Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro p.t.
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Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro p.t.
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL TRIBUNALE DI BARI TERZA SEZIONE CIVILE in persona del giudice monocratico Dott. Francesco Agnino, ha pronunciato la seguente S E N T E N Z A Nella causa civile iscritta al n. 13068 del RGAC dell’anno 2006 avente ad oggetto risarcimento danni e vertente TRA R.C., R.A., rappresentati e difesi dall’Avv. Rosauro Paolo, elettivamente domiciliati presso il suo studio in Napoli alla via Arenaccia n. 128, nonché Rosauro Paolo difeso da se stesso ai sensi dell’art. 86 cpc. ATTORI E Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, presso i cui uffici domicilia ex lege in Bari alla Via Melo n. 97 . CONVENUTO CONCLUSIONI Come da verbale del 18 luglio 2013 FATTO E DIRITTO Con atto di citazione ritualmente notificato, M. Santa (poi nel corso del giudizio deceduta e conseguente costituzione dei suoi eredi, giusta comparsa di costituzione volontaria ex art. 300 comma 2) conveniva in giudizio, dinnanzi all'intestato Tribunale, il Ministero per i Beni e le attività culturali, chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni patiti a seguito del sinistro verificatosi in data 9 aprile 2004. In particolare, l’attrice deduceva quanto segue: a) in data 9 aprile 2004, si trovava all’interno del Castello del Monte per visitarlo; b) nel corso della visita decideva di salire al piano superiore mercé una scala; c) a causa della totale oscurità dei luoghi e dell’assenza di idonea segnaletica poneva il piede sinistro in un falso piano costituito dal profondo avvallamento presente immediatamente dopo il primo gradino di accesso alla suddetta scalata, cadendo pesantemente al suolo; d) conseguenza della caduta riportava frattura della testa e trochite RGAC n. 13068/2006 - Pagina 1 di 6 omerale (cfr. certificazione sanitaria in atti); d) la causa esclusiva del sinistro era da addebitarsi alla omessa vigilanza del Castello non illuminato e priva di sistemi protettivi, omissione imputabili al convenuto, dal quale intendeva essere risarcita di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti. Si costituiva in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali che chiedeva il rigetto della domanda attorea perché infondata in fatto ed in diritto. Istruita la causa con l’assunzione di prove testimoniali, e l’espletamento di una consulenza medico legale, alla udienza del 18 luglio 2013, dopo la precisazione delle conclusioni, la stessa era riservata per la decisione ai sensi dell’art. 190 cpc. La domanda è infondata e va rigettata, per le considerazioni che di seguito si espongono. Come sopra accennato, parte attrice ha dedotto di aver subito delle lesioni a causa della omessa adozione di misure cautelari volte ad impedire a terzi di accedere sulla scala ove si è verificata la caduta che conduceva al piano superiore (mancanza di recinzione) ovvero idonee a segnalare il pericolo (mancanza di cartelli). In realtà, evidenziati i fatti costitutivi della pretesa giudizialmente azionata, spetta al giudicante dare una qualificazione giuridica della domanda, secondo il brocardo latino da mihi factum dabo tibi ius (cfr. di recente Cass. Civ., Sez. Lav., 26 settembre 2011, n. 19631: “In tema d'interpretazione della domanda, il giudice di merito è tenuto a valutare il contenuto sostanziale della pretesa, alla luce dei fatti dedotti in giudizio e a prescindere dalle formule adottate. Ne consegue che è necessario, a questo fine, tener conto anche delle domande che risultino implicitamente proposte o necessariamente presupposte, in modo da ricostruire il contenuto e l'ampiezza della pretesa secondo criteri logici che permettano di rilevare l'effettiva volontà della parte in relazione alle finalità concretamente perseguite dalla stessa”). Conseguentemente, ciò che parte attrice intende far valere è la responsabilità del convenuto per il danno derivante da cose in custodia (art. 2051 c.c.) poiché è a causa dell’omessa segnalazione di situazioni di pericolo, che ha subito le gravi lesioni di cui chiede ristoro. Ne consegue, che questo giudicante ritiene di dover correttamente inquadrare la fattispecie concreta nell’ambito della cornice normativa prevista dall’art. 2051 c.c. Per quanto attiene all'applicabilità dell'art. 2051 c.c., è stato affermato il principio secondo cui la responsabilità del custode richiede che "l'evento sia stato cagionato RGAC n. 13068/2006 - Pagina 2 di 6 dalla cosa medesima per sua intrinseca natura ovvero per l'insorgenza in essa di agenti dannosi" (Cass. 28.3.01, n. 4480; 1°.6.95, n. 6125; 10.11.93, n. 11091): nell'effettuare tale valutazione non si deve distinguere tra cose intrinsecamente pericolose e cose suscettibili di divenire tali in forza di altri fattori causali, poiché l'art. 2051 c.c. - a differenza dell'art. 2043 c.c., il quale impone a chiunque un dovere generale