I rituali dell`Orthia a Sparta come veicolo di autorappresentazione di

Transcript

I rituali dell`Orthia a Sparta come veicolo di autorappresentazione di
Andrea Baudini
I rituali dell’Orthia a Sparta come veicolo di autorappresentazione di un’élite civica
Il santuario di Orthia a Sparta rappresenta un prezioso caso di studio nell’analisi dell’evoluzione dei
complessi religiosi di area ellenica in epoca romana (fig. 1). I consistenti resti archeologici rinvenuti, uniti a
documenti epigrafici numerosi e frequenti testimonianze letterarie, contribuiscono infatti ad illustrare diversi
aspetti di un unico contesto cultuale e, ciò che maggiormente interessa, la loro continuità o discontinuità nel
corso del tempo. L’abbondanza e la convergenza di tutte e tre le classi di informazione (archeologica,
epigrafica e letteraria) è un fatto alquanto raro in contesti di questa tipologia e costituisce il vero valore
aggiunto dell’analisi del santuario e dei riti in questione.
Il complesso monumentale si posiziona sulla riva destra dell’Eurota, ai margini orientali della Sparta
antica, nel quartiere convenzionalmente indicato come Limnai. La centralità rivestita dai riti in esso praticati,
all’interno del tessuto socio-religioso spartano ed in particolare nel percorso dell’agogé, ha certamente
portato all’imponente sviluppo strutturale del sito, così come i caratteri estremamente peculiari delle
cerimonie ivi svolte hanno determinato la fioritura di passi dei più svariati generi letterari che di esse fanno
cenno.
L’area del santuario fu indagata dalla Scuola Britannica in cinque successive campagne di scavo
svoltesi tra il 1906 ed il 1910, i cui risultati complessivi vennero pubblicati nel 1929 a cura di Richard
Dawkins in un unico volume. A tale opera si deve sostanzialmente la quasi totalità dei dati archeologici in
nostro possesso, i quali sono stati successivamente ripresi in esame da John Boardman, a cui si deve la
ricalibrazione della datazione dei materiali più antichi, e da Paul Cartledge1.
Le informazioni raccolte dalla Scuola Britannica narrano una storia del santuario che si può
schematicamente tracciare in una lunga sequenza di fasi di vita che vanno dall’età geometrica alla fine di
quella romana. A partire dalle prime tracce di attività cultuale databili al IX secolo a.C., il sito vede una
progressiva evoluzione e monumentalizzazione, che passa attraverso successivi ampliamenti dell’area
occupata, una sequenza di due se non tre templi e, soprattutto, tre o forse quattro altari monumentali, la cui
sproporzione in dimensioni rispetto agli edifici templari appare una caratteristica costante del santuario.
Contemporaneamente si notano la comparsa di probabili strutture di servizio e le tracce di una continua
manutenzione del santuario, testimoniate in ultima analisi dalle probabili riparazioni del tempio in età
ellenistica e dalla costruzione del grande drenaggio nella stessa epoca.
1
DAWKINS 1929, BOARDMAN 1963, CARTLEDGE 2002; A tali lavori si fa riferimento nella presentazione dei dati archeologici e della loro
cronologia.
Tra i testi di fondamentale consultazione, per i temi qui trattati e per un’analisi di Sparta in età ellenistico-romana, si segnalano inoltre
CARTLEDGE, SPAWFORTH 1989 e KENNELL 1995.
Bollettino di Archeologia on line I 2010/ Volume speciale C / C8 / 5
Reg. Tribunale Roma 05.08.2010 n. 330 ISSN 2039 - 0076
www.archeologia.beniculturali.it/pages/pubblicazioni.html
28
XVII International Congress of Classical Archaeology, Roma 22-26 Sept. 2008
Session: Religione come sistema di comunicazione: networks e rituali nei santuari tradizionali greci di età romana
Fig. 1 – Sparta, santuario di Orthia (da DAWKINS 1929).
