Tratto dalla Relazione sulla crisi economica mondiale

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Tratto dalla Relazione sulla crisi economica mondiale
indice Trotsky
Il boom e la crisi
Trotsky (1921)
Tratto dalla Relazione sulla crisi economica mondiale e sui nuovi compiti dellInternazionale
comunista (seconda sessione del III Congresso, 23 giugno 1921). Si ringrazia Falce e
Martello
Gli economisti borghesi e riformisti, che hanno un interesse ideologico a presentare
sotto una luce favorevole la condizione del capitalismo, dicono: di per se stessa l’attuale
crisi non prova assolutamente nulla; al contrario, rappresenta un fenomeno normale.
Subito dopo la guerra abbiamo assistito ad un boom industriale ed ora assistiamo a una
crisi. Ne deriva che il capitalismo è vivo e vegeto.
È un fatto che il capitalismo vive passando attraverso le crisi e i boom, come un essere
umano vive inspirando ed espirando. Prima cè un boom dellindustria, poi un arresto e
quindi una crisi, seguita da un arresto della crisi stessa, poi da un miglioramento, da un
altro boom, da un altro arresto e così via.
La crisi e il boom, unitamente a tutte le fasi transitorie, costituiscono insieme un ciclo
o uno dei grandi cicli dello sviluppo industriale. Ogni ciclo dura dagli otto ai nove o dieci
anni e può arrivare agli undici. A causa delle sue contraddizioni interne il capitalismo non
si sviluppa, dunque, in linea retta, ma a zig zag, con alti e bassi. E questo che sta alla base
delle asserzioni degli apologeti del capitalismo. Visto che riscontriamo dopo la guerra un
succedersi di boom e di crisi dicono ne deriva che tutto sta andando per il meglio nel
migliore dei mondi capitalisti.
In realtà le cose stanno diversamente. Il fatto che dopo la guerra il capitalismo
continui ad oscillare ciclicamente significa semplicemente che il capitalismo non è ancora
morto, che non abbiamo a che fare con un cadavere. Sinché il capitalismo non sarà
rovesciato dalla rivoluzione proletaria, continuerà a percorrere i suoi cicli, ascendenti e
discendenti. Le crisi e i boom hanno caratterizzato il capitalismo sin dalla nascita e lo
accompagneranno sino alla tomba. Ma per stabilire letà del capitalismo e il suo stato
generale, per stabilire se stia ancora sviluppandosi, se abbia raggiunto la sua maturità o se
stia declinando, è necessario diagnosticare la natura dei cicli. Allo stesso modo lo stato di
un organismo umano può essere diagnosticato verificando se il respiro è regolare o
spasmodico, profondo o leggero ecc.
Il nocciolo della questione, compagni, può essere descritto come segue. Consideriamo
lo sviluppo del capitalismo, l’aumento della produzione del carbone, dei prodotti tessili,
del ferro, dell’ acciaio, del commercio estero ecc. e tracciamo una curva che rappresenti
questo sviluppo. Se l’andamento della curva corrisponde al corso reale dello sviluppo
economico, vediamo che la curva non sale in modo ininterrotto, ma a zig zag, con alti e
bassi, che corrispondono rispettivamente ai boom e alle crisi. Così la curva dello sviluppo
economico si compone di due movimenti: un movimento primario che esprime lascesa
generale del capitalismo e un movimento secondario che consiste in continue oscillazioni
periodiche in corrispondenza con i vari cicli industriali.
Nel gennaio di questanno il Times di Londra ha pubblicato una tabella che abbraccia
un periodo di 138 anni, dalla guerra delle tredici colonie americane per lindipendenza
sino ai giorni nostri. In questo arco di tempo ci sono stati sedici cicli, cioè sedici crisi e
sedici fasi di prosperità. Ogni ciclo ha avuto la durata media approssimativa di otto anni e
otto mesi, cioè di circa nove anni. Permettetemi di attirare la vostra attenzione sugli zig zag
che descrivono i movimenti. A un certo punto la tabella del Times indica unascesa.
Comincia con la somma di 2 sterline o 25 marchi-oro per ogni inglese. Nel periodo
considerato la popolazione è cresciuta circa di quattro volte, il commercio estero in misura
anche maggiore e il dato pro capite è salito a 30,5 sterline; e nel 1921, espresso in termini
monetari, ma non in valore reale, ha raggiunto le 65 sterline. Nella produzione del ferro
riscontriamo un andamento analogo. Vediamo che nella prima parte del 1851 la domanda
di ferro era di 4,5 chilogrammi pro capite. È cresciuta fino a 46 chilogrammi nel 1913. Poi è
seguito un movimento in senso inverso.