di astensione dal compimento di atti che possano provocare danni a terzi pone a carico di un soggetto ben individuato uno specifico obbligo di attivarsi affinché dal bene affidato alla sua custodia non derivino danni a terzi ed è inoltre necessario, per potere pervenire all'accertamento della responsabilità del custode, che il danneggiato dimostri che l'evento si sia prodotto come conseguenza normale della particolare condizione potenzialmente lesiva, originariamente posseduta o successivamente assunta dalla cosa (Cass. 7276/97; 10015/06; 11264/95). La Corte di Cassazione ha magistralmente compendiato la disciplina dell'articolo in questione (in particolare nella sentenza Cass. Civ., sez. III, 5 dicembre 2008, n. 28811; ma si veda anche Cass. Civ., Sez. III, 25 maggio 2010, n. 12695 e Cass. Civ., Sez. III, 13 luglio 2011, n. 15375), specificando che la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia prescinde dall'accertamento del carattere colposo dell'attività o del comportamento del custode e ha natura oggettiva, necessitando, per la sua configurabilità, del mero rapporto eziologico tra cosa ed evento; tale responsabilità prescinde, altresì, dall'accertamento della pericolosità della cosa stessa e sussiste in relazione a tutti i danni da essa cagionati, sia per la sua intrinseca natura, sia per l'insorgenza in essa di agenti dannosi, essendo esclusa solo dal caso fortuito, che può essere rappresentato - con effetto liberatorio totale o parziale - anche dal fatto del danneggiato, avente un'efficacia causale tale da interrompere del tutto il nesso eziologico tra la cosa e l'evento dannoso o da affiancarsi come ulteriore contributo utile nella produzione del danno. In tale ipotesi, il danneggiato non è dispensato dall’onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del custode offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità (cfr. Cass. civ. 11 marzo 2011 n. 5910; Cass. civ. 1° aprile 2010 n. 8005). Alla stregua dell’insegnamento illustrato, occorre, in primo luogo, indagare sull’esistenza del nesso di causalità materiale tra la cosa ed il danno, per poi RGAC n. 13068/2006 - Pagina 3 di 6 eventualmente verificare se vi sia un elemento che, perché idoneo ad imprimere alla traiettoria causale una direzione prima imprevedibile o comunque inevitabile, valga ad interrompere la processione eziologica. Orbene, nel caso di specie, alla luce dell'espletata istruttoria, si ritiene che ricorra l'ipotesi del caso fortuito tale da escludere la responsabilità del soggetto convenuto in quanto, per come emerso dall’attività istruttoria il luogo del sinistro (deve sottolinearsi castello sottoposto a vincoli) era illuminato con lampade poste su tutto il perimetro di ogni scala, che proiettano luce verso l’alto, e da faretti alogeni posti sui pannelli in alluminio dove vengono posti i pannelli didascalici, nonché sullo stipite sinistro del varco che conduce alla scala vi è un cartello di divieto di accesso (v. udienza del 10.10.2008, teste Addario Sabino); ed ancora al lato della scala di discesa vi era il segnale di divieto di accesso, e che tanto i locali quanto le scale sia di accesso che di discesa erano dotate di illuminazione (v. udienza del 6 ottobre 2009, Grazia Elisabetta). Dagli elementi ora richiamati emerge in maniera lapalissiana come i luoghi del sinistro era illuminati e che vi erano cartelli che regolavano l’afflusso dei visitatori indicando il percorso da seguire vietando conseguentemente l’accesso in altri luoghi, la circostanza che la stessa abbia deciso di seguire un percorso non consentito ha comportato accettazione del rischio di poter subire degli infortuni, tenuto conto della peculiare composizione della pavimentazione delle scale (di un castello del 1200), caratterizzate dalla presenza di pietre ruvide e disomogenee. Ne scaturisce che, in applicazione del principio della contributory negligence della vittima sancito dall'art. 1227 c.c., comma 1 il danno che ne deriva non è risarcibile. Dunque, a prescindere dalla sua rilevanza giuridica, l'eventuale colpa del preteso danneggiante è assorbita dalla colpa della vittima. Invero, l'infrazione ad un precetto di legge (invocata da parte attrice l’assenza di illuminazione, di transenne, ovvero di segnalazione di situazioni di pericolo), se pure possa comportare responsabilità sotto altro titolo, non può dar luogo a responsabilità civile, esclusiva o concorsuale, per un evento dannoso nel caso in cui nel suo processo causativo l'infrazione medesima non trovi utile inserimento, in quanto collegabile eziologicamente all'evento stesso; il comportamento "irregolare" del danneggiante può considerarsi concausa dell'evento dannoso solo quando rispetto a quest'ultimo abbia svolto un ruolo di antecedente causale. Tale ragionamento interrompe il nesso di causalità tra condotta e danno, posto che la natura oggettiva della colpa a carico del danneggiante stabilita dall'art. 2051 c.c. presuppone il previo accertamento dell'esistenza