Le successive fasi romane si identificano sostanzialmente con la grande cavea (anfi)teatrale
edificata di fronte al tempio e nel contempo delimitante l’area del santuario, la quale costituisce la maggiore
evidenza strutturale di tutto il sito e la cui edificazione pare avere pesantemente inciso le fasi precedenti. La
struttura, tipologicamente a metà tra teatro e anfiteatro compone un anello incentrato sull’area degli altari
monumentali che si interrompe solo a ovest in modo da includere il tempio, la cui facciata risulta così
all’interno dell’arena. Ben poco si conserva delle gradinate, tranne un elemento collocato a est, direttamente
di fronte alla serie degli altari, il quale si innalza al di sopra del probabile livello dei sedili e che si può
interpretare come ciò che resta della tribuna riservata ai magistrati o, più in generale, ai personaggi di
spicco. La struttura conservata, realizzata in opera grezza, doveva presentare un rivestimento che fu del
tutto spoliato in antico, così come nulla si conserva dei sedili delle gradinate.
Particolarmente importanti sono i materiali utilizzati per le fondazioni della cavea, ritrovati nel corso
dello smontaggio di alcune sue parti per raggiungere i livelli più antichi e pertinenti alle precedenti fasi di vita
del santuario. Si tratta perlopiù di stele iscritte e basi di statua, che commemorano le vittorie negli agoni che
si svolgevano al santuario e che sono databili a partire dal IV secolo a.C. fino al III d.C. Il più tardo di questi
documenti (IG V1, 314) si data al 225 d.C. e fornisce così un importante terminus post quem per la
costruzione della cavea, che si ipotizza posteriore alla calata degli Eruli (267 d.C.) ed in connessione con la
grande fase di ristrutturazione del teatro alla fine del III secolo d.C. L’alto numero di iscrizioni rinvenute, che
superano le 150, con una netta prevalenza di documenti databili tra il I ed il II secolo d.C., è un’ulteriore
testimonianza della grande attività e importanza del santuario, soprattutto in considerazione del fatto che si
Bollettino di Archeologia on line I 2010/ Volume speciale C / C8 / 5
Reg. Tribunale Roma 05.08.2010 n. 330 ISSN 2039 - 0076
www.archeologia.beniculturali.it/pages/pubblicazioni.html
29
A. Baudini – I rituali dell’Orthia a Sparta come veicolo di autorappresentazione di un’élite civica
tratta di un dato parziale, essendo state le fondazioni smontate solo in parte. Di particolare interesse, inoltre,
è il ritrovamento, sempre nelle fondazioni della cavea, vicino a dove poi sarebbe sorta la tribuna per i
notabili, di una fila di sedili in pietra (due completi e parte di un terzo), che ci testimoniano l’esistenza di una
precedente struttura stabile per assistere alle cerimonie, antecedente alla cavea. L’iscrizione posta sugli
1
schienali dei seggi (IG V , 254), che riporta la loro dedica ad Orthia da parte di Soixiadas, ci dà una
indicazione cronologica, dato che il personaggio si colloca prosopograficamente nel corso del I secolo a.C.
L’andamento rettilineo della fila di sedili fa inoltre sospettare per questo apparato una forma differente da
quella (anfi)teatrale, ma le informazioni che possiamo ipotizzare su di essa si esauriscono qui.
Probabilmente in fase con la cavea sono una ripavimentazione dell’area e l’ultimo della serie degli
altari. Esso si fonda direttamente sui blocchi di quello precedente e al momento della scoperta il suo stato di
conservazione, forse per via di spoliazioni tardive, appariva alquanto misero, tanto che gli scavatori non lo
hanno inizialmente riconosciuto quale altare. La tecnica di costruzione appare anch’essa alquanto povera,
con un nucleo (forse in terra) di cui nulla si è conservato ed un disordinato rivestimento in blocchi di
reimpiego e mattoni legati con malta; tra il materiale di reimpiego spicca un sedile in pietra, probabilmente
pertinente alla prima struttura per gli spettatori.