Questo è il bilancio complessivo, è il risultato generale di 138 anni di sviluppo. Se
analizziamo la curva dello sviluppo più da vicino, notiamo che può essere divisa in cinque
parti, cinque periodi ben distinti. Dal 1771 al 1851 lo sviluppo è molto lento; ci sono
movimenti appena percettibili. Osserviamo che nel corso di settantanni il commercio
estero cresce solo da 2 a 5 sterline pro capite. Il punto di rottura si produce solo dopo la
rivoluzione del 1848 che agì nel senso di unestensione del mercato europeo. Tra il 1851 e
il 1873 la curva dello sviluppo sale fortemente. In ventidue anni il commercio estero passa
da 5 a 21 sterline, mentre nello stesso periodo la produzione del ferro aumenta da 4,5 a 13
chilogrammi pro capite. A partire dal 1873 comincia unepoca di depressione. Dal 1873 al
1894 circa riscontriamo un ristagno nel commercio inglese (anche prendendo in
considerazione gli interessi del capitale investito in aziende estere): cè una caduta da 21 a
17,4 sterline nel corso di ventidue anni. Poi viene un altro boom che dura sino al 1913: il
commercio estero aumenta da 17 a 30 sterline. Infine, con il 1914 comincia il quinto
periodo, il periodo della distruzione delleconomia capitalista.
Come si combinano fluttuazioni cicliche e movimento primario nella curva dello
sviluppo capitalistico? Molto semplice. Nei periodi di rapido sviluppo capitalistico le crisi
sono brevi e di carattere superficiale. Mentre i boom si prolungano ed acquistano
dimensioni considerevoli. Nei periodi di declino capitalista, le crisi sono di carattere
prolungato, mentre i boom sono limitati, superficiali e speculativi. Nei periodi di ristagno
le fluttuazioni si producono allo stesso livello.
Questo significa solo che è necessario determinare lo stato generale dellorganismo
capitalistico verificando come precisamente respiri e a quale ritmo batte il suo polso.
Il boom postbellico
Immediatamente dopo la guerra si è prodotta una situazione economica non bene definita.
Ma con la primavera del 1919 si è delineato un boom: il mercato delle azioni si è attivizzato,
i prezzi sono saliti vertiginosamente come una colonna di mercurio immersa nellacqua
bollente, la speculazione si è sviluppata vertiginosamente. E lindustria? NellEuropa
centrale, orientale e meridionale la caduta è continuata, come indicato dalle statistiche che
abbiamo citato. In Francia cè stato un certo miglioramento, dovuto soprattutto al
saccheggio della Germania. In Inghilterra cè stato in parte un ristagno, in parte una
caduta con la sola eccezione della flotta commerciale il cui tonnellaggio è aumentato in
proporzione al declino del commercio effettivo. Così il boom europeo complessivamente
considerato ha assunto un carattere in parte fittizio e speculativo, il che ha comportato non
un progresso, ma un ulteriore declino delleconomia.
Negli Stati Uniti, dopo la guerra, lindustria ha rallentato la produzione bellica e ha
cominciato la riconversione alla produzione di pace. Si è verificata unascesa degna di nota
nellindustria dei petrolio, in quella automobilistica e in quella delle costruzioni navali.
Anno
Petrolio
Automobili
(milioni di
Costruzioni navali
(in migliaia di
(unità)
barili)
1918
tonnellate)
356
1.153000
3.033
378
1.974.000
4.075
442
2.350.000
2.746
1919
1920
Nel suo pregevole opuscolo il compagno Varga dice del tutto giustamente:
Il fatto che il boom postbellico abbia avuto carattere speculativo è rivelato nel modo
più chiaro dallesempio della Germania. Proprio mentre i prezzi si sono moltiplicati per
sette durante diciotto mesi, lindustria tedesca ha continuato ad andare indietro... La sua
congiuntura economica era una congiuntura di vendite di liquidazione; i residui delle
riserve di merci esistenti sul mercato interno sono stati gettati sui mercati esteri a prezzi
favolosamente bassi.
In Germania i prezzi hanno raggiunto i livelli più elevati mentre lindustria è in
continuo regresso. Negli Stati Uniti, dove lindustria continua a crescere, i prezzi sono
saliti in minore misura. La Francia e lInghilterra si trovano in una posizione intermedia
tra la Germania e gli Stati Uniti.
