Industria culturale - Sandro VanniRosso di sera

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Industria culturale - Sandro VanniRosso di sera
Industria culturale
economicamente più forti e quindi la tecnologia era vista
come legittimazione del potere costituito.
“Film radio e settimanali costituiscono un sistema. Ogni
settore è armonizzato in sé e tutti fra loro [...] Film e radio non hanno più bisogno di spacciarsi per arte. La verità che non sono altro che affari serve loro da ideologia,
che dovrebbe legittimare gli scarti che producono volutamente.” (Horkheimer e Adorno, 1947; trad. it. 1966, pp.
130-131).
2 Funzionamento e obiettivi
Max Horkheimer (a sinistra) e Theodor Adorno, teorici della
Scuola di Francoforte.
La funzione ideologica dell'industria, da quanto emerge
nella Dialettica, si esprime nei processi di feticizzazione
della cultura. Il carattere di feticcio dei prodotti culturali
indica, richiamando la nozione marxiana di feticismo delle merci, l'astratto “essere-per-altro” dei prodotti di consumo ovvero il valore di scambio che domina la cultura
capitalistica alienata, per cui un'opera ha un valore determinato dal mercato e non perché è di per sé qualcosa.
In quanto bene utile ad ottenere una distrazione momentanea, la cultura ridotta a feticcio assolve una funzione
sociale degradata. L'arte soggiace alla logica del profitto, il valore di scambio si sostituisce al valore estetico.
L'industria culturale, così facendo, produce un sistema
che esclude “il nuovo” considerandolo “rischio inutile” ed
elegge lo stereotipo a norma. Tuttavia riesce a occultare
questa uguaglianza e a costruire parvenze di originalità
e distinzione con l'obiettivo di giustificare la necessità di
sempre nuovi consumi e creare l'illusione di una concorrenza e una possibilità di scelta. Così, per esempio, attraverso i meccanismi di riproduzione in serie, l'industria
culturale produce differenze di valore dei prodotti che
non corrispondono a differenze oggettive, bensì a una
galleria di cliché che vengono diversamente organizzati
a seconda dello scopo. L'imperativo è “non lasciare nulla come è, perché tutto resti tale e quale”, manomettere tutto per adeguarlo agli schemi di un'"originalità sapientemente organizzata”. In tal modo le merci saranno immediatamente riconoscibili come appartenenti al
sistema.
Il termine Industria Culturale è un paradigma socioculturale introdotto e usato per la prima volta da Max
Horkheimer e Theodor W. Adorno, due filosofi appartenenti alla Scuola di Francoforte. Il concetto apparve in
Dialettica dell'Illuminismo (1947) per indicare il processo
di riduzione della cultura a merce di consumo.
1
L'ideologia
Con la nozione di industria culturale i due filosofi francofortesi volevano mettere a fuoco l'ambigua complessità dell'ideologia capitalista che sembrava sopprimere la
dialettica tra cultura e società. Così l'industria culturale arriva a designare, innanzitutto, una fabbrica del consenso che ha liquidato la funzione critica della cultura, soffocandone la capacità di elevare la protesta contro le condizioni dell'esistente. Essa fonda la sua funzione sociale sull'obbedienza, lasciando che le catene del
consenso s’intreccino con i desideri e le aspettative dei
consumatori.
Questo sistema, legato a processi di standardizzazione e
razionalizzazione distributiva per rispondere alle esigenze di un mercato di massa, è definito industriale perché
assimilato alle forme organizzative dell'industria piuttosto che ad una produzione logico-razionale. Infatti, sostengono i due filosofi, gli unici residui individualistici che permangono all'interno di una cultura così prodotta vengono utilizzati strumentalmente per rafforzare
l'illusione che di opere d'arte si tratti e non di merci.
L'industria culturale non è, per Horkheimer e Adorno un
prodotto della tecnologia o dei mezzi di comunicazione
di massa, bensì degli interessi economici del capitalismo.
