Voluntary, vale il credito estero

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Voluntary, vale il credito estero
Voluntary, vale il credito estero
Gli accordi internazionali prevalgono sulla norma interna, l’articolo 165 Tuir
Anche la circolare 30/E del 2015 non chiarisce se, in sede di voluntary disclosure, spetti o meno il credito per le
imposte pagate all'estero e quello per l'euroritenuta.
Probabilmente, perché nella maggior parte dei casi, la questione è risolvibile in senso favorevole al contribuente,
basandosi sulla semplice lettura dei trattati contro le doppie imposizioni, della direttiva risparmio (2003/48/Ce) e degli
accordi fra la Ue Svizzera, Montecarlo, Andorra, Liechtenstein e San Marino, nonché della circolare 9/E del 2015.
L’articolo 165, comma 8 del testo unico, nega la spettanza del tax credit in caso di omessa indicazione dei redditi
prodotti all’estero nel modello Unico. Da ciò il dubbio che – in sede di voluntary disclosure – sia possibile detrarre le
imposte estere da quelle italiane.
È raro, tuttavia, che redditi di fonte estera assoggettati a tassazione localmente siano prodotti in Stati che non hanno
stipulato, con l’Italia, una convenzione contro le doppie imposizioni. Premesso che sui redditi soggetti a ritenuta
d’imposta o sostitutiva a titolo d’imposta il credito d'imposta non è applicabile (articolo 165, comma 1 del Testo unico,
e articolo 23, paragrafo 2, ultimo periodo delle convenzioni stipulate dall’Italia), negli altri casi le regole contenute
nelle convezioni contro le doppie imposizioni prevalgono sulla normativa interna e quindi anche sull’articolo 165 del
testo unico (Corte costituzionale, sentenze 348 e 349 del 2007).
Lo conferma anche il paragrafo 2.1 della circolare 9/E del 2015, anche se con riferimento all’individuazione del
“reddito prodotto all’estero” ai fini del calcolo del limite di spettanza del tax credit. Nessuna delle convenzioni
stipulate dall’Italia contiene una clausola analoga al comma 8 dell'articolo 165. Anzi, sono molto precise: se un
residente in Italia possiede elementi di reddito che sono imponibili nell’altro Stato, l’Italia deve dedurre dalle proprie
imposte le imposte pagate all'estero con il solo vincolo che la deduzione non può eccedere la quota di imposta italiana
proporzionalmente attribuibile ai predetti elementi di reddito.
Non vi è alcun diverso trattamento del caso in cui i redditi esteri concorrano a formare il reddito complessivo per
effetto di un accertamento piuttosto che per il fatto di essere stati sin dall’origine indicati nel modello Unico.
Anche gli accordi fra la la Ue e Svizzera, Montecarlo, Andorra, Liechtenstein e San Marino, prevalgono sulla norma
interna, essendo recepiti nell'ordinamento comunitario.
Il fatto che siano stati recepiti in modo inesatto dall’articolo 10 del decreto legislativo 84 del 2005 non ha alcuna
rilevanza. Gli accordi (articolo 9) si limitano a disporre che se i proventi percepiti da un beneficiario effettivo sono stati
assoggettati alla ritenuta da parte di una banca dell’altro Stato, lo Stato membro di residenza del beneficiario effettivo
accorda a detto beneficiario un credito d'imposta pari all'importo della ritenuta.
Se l’importo della ritenuta supera l’importo dell'imposta dovuta secondo la legislazione nazionale, lo Stato rimborsa a
quest’ultimo l'importo di ritenuta eccedente l'imposta dovuta .
Non sono previste altre condizioni riguardo al comportamento del contribuente. Il credito d’imposta spetta in assoluto
almeno fino a concorrenza delle imposte dovute in Italia sul reddito oggetto di voluntary disclosure; per l’eccedenza
spetta il rimborso (la normativa nazionale prevede anche la compensabilità nel modello F24).
Il caso dell'euroritenuta applicata dal Lussemburgo, dal Belgio e dall'Austria in base alla direttiva risparmio va risolto
nello stesso modo di quello dell'euroritenuta applicata dagli Stati extraeuropei sopra elencati, perché l'articolo 14
della direttiva presenta una formulazione del tutto analoga a quella delle convenzioni fra la Ue e tali Stati.
Come si può notare non è necessario alcun pronunciamento della direzione centrale dell’agenzia delle Entrate perché
sia riconosciuto lo scomputo dalle imposte italiane dovute in occasione della voluntary disclosure delle imposte
pagate all’estero, compresa l'euritenuta.
