MANOSCRITTI DEL NT – LA PRODUZIONE DEI MANOSCRITTI
Transcript
MANOSCRITTI DEL NT – LA PRODUZIONE DEI MANOSCRITTI
MANOSCRITTI DEL NT – LA PRODUZIONE DEI MANOSCRITTI Indice Approfondimenti Il materiale scrittorio I: Materie flessibili Il papiro - La La papirologia pergamena Il materiale scrittorio II: Materie dure Tavolette di cera Codici miniati Ossa - Ostraka Il formato dei libri antichi Il rotolo - Il codice La codicologia Gli strumenti scrittori La penna - L'inchiostro Gli scribi e il loro habitat lavorativo Bibliografia Fino all’invenzione dei caratteri mobili, i testi antichi erano trascritti e tramandati attraverso la copiatura manuale su supporti scrittori di diversa consistenza e qualità, quali il papiro, la pergamena, le tavolette d’argilla e di cera, gli ostraka, ecc. Quanto segue si prefigge di illustrare i processi di produzione e copiatura dei libri antichi, nella cui categoria rientrano a pieno titolo i manoscritti del NT. IL MATERIALE SCRITTORIO I: MATERIE FLESSIBILI Il testo del Nuovo Testamento ci è pervenuto essenzialmente tramite manoscritti in papiro e pergamena, i supporti scrittori per eccellenza di un testo letterario. Sebbene papiro e pergamena costituiscano materiali pregiati e resistenti, nel mondo antico, i documenti ufficiali, i conti economici e qualsiasi altro documento erano scritti su altri supporti scrittori, tra cui figurano le tavolette d’argilla, metallo, tavolette lignee, tavolette cerate, e cocci di vaso (ostraka). IL PAPIRO La pianta di papiro (Cyperus Papyrus), è una vegetale palustre della famiglia delle ciperacee che cresceva spontaneamente ed abbondantemente nelle acque basse delle rive del Nilo, in Etiopia, in Palestina (in prossimità del lago di Tiberiade), in Mesopotamia e nelle rive del fiume Niger. In alcune zone umide della Sicilia, in particolare Siracusa, cresceva una varietà particolare di papiro, più fragile e di qualità inferiore rispetto all’omonimo vegetale egiziano. Oggi la pianta di papiro non cresce più spontaneamente in Egitto. Quanto alle cause della sua scomparsa sono state avanzate ipotesi ecologiche e all'intervento sconsiderato dell'uomo: in primis la siccità, che ha colpito il Nilo nel X secolo d.C., facendo ritirare le acque e determinando il prosciugamento dei canali dove il papiro cresceva rigoglioso; in secondo luogo, l'aumento della salinità delle paludi e degli stagni, e non da ultimo, lo sfruttamento intensivo umano delle aree ospitanti il papiro per le necessità più disparate e le riconversioni delle zone paludose a terre adibite al pascolo e alla coltivazione. Attualmente, la crescita naturale del papiro avviene solo in due zone circoscritte del Mediterraneo: Fiumefreddo, nei pressi di Catania e nella valle del Giordano. Il papiro è una pianta che supporta la coltivazione artificiale, ma richiede un clima temperato-umido, con temperature che non devono scendere al di sotto dei 15°. Presso i Fenici la pianta di papiro era denominata byblos (in omaggio alla città commerciale fenicia Byblos, centro di scambio ed esportazione di papiri) termine col quale si designava anche il fusto della pianta. Il nome “papiro” significa “ciò che appartiene al re” e infatti, la lavorazione e il commercio del papiro in Egitto era monopolio statale. Nell’antichità, il papiro si prestava a svariati usi, inclusi quello alimentare e medicinale, per la produzione di fibre tessili e dalle radici essiccate si otteneva combustibile, mentre il fusto scorticato era impiegato per la produzione del materiale cartaceo omonimo. Dalle fibre della pianta di papiro si ricavavano inoltre: sandali, corde, ceste, imbarcazioni e materiale edilizio. Si consideri che per la carenza cronica di legname dell'area egiziana, il papiro doveva fungere da formidabile suppletivo per la fabbricazione di utensili e imbarcazioni leggere adatte alla navigazione del Nilo. Il fusto della pianta può raggiungere i 5 m di altezza, una circonferenza di 30 cm e i 10 cm di diametro. Immagine 1. Cyperus Papyrus Dal III millennio fino all’epoca medievale, quando fu soppiantato dalla pergamena, il papiro costituì il principale supporto scrittorio del mondo antico, soprattutto dei testi letterari. Il procedimento di lavorazione