Si delinea dunque un’intensa fase edilizia nel santuario nel corso della seconda metà del III secolo
d.C., comprendente non solo la cavea, ma anche una nuova pavimentazione e un nuovo altare. Ad
accomunare tutte queste opere costruttive, concorrono una certa trascuratezza delle forme edilizie e,
soprattutto, un ampio utilizzo di materiale di reimpiego. Un’analisi delle asimmetrie che la cavea presenta
(soprattutto nella distanza tra i radiali) ha permesso anche di ipotizzare il procedere della sua costruzione da
sud a nord in senso antiorario, senza un progetto preliminare dotato di grande precisione e conseguenti
correzioni in corso d’opera. Nell’attribuire queste caratteristiche al generale impoverimento dell’avanzato III
secolo, che ha particolari riflessi nella difficoltà di reperire materiale da costruzione, con ogni probabilità non
ci si allontana di molto dal vero, ma, allo stesso tempo, non si spiega del tutto il perché della realizzazione,
proprio in un’epoca di crisi, di un progetto che ha comunque un’impronta di grande monumentalità. La
portata delle opere eseguite, che vanno probabilmente a mutare radicalmente il volto del santuario,
possiede, inoltre, i caratteri di una vera e propria ricostruzione, più che di un ampliamento o riparazione. La
proposta di un collegamento con le scorrerie degli Eruli, già avanzata dagli stessi scavatori, appare dunque
avere più di un fondamento, nonostante il sacco di Sparta (contrariamente a quello di Atene) sia un dato
tutt’altro che appurato2: l’abbondanza di materiale pronto per il riutilizzo fornito dalle distruzioni, la volontà
ideologica di ricostruire, anche se in fretta, dopo un’invasione ed il parallelo con la coeva fase edilizia al
teatro sono certamente elementi che portano argomentazioni all’ipotesi che anche Sparta abbia dovuto
subire pesanti distruzioni nelle scorrerie degli Eruli.
I dati archeologici vanno a rafforzare, dando loro una forma concreta, le informazioni forniteci dalle
3
fonti (di cui si presenta qui una selezione ) nella possibilità di abbozzare, caso come detto alquanto raro, le
caratteristiche di un rito e soprattutto la sua evoluzione nel passaggio all’età romana.
La descrizione più completa della cerimonia celebrata al santuario di Orthia, e la testimonianza
canonicamente più utilizzata, è di Pausania (III, 16.10-11): gli efebi spartani vengono fustigati nei pressi
dell’altare, tanto da cospargerlo di sangue, mentre la sacerdotessa giudica l’intensità dei colpi reggendo in
mano lo xoanon della dea, il quale si appesantisce quando la violenza delle fruste cala. Il Periegeta ci
fornisce anche un aition per questo rituale: in seguito ad una rissa scoppiata tra le obai di Sparta e chiusasi
nel sangue sull’altare di Artemide, la dea impone agli spartani di continuare a bagnare la sua ara di sangue
umano; alla pratica di sacrifici umani, che inizialmente fa seguito ai dettami della dea, Licurgo sostituisce
successivamente la fustigazione a sangue degli efebi, aggirando così il precetto. Tale aition, secondo il
Periegeta, confermerebbe anche l’origine barbara e sanguinaria del culto, portato dalla Tauride a Sparta ad
opera di Oreste e Ifigenia. Pausania, dunque, ci presenta la versione del rituale, e del mito ad esso
collegato, che è diffusa alla metà del II secolo d.C..
2
3
Cf. CARTLEDGE, SPAWFORTH 1989, 122.
Per una lista completa delle fonti, cf. KENNELL 1995, app. I.
