Il Nuovo Testamento

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Il Nuovo Testamento
Il Nuovo Testamento: storia del testo e delle sue letture
Ci sono molti modi di leggere il Nuovo Testamento, come più ampiamente la Bibbia. Il
lettore si avvicina a questi testi con molte attese diverse o, a volte, conoscenze
diverse.
La trasmissione orale, poi scritta, del testo.
Le lingue della Palestina e del medio oriente nel I secolo.
Il NT viene redatto, probabilmente dopo un lungo periodo di tradizione orale, in un
mondo nel quale si sfiorano o si intersecano varie lingue, che sono come l’involucro
del testo che noi riceviamo. “Bisogna pregare per leggere bene la Scrittura. Ciò che
divino si ottiene mediante la preghiera, perché se potessimo ottenerlo da noi stessi,
non vi sarebbe alcun motivo di chiamarlo divino, bisognerebbe chiamarlo
semplicemente umano”. (P. Beauchamp)
Il NT è scritto in greco. Il suo mondo è l’ampio spazio della koiné, il greco diventato
lingua comune del vicino oriente, in seguito alle conquiste di Alessandro Magno (333
a. C). La traduzione delle scritture che usa è normalmente la LXX, la traduzione greca
di quello che noi chiamiamo AT.
(Nota: non si dovrebbe comunque dimenticare che l’AT non esiste come tale nel I secolo. Esiste la Torah (o
Pentateuco) come un tutto già costituito, mente il resto delle Scritture esiste ancora sotto forma di rotoli sparsi,
sempre più radicati nell’uso, nella lettura e nella preghiera dei credenti, ma non come un libro.)
Al tempo di Gesù, le tre lingue usate erano il greco, l’ebraico e l’aramaico. Ma il greco,
dominante in tutta la Diàspora, era la grande lingua della comunicazione. Il latino
sarebbe gradualmente riuscito a imporsi solo in seguito.
Lingue conosciute dai lettori della Bibbia.
L’ebraico è la lingua dell’Antico Testamento. È parlato e usato in Palestina dal X
secolo fino all’esilio in Babilonia (587–538). Allora, progressivamente, l’Ebraico
scompare come lingua parlata, soppiantato dall’aramaico, che diventa la lingua
comune. L’ebraico moderno è una ricostruzione recente, fatta a partire dall’ebraico
biblico, alleggerito e modernizzato al tempo stesso. L’aramaico e il siriano, derivano
dalla stessa radice dell’ebraico, la radice delle lingue semitiche.
L’aramaico: molti sanno che l’aramaico era la lingua parlata in Palestina al tempo di
Gesù. Ma spesso pensano che fosse un semplice dialetto, simile all’ebraico e parlato
unicamente dalla gente comune. La realtà è ben diversa. L’aramaico è molto più
antico. Esso esercitò addirittura un’importante influenza in oriente per quasi un
millennio. Ai nostri giorni, l’aramaico è ancora parlato nella piccola comunità cristiana
Caldea dell’Iraq, vicina all’antica Babilonia, dove si parlava questa lingua.
Il siriano: in origine il siriano era il dialetto aramaico della città di Emessa, nel nord
della Mesopotamia, divenuto in seguito la lingua dei cristiani siriani. Il siriano si
sviluppa, in particolare, a partire dal IV secolo, poi progressivamente scompare a
causa delle invasioni arabe del VII secolo. Diventato lingua morta, è stato conservato,
per uso liturgico, da alcune comunità orientali, siriache e giacobite.
Il greco: derivato in gran parte dalla lingua attica, divenne la lingua internazionale,
parlata dalle rive del Nilo a quelle dell’Indo. È detta lingua comune, perché divenne la
lingua comune anche per tutti i popoli sottomessi all’influenza greca.
Dalla voce al tracciato della lettera: i manoscritti del NT.
La creta, poi il papiro e la pergamena, principali supporti del testo.
Gli ostraca: pezzi di terracotta che costituivano il supporto delle scritture più
semplice, sull’esempio delle antichissime tavolette cuneiformi della Mesopotamia. Ma
quelle erano incise, mentre sugli ostraca si scriveva. Ne sono stati trovati molti nel
Medio Oriente, con elenchi di prodotti o proprietà di merci o anche indicazioni di
provenienza. Servirono naturalmente per scrivere elementi del testo biblico. Così
possediamo su ostraca vari frammenti del NT, come il Padre nostro di Matteo (Mt 6, 1113) e il cantico di Maria (Lc 1, 42).