Come spiegare questi fatti e il boom stesso? In primo luogo, ci sono cause economiche:
dopo la guerra le relazioni internazionali sono state ristabilite, anche se in forma
approssimativa, e cè stata una domanda universale di ogni tipo di merci. In secondo
luogo, ci sono cause finanziarie: i governi europei hanno avuto una paura mortale della
crisi che sarebbe seguita alla guerra e hanno fatto ricorso ad ogni sorta di misure per
sostenere durante il periodo della smobilitazione il boom creato artificialmente dalla
guerra. I governi hanno continuato a mettere in circolazione grandi quantità di
cartamoneta, hanno emesso nuovi prestiti, hanno introdotto controlli sui profitti, sui salari
e sul prezzo del pane, assicurando così dei sussidi ai lavoratori smobilitati con un
drenaggio di fondi nazionali di base e determinando nei rispettivi paesi una ripresa
economica artificiale. In questo lasso di tempo il capitale fittizio ha continuato ad
espandersi, specie nei paesi in cui lindustria ha continuato a ristagnare.
Il fittizio boom postbellico ha avuto, tuttavia, grandi ripercussioni politiche. Cè
qualche motivo per affermare che ha salvato la borghesia. Se gli operai smobilitati fossero
stati colpiti fin dallinizio dalla disoccupazione e da una riduzione del tenore di vita a livelli
ancor più bassi di quelli dellanteguerra, ciò avrebbe potuto avere conseguenze fatali per la
borghesia. A questo proposito un professore inglese, Edwin Cannan, ha scritto nella
rassegna dellanno nuovo del Manchester Guardian che limpazienza degli uomini che
tornano dai campi di battaglia è una cosa molto pericolosa. E ha spiegato del tutto
giustamente che proprio il fatto che il governo e la borghesia avessero con uno sforzo
congiunto rinviato la crisi e creato unartificiale prosperità con unulteriore distruzione
del capitale di base europeo, aveva permesso di superare indenni il momento più grave del
dopoguerra, lanno 1919. Dice Cannan: Se nel gennaio 1919 si fosse creata la stessa
situazione economica del 1921, lEuropa occidentale avrebbe potuto precipitare nel caos.
La violenta febbre della guerra è stata prolungata per un altro anno e mezzo e la crisi è
scoppiata solo dopo che le masse di operai e contadini smobilitati erano state rimesse nelle
loro piccole gabbie.
Crisi, boom e rivoluzione
Il rapporto reciproco tra boom e crisi economica da una parte e sviluppo della
rivoluzione dallaltra è per noi del massimo interesse, non solo dal punto di vista teorico,
ma anche e soprattutto dal punto di vista pratico. Molti di voi ricorderanno che nel 1851,
quando il boom aveva raggiunto il punto più alto, Marx ed Engels hanno scritto che era
necessario in quel momento riconoscere che la rivoluzione del 1848 era finita o, quanto
meno, era interrotta fino alla prossima crisi. Engels ha scritto che, se la crisi del 1847 era
stata la madre della rivoluzione, il boom del 1849 1851 aveva generato la
controrivoluzione trionfante. Sarebbe, tuttavia, assai unilaterale e completamente erroneo
interpretare queste valutazioni nel senso che una crisi determina invariabilmente
unattività rivoluzionaria, mentre, al contrario, il boom determina una passività della
classe operaia. La rivoluzione del 1848 non è stata provocata dalla crisi. La crisi non ha
fatto che dare l’ultima spinta. Essenzialmente la rivoluzione è stata il prodotto delle
contraddizioni tra i bisogni dello sviluppo capitalistico e le catene del sistema sociale e
politico semifeudale. La rivoluzione del 1848, per quanto indecisa e rimasta a mezza
strada, ha spazzato via i residui del regime delle corporazioni e della servitù ed ha, quindi,
ampliato il quadro dello sviluppo capitalistico. Per questo e solo per questo il boom del
1851 ha segnato linizio di tutta unepoca di prosperità capitalistica durata sino al 1873.
Citando Engels è molto pericoloso trascurare questi elementi fondamentali. Proprio
dopo il 1850, cioè dopo il periodo in cui Marx ed Engels avevano fatto i loro rilievi, si
determinava non una situazione normale o regolare, ma unepoca di Sturm und Drang del
capitalismo cui la rivoluzione del 1848 aveva spianato il terreno. Si tratta di un dato di
importanza estrema.