Infatti, per loro il potere della tecnica era il potere degli
L'industria culturale, in conclusione, sfornerà prodotti
che avranno solo una parvenza d'armonia, un'armonia che
altro non è che condiscendenza nei confronti di una totalità data. Ad esempio in un film il rapporto tra parti e il
tutto verrà risolto a favore dell'effetto calcolato con precisione e l'unità dell'opera si frantumerà in momenti “gustosi”, nel piacere dell'attimo e della facciata. “Divertirsi
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3 DIBATTITO
significa essere d'accordo. Divertirsi significa ogni volta: zato per manipolare le coscienze, ma anche un'enorme
non doverci pensare, dimenticare il dolore anche là dove officina di elaborazioni dei desideri e delle attese colletviene mostrato” (ivi, p. 156).
tive. Lo studioso, conducendo analisi sull'industria cineL'industria culturale, secondo Horkheimer e Adorno, in- matografica, ha parlato di “industria dell'immaginario”,
terviene in modo pervasivo sulle modalità di fruizione un'industria che mette in scena sogni collettivi in un imdei beni, sapientemente contraddistinta dall'amusement pasto di realtà e desiderio, produzione mirata al cone dall'easy listening. Allo scopo di ottenere la manipo- sumo e aspettative inconsce, risultato della collaboralazione degli individui, l'industria culturale vuole che zione tra chi produce e chi fruisce. Cosicché, per Morin, l'immaginario sociale scaturisce dalla dialettica tra
l'occasione di fruizione debba poter essere ottenuta senza
alcuno sforzo da parte del consumatore. Per ottenere ciò l'industria culturale e la massa dei destinatari, cui viene
conferito un ruolo attivo. La dialettica tra il mondo della
ricorre allo strumento dello stereotipo, vale a dire alla stabilizzazione di alcuni elementi utili per la loro riconosci- produzione e i bisogni culturali si risolve in un reciproco
adattamento: l'industria culturale, dal canto suo, utilizza
bilità in futuro. Inoltre, secondo gli studiosi della Scuola
di Francoforte, i rapporti esistenti tra i diversi messag- come strutture costanti, su cui organizza la produzione,
le forme archetipiche dell'immaginario con cui lo spirito
gi trasmessi dai prodotti dell'industria culturale, non sono
casuali e “manifestano la tendenza a canalizzare la rea- umano ordina da sempre i propri sogni; e la massa d'altro
zione del pubblico [...]. La maggioranza degli spettacoli canto vede riconosciuti i propri sogni proprio grazie altelevisivi oggi punta alla produzione, o almeno alla ripro- la manipolazione. Inoltre l'utilizzo delle strutture costanduzione, di molta mediocrità, di inerzia intellettuale, e di ti (situazioni-tipo, personaggi-tipo, generi...) consente di
credulità, che sembrano andar bene con i credi dei to- piegare la necessità d'innovazione della creazione con le
talitari, anche se l'esplicito messaggio superficiale degli esigenze di standardizzazione della produzione industriale. Tuttavia la continua ripresa dei cliché consente sì di
spettatori può essere anti-totalitario” (ivi, p. 385).
utilizzare formule sperimentate, ma anche di sperimentare nuovi significati, spesso non previsti dal sistema produttivo. A detta di Morin è proprio questa contraddizione
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dinamica tra invenzione e standardizzazione a consentire, da un lato, l'immenso catalogo di stereotipi su cui si
regge la produzione di massa, dall'altro il permanere di
una certa creatività e originalità, presupposto basilare di
qualsiasi consumo culturale.
Altri studiosi si sono cimentati nella trattazione del
concetto di industria culturale.
3.2 Noam Chomsky
Edgar Morin.
Il pessimismo dei due filosofi francofortesi ha dato presto avvio ad un lungo dibattito sulla cultura di massa.
Il loro approccio è stato sottoposto a revisione a partire dall'analisi di Walter Benjamin che, pur condividendo
la posizione adorniana sulla “razionalità illuministica” ha
individuato proprio nel processo tecnologico e nei nuovi
mezzi di comunicazione di massa, come la fotografia e il
cinema, la leva per l'emancipazione sociale delle masse e
per una possibile democratizzazione culturale.
3.1
Edgar Morin
Il linguista americano Noam Chomsky, uno dei critici più
radicali del “potere dei media” nell'epoca dei regimi totalitari, sostiene che la diffusione di prodotti culturali standardizzati costituisca la minaccia ai valori più elevati della cultura come strumento di costante critica nei confronti della vita e di ogni suo problema. Secondo lo studioso,
l'obiettivo delle culture totalitarie era quello di dominare
gli individui in modo da distrarli, propinando loro semplificazioni e illusioni emotivamente potenti, lasciandoli fare cose prive d'importanza: urlare per una squadra
di calcio o divertirsi con una soap opera. L'importante
è che l'individuo rimanga incollato al cosiddetto “tubo
catodico”.