Il papiro: ha sostituito gli ostraca. Pianta acquatica, abbondante soprattutto nel delta
del Nilo, costituiva un supporto molto più malleabile e leggero rispetto alla creta. Lo
stelo della pianta veniva aperto e poi schiacciato; le lamelle venivano quindi
incrociate, pressate e seccate, proprio come si fa ancor oggi in certe zone dell’Egitto,
in cui si continua a lavorare questa pianta, soprattutto per i turisti. Il papiro era anche
un supporto molto più pratico rispetto ai pezzi di terracotta. Si potevano incollare le
estremità di vari papiri per formarne di più lunghi e ottenere così dei rotoli, di
dimensioni variabili. Si comprende quindi facilmente il prezioso uso che se ne poteva
fare per i testi biblici.
La pergamena: nel II secolo a.C. l’importante città di Pergamo in Asia Minore venne
privata del suo papiro da Tolomeo, re d’Egitto, forse per evitare che la biblioteca di
Pergamo diventasse più importante di quella di Alessandria. Allora Eumene, re di
Pergamo, incoraggiò la fabbricazione e l’uso di pelli di animali, soprattutto di pecore,
quale supporto per la Scrittura. Il termine pergamena deriva dal nome della città.
Sono stati scoperti vari rotoli di pergamena a Qumran, segno che nel I secolo erano
abitualmente usati.
I codici: derivano da una nuova utilizzazione sia del papiro che della pergamena, in
fogli piegati e rilegati in forma di quaderno. Era molto più facile trovare un testo in un
codice che in un rotolo, che a volte doveva essere srotolato a lungo. La maggior
praticità del codice lo impose rapidamente. Il codice può essere considerato l’antenato
del libro, che entra in scena molto lentamente ed è piuttosto raro fino al Medioevo,
quando, in cuoio e in pelle, cucito, spesso impreziosito da molte miniature, esiste
sempre come unico esemplare. Per la grande diffusione del libro bisognerà attendere
Gutenberg e l’invenzione della stampa a caratteri mobili (1456), che modificherà
totalmente il rapporto con lo scritto.
Innumerevoli testimoni
Non esiste alcun manoscritto autografo, nessun manoscritto che possiamo considerare
con certezza il primo e tanto meno scritto dal primo autore del testo che contiene. Gli
studiosi hanno lavorato per decenni, e continuano a farlo, sull’enorme massa di
manoscritto esistenti, per verificarne l’autenticità e classificarli per famiglie, tentando
così di ricostruire l’albero genealogico nei quali si iscrivono. Oggi, disponiamo di circa
3.000 manoscritti del NT greco, databili dal II al XVII secolo, ai quali bisogna
aggiungere oltre 2.000 lezionari liturgici manoscritti, databili a partire dal VII secolo e
contenenti passi, o pericopi, del NT.
Un manoscritto molto antico non è necessariamente più affidabile di un manoscritto
più recente. Tutto dipende dalla catena della trasmissione, dall’affidabilità ed
eventualmente dalla data della fonte da cui dipende. L’insieme del lavoro condotto sui
manoscritti ha permesso di disporre, da molto tempo, di un testo considerato
affidabile, testimone della tradizione antica, se non di quella più antica. Questo testo
viene detto comunemente textus receptus (testo ricevuto). È a partire da esso che si
fanno le traduzioni e si lavora.
- Erasmo da Rotterdam, curò la pubblicazione del primo Nuovo Testamento greco,
stampato nel 1516.
- La Poliglotta di Alcalà, realizzata a partire dal 1514, ma pubblicata solo nel 1520,
dopo l’autorizzazione di Leone X, è decisamente migliore. Essa affianca al testo greco
il testo latino (della volgata), da cui il nome di poliglotta. Il NT di Erasmo e la
Poliglotta sono alla base di tutte le traduzioni effettuate fino al XVIII secolo.
- Dal 1898, data della prima edizione, fa autorità il testo stabilito da Nestle–Aland. È il
textus receptus sul quale si basano le traduzioni. Viene continuamente corretto e
aggiornato man mano che procede la ricerca sui manoscritti. Nel 1993 è stata
pubblicata la ventisettesima edizione. È un testo ricostruito in base al confronto fra
molti manoscritti. Il textus receptus rappresenta quindi un testo che non è mai
esistito come tale nella storia e non è mai stato letto come tale in nessuna comunità
cristiana. Costituisce il testo riconosciuto e accettato dalla comunità scientifica.
- I libri del NT sono canonici, ma nessun testo greco può essere, in quanto tale,
canonico. Non si può idolatrare la lettera del testo. L’esegesi ne è pienamente
consapevole, ma è importante ricordarlo. Così come bisogna ricordare che è in base a
una lunga pratica liturgica o credente che si è delimitato il canone delle Scritture e
non in base alle constatazioni degli studiosi sullo stato dei testi.
