Sermone del matrimonio di Cristina Arcidiacono e di Massimiliano

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Sermone del matrimonio di Cristina Arcidiacono e di Massimiliano
Sermone del matrimonio di Cristina Arcidiacono e di Massimiliano Pani “Vanità delle vanità . . . tutto è vanità”, così inizia il libro dal quale il nostro testo è preso.
Ma come possiamo vivere in un mondo in cui tutto appare vanità? in cui le ingiustizie non
fanno che moltiplicarsi? Mondo che resiste ogni tentativo di dotargli di un senso pur minimo?
Questa è la domanda sulla quale riflette duecento anni prima della nascita di Cristo, Qohelet,
saggio d'Israele Ma anche noi – più di due mile anni dopo, ci facciamo la stessa domanda. Come
vivere in un mondo in cui tutto si ripete fino alla nausea i cui eventi assurdi, inspiegabili, tragici,
fanno naufragare ogni nostro filosofare o teologare? Molti, infatti, hanno rilevato le somiglianze tra
il mondo descritto da questo testo e il mondo post-moderno o iper-moderno della globalizzazione.
Infatti, nel giro di una generazione il “no future” di ieri si è trasformato nel “no-present” di oggi.
Che le cose cambino, che ci sia una via di uscita al marasma in cui ci troviamo intrappolati, che –
per dirne solo una – avvenga la sbandierata crescita delle chiese, dell'economia, non è che una
illusione “quello che è stato è quel che sarà; quel che si è fatto è quel che si farà: non vi è nulla di
nuovo sotto il sole”
Perché in ultima analisi, dice il Qohelet, tutto è condizionato dall'onnipresenza della morte,
la quale come sapete fin troppo bene è ingiusta, indecente, oscena “Tutto succede ugualmente a
tutti; la medesima sorte attende il giusto e l'empio, il buono e puro e l'impuro, chi offre sacrifici e
chi non li offre; tanto il buono quanto il peccatore, tanto è colui che giura quanto chi teme di giurare”
Come vivere in un mondo simile? Come resistere? Nella crisi della politica, nelle nostre
chiese sfiancate, nella vita travagliata di ognuno e ognuna di noi? Soprattutto perché rischiare di
guastare il bel matrimonio di oggi parlandone?
Bene. Rispondiamo a queste domande col titolo di un album dei Cold Play “Viva la vida!”
titolo, tra l'altro dell'ultimo quadro di Frida Kahlo che raffigura delle fette di cocomero di un verde
acceso, di un rosso sgargiante come il sangue. “Viva la vita”, così la biblista messicana Elsa Tamez
intitola il brano che oggi cattura la nostra attenzione.” Godi la vita con la moglie che ami, durante
tutti i giorni della vita della tua vanità”, “Godi la vita con la moglie che Dio ti ha dato”. Il testo
biblico, come sappiamo assume come primo interlocutore l'uomo. Ma non è che parli solo a
Massimiliano: “Godi la vita con la donna che ami, che Dio ti da dato”, ma anche a Cristina “Godi la
vita con l'uomo che Dio ti ha dato” e poi, si estende ad ognuno e ognuna di noi “Godi la vita con la
persona che ami, che Dio ha messo al tuo fianco”.
Come si vive in un mondo ingiusto e crudele? Godendo della vita che Dio ci ha donato.
L'antidoto al mondo senza senso è l'amore vissuto da due persone e oggi Cristina e Massimiliano ci
danno l'opportunità di ricordarlo, di testimoniarlo, di parteciparvi ma soprattutto di celebrarlo. Non
perché il matrimonio ristabilisce un ordine morale talvolta messo in questione ma perché quando
esso è dono di Dio è una forma di convivenza che ci permette di godere la vita.
L'ingiunzione a godersi della vita, sebbene essa sia condizionata dalla vanità suona come un
ritornello lungo tutto il libro del Qohelet: “Non v'è nulla di meglio per l'essere umano del mangiare,
del bere, del far godere all'anima sua il benessere in mezzo alla fatica ch'ei dura; ma anche questo
ho veduto viene dalla mano di Dio” (2,24) oppure “Cos' io ho lodata la gioia, perché non v'è per
l'uomo altro bene sotto il sole, fuori del mangiare, del bere e del gioire; questo è quello che lo
accompagnerà in mezzo al suo lavoro, durante i giorni di vita che Dio glì dà sotto il sole” (8,16). E
nel nostro brano Qohelet tira le somme di tutte le precedenti considerazioni attraverso una serie di
imperativi chiari. Abbandonando ogni velleità filosofica, ci riporta con i piedi per terra radicandoci
nella materialità dell'esistenza.
Così ci dice cosa fare per vivere in un mondo il cui senso ci sfugge: “Mangia il tuo pane con
gioia e bevi il tuo vino con cuore allegro”. Nutrire il corpo non con mestizia, non per mera necessità
di sopravvivenza bensì con gioiosa riconoscenza verso il Dio “che ha già gradito le tue opere”. Le
vesti con cui ci copriamo, con cui ci ripariamo, con cui ci abbelliamo siano “bianche in ogni tempo”
e - aggiunge il predicatore - che “l'olio non manchi mai sul tuo capo”. Scopriamo così che per
resistere a un mondo apparentemente privo di senso bisogna fare festa. Bisogna penetrare
nell'essenziale della vita e celebrarlo. E non c'è festa migliore di quella che celebra l'amore di due
persone e le promesse che lo accompagnano, il piacere che ne deriva, sessuale sì, ma anche il
piacere della compagnia, dell'amicizia, dei figli e delle figlie, della complicità, dell'aiuto reciproco.
