è più che condivisibile anche se come ho più volte detto la
scienza per progredire ha bisogno della libertà
più assoluta, in questo senso è un’impresa essenzialmente anarchica, non riconoscendo alcun vincolo alla sua attività, né alcuna autorità
al di sopra di sé, neppure la ragione.
La libertà è tutto ma le bufale che oggi
affermano vari “sedicenti scienziati”, conseguentemente riportate da svariati quotidiani
mainstream, hanno una eco troppo forte e
rischiano di far molto rumore e di provocare
sostanzialmente dei danni invece che “migliorare” la vita dell’uomo sulla Terra.
Prendiamo ad esempio le ultime “scoperte” della genetica e le biotecnologie da essa
derivate. Secondo alcuni psicologi del King’s
College di Londra diretti da Robert Plomin le
differenze nei risultati scolastici sarebbero altamente ereditabili cioè la variabilità dei voti
a scuola sarebbe in larga parte attribuibile alla
genetica anziché all’educazione scolastica,
all’ambiente familiare e all’impegno personale. Il corredo genetico peserebbe per circa il
60% rispetto al 29% di un buon insegnante.
Insomma, intelligenti si nasce e non si diventa.
Questa diatriba è oramai consunta, altro
che scoperta, e deriva da un famoso articolo
di Jensen del 1969 in cui lo scienziato asseriva
che l’intelligenza di una persona è principalmente da attribuire al corredo genetico e non
a caratteristiche attitudinali, sociali ed educative. Negli anni Ottanta due famosi psicologi
Eysenck e Kamin ripresero questo dibattito
muovendosi accuse senza esclusioni di colpi.
Il loro principale strumento d’indagine è stato
il test QI (Quoziente di Intelligenza) un test società in compiti specifici predeterminati e
altamente ambiguo capace di dimostrare, così a favorire una educazione personalizzata altamente classista e dai sapori fortemente eucome la statistica mal
applicata, tutto ed il contrario di tutto a genetici.
seconda dell’uso che se ne vuol fare. Infatti,
è molto difficile in questi test “disaggregare”
ciò che è stato acquisito da ciò che è innato.
Secondo Eysenck l’intelligenza era da attribuire per l’80% alla genetica e per il 20%
all’ambiente. Kamin muoveva accuse di superficialità e di razzismo alle tesi di Eysenck e
dei suoi collaboratori.
Certo, allora la mappatura del genoma
umano non era nota e gli esperimenti non
erano condotti essenzialmente su gemelli monozigoti, come invece fatto nella ricerca condotta al King’s College, ma tutti questi sforzi
servirebbero a teorizzare una divisione della
15
Vediamo di fare una piccola analisi.
La genetica ha avuto storicamente tre tipi
di approcci: uno meccanicistico di tipo mendeleiano, uno di tipo stocastico che assegna al
caso un ruolo preponderante, ed il terzo che
vede nella storia e nell’interazione degli elementi che formano un organismo le basi essenziali della vita e del suo divenire.
L’organizzazione ed il comportamento
sociale si basano su leggi e regole che non
contraddicono quelle biologiche (ad esempio
l’evoluzione della vita comporta sia la differenziazione sia la trasformazione delle specie,
con un aumento in genere della varietà dei tipi esistenti), ma sono anche diverse da esse.
Inoltre, il comportamento collettivo non è interpretabile solo su quanto si sa sulla biologia
evoluzionistica e sullo stesso comportamento
animale (etologico). Allo stesso mdo, la trasmissione culturale si realizza in molti modi e
può essere ben più rapida di quella biologica,
in cui ogni novità viene trasferita dai genitori
a pochi figli e deve attendere una nuova generazione per diffondersi ulteriormente. L’intelligenza è equidistribuita a livello basale, tutto
il resto, tranne il caso del genio, è il prodotto
di fattori sociali, e pedagogici. Quindi allora
come ora tutto ciò implica la strumentaliz-
Scienza e Anarchia
Non siamo esseri biologicamente obbligati alla guerra, così come non siamo unilateralmente predisposti alla pace, ma siamo tutti incastrati nell’obbligo di valutare la nostra situazione umana il più onestamente possibile e di
operare le scelte socialmente più giuste. Come anarchici siamo favorevoli ad una scienza
libera, a saperi liberi, per una sottrazione di
saperi mediati dal conflitto sociale, per una
scienza atta a fini sociali capace di liberarci
dal giogo del predominio, sicuri finalmente di
camminare in un mondo di liberi ed eguali.
Bibliografia
AA.VV., Psicobiologia e potere, Feltrinelli 1977
zazione della genetica a scopi socio-politici ha portato avanti con forza l’idea che la violenza umana è sostanzialmente diminuita nei
dominanti.