del papiro ci è noto tramite due fonti, una iconografica e una letteraria: da un bassorilievo tombale del 1400 a.C. proveniente da Tebe, che illustra le fasi preliminari della manifattura e da Plinio, sulla cui testimonianza i papirologi hanno speso fiumi di inchiostro per le problematiche innestate dal confronto del procedimento descritto dallo storico latino1 e gli esperimenti di laboratorio. Considerato il suo impiego intensivo nella vita quotidiana, dobbiamo presumere che l'Egitto pullulava di officine specializzata alla manifattura del papiro, ma non possediamo riscontri archeologici di queste officine. Viceversa, possediamo sufficienti testimonianze letterarie circa l'estensione geografica di queste officine. Plinio, per esempio, ci informa che a Roma c'era l'officina di Fannio, dove la carta importata dall'Egitto subiva un processo di rifinitura2. La tecnica di lavorazione, già nell’antico Egitto aveva raggiunto un elevato livello tecnologico. Vediamo di descrivere le fasi salienti di questo processo. La lavorazione del papiro, si presume dovesse avvenire molto vicino al luogo della raccolta, perché una volta sradicato dal suo ambiente naturale, lo stelo del papiro deve essere subito trattato. Il fusto della pianta, veniva tagliato in brandelli di 30 cm. Ognuna di queste porzioni veniva aperta in senso perpendicolare e successivamente si estraeva il midollo della pianta, il quale veniva tagliato in strisce sottili. Le liste ricavate erano immerse nell’acqua. Dopodiché, ogni striscia era collocata su una tavola di legno una a fianco all’altra, con le fibre in direzione orizzontale che davano origine ad un primo strato, destinato alla scrittura (schíza). A questo primo strato, si sovrapponeva un secondo strato (la facciata posteriore che di solito non riceveva la scrittura) in direzione longitudinale al primo. Sfruttando le proprietà adesive delle sostanze naturali presenti nel fusto che assicuravano l’incollatura dei due strati sovrapposti3, il tessuto intrecciato veniva battuto e pressato con appositi martelli di legno e levigato con la pietra pomice o oggetti in avorio e conchiglia fino ad ottenere una superficie uniforme. Quindi, il reticolo compresso era fatto essiccare al sole per alcuni giorni, e dopo una lunga esposizione all'aria aperta si otteneva il prodotto finale, ovvero un foglio pronto all’uso a trama orizzontale e verticale dal colore giallo-brunastro. I papiri più pregiati presentavano una gradazione chiara, giallo-bianco, mentre quelli meno pregiati erano di colore più scuro. A seconda dell’estensione del testo da trascrivere, incollando (lat. glutinare, gr. kóllân) opportunamente più fogli di papiro lungo il margine di ciascun foglio, i quali davano origine ad un rotolo (il cosiddetto volumen). La linea di giuntura di ciascun foglio di papiro è convenzionalmente chiamata col sostantivo greco kóllesis (incollatura, assemblaggio). Le linee di giuntura, inoltre, col loro tratto sporgente, sono gli indicatori (mai infallibili) del numero dei fogli (gr. pl. kollemata, sg. kollema, lat. sg. plagula) che compongono un rotolo e permettono di distinguere il lato verso dal recto4. Un foglio di 1 2 3 Nat. Hist., XIII, 74-82. Nat. Hist., XIII, 75. Procedure alternative richiedevano l’impiego di sostanze collanti artificiali in aggiunta al collante naturale presente nelle fibre del papiro. Un altro sistema di suddivisione delle opere prosaiche in più rotoli sono testimoniate da un papiro di Ossirinco del II secolo (P. Oxy. XV 1810, MP3 256, LDAB 0676), il quale ospita tre orazioni di Demostene. 4 È opportuno avvisare il lettore che per la critica, i due termini recto e verso con i quali rispettivamente si indicano le facciate di un papiro le cui fibre corrono in senso parallelo e in senso verticale, sono inadeguati per una corretta descrizione dell'anatomia di un rotolo. A questi due termini impropri, parte della critica ha sostituito la coppia di frecce , con le quali si indica la facciata del foglio le cui fibre procedono in senso orizzontale e la coppia di frecce per indicare la facciata le cui fibre corrono in senso perpendicolare. papiro esageratamente ampio, secondo la testimonianza di Cicerone 5 era designato