Il medico risponde della mancanza di esami che avrebbe dovuto

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Il medico risponde della mancanza di esami che avrebbe dovuto
Il medico risponde della mancanza di esami che avrebbe dovuto eseguire e delle carenze della
struttura sanitaria con la quale il paziente abbia instaurato un rapporto di natura
privatistica.
Avv. Raffale La Placa – Prof. Avv. Paolo d’Agostino
Premessa - Con una recente pronuncia (17 febbraio 2011, n. 3847), la Corte di Cassazione torna ad
affrontare due temi di rilevante importanza quali: l’accertamento del nesso causale tra condotta e
danno (unitamente al connesso principio del “più probabile che non”) ed ancora la responsabilità
del medico per l’omessa indicazione al paziente delle carenze della struttura sanitaria presso la
quale egli opera.
Se in tema di nesso eziologico, la sentenza in esame si pone in linea di continuità con i principi già
affermati in precedenza dalla stessa Suprema Corte, in merito alla responsabilità per le carenze della
struttura sanitaria si sono formati in giurisprudenza due orientamenti contrapposti, tendenti l’uno ad
affermare una responsabilità solidale del medico e della struttura sanitaria, l’altro solamente quella
della struttura ospedaliera stessa. Prima di procedere all’esame dei principi affermati dalla citata
sentenza, pare opportuno soffermarsi brevemente sui fatti oggetto della vicenda che hanno portato
la Suprema Corte a pronunciarsi.
Il fatto - Un neonato presso una struttura ospedaliera privata accusò, subito dopo la nascita, una
sindrome asfittica encefalopatica atossico emorragica: per tale ragione fu trasportato in un ospedale
pubblico per ricevere le cure necessarie e dallo stesso venne dimesso con una diagnosi di paralisi
cerebrale infantile ed espressione tetrapretica di tipo prevalentemente spastico di grado severo con
epilessia e deficit cognitivo, con conseguente invalidità permanente del 100%.
Il Tribunale (primo grado) e la Corte d’Appello di Salerno (secondo grado) ritennero responsabili
dei precitati danni subìti dal neonato sia la Clinica privata, sia il ginecologo che assistette la madre
gestante durante il parto, condannandoli in solido al risarcimento dei danni, sulla scorta di due
ordini di ragioni: in primo luogo, non vi sarebbe stato alcun dubbio che la paralisi cerebrale fosse
stata la conseguenza di una prolungata asfissia intra partum e, in secondo luogo, ci sarebbe stata
un’omissione da parte dei medici nel diagnosticare la sofferenza fetale a causa dell’assenza di
rilevamenti cardiotocografici durante il travaglio per la mancanza di idonei strumenti all’interno
della Clinica.
Proprio per tale ultimo motivo, il medico ginecologo incorrerebbe in responsabilità, unitamente alla
Clinica, per non aver informato il paziente delle carenze organizzative e strumentali della struttura
sanitaria, impedendogli, così, di liberamente decidere se avvalersi della stessa o recarsi altrove.
Il nesso causale - La prima questione trattata dalla Corte di Cassazione attiene l’accertamento del
nesso causale; prima di procedere però all’esame dei principi stabiliti dalla Corte di legittimità,
occorre premettere alcuni brevissimi e semplici cenni sulla materia.
Il nesso causale può essere definito come il rapporto che intercorre fra un comportamento
astrattamente considerato (tenuto dall’autore del fatto) e l’evento dannoso.
Si tratta, in particolare, di accertare e dimostrare se il danno si sarebbe o non verificato in assenza di
un determinato antecedente. La Giurisprudenza ha utilizzato nel corso del tempo, per verificare
l’esistenza di un nesso causale, diversi ragionamenti: dal giudizio controfattuale, al giudizio di
probabilità statistica, a quello di probabilità scientifico-logica.
In particolare, nel penale, (secondo la nota sentenza Franzese – Cass. Pen., Sez. Unite, n.
30328/2002) il criterio di riferimento è quello della probabilità logica e non, invece, quello della
probabilità statistica. Un determinato fatto è considerato causa di un evento se quest’ultimo, sulla
base di un giudizio di probabilità ex ante, poteva apparire come la conseguenza prevedibile ed
evitabile di quel fatto, dovendosi escludere ogni responsabilità per le conseguenze che siano
imprevedibili ed atipiche. Il giudizio di prevedibilità, poi, si fonda sulle leggi scientifiche o
statistiche di copertura, le quali forniscono dei parametri valutativi circa la probabilità che ad una
data condotta consegua un dato evento dannoso. Presupposti indefettibili per poter affermare la
sussistenza del nesso causale sono, pertanto, un fatto antecedente necessario dell’evento (deve, cioè,
rientrare tra le conseguenze normali ed ordinarie del fatto stesso alla luce di una legge scientifiche o
statistica di copertura) e l’assenza di altri fattori sopravvenuti di per sé soli idonei a cagionare
l’evento.
In ambito civile (tra le altre: Cass. SS.UU. n. 581/2008) poi, con particolare riferimento alla
responsabilità professionale, il nesso causale viene ritenuto sussistente alla luce del criterio del “più
probabile che non”: in altri termini, qualora (sulla base delle predette leggi di copertura) sia più
probabile che non che alla commissione di un determinato fatto consegua un danno, il nesso di
causalità può ritenersi provato e ciò in forza anche del fatto che la Giurisprudenza ha ormai
abbandonato l’orientamento secondo il quale l’accertamento del nesso citato debba fondarsi su un
giudizio di certezza assoluta, essendo sufficiente a tali fini la mera ragionevole probabilità e sempre
che il medico non provi del tutto e positivamente l’assenza di sua colpa nel verificarsi il danno
Il rapporto medico – paziente – struttura ospedaliera - Esaurito brevemente il tema
dell’accertamento del nesso causale, appare opportuno soffermarsi altrettanto brevemente sulla
natura del rapporto trilatero che sorge fra medico, paziente e struttura ospedaliera.