del nesso eziologico tra l'esercizio dell'attività e l'evento dannoso. RGAC n. 13068/2006 - Pagina 4 di 6 In sostanza sarebbe proprio la mancanza del nesso di causalità a rendere inapplicabile sia l'art. 2051 c.c. sia l'art. 2043 c.c., dal momento che non vi è nessuna riconducibilità eziologica fra la custodia, rectius omessa custodia, delle sale del castello e la frattura omerale patita dalla M. , la quale, pur consapevole del disomogeneità del pavimento ha deciso ugualmente di seguire un percorso di visita contrario alle indicazioni di guida. In altri termini essendo ben visibile – proprio per la presenza dei fari di illuminazione – degli avvalimenti presenti sul pavimento e dei cartelli che indicavano il percorso da seguire, è evidente che la stessa era in una situazione di rischio elettivo. Tale condotta colposa, contraria al principio di autoresponsabilità e di autotutela, che deve necessariamente e prevedibilmente informare la condotta degli essere umani, vale a rescindere il nesso causale tra la cosa in custodia e l'evento dannoso, integrando la fattispecie del cosiddetto caso fortuito. Il danneggiato, decidendo di utilizzare per accedere al piano superiore del castello una scala il cui accesso non era consentito per salire ma solo per la discesa (proprio in considerazione della particolare conformità dei luoghi), ha compiuto un uso improprio e manifestamente pericoloso della scala che esclude ogni responsabilità in capo al Ministero convenuto. Risulta pertanto corretta la esclusione della violazione dello art. 2051 c.c. per la esclusione del nesso causale, posto che il fattore determinante della causalità, che rompe il nesso, è riferito alla scelta della M. (consapevole e capace di valutare il rischio della propria condotta) di salire utilizzando una scala il cui accesso era interdetto, e con la consapevolezza da parte della stessa che era possibile che in caso di salita, potesse subire lesioni. L’esclusione del nesso preclude l’indagine sull’imputabilità soggettiva, anche in relazione alla diversa ipotesi di cui all'art. 2043 c.c. (v. Cass., 31 luglio 2012, n. 13681; nonché Cass. 23 marzo 2011 n. 6677 e Cass. 16 gennaio 2009 n.9 93 in tema di caso fortuito come condotta colposa esclusiva o determinante del danneggiato). Deve peraltro aggiungersi che non ricorre neppure l’istituto pretorio della c.d. insidia o trabocchetto consistente in una situazione di pericolo caratterizzato da un duplice requisito: il carattere obiettivo della non visibilità del pericolo, e quello soggettivo della non prevedibilità. Per come più volte ribadito, i luoghi del sinistro era illuminati a sufficienza ed inoltre la M. non poteva non aver previsto – proprio in considerazione dello stato dei luoghi, trattandosi di castello dell’età federiciana - che decidendo di non seguire il percorso segnalato avrebbe potuto riportare delle gravi lesioni (la situazione di pericolo era stata quindi prevista), tenuto conto anche della circostanza che la stessa al momento del sinistro aveva 78 anni e che pesava 92 kg (v. relazione del RGAC n. 13068/2006 - Pagina 5 di 6 dott. M.L.), elementi che avrebbero dovuto indurre la stessa ad essere maggiormente prudente. Né il quadro testé descritto muta per effetto delle dichiarazioni rese dai testimoni indicati da parte attrice. Invero, A.R. e M.G. hanno dichiarato di aver accompagnato la M. sino all’autoambulanza (presente nel cortile antistante il castello) e che i sanitari ivi presenti accompagnarono la stessa di urgenza all’Ospedale di Andria (v. udienza del 10.10.2008), ma dalla lettura del verbale di pronto soccorso n. 8192 del 9 aprile 2004 non è indicata come modalità di arrivo trasporto con autoambulanza. Inoltre, appare singolare la circostanza che non sia stata fatta segnalazione alcuna al personale in servizio al Castello del Monte (v. dichiarazioni di Addario Sabino e Grazia Elisabetta) della caduta della M. e che soprattutto il personale ivi presente non si sia accorto di nulla, tenuto conto della circostanza che i testimoni di parte attrice hanno dichiarato di aver aiutato la M. a rialzarsi dopo la caduta, operazione non semplice tenuto conto dell’età e del peso della stessa, che certamente non agevolava l’operazione stessa. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale di Bari, Terza Sezione Civile, in persona del giudice monocratico Dott. Francesco Agnino, definitivamente pronunciando sulla causa in oggetto, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa, così provvede: 1) rigetta la domanda attorea; 2) condanna in solido R.C. , R.A. e R.P. a rifondere le spese e le competenze processuali in favore del Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro tempore, che liquida nella misura di euro 4860,00, oltre iva e cpa come per legge; 3) pone definitivamente le spese di consulenza medica – già liquidate - a carico R.C. , R.A. e R.P. Così deciso in Bari il 12 dicembre 2013 IL GIUDICE Dott. Francesco Agnino RGAC n. 13068/2006 - Pagina 6 di 6