Tutto questo proviene da Dio e poiché proviene da Dio è in grado di fornire un antidoto a “tutto il
tempo della vostra vanità”.
Qualche settimana fa è venuta in Italia una coppia di amici da vecchia data dall'Australia con
la quale avevo studiato a Rueschlikon. Nel frattempo lui Tim Costello è diventato un pezzo grosso,
da presidente dell'Unione battista australiana è diventato amministratore delegato di un onlus che
opera nei paesi in via di sviluppo dove ha visto e poi raccontato in diversi libri di tutti i colori. Non
c'eravamo visti da molto tempo e stavamo ricordando i bei tempi passati da studenti. A un certo
punto Merridie, sua moglie, mi chiede: “Allora, Elizabeth, dopo tutto questo tempo a fare la pastora,
a fare teologia, per te quali sono le cose fondamentali nella vita?” Una domanda lì per lì ma ha colto
di sorpresa. Infatti non eravamo impegnati in una discussione filosofica bensì seduti comodamente
in una trattoria toscana. Ma è stato proprio quello, il luogo in cui stavamo, l'amicizia ritrovata, il
cibo condiviso e qualche calice di vino alzato a fornirmi la risposta. “Questo”, risposi, “Esattamente
ciò che stiamo facendo è la cosa fondamentale della vita” la comunione conviviale tra persone che
si amano e si vogliono bene.
Domani, però, è un altro giorno, si torna al lavoro. Si rischia di ricadere nel vuoto e nel non
senso. Non però se teniamo conto dell'ultimo imperativo: “tutto quello che la tua mano trova da fare,
fallo con tutte le tue forze”. Non per soddisfare qualche padrone esterno e lunatico, o le esigenze di
un mercato ingiusto ma per noi stessi e per la nostra dignità, per infondere senso e speranza in ciò
che ci viene dato da fare.
Come vivere in un mondo in cui tutto è vanità? Come resistere ai suoi aspetti deprimenti,
disumanizzanti, deludenti? Come continuare a sperare contro speranza? Il Qohelet, dopo aver
considerato la questione per lungo e per largo risponde: Godendo la vita, dando valore alle cose
fondamentali, basilari della vita umana, l'amore tra due persone, “godi la vita con la persona che
ami, che Dio ti ha dato” la comunione conviviale della mensa “Mangia il tuo pane con gioia e bevi
il tuo vino con cuore allegro”; l'orgoglio di un lavoro ben fatto “tutto quello che la tua mano trova
da fare, fallo con tutte le tue forze”. A prima vista potrebbe sembrare una risposta banale, scontata.
Non lo è a patto che ci rendiamo conto che proprio queste cose, l'impegno dell'amore, il
nutrimento dell'anima e del corpo, il lavoro, provengono dalla mano di Dio, sono il dono di Dio
all'umanità, sono il modo in cui Dio si fa presente nei giorni della nostra vanità. Sono addirittura
veicolo della grazia divina “perché Dio ha già gradito le tue opere”
Non a caso, altrove nelle scritture, la comunione conviviale, le veste bianchi, le nozze
raccontano proprio il regno di Dio, “Il regno dei cieli è simile ad un re il quale fece le nozze al suo
figliuolo e mandò i suoi servitori a dire agli invitati “Ecco io ho preparato il mio pranzo: i miei buoi
e i miei animali ingrassati sono ammazzati, e tutto è pronto, venite alle nozze!” Come mostra quella
parabola nessuno è escluso da quel regno, perché le realtà di cui parla, l'amore, la condivisione, il
lavoro appartengono all'umanità tutta. Tant'è che la conclusione raggiunta dal saggio di Israele è
quasi identica a quella proposta dall' Epopea di Gilgamesh, più antica di Qo'elet da qualche
millennio.
Ed è proprio citando le parole di questo poema che vorrei concludere. Non rivolgendomi all’antico
'eroe di Mesopotamia – Gilgamesh- bensì agli sposi di oggi Cristina e Massimiliano: “Fai di ogni
giorno una festa, giorno e notte danza e gioca! Siano i tuoi abiti freschi e brillanti. Lavata sia la tua
testa; bagna il tuo corpo nell'acqua. Porgi attenzione al bimbo e alla bimba che si aggrappa alla tua
mano, fa' che la tua sposa, fa' che il tuo sposo sia felice sul tuo petto. Perché questo è compito
dell'umanità”. Sì, in un mondo all'insegna della vanità questo è il vostro compito. E' il compito
dell'umanità intera, perciò partecipando alla gioia di Cristina e Massimiliano festeggiando il loro
amore noi tutti ribadiamo con la nostra presenza la nostra stessa fisicità che in mezzo alla vanità
un altro mondo è possibile, che malgrado le ingiustizie e il non senso che incombe Dio è giusto e
amorevole. Perciò insieme a Massimiliano e Cristina diciamo “Viva la vita”. Viva la vita che Dio
ci ha donato.
Elizabeth Green