Bollettino di Archeologia on line I 2010/ Volume speciale C / C8 / 5
Reg. Tribunale Roma 05.08.2010 n. 330 ISSN 2039 - 0076
www.archeologia.beniculturali.it/pages/pubblicazioni.html
30
XVII International Congress of Classical Archaeology, Roma 22-26 Sept. 2008
Session: Religione come sistema di comunicazione: networks e rituali nei santuari tradizionali greci di età romana
Questa differisce, in modo alquanto sostanziale, dalla versione fornita da Senofonte (Lac. Resp.,
II.9) nella prima metà del IV secolo a.C. In essa, infatti, il rituale ha uno scopo ben preciso, che consiste, da
parte degli efebi, nel rubare dall’altare di Orthia quante più forme possibili di formaggio, il quale viene difeso
da una squadra di fustigatori. La genesi di questa contesa rituale, inoltre, non pare avere nulla a che fare
con originari atti violenti o sacrifici umani, ma si lega organicamente con i precetti dell’agogé licurghea, che
imponeva agli efebi di rubare il cibo che volessero eventualmente aggiungere a quello, scarso, loro fornito di
norma; in Senofonte, inoltre, non vi è nessun accenno al sangue o ad un eventuale ruolo del suo
spargimento nel rito4. La notevole distanza tra queste due notizie separate tra loro da più di cinque secoli è
evidente e ha spesso portato a mettere in dubbio l’autenticità del passo di Senofonte, considerato
un’interpolazione, in quanto le numerose altre fonti sul rituale in nostro possesso, tutte di età romana,
5
concordano sostanzialmente con la versione di Pausania .
Cicerone (Tusc. Disp., II, XIV.34), nel trattare della sopportazione del dolore fisico, riporta le
asprezze dell’agogé di Licurgo, che culminano nella fustigazione presso l’altare, tanto violenta da portare a
copiosi spargimenti di sangue e, a volte («non numquam»), alla morte, senza che però nessuno dei giovani
levi nemmeno un lamento. Interessante, a mio parere, è come Cicerone, ossia la fonte cronologicamente
meno lontana a Senofonte, punti l’accento sul legame del rituale con l’educazione spartana e collochi la
notizia degli occasionali decessi in un contesto quasi iperbolico, o in quello di una diceria («cum ibi essem,
audiebam»). Del tutto parallela a quella di Cicerone, è poi la notizia fornita da Plutarco nei Moralia (239d;
Inst. Lac., 40), la quale, anzi, pare quasi una canonizzazione della precedente. Ancora una volta, il rituale
riportato prevede esclusivamente la fustigazione, alla quale i giovani si sottopongono senza un lamento,
nonostante il rischio di morte, che in questo caso, però, è definito come un evento tutt’altro che raro («mšcri
q£natoj poll£kij»); la cerimonia, inoltre, viene ora presentata con precise connotazioni agonistiche, dove il
vincitore è colui che resiste al maggior numero di sferzate: si tratta quindi di una gara (¤milla) che ha anche
una dicitura precisa (Diamast…gwsij). Gli stessi caratteri di gara di orgoglio e resistenza presentati nei
Moralia si trovano nella descrizione della cerimonia da parte di Luciano (Anach., 38), di particolare interesse
per i suoi caratteri parodistici. L’immagine dei familiari degli efebi, che assistono alla cerimonia e spronano i
loro rampolli a resistere fino alla morte, seppur caricaturale, è particolarmente icastica nel raffigurare le
valenze sociali e civiche del rito, le quali sono del tutto esplicitate nella menzione delle statue erette a spese
della città in onore dei vincitori della gara.
In qualche modo nel solco della testimonianza di Pausania, e di poco posteriore ad essa, è infine la
menzione della cerimonia da parte di Sesto Empirico (Pyrr., III.208), il quale, trattando della varietà dei
costumi degli uomini ed elencando una serie di pratiche o episodi mitistorici che vanno contro la tradizionale
morale greca, cita la fustigazione spartana tra il ricordo del cannibalismo di Tideo, che divora il cervello del
suo nemico Melanippo, e la menzione dei sacrifici umani operati dagli Sciti in onore di Artemide. Ancora una
volta, dunque, si sottolinea l’aspetto cruento ed in qualche modo “barbaro” della cerimonia dell’Orthia, dato
che la consuetudine greca considera sacrilego bagnare di sangue umano un altare.
