La politica delle vanità o la vanità della politica? di Maria

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La politica delle vanità o la vanità della politica? di Maria
La politica delle vanità o la vanità della politica?
di Maria Grazia Vinciguerra
Il concetto di vanità così come oggi lo concepiamo,
affonda le sue radici nel remoto e fascinoso passato dei miti
greci, quando Narciso si innamorò della sua stessa
immagine riflessa in una pozza di acqua limpida e questo
amore impossibile lo portò alla morte. Il profondo
significato morale di questa favola ellenica ha un valore
didascalico ed evidenzia il contrasto tra l’armonia
dell’ambiente circostante e l’egoismo profondo del
vanitoso, che, compreso nell’ammirazione di sé stesso,
chiude gli occhio agli affetti. Narciso obliò l’amore della
ninfa Eco, così perse sé stesso e la fanciulla, di cui rimarrà
solo la voce…
Questo mito era un insegnamento per i giovani ed un
invito a trovare una soluzione tra due posizioni estreme
usando il “giusto mezzo”, mediando tra il proprio orgoglio
e velleità di mettersi in mostra e il rispetto degli altri, che
diviene la scelta migliore anche per sé stessi.
Aristotele, nel II libro dell’Etica Nicomachea colloca
“Il giusto mezzo” tra due estremi, di cui uno è vizioso per
eccesso e l'altro per difetto, e lo definisce “disposizione a
scegliere il "giusto mezzo" adeguato alla nostra natura,
quale è determinato dalla ragione, e quale potrebbe
determinarlo il saggio". Qui inserisce il concetto di vanità,
che colloca all’estremo opposto dell’umiltà; il giusto mezzo
è rappresentato dalla magnanimità, una virtù che si incarna
in chi si stima degno delle cose grandi e le cui ambizioni
sono inferiori ai suoi meriti ed è sempre pronto a donare più
di quanto riceve; ben diverso dal superbo, che pretende di
avere onori e ricompense sproporzionati rispetto ai propri
meriti.
Vanità e politica
Oggi ha ancora senso parlare di magnanimità e di
“giusto mezzo? Il “megalopsichos”, donando più di quanto
riceve, crea dipendenza nel beneficato: ogni dono implica
un “controdono”, che non è necessariamente un bene
materiale, ma può essere qualcosa di diverso, qualcosa che
gratifica la vanità personale. Nella storia politica, anche dei
nostri giorni, non mancano gli esempi in cui si
costituiscono dei gruppi attorno ad un personaggio dalle
grandi ambizioni / vanità personali, con precisi obiettivi,
che i beneficati non possono fare altro che condividere,
collaborando alla realizzazione degli stessi.
Vediamo questi gruppi confliggere, affinché il leader
acquisisca la prevalenza rispetto agli altri concorrenti, in
una competizione serrata, che esce dai congressi dei partiti
e travalica nei talk show, dove personaggi dalle diverse
competenze diventano gli avvocati difensori di questo o
quel politico, perché la soddisfazione della loro vanità (di
ordine secondario) dipende dalla prevalenza sugli altri della
vanità ( di ordine primario) del loro benefattore.
È questa la politica delle vanità? Quali conseguenze
porta nel contesto sociale? La disaffezione alla politica, con
la conseguenza dell’astensionismo elettorale, è connessa a
questa inversione dei fini: la politica non è più il
perseguimento del “bene comune”, ma il perseguimento di
vanità personali, che si concretizzano con l’acquisizione di
beni materiali, svilendo lo stesso concetto di vanità, che
viene privato del suo contenuto etico, positivo o negativo.
Così le vanità nella politica portano alla vanità della
politica, a quella che i “politici” definiscono “antipolitica”,
ossia alla concezione, diffusa, che la politica attuale non
rappresenti più gli interessi della popolazione.
Politica, vanità e selfie
La società si è ormai assuefatta a un mondo di vanità,
dalle “amicizie” instaurate su facebook, dove la persona
grassa e anziana si può rappresentare giovane e snella, dove
l’amicizia è offerta a chiunque e accettata anche da
sconosciuti, fino ai selfie, che non sono un mondo nuovo,
ma la riedizione con nuovi mezzi del mito di Narciso. Presi
dalla propria vanità, i cultori dei selfie si fotografano con lo
smartphone, incuranti che il risultato sia la propria
immagine ridotta ad un faccione mal ripreso, in compagnia
di qualcuno o con qualcosa di sfondo che si intravvede in
un angolo della foto. Se il telefonino non basta a soddisfare
la vanità, si può prolungare il proprio ego con un
bastoncino, sul quale collocare il phone, per fotografarsi
meglio, magari facendosi spazio in mezzo ad una selva di
aste prolungatrici della vanità.
Il selfie attraversa trasversalmente società e politica,
in Italia e nel resto del mondo, tanto che Justin Trudeau, il
premier canadese, viene criticato perché passa troppo
tempo a fare selfies con le persone, piuttosto che occuparsi
di affrontare i problemi del Canada.