col termine latino macrocollum (gr. makrókollon), e i rotoli composti da questa tipologia di fogli erano destinati alle edizioni lussuose di un'opera. Il rotolo di papiro era poi conservato in giare o recipienti a forma di cilindro e immerso nell’olio di cedro per tenere lontani i parassiti. Le giunture dei singoli fogli dei rotoli di papiro per la scrittura greca, che procedeva da sinistra verso destra, erano strutturate in modo che dislivelli. La parte in precedenza raschiata e levigata dove le fibre procedevano in senso orizzontale, denominata recto, era destinata alla scrittura, mente la parte posteriore di papiro dove le fibre correvano in senso verticale, denominata verso, a causa della contrarietà delle fibre rispetto all’andamento orizzontale della scrittura era lasciata intatta, ma si riscontrano casi di papiri delineati in entrambe le facciate (opistografi). Esistevano svariate qualità di papiro. In epoca romana, la larghezza dei singoli fogli di papiro si aggirava intorno agli 11-24 cm, mentre potevano svilupparsi in altezza da un minimo di 15 ad un massimo di 40 cm. Un rotolo di papiro composto di un numero di fogli variabile, poteva raggiungere una lunghezza di 15-35 m. Ciò è soprattutto vero per le opere letterarie di una certa ampiezza. Clamoroso è stato il ritrovamento di un papiro egiziano di oltre 42 m! I Romani avevano perfezionato una varietà pregiata di papiro, chiamata fanniana, apprezzata per la superficie, eccezionalmente liscia. In Egitto, nei pressi dell’Anfiteatro di Alessandria, era prodotta una varietà di papiro più rozza, denominata anfiteatrica. La varietà lussuosa di papiro era conosciuta comeieratica e augustea ai tempi di Augusto, mentre un tipo di papiro particolarmente versatile e ripiegabile era il cosiddetto “papiro mercantile” o emporeutico, utilizzato per gli imballaggi. Il testo veniva scritto su colonne perpendicolari alla lunghezza (gr. selídes) e, per i papiri greci, su colonne orizzontali da sinistra verso destra. Lo scriba, durante il lavoro di trascrizione era costretto a servirsi di entrambi gli arti superiori: con una mano arrotolava la parte di papiro già usata, mente con l’altra mano srotolava la parte da utilizzare. Il primo foglio del rotolo di papiro, le cui fibre procedono verticalmente rispetto ai restanti fogli, prende il nome di protocollo (gr. protókollon lat. membrana, toga, paenula). Il protocollo di un rotolo, solitamente non riceveva la scrittura e aveva la funzione di proteggere i restanti fogli, sia salvaguardando potenziali sfilacciamenti della parte iniziale del rotolo, sia proteggendolo dalla tensione esercitata dal lettore nell'atto dell'apertura del volumen. L'ultimo foglio del rotolo era chiamato eschatokollion, le cui fibre correvano in senso orizzontale. Il rotolo di papiro nudo e/o scritto che veniva commercializzato si chiamava chártes (lat. charta), mentre il rotolo scritto, prendeva il nome di byblos, byblíon o tómos (lat. volumen). Il rotolo poteva essere provvisto di una speciale etichetta (titulus) di papiro, pergamena o pelle indicante il titolo dell’opera. Per quanto concerne gli strumenti dello scriba, il rotolo veniva scritto con un cannuccia appuntita (di solito un pennello di giunco) intagliata all’estremità inferiore, la cui punta veniva intinta di 5 Ad Att. XIII, 25, 3 - XVI, 3, 1. inchiostro all’atto della scrittura. L’inchiostro era ricavato da una varietà di sostanze naturali, tra cui nerofumo, gomma, acqua e fuliggine. Quanto al costo del papiro, le testimonianze letterarie a riguardo sono di natura controversa, ma aiutano perlomeno a inquadrare il prezzo del materiale scrittorio nell'ambito dell'economia antica. Alcune testimonianze parlano del costo di un dracma per un rotolo scritto6, ma nulla è detto in merito alla qualità e all'ampiezza del materiale. Per l'Egitto ellenistico, apprendiamo dal papiro PColZen 4 col. II 43 s. dell'archivio di Zenone che una partita di 60 rotoli fu venduta ad un prezzo di 3 oboli e mezzo. Sembrerebbe un prezzo accettabile, ma se comparato con 1-3 oboli del salario medio di una persona, ne consegue che per le classi medio-alte il prezzo del papiro costituiva una spesa accessibile, mentre per le classi