La discordanza della testimonianza di Senofonte da tutte le altre, sia per i toni, sia per quello che
viene descritto, non deve necessariamente far pensare ad un passo spurio o ad una interpolazione. Al
contrario, la distanza cronologica che lo separa dalle notizie di età romana deve renderci particolarmente
prezioso il testo di Senofonte, il quale non ci presenta un rito diverso o mal compreso, bensì una versione
più antica dello stesso rito. Agli inizi del IV secolo a.C., infatti, il rituale pare decisamente più complesso,
ossia sempre con caratteri agonistici, ma con il suo fulcro nel furto e nel formaggio (e quindi, forse, in una
offerta alla dea) e non nel sangue; lo stesso elemento della frusta svolge un ruolo fondamentale, ma non
unico. L’indubitabile carattere “di passaggio” del rito, inoltre, va posto sullo sfondo della società tripartita
4
Per il ruolo antropologico che la frusta e la violenza dovevano comunque avere all’interno dei riti di passaggio spartani, cf. VERNANT
1984 e BRELICH 1969, 136.
5
È possibile che a quella di Senofonte sia da accostare la notizia di Platone, Lg. I (633B), sui “furti a rischio di molte ferite”, anche se
essa si adatta in generale alle pratiche dell’agogé e non è detto che debba interpretarsi come un riferimento preciso al rituale
dell’Orthia.
Bollettino di Archeologia on line I 2010/ Volume speciale C / C8 / 5
Reg. Tribunale Roma 05.08.2010 n. 330 ISSN 2039 - 0076
www.archeologia.beniculturali.it/pages/pubblicazioni.html
31
A. Baudini – I rituali dell’Orthia a Sparta come veicolo di autorappresentazione di un’élite civica
spartana. La pratica rituale di rivolgere la sferza contro uomini liberi (e lo sgorgare del sangue che ne doveva
essere la naturale conseguenza), non fu probabilmente del tutto comprensibile ad occhi esterni, così come
molti dei costumi particolari su cui Sparta costruì il proprio mito, e dovette impressionare gli occasionali
visitatori, cominciando così a diffondere la propria leggenda. Cicerone, ancora cosciente del posto occupato
dal rito nel percorso educativo spartano, ma allo stesso tempo colpito dalla violenza delle fruste, offre una
buona attestazione di questa fase di un’evoluzione, che porterà successivamente l’aspetto cruento ad una
totale prevalenza, identificandolo, certamente almeno nel II secolo d.C., con la cerimonia stessa in toto. Alle
soglie dell’età romana, dunque, si configura un processo di sclerotizzazione del rituale, che lo allontana dai
significati originari e ne isola le componenti più scenografiche, a questo punto divenute il fulcro del rito. Nel
corso di questa evoluzione, non va dimenticato il ruolo certamente fondamentale che devono avere avuto le
riforme operate da Cleomene III, tra le quali si colloca una ristrutturazione del complesso dell’agogé,
evidentemente dopo un periodo di abbandono o trascuratezza delle sue pratiche (Plut., Cleom. XI, 3-4). A
tale restaurazione si associa la figura del filosofo stoico Sfero di Boristene, al quale deve con ogni probabilità
essere ascritta l’accentuazione dei caratteri di resistenza e sopportazione assunti dalla gara dell’Orthia. Alla
luce di questo dato, le forme del rito che si ritrovano in età romana paiono essere il punto d’arrivo di un
processo che inizia molto presto, nella piena età ellenistica, e che deve essere necessariamente collegato
6
all’evoluzione interna della società spartana adombrata dalle riforme di Cleomene .