Anche il periodo terminato con la rivoluzione era stato unepoca di Sturm und Drang,
nel corso del quale la prosperità e le congiunture favorevoli erano state molto sostenute,
mentre le crisi erano state superficiali e di breve durata. Quello che dobbiamo stabilire ora
non è se sia possibile un miglioramento della congiuntura, ma se le fluttuazioni della
congiuntura si inseriscono in una curva ascendente o in una curva discendente. Questo è
l’aspetto più importante di tutta la questione.
Possiamo attenderci dal rilancio economico del 1919-20 gli stessi effetti registrati in
epoche di ascesa complessiva? In nessun caso. Un allargamento del quadro dello sviluppo
capitalistico non si è neppure delineato. Questo significa che è escluso in futuro, in un
futuro più o meno prossimo, un nuovo rilancio commerciale e industriale? Niente affatto!
Ho già detto che sinché il capitalismo rimane in vita, continua ad inspirare e ad espirare.
Ma nellepoca in cui siamo entrati lepoca dellespiazione per il drenaggio e la
distruzione del tempo di guerra, lepoca del livellamento in senso negativo i rilanci
possono essere solo di carattere superficiale e principalmente speculativo, mentre le crisi
diventano più lunghe e più profonde.
Lo sviluppo storico non ha ancora portato a dittature proletarie vittoriose nellEuropa
centrale e occidentale. Ma sarebbe la più sfacciata e contemporaneamente la più stupida
delle menzogne asserire, come fanno i riformisti, che lequilibrio economico del mondo
capitalistico è stato surrettiziamente ristabilito. Questo non lo pretendono neppure i
peggiori reazionari, almeno quelli che sono capaci di pensare, per esempio il professor
Hoetzch. Nella sua rassegna dellanno questo professore ha affermato, infatti, che lanno
1920 non ha portato alla vittoria della rivoluzione, ma non ha neppure ristabilizzato
leconomia mondiale capitalistica. È stato soltanto ottenuto un equilibrio instabile e del
tutto temporaneo. Il signor Chavenon, per parte sua, ha detto: In Francia, oggi possiamo
solo constatare la possibilità di unulteriore rovina delleconomia capitalistica a causa del
deterioramento delle finanze dello Stato, dell’inflazione corrente e dell’aperta bancarotta.
Ho già cercato di spiegare che cosa ciò significhi. Ho descritto la crisi più acuta che il
mondo capitalistico abbia mai conosciuto. Tre o quattro settimane fa sono stati segnalati
dalla stampa borghese sintomi di un miglioramento imminente, dellavvicinarsi di
unepoca di prosperità. Ma è ormai del tutto chiaro che si trattava di una brezza
primaverile prematura. Un certo miglioramento si è prodotto nella situazione finanziaria,
che non è più grave come prima. Sui mercati i prezzi sono caduti, ma ciò non significa
affatto un rilancio del commercio. Il mercato delle azioni è stagnante, mentre nella
produzione continua la recessione. La metallurgia americana opera attualmente a un terzo
della sua capacità produttiva. In Inghilterra sono Stati chiusi gli ultimi altiforni. Il che
indica che la contrazione della produzione non è finita.
Questo movimento negativo non continuerà certo indefinitamente e con lo stesso
ritmo. Ciò è assolutamente escluso. Lorganismo capitalistico avrà dei momenti di respiro.
Ma dal fatto che aspirerà un po’ di aria fresca e si produrrà un certo miglioramento
sarebbe prematuro trarre la conclusione che è ritornata la prosperità. Si delineerà una
nuova fase quando si cercherà di eliminare la contraddizione tra la povertà di fondo e la
sovrapproduzione di ricchezza fittizia. Dopo di che il parossismo dellorganismo
economico continuerà. Tutto questo ci dà, come è stato detto, un quadro di profonda
depressione economica.
A causa di questa depressione economica la borghesia sarà costretta ad esercitare una
pressione sempre più forte sulla classe operaia. Ciò a cominciato già a verificarsi con il
taglio dei salari nei paesi capitalisti più sanguigni, lAmerica e lInghilterra, e quindi in
tutta Europa. La conseguenza sarà unondata di lotte salariali. Il nostro compito è di
estendere queste lotte partendo da una chiara comprensione della situazione economica.
Questo è del tutto ovvio.
