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30 Modena Economica Numero 4 luglio‐agosto 2013 MEDICINALI “made in MO” Il lavoro di ricerca di Therabor E. F. N o, la Biomedical Valley questa volta non c’entra nulla. C’entrano, invece, le buone idee, la capacità di fare ricerca e di guardarsi attorno. Solo a partire da questi “ingredienti” si può spiegare la nascita proprio qui, a Modena, in un territorio lontano da poli tradizionali legati alla farmaceutica come Milano o Roma, di una vera e propria impresa in questo settore. Stiamo parlando della Therabor Pharmaceuticals (www.therabor.it), una spin-off che nasce dal Dipartimento di chimica della nostra Università per sviluppare la ricerca per le applicazioni farmacologiche di derivati dell’acido boronico. «Si tratta di molecole – racconta Emilia Caselli, la direttrice scientifica di questa start-up innovativa – che hanno un’azione antibatterica importante, utile per affrontare quelle infezioni che si sviluppano negli ospedali e che sono particolarmente difficili da combattere». Negli ospedali, insomma, ci si può anche ammalare, gravemente peraltro. «Un problema sempre più sentito, anche perché le case farmaceutiche per lunghi anni hanno ridotto gli investimenti in quest’ambito, preferendo indirizzare la ricerca su patologie ritenute di maggior rilevanza». E per questo, aggiungiamo noi, maggiormente remunerative. Ma come nasce Therabor? «Quasi per gioco – continua Emilia Caselli –, o meglio, per divertimento accademico, a seguito di studi iniziati più o meno quattordici anni fa nel laboratorio di chimica del professor Fabio Prati – non a caso socio dell’impresa modenese – e proseguiti per un anno e mezzo negli Stati Uniti, dal 1998». Proprio grazie alle collaborazioni nate oltreoceano, gli articoli scritti sulle molecole a base di atomi di boro ricevono quella certificazione che li porta a incontrare l’interesse di Nicholas Draeger, un consulente sudafricano di nasci- Tino Rossi, amministratore delegato di Therabor Modena Economica Numero 4 luglio‐agosto 2013 innovazione 31 Fabio Prati ed Emilia Caselli nel laboratorio di Therabor ta ma svizzero di adozione, esperto del settore, al pari di Tino Rossi, attuale amministratore delegato di Therabor. Sono loro a farsi avanti per “sondare” il terreno e spingere Caselli e Prati a dare il via – siamo nell’ottobre del 2011 – a questa esperienza. «Che è ancora a livello iniziale». Cioè, di ricerca. Perché prima di arrivare ai risultati commerciali la strada è ancora lunga, e passa attraverso l’individuazione dei grandi investimenti necessari per proseguire la ricerca. «Si parte da qualche centinaia di migliaia di euro per i primi studi destinati alla valutazione delle attività biologiche dei composti sintetizzati – racconta Rossi –, una cifra destinata ad aumentare geometricamente e raggiungere i sei-sette zeri nelle fasi successive. Solo ottenendo questi finanziamenti, che possono essere reperiti attraverso istituzioni ed enti no profit, nella forma di venture capital o con accordi diretti con le case farmaceutiche, possiamo sperare di imporci all’attenzione dei big del settore. In ogni caso non è nostra intenzione lanciarci nella produzione diretta di farmaci: il nostro business è fatto di generazione sia di proprietà intellettuale (brevetti) sia di valore legato alla conoscenza delle proprietà cliniche e all’applicazione in campo biomedico delle molecole generate nei laboratori chimici di Modena». E i ritorni commerciali, in termini economici e temporali? «Cronologicamente – chi parla è sempre l’AD Tino Rossi – i tempi di rientro possono essere stimati nell’ordine dei tre-quattro anni a partire dall’inizio della seconda fase, quella dello sviluppo degli attuali brevetti, mentre per arrivare all’utilizzo sull’uomo delle nostre molecole probabilmente dovranno passare almeno sette anni. Per ciò che riguarda i margini di rientro, questi possono arrivare anche al 500%, ma occorre tener conto del fatto che il rischio d’impresa in questo settore è davvero molto alto». Certo è che il momento non è sicuramen- te quello più indicato per cercare fondi. «Già, e a rendere più difficile la situazione c’è che il nostro Paese fa fatica a individuare le strategie di sviluppo, tendendo a confondere la ricerca scientifica con l’innovazione manifatturiera. Ho sempre pensato che in altri Stati probabilmente il nostro lavoro non sarebbe così difficile», sottolinea Emilia Caselli. Che però della sua evoluzione “imprenditoriale” va fiera. «Sto imparando cose nuove, difficili per una ricercatrice che sino a oggi ha badato “solo” a studiare. Una mano importante ce l’hanno data l’Università, la Fondazione Democenter-Sipe, e soprattutto l’esperienza che arriva dai nostri soci Rossi e Draeger. In ogni caso mi ritengo fortunata: sono due mestieri entrambi appassionanti, esaltanti ciascuno nel proprio ambito». A conferma del fatto che quella dell’imprenditorialità dalle nostre parti – a Modena circa un cittadino su dieci è titolare d’impresa – è una gran bella malattia.