La perdita di contatto con i significati ed il contesto primigeni è probabilmente alla base della
creazione dei diversi aitia per spiegare una forma rituale ormai poco comprensibile e che pare eccedere
anche il mito del militarismo spartano7. la collocazione ai margini del mondo civilizzato tentata da Sesto
Empirico, l’origine barbara per cui opta Pausania ed il mito degli originari sacrifici umani si collocano
perfettamente in tale contesto. La componente spettacolare, ormai, prende il sopravvento e l’edificazione
nella seconda metà del III secolo d.C. della grande cavea ci porta, cronologicamente poco più in là rispetto
alle fonti esaminate finora, al possibile punto di arrivo del processo: la sproporzione delle gradinate rispetto
all’edificio templare è già stata notata e l’accento così posto sul pubblico giustifica a mio avviso i caratteri di
(auto)rappresentazione attribuibili alla cerimonia.
Una testimonianza di Filostrato (Vita Apolloni, VI.20) fotografa icasticamente la situazione. Nel
discutere con l’etiope Tespesio, un saggio locale, Apollonio risponde alle curiosità «riguardo alle fruste
laconiche» e, alla domanda particolarmente stupita del suo interlocutore su cosa pensino i greci della
fustigazione di uomini liberi e di alto rango (™leuqšrioi kaˆ eÙdÒkimoi), risponde: «si riuniscono come per le
Giacinzie e le Gimnopedie e assistono con piacere ed entusiasmo».
Protagonisti e attori di tale apparato spettacolare sono i rampolli delle grandi famiglie dell’aristocrazia
di età romana alle quali manca il sottofondo dell’antica società tripartita e che sono quindi qualcosa di ben
diverso dagli homoioi di età classica. In altre parole, se i caratteri di rito di passaggio della cerimonia non
vanno di certo persi, con il cambiare del sostrato sociale muta anche l’accezione della pratica rituale. Il teatro
della rappresentazione dei rituali dell’Orthia, infatti, è ormai quello di una provincia (quella di Achaia) la quale
trova una propria giustificazione e ruolo all’interno dell’universitas romana quasi esclusivamente nella propria
8
tradizione e nei fenomeni classicisti ad essa collegati ; più nello specifico, è proprio nel mito militarista ed
eccentrico che Sparta e la sua aristocrazia si autorappresentano. All’interno del quadro così delineato è
decisamente interessante, a mio avviso, una terza testimonianza di Plutarco (Arist., XVII, 8), non tanto per la
descrizione della cerimonia, che si basa ancora sulla semplice fustigazione degli efebi, quanto per l’aition ad
essa connesso, che viene fatto risalire alla battaglia di Platea, quando Pausania ed i suoi compagni, sorpresi
da una banda di Lidi nell’atto di sacrificare e trovandosi senz’armi, si sarebbero difesi con bastoni e fruste; in
memoria di questo episodio, sarebbero state create la cerimonia dell’Orthia e la “pompé dei Lidi” che la
seguiva nelle celebrazioni. Il richiamo alla Guerre Persiane costituisce un costante e potente elemento
propagandistico per la Grecia romana, che ritroviamo a Sparta nella celebrazione degli agoni Leonidei, nel
6
Per un’analisi più approfondita dei passaggi evolutivi dell’agogé spartana, cf. KENNELL 1995, passim.
Cf. BONNECHÈRE 1993, 55.
8
Sul tema, cf. ALCOCK 1993.
7
Bollettino di Archeologia on line I 2010/ Volume speciale C / C8 / 5
Reg. Tribunale Roma 05.08.2010 n. 330 ISSN 2039 - 0076
www.archeologia.beniculturali.it/pages/pubblicazioni.html
32
XVII International Congress of Classical Archaeology, Roma 22-26 Sept. 2008
Session: Religione come sistema di comunicazione: networks e rituali nei santuari tradizionali greci di età romana
rifacimento della stoà Persiké testimoniato da Pausania (III, 11.3) e nell’invio di contingenti militari per le
spedizioni partiche di Lucio Vero e Caracalla9. Nella testimonianza plutarchea, dunque, paiono riunirsi diversi
filoni dell’autorappresentazione della Sparta di età romana.