Ci si potrebbe chiedere se grandi lotte salariali, di cui lo sciopero dei minatori inglesi è
un esempio classico, possano portare automaticamente alla rivoluzione mondiale, alla
guerra civile finale e alla lotta per il potere politico. Ma porre la questione in questi termini
non è da marxisti. Non esiste nessuna garanzia di uno sviluppo automatico.
Comunque, se alla crisi seguirà una congiuntura transitoriamente favorevole, che cosa
significherà questo per il nostro sviluppo? Molti compagni dicono che, se in questo periodo
ci sarà un miglioramento, sarà fatale alla rivoluzione. No, in nessun caso. In linea generale
non cè nessuna corrispondenza automatica tra crisi e movimento rivoluzionario
proletario. Esiste solo un rapporto dialettico. È essenziale comprenderlo.
Consideriamo questo rapporto per quanto riguarda la Russia. La rivoluzione del 1905
si è conclusa con una sconfitta. Gli operai hanno dovuto sopportare grandi sacrifici. Nel
1906 e nel 1907 ci sono state le ultime fiammate e nellautunno del 1907 è scoppiata una
grande crisi mondiale di cui il venerdì nero di Wall Street ha dato il segnale. Nel 1907,
1908 e 1909 cè stata una crisi terribile anche in Russia, Questa crisi ha ucciso
completamente il movimento perché gli operai avevano talmente sofferto durante la lotta
che la depressione poteva solo demoralizzarli. Tra noi ci sono state allora molte dispute
sulla situazione che avrebbe portato a una nuova rivoluzione: sarebbe stata una crisi o una
congiuntura favorevole?
In quel periodo molti di noi sostenevano il punto di vista che il movimento
rivoluzionario russo avrebbe conosciuto una ripresa solo in seguito a una congiuntura
economica favorevole. È quello che è avvenuto. Nel 1910, nel 1911 e nel 1912 cè stato un
miglioramento nella nostra situazione economica e la congiuntura favorevole ha agito nel
senso di rimettere insieme gli operai demoralizzati e scoraggiati che avevano perso fiducia
in se stessi. Gli operai si sono resi di nuovo conto di quale importanza avessero nella
produzione e sono passati alloffensiva, prima sul piano economico e poi anche su quello
politico. Alla vigilia della guerra la classe operaia si era riconsolidata, grazie al periodo di
prosperità, al punto di essere in grado di passare direttamente allattacco.
Se oggi, in un periodo di grande usura della classe operaia derivante dalla crisi e dalla
continua lotta, non riuscissimo a conquistare la vittoria il che è possibile , allora un
mutamento di congiuntura e un aumento del livello di vita non avrebbero conseguenze
pregiudizievoli per la rivoluzione, ma, al contrario, sarebbero un fattore altamente
favorevole. Un mutamento del genere si rivelerebbe pregiudizievole solo nel caso che una
congiuntura favorevole segnasse linizio di una lunga epoca di prosperità. Ma un lungo
periodo di prosperità esigerebbe una espansione del mercato che è assolutamente esclusa.
Dopotutto, leconomia capitalista si estende già a tutto il globo.
L’impoverimento dellEuropa e il grandioso fiorire dellAmerica grazie al gigantesco
mercato bellico confermano che la prosperità non può essere realizzata con uno sviluppo
capitalistico della Cina, della Siberia, dellAmerica del Sud o di altri paesi e che, se
lAmerica sta sicuramente cercando e creando nuovi mercati di sbocco, si tratta di mercati
in nessun caso paragonabili a quello costituito dallEuropa. Ne segue che siamo alla vigilia
di un periodo di depressione; e questo è incontestabile.
Se questa è la prospettiva, unattenuazione della crisi non comporterà un colpo
mortale alla rivoluzione, al contrario concederà alla classe operaia un momento di respiro
che le consentirà di riorganizzare le sue fila per passare poi allattacco su una base più
solida. Questa è una possibilità. L’altra possibilità è che la crisi da acuta diventi cronica, si
intensifichi e duri per molti anni. Tutto questo non è escluso. In una situazione del genere
resta aperta la possibilità che la classe operaia riunisca le sue ultime forze e, istruita
dallesperienza, conquisti il potere statale nei paesi capitalisti più importanti. La sola cosa
da escludere è una ristabilizzazione automatica dellequilibrio capitalistico su una nuova
base e un rilancio capitalistico nei prossimi anni. Ciò è assolutamente impossibile nelle
condizioni del moderno ristagno dell’economia.