Ancora più massiva è stata la diffusione tempi recenti.
Anche se occorre affermare che la violendel concetto, da parte di alcuni biologi evoluzionisti, che l’uomo faccia la guerra istin- za, non ci soffermiamo sul piano strettamente
filosofico del concetto, è una cosa e sicurativamente.
Queste ipotesi nacque molto tempo fa nel mente è abbastanza diffusa nella società uma1924 proposta dall’antropologo Dart dopo na, altra cosa è una violenza di gruppo letale,
la scoperta dei primi fossili di australopite- cioè la guerra.
co descritti come degli assassini nati. Questa
tendenza ha avuto molto proseliti nella dottrina cristiana diffondendosi così in ambiti
molto differenti da quelli antropologici ed
evoluzionistici come quelli filosofici e sociologici. La guerra diviene così ineluttabile, uno stato “cronico” della società umana:
guerre tribali, guerre tra villaggi, guerre per
il dominio. L’uomo sarebbe così condannato
ad una perenne guerra istintiva. La bellicosità
dell’uomo viene considerata talmente innata,
sedimentata ormai nel patrimonio genetico,
che un quesito del tipo “la guerra è istintiva?”
susciterebbe quasi fastidio o ironia.
L’uomo a differenza di molti altri animali
non agisce solo di istinto, ovvero non ha comportamenti preordinati, ma le sue azioni sono
mediate da scelte che possono essere di varia
natura: culturali, sociali, di sopravvivenza. La
storia dell’umanità dimostra quanto sia recente la guerra nella nostra storia evolutiva. Inoltre, lo psicologo evoluzionista Steven Pinker
Quindi la verità è un’altra. Come dimostrato da studi recenti dell’antropologo Douglas Fry, il modo di vita predominante per la
maggior parte della nostra storia evolutiva era
quello dei cacciatori-raccoglitori nomadi. E
nonostante queste genti indulgano nella loro
parte di violenza interpersonale, la guerra intesa come violenza letale di un gruppo diretta
ad un altro gruppo è quasi inesistente, essendosi manifestata solo con i primi surplus agricoli e l’elaborazione di organizzazioni tribali
di scala più ampia, complete di un’etica del
guerriero e di una leadership proto-militare.
Il cosiddetto istinto guerriero non è innato nell’uomo ne un prodotto dell’evoluzione
biologica, ma è un istinto artificiale mediato dalla società e rafforzato dall’educazione
ed “imposta” da una società guerrafondaia
e fondamentale prevaricatrice e sfruttatrice
dell’uomo sull’uomo.
Per dirla con Jean-Paul Sartre: gli esseri
umani sono «condannati ad essere liberi».
AA.VV., Voti a scuola: già scritti nel DNA, La
Stampa 12 dicembre 2013
Bruce Alberts, Danny Bray, Julian Lewis, Martin
Raff, Keith Roberts, James D.Watson,
Biologia molecolare della cellula, Zanichelli 1996
Zygmunt Bauman, Moderrnità liquida, Laterza
2000
Marcello Buiatti, Le frontiere della generica. Il
codice della vita fra scienza e società, Riuniti 1984
Marcello Cini, Un Paradiso perduto. Dall’Universo delle leggi naturali al mondo dei processi evolutivi,
Feltrinelli 1994
Richard Dawkins, Il gene egoista, Mondadori
1989
Elena Dusi, “I voti a scuola sono scritti nel DNA”,
ecco perché primi della classe si nasce, La
Repubblica 12 dicembre 2013
Hans J. Eysenck, Leon Kamin, Intelligenti si nasce o si diventa?, Laterza 1993
Paul K. Feyerabend, Contro il metodo. Abbozzo
di una teoria anarchica della conoscenza, Feltrinelli
1979
Martin Gardner, Nel nome della scienza, Transeuropa 1999
Paul E. Hertz, Beverly McMillan, Peter J. Russell,
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evoluzionistica e biodiversità, EdiSES 2009
Jean-Jacques Kupiec, Pierre Sonigo, Né dio né
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L.A.S.E.R. (Laboratorio Autonomo Scienza Epistemologia Ricerca), Scienza Spa. Scienziati,
tecnici e conflitti, DeriveApprodi 2002
Antonello La Vergata, Guerra e Darwinismo sociale, Rubbettino 2005
Marcello, Brevettare la vita. No, Kronstadt giugno
2010
seguici su www.kronstadt-toscana.org
scrivi su [email protected]
o [email protected]
Le riunioni di Kronstadt si effettuano
ogni Giovedì alle 19.00 presso il “circolo anarchico Kronstadt” in vicolo del Tidi 20, Pisa e
ogni Venerdì alle 21.30 presso Spazio libertario Pietro Gori in via D. Minzoni 58, Volterra (PI)
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