La datazione dei manoscritti
I manoscritti hanno ampiamente circolato e la loro origine e la storia restano spesso
avvolte nel mistero. La paleografia offre elementi preziosi per la datazione. Essa
distingue, in particolare, fra maiuscoli e minuscoli. Nell’antichità la scrittura preferita
per i libri o le pergamene era quella maiuscola, e anche la scrptio continua, cioè senza
spazi fra le parole, punteggiatura, accenti, mentre la scrittura corrente era quella
corsiva, in lettere minuscole e legate fra loro. Per la Bibbia questo tipo di scrittura
venne usato solo a partire dall’VIII–X secolo. La divisione in capitoli è relativamente
recente: è opera di Stephen Langton (XIII sec.). La divisione in versetti è ancora più
recente: è un’invenzione dello stampatore parigino Robert Estiennne, in una delle
prime Bibbie stampate (1551).
Diversi tipi di manoscritti
Il papiro era relativamente poco costoso, ma fragile, sensibile soprattutto all’umidità e
al clima, il che spiega la provenienza della maggior parte dei papiri conservati
dall’Egitto, un Paese dal clima secco. In genere, i papiri sono più antichi dei codici di
pergamena, più solidi ma anche più costosi. I papiri sono stati scoperti
massicciamente a partire dal 1930.
Vari papiri sono molto noti. Sono indicati con il nome del loro proprietario e sono stati
accuratamente repertoriati e fotografati. Così il papiro 457 John Rylands è un
frammento che riproduce Gv 18, 31-34.
Oggi disponiamo di un centinaio di papiri del NT, ben identificati e conosciuti. La
grande massa dei manoscritti del NT è costituita da codici in pergamena, un supporto
che si è imposto sempre più a partire dal IV secolo. Sono distinti in due categorie:
maiuscoli e minuscoli. I primi sono detti onciali e indicati con lettere maiuscole latine
e greche, seguite da un numero sempre preceduto dallo 0.
Dei 300 onciali oggi ben repertoriati bisogna conoscerne soprattutto quattro, ai quali
ne aggiungeremo un quinto.
1.
il primo è indicato con la lettera ebraica alef o con la lettera S (=1). È il
famoso Sinaiticus, scoperto nel Sinai da Tischendorf, risale alla metà del IV
secolo e contiene tutto il NT.
2.
l’Alexandrinus, indicato con la lettera A (= 2), scoperto nel V secolo e
conteneva tutto il NT, più 1 e 2 Clemente e i salmi di Salomone.
3.
Vaticanus, indicato con la lettera B (= 3). Scritto verso il 350, è considerato da
molti studiosi il miglior testimone del testo originale del NT.
4.
Codex Ephraemi Rescriptus o C (= 4) del V secolo. Poiché il manoscritto era
molto costoso, a volte veniva grattato e riscritto (rescriptus), da cui il termine
palinsesto. In questo caso sul manoscritto grattato erano stato riscritte opere
di Efrem, padre della Chiesa siriana, ma gli specialisti riescono a decifrare e a
leggere i palinsesti nella loro scrittura originaria.
5.
Codice Bezae o D, del V secolo. Non contiene l’AT, mentre per il NT contiene
Mt, Gv, Lc, Mc, 3Gv e At in latino e in greco fianco a fianco. È il principale
rappresentante della tradizione testuale occidentale.
La vita del testo nelle sue traduzioni.
La bibbia è stata tradotta fin dall’inizio in molte lingue, sia dell’Europa che del Medio
Oriente antico. Le grandi traduzioni che segnarono la storia della trasmissione del NT
sono essenzialmente la Vetus Latina, la Vecchia Siriana, le versioni copte, realizzate
fin dall’inizio del III secolo.
Le traduzioni greche dell’antico testamento utilizzate dalle prime generazioni
cristiane: prima di presentare le traduzioni del NT, bisogna ricordare quelle dell’AT
utilizzate dagli autori del NT. Sono soprattutto la traduzione L’Esapla di Origene, greca
dei LXX e quelle di Aquila, Teodozione e Simmaco, che rividero la versione dei LXX. La
traduzione preferita è stata la versione dei LXX e per certi libri, come Daniele, quella
di Teodozione.
Le tradizioni antiche del nuovo testamento: sono le versione Copte, etiopica, armena,
georgiana, araba, la Vetus Latina e la Volgata di San Girolamo. Il termine volgata sta
per editio vulgata, edizione comunemente ammessa. Dal XIII secolo indica la Bibbia
latina ufficiale. Sotto Gregorio Magno (+ 604), la Volgata venne accettata dalla
maggior parte delle chiese a Roma, poi in Spagna e in Inghilterra. Il concilio di Trento
nel 1546 dichiarò il testo della Volgata autentico, cioè ufficiale. Fu l’edizione
Clementina, realizzata sotto Clemente VIII nel 1592, a fare autorità e a restare
immutata fino alle soglie del XX secolo. Oggi la Volgata non è il riferimento unico ma
è una delle versioni particolarmente venerabili della bibbia (Pio XII, 1943).