Qui dobbiamo affrontare il problema dellequilibrio sociale. Dopo tutto, si dice di
frequente è questa lidea fondamentale non solo di Cunow, ma anche di Hilferding che il
capitalismo si sta ristabilizzando automaticamente su una nuova base. La fede
nellevoluzione
automatica
è
il
tratto
più
importante
e
più
caratteristico
dellopportunismo.
Se ammettiamo e ammettiamolo per un momento che la classe operaia non riesca
a raggiungere il livello della lotta rivoluzionaria, ma permetta alla borghesia di decidere le
sorti del mondo per un lungo numero di anni, diciamo per due o tre decenni, allora
sicuramente un nuovo equilibrio sarà in qualche modo ristabilito. LEuropa sarà spinta
violentemente in direzione opposta. Milioni di operai europei moriranno per la
disoccupazione e la denutrizione. Gli Stati Uniti saranno costretti a riorientarsi sul mercato
mondiale, a riconvertire la loro industria e a subire una contrazione per un periodo
considerevole. Dopo di che, dopo che con grandi lacerazioni sarà stata ristabilita una nuova
divisione mondiale del lavoro per 15, 20 o 25 anni, forse seguirà una nuova epoca di
rilancio capitalistico.
Ma tutta questa ipotesi è completamente astratta e unilaterale. Le cose sono
presentate come se il proletariato avesse cessato di lottare. Invece, per il momento, non
possiamo neppure avanzare una simile ipotesi non fosse che per la ragione che proprio
negli ultimi anni le contraddizioni di classe si sono acutizzate allestremo.
Questo il nocciolo della schematica concezione di un equilibrio ristabilito che il signor
Heinrich Cunow e altri sognano ad occhi aperti. Ogni misura che il capitalismo è costretto
a prendere per fare un passo in avanti nel ristabilimento dellequilibrio, assume
immediatamente una decisiva importanza per lequilibrio sociale, tende a minare sempre
di più questo equilibrio e spinge ancor più la classe operaia alla lotta. Il primo obiettivo per
realizzare lequilibrio è quello di rimettere in ordine lapparato produttivo, ma per far
questo è indispensabile accumulare capitale. E per accumulare capitale è necessario
aumentare la produttività del lavoro. Come? Nella misura in cui il declino della
produttività della forza-lavoro nei tre anni del dopoguerra è un dato di fatto largamente
noto, è necessario uno sfruttamento accresciuto e intensificato della classe operaia.
Daltra parte, per ristabilire leconomia mondiale sulle sue basi capitalistiche è
indispensabile disporre di nuovo di ununità di misura mondiale, il gold standard (valuta
aurea). Senza la quale leconomia capitalistica non può sussistere, come non può
sussistere nessuna produzione sinché i prezzi continuano la loro danza della morte
aumentando del 100% in un mese, come accade in Germania in seguito alle fluttuazioni
della moneta tedesca.
Il capitalista non è interessato alla produzione. Viene attratto sempre più dalla
speculazione che lo tenta con profitti molto più elevati di quelli che potrebbe ricavare da
unindustria che si sviluppa lentamente. Che cosa significa ristabilizzazione della moneta?
Per la Francia e per la Germania significa dichiarazione di bancarotta da parte dello Stato.
Ma dichiarare uno Stato insolvente significa provocare un vasto spostamento di rapporti di
proprietà nellambito di un paese. E gli Stati che proclamano la loro insolvenza divengono
teatro di nuove lotte per la distribuzione della ricchezza nazionale, il che rappresenta un
gigantesco passo avanti nell’acutizzazione della lotta di classe.
Allo stesso tempo tutto questo significa rinunciare allequilibrio sociale e politico,
provocare sconvolgimenti rivoluzionari. In ogni modo, la dichiarazione di bancarotta dello
Stato non consente di imporre immediatamente una ristabilizzazione dellequilibrio. Alla
dichiarazione devono seguire il prolungamento della settimana lavorativa, labolizione
della giornata di otto ore e uno sfruttamento intensificato. Per tutto questo, naturalmente,
è necessario che sia spezzata la resistenza della classe operaia.
In breve, in linea teorica e astratta, il ristabilimento dell’equilibrio capitalistico è
possibile. Ma non avviene in un vuoto sociale e politico, può avere luogo solo passando
attraverso le classi. Ogni passo, se pur minimo, verso un ristabilimento dellequilibrio
nella vita economica è un colpo allinstabile equilibrio sociale su cui i signori capitalisti
continuano a reggersi. E questa è la cosa più importante.