3.3 Nicholas Garnham
In tempi più recenti, il ricercatore inglese Nicholas Garnham, sulla scia di studi volti ad analizzare le logiche
Un altro studioso, il francese Edgar Morin con il suo che governano la produzione di opere culturali, parla per
L'esprit du temps, è arrivato a sostenere che l'industria la prima volta di “Industrie culturali”. L'utilizzo pluraculturale non fosse solo uno strumento ideologico utiliz- le dell'espressione esprime uno scostamento dello studio-
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so dall'accezione originaria che legava l'industria culturale alla cultura di massa. L'obiettivo di Garnham infatti era quello di individuare le caratteristiche proprie degli apparati di governo e di direzione della televisione e
dell'editoria. Nel suo “Capitalism and Communication”
(1990) arriva a sostenere che le “industrie culturali” sono quelle istituzioni che nella nostra società impiegano i
modi di produzione e di organizzazione caratteristici delle compagnie industriali per produrre e diffondere beni
e servizi culturali. Così, secondo Garnham, l'editoria, le
imprese discografiche, le organizzazioni sportive e commerciali, utilizzano mezzi tecnologici di produzione e distribuzione ad alta intensità di capitale, con un alto grado
di divisione del lavoro e forme gerarchiche di organizzazione manageriale che hanno come fine l'efficienza se non
addirittura la massimizzazione dei profitti.
Nel tempo ci sono state molte altre ricostruzioni del concetto d'industria culturale, alcune ideologiche, altre storiche, che hanno messo a punto tutta una serie di temi
connessi.
• Paccagnella, Luciano. 2004. Sociologia della comunicazione. Bologna, Il mulino.
• AA.VV. 1982. Cultural industries. A challenge for
the future of culture. Pubblicato dall'UNESCO
(United Nations Educational Scientific and Cultural
Organization), Paris, F. ISBN 92-3-102003-X
5 Voci correlate
• Scuola di Francoforte
• Consumismo
• Letteratura di consumo
• letteratura di genere
• Cultura di massa
6 Altri progetti
3.4
Unesco
Probabilmente la definizione più chiara del concetto di
“industria culturale” è quella avanzata dall'Unesco nel
1982 che faceva rientrare all'interno di quest'espressione
la produzione e riproduzione di beni e servizi culturali,
immagazzinati e distribuiti con criteri industriali e commerciali su larga scala, in conformità a strategie basate
su considerazioni economiche piuttosto che su strategie
concernenti lo sviluppo culturale delle società (UNESCO
1982, p. 21).
4
Bibliografia
• Adorno, W. Theodor; Horkheimer, Max. 1966.
Dialettica dell'Illuminismo. Torino, Einaudi.
• Bentivegna, Sara. 2007. Teorie delle comunicazioni
di massa. Roma, Laterza.
• Boccia, Pietro. 1992. “Giovani allo specchio”.
Roma, Ripostes.
• Boccia, Pietro. 2008. “Il SessantOtto, una rivoluzione incompiuta”. Napoli, Boopen.
• Chomsky, Noam. 1996. Il potere dei media. Firenze,
Vallecchi.
• Colombo, Fausto. 2005. Introduzione allo studio dei
media. Roma, Carocci.
• Garnham, Nicholas. 1990. Capitalism and Communication: Global Culture and the Economics of
Information. Londra, Sage.
• Morin, Edgar. 2006. Lo spirito del tempo. Milano,
Meltemi.
•
Wikiquote contiene citazioni di o su Industria
culturale
7 Collegamenti esterni
• http://www.hackerart.org/corsi/aba01/baldi/baldi/
teoriecrit.htm
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8 FONTI PER TESTO E IMMAGINI; AUTORI; LICENZE
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Fonti per testo e immagini; autori; licenze
8.1
Testo
• Industria culturale Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Industria_culturale?oldid=69844271 Contributori: SunBot, Mr buick, CommonsDelinker, Rrronny, Incola, Michele53887, Lasek, Taueres, Raoli, Botcrux e Anonimo: 6
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Shapiro Artista originale: Jeremy J. Shapiro. Original uploader was Jjshapiro at en.wikipedia
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8.3
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