L’accettazione del paziente presso quest’ultima comporta la conclusione di un contratto che ha
natura atipica e ad oggetto la prestazione di assistenza sanitaria: si tratta, in particolare, di un
contratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti di terzi dal quale sorge, a
carico della struttura, l’obbligo di mettere a disposizione del paziente il personale medico e tutte le
attrezzature necessarie.
Controversa è, invece, la natura del rapporto che si instaura fra il medico e l’ente ospedaliero: la più
recente Giurisprudenza riconduce il fatto del medico nell’alveo della responsabilità degli ausiliari ai
sensi dell’art. 1228 c.c.
Con riferimento, infine, alla qualificazione giuridica del rapporto fra medico e paziente, la
Giurisprudenza suole fare riferimento, anche in assenza di un espresso contratto professionale, alla
teoria del “contatto sociale”, il quale viene considerato altro fatto idoneo a far sorgere
un’obbligazione contrattuale che, nel caso di specie, ha ad oggetto una prestazione di natura
professionale.
I princìpi enunciati dalla Cassazione nella sentenza in esame - Come già annunciato, con la
pronuncia in esame la Corte di Cassazione affronta due temi di fondamentale importanza:
l’accertamento del nesso causale (ed il connesso principio del più probabile che non) e la
responsabilità del medico per le carenze della struttura sanitaria presso la quale opera.
Con riferimento al primo di essi, la Corte Territoriale di Salerno ha ritenuto responsabile dei danni
patiti dal neonato il ginecologo che assistette la madre gestante durante il parto, in quanto egli
avrebbe omesso, a causa dell’assenza di idonei strumenti, di svolgere i necessari esami clinici nel
corso del travaglio, dai quali sarebbe certamente emerso la stato di grave sofferenza del feto ed
avrebbe permesso di intervenire tempestivamente evitando, così, l’insorgere di gravi conseguenze
in danno del neonato.
In particolare non era stato eseguito l’accertamento dell’acidosi metabolica (l’analisi non era stata
nemmeno tentata). L’assenza però di tale esame non può essere invocato dal medico che tale analisi
ha omesso, nemmeno per il mero fine di inficiare il nesso causale, cercando di attribuire la causa del
danno ad un evento non accertato in giudizio.
La Corte di Cassazione ha precisato che laddove un fatto astrattamente idoneo a causare l’evento
dannoso non sia stato accertato per uno scorretto operato del medico che avrebbe dovuto
provvedervi, tale carenza non vale ad escludere il nesso causale, neppure se sotto il profilo statistico
sia più probabile che non che il danno sia derivato da altri fattori: in altri termini, il medico non può
addurre a proprio favore la mancanza di dati certi dai quali far discendere la propria responsabilità
se egli stesso era tenuto al rilevamento di tali dati e non vi ha, invece, proceduto.
La Corte ha, pertanto, ritenuto correttamente integrato il nesso causale fra la condotta colposa del
ginecologo – il quale ha omesso di svolgere i necessari esami clinici durante il travaglio - ed il
danno patito dal neonato.
Ulteriore rilevante questione oggetto della pronuncia in esame attiene alla responsabilità del medico
per le carenze della struttura sanitaria presso la quale egli svolge la propria attività.
La sentenza n. 3847/2011 riconosce in capo al medico - sia convenzionato che non con la causa di
cura, dipendente o non della stessa - la responsabilità per l’omessa informazione al paziente delle
carenze della struttura presso la quale egli opera alla luce sia della natura trilaterale del rapporto che
si instaura fra medico - paziente- struttura ospedaliera, sia degli obblighi di protezione, derivanti da
tale contratto, nei confronti del paziente stesso.
Il medico sarà, pertanto, chiamato a rispondere dei danni derivati dalle carenze della struttura,
pubblica o privata, presso la quale egli opera ove sia sostenibile che, se correttamente informato, il
paziente non avrebbe accettato di sottoporsi a cure presso tale struttura.
Considerazioni conclusive - Alcune considerazioni critiche si possono muovere alla pronuncia
della Corte.
Riguardo al nesso causale, mi sembra che la decisione di addossare al medico la responsabilità
dell’evento dannoso per il semplice fatto che l’accertamento clinico che potrebbe scagionarlo
(interrompendo il nesso eziologico) non sia stato da lui eseguito od ordinato, mi pare che risponda
più ad un’esigenza di ricerca dell’equità sostanziale che di corretta applicazione delle norme di
diritto, almeno per come è stata motivata la ridetta decisione.
Ancora più critica mi sembra che possa essere la valutazione sul principio attinente l’obbligo di
informativa gravante sul medico, soprattutto se si considera che è applicabile quale che sia il
rapporto tra il medico e la casa di cura o l’ospedale, quindi anche qualora il rapporto possa essere
occasionale. Per lo meno in questi casi può apparire eccessivo pretendere che al medico sia richiesto
di valutare ed accertare il corretto funzionamento della struttura presso la quale svolge la propria
opera, neanche fosse un ente certificatore o di controllo (di cui non avrebbe, ovvio, i poteri ispettivi
ed inquisitori); forse meglio sarebbe chiarire che solo qualora le carenze siano tali da non poter
generalmente sfuggire all’occhio del medico normalmente accorto e competente, si potrebbe
ritenere responsabile il sanitario che nulla rileva e dichiara al paziente.