Basta applicare le convenzioni internazionali che, oltre ad essere di rango superiore rispetto alla norma interna, sono
anche molto più stringenti e “dirette” al fine, sacrosanto, di evitare la doppia imposizione giuridica.
Tuttavia il manico del coltello è in mano agli uffici provinciali che stanno lavorando molto più alacremente ed
efficacemente di quanto si potesse immaginare al disbrigo di queste pratiche (obiettivamente, molto complesse) e che
difficilmente potranno assumersi la responsabilità di assumere un atteggiamento favorevole al contribuente in un
caso, come questo, in cui, forse, sono sati sollevati troppi dubbi e sono state offerte troppo poche soluzioni. Per
questo una presa di posizione ufficiale è auspicabile.
Il waiver evita il raddoppio dei termini
La circolare 30/E/2015 precisa le condizioni per le quali non opera il raddoppio dei termini di accertamento per le
violazioni reddituali e per le sanzioni da monitoraggio fiscale (commi 2-bis e 2-ter dell’articolo 12 del Dl 78/2009). In
particolare occorre che il Paese black list presso il quale erano o sono detenuti gli attivi abbia stipulato un accordo
sull’effettivo scambio di informazioni con l’Italia dal 2 marzo 2015 e, nel caso in cui l’aderente voglia mantenere gli
asset all’estero, il rilascio all’intermediario presso cui questi erano o sono detenuti dell’autorizzazione a trasmettere al
fisco italiano i dati sulle attività regolarizzate (il cosiddetto waiver), allegandone copia controfirmata dall’intermediario
alla richiesta di disclosure in relazione ai periodi d’imposta successivi a quello di adesione. Ciò vale anche per
l’intermediario di un altro Paese estero ove eventualmente gli attivi dovessero essere trasferiti dopo l’adesione alla
procedura. Nel caso in cui le somme restino all’estero il waiver è quindi la condizione necessaria per disapplicare il
raddoppio dei termini e tenere la procedura limitata al periodo 2009-2013 e non estesa al periodo 2004-2013.
Nel caso affrontato dalla circolare le somme erano in precedenza detenute in Svizzera (Paese che ha sottoscritto un
accordo) e poi trasferite nel 2011 a Panama (Paese che resta black list in quanto non firmatario di accordi). Ebbene,
puntualizza l’Agenzia, il waiver dovrà arrivare dall’intermediario finanziario panamense ma il raddoppio dei termini in
ogni caso non opererà in quanto negli anni interessati (2004-2009) le attività erano in Svizzera.
Sul waiver tuttavia da un lato si sono riscontrate difficoltà nei tempi di rilascio. Di ciò l’Agenzia ha preso atto
consentendo che lo stesso, invece che allegato alla richiesta, possa giungere successivamente, essendo rilevante
solamente che sia prodotto prima della notifica dell’invito a comparire. Dall’altro lato invece si riscontrano ancora
delle divergenze tra il fac-simile divulgato dall’Agenzia e i modelli disponibili presso le banche, sia perché non
controfirmati sia perché revocabili. L’Agenzia nelle prime esperienze di disclosure dimostra flessibilità, magari si
potrebbe prevedere a sistema una dichiarazione del contribuente che si impegni a non revocare il waiver.
Sul raddoppio dei termini si può porre il problema di attivi detenuti ad esempio in Svizzera in periodi ordinariamente
non più accertabili. Si ricorda che per la Svizzera il termine non raddoppia solo nel contesto della disclosure quindi tali
soggetti per cautelarsi potrebbero presentare una disclosure a «zero» per gli anni ordinariamente chiusi ma
teoricamente ancora raddoppiabili (si pensi a un conto chiuso nel 2008).
Inoltre la prassi dell’Agenzia sui periodi raddoppiabili continua a ritenere la presunzione di evasione di imposta
introdotta dallo stesso articolo 12 del Dl 78/2009 operante retroattivamente mentre le prime pronunce
giurisprudenziali (tra le altre Ctr Toscana 989/29/2015) sembrano ritenere la stessa limitata ai periodi post 2009.
La circolare 30/E precisa infine che, nella relazione di accompagnamento, e per avvalersi dei relativi effetti, il
contribuente deve indicare lo scudo fiscale solo se direttamente o indirettamente connesso con gli attivi oggetto di
disclosure.