I documenti epigrafici, a cui accenneremo qui solo brevemente, danno una conferma puntuale dei
1
dati forniti dalle fonti. Alcune basi rinvenute nel santuario (ad esempio IG V , 653b) riportano la dedica di una
statua da parte della città ai vincitori della “gara dell’altare” (bwmon…kai), esattamente come descritto da
1
Luciano; il riferimento esplicito (almeno nel caso di IG V , 290, databile attorno al 100 d.C.) ad un karter…aj
¢gèn, inoltre, richiama direttamente i caratteri di “gara di resistenza” descritti soprattutto da Cicerone,
Plutarco e, ancora una volta, Luciano.
L’analisi dei nomi degli efebi vincitori nelle gare del santuario, infine, rivela la presenza tra di essi di
esponenti delle famiglie che si sono susseguite alla guida della Sparta di età romana, quali gli Euriclidi (IG
1
1
V , 265 e 267) e i Claudii (IG V , 283), oppure, più in generale, di personaggi che avevano ricevuto i tria
nomina legati alla cittadinanza romana10. Si conferma così come le cerimonie dell’Orthia (e gli onori civici ad
esse collegati) siano da leggere quale luogo di autorappresentazione sociale per gli eÙdÒkimoi menzionati da
Filostrato, ossia i rampolli di quella aristocrazia che aveva progressivamente sostituito, nel corso dell’età
ellenistico-romana, la tradizionale società degli homoioi.
Andrea Baudini
Università degli Studi di Milano
E-mail: [email protected]
Bibliografia
ALCOCK S. E., 1993. Graecia Capta. The Landscapes of Roman Greece. Cambridge.
BOARDMAN J., 1963. Arthemis Orthia and Chronology. BSA, 58, 1–7.
BONNECHÈRE P. 1993. Orthia et la flagellation des ephèbes spartiates. Un souvenir chimérique de sacrifice
humain. Kernos, 6, 11–22.
BRELICH A., 1969. Paides e parthenoi. I (rist. 1981). Roma.
a
CARTLEDGE P., 2002. Sparta and Lakonia. A regional History 1300 - 362 a.C.. (1 ed. 1979). London.
a
CARTLEDGE P., SPAWFORTH A. J. S., 1989. Hellenistic and Roman Sparta. A Tale of two Cities. (2 ed. 2002).
London – New York.
DAWKINS R. M. (a cura di), 1929.The Sanctuary of Artemis Orthia at Sparta. JHS, suppl. 5.
KENNELL N. M., 1995. The Gymnasium of Virtue. Education and Culture in Ancient Sparta. Chapel Hill –
London.
SPAWFORTH A. J. S., 1985. Families at Roman Sparta and Epidauros. Some prosopographical Notes. BSA,
80, 191–258.
SPAWFORTH A. J. S., 1994. Symbol of Unity? The Persian-Wars Tradition in the Roman Empire. In
HORNBLOWER S. (ed), Greek Historiography. Oxford, 233–247.
RIZAKIS A. D., ZOUMBAKIS S., LEPENIOTI C., 2004. Roman Peloponnese. Roman Personal Names in their
Social Context. II (Laconia and Messenia). Athina.
VERNANT P., 1984. Une divinité des marges: Arthemis Orthia. In Recherches sur les cultes grecs et
l'Occident, 2, 13–27.
9
Sulle valenze propagandistiche del tema delle guerre persiane, cf. SPAWFORTH 1994.
Per una prosopografia della Sparta romana, cf. SPAWFORTH 1985 e RIZAKIS ET AL. 2004.
10
Bollettino di Archeologia on line I 2010/ Volume speciale C / C8 / 5
Reg. Tribunale Roma 05.08.2010 n. 330 ISSN 2039 - 0076
www.archeologia.beniculturali.it/pages/pubblicazioni.html
33