basse la l'acquisto del materiale scrittorio era impraticabile. Il più antico documento papiraceo che ci è pervenuto è un papiro ieratico (P. Berl. inv. 11301) datato al 2700 a.C. Il più antico papiro greco conosciuto ospitante un testo letterario è un papiro del VI a.C, il PDerveni (MP3 2465.1, LDAB 7409) ritrovato a Derveni, nei pressi di Salonicco (Macedonia, Grecia), che riproduce un commentario a un testo orfico7. Sono state proposte datazioni discrepanti per questo papiro, ma l'esame paleografico e archeologico ha restituito una collocazione cronologica non anteriore alla seconda metà del IV secolo a.C. In lingua latina, il papiro letterario più antico è il PQasr Ibrîm(78-3-11/1, LI/2; MP3 2924.1, LDAB 0574), ospitante alcuni versi di Cornelio Gallo e databile intorno al 50-20 a.C. Nonostante la supremazia della pergamena su tutti gli altri materiali scrittori, a partire del IV sec. d.C. il papiro fu utilizzato intensivamente fino al IV d.C. secolo e oltre, specialmente nel mondo orientale. Gli ultimi papiri egiziani rinvenuti sono databili al VII secolo d.C. LA PAPIROLOGIA La papirologia è la scienza che studia integralmente i testi antichi greci e latini che si sono preservati nel più diffuso materiale scrittorio dell'antichità: il papiro. Sebbene il campo d'indagine naturale della papirologia è lo studio dei documenti papiracei, la disciplina può abbracciare lo studio e l'analisi dei documenti che si sono conservati in altri materiali scrittori diversi dal papiro: tavolette cerate, tavolette lignee, ostraka, pergamena, ect. Lo studio sistematico dei documenti papiracei comporta l'analisi fisica, il restauro del reperto e la Cfr. Apologia di Socrate, 26, d. Il PDerveni si contende il primato di antichità di papiro letterario con il PBerol inv. 9875 (MP3 1537, LDAB 4123), un componimento lirico della battaglia di Salamina di Timoteo di Mileto, databile al IV sec a.C. (Cfr. The Derveni Papyrus, a cura di K. Tsantsanoglou, G. M. Parassoglou e T. Kouremenos, Olschki, collana Corpus dei papiri fil. Greci e latini). 6 7 trascrizione e l'interpretazione del contenuto nelle varie lingue antiche (greco, latino) [1] di un vasto periodo storico che si estende dal IV a.C. all'XI d.C. [2]. Il papiro è una materia scrittoria fragile, che si sbriciola al primo contatto dopo secoli di preservazione. L'umidità e il clima umido sono i suoi principali nemici. E' naturale che, a parte significative eccezioni [3], la percentuale più alta dei papiri è stata rinvenuta dove esiste un clima arido: il deserto è il luogo di conservazione ideale del papiro. Proprio perché l'Egitto, la Palestina e le zone limitrofe rasentano l'ambiente geografico e climatico ideale per la preservazione millenaria dei documenti papiracei, non desta meraviglia se oltre il 90% dei testi papiracei greco-romani (di cui più del 20% rinvenuto nella sola Ossirinco [4], nell'Alto Egitto) provengono dalle aride sabbie dell'area egiziana. Senza dubbio il papiro è capace di conservarsi in condizioni climatiche asciutte per millenni, ma la sedimentazione degli antichi siti comporta che per lo scavo intensivo occorre solcare il terreno per metri e metri di profondità. L'Egitto, da questo punto di vista presenta un vantaggio: le zone desertiche sono pressoché disabitate e la presenza umana ridotta al minimo costituisce un'agevolazione di non poco conto per le campagne di scavo. Ma pur operando in tali condizioni ottimali, non si deve dimenticare che i sedimenti sabbiosi che hanno sommerso gli antichi centri abitati di epoca tolemaica rappresentano un ostacolo ben maggiore delle costruzioni umane. Si consideri, inoltre, che gli antichi siti sono stati progressivamente sommersi da montagne di rifiuti, depositati dagli abitanti. Al contrario, per l'epoca faraonica, l'accesso agli imponenti edifici apogei ha consentito il recupero di uno sterminato numero di papiri geroglifici e ieratici. Le forme di scrittura dell'antico Egitto fino al I millennio a.C. sono quella geroglifica e la ieratica, quest'ultima derivata dalla prima e utilizzata dagli scribi di professione. Dopo il primo millennio, entrò in auge il Demotico [5], dal quale sorgerà il cotpo. Il greco penetrò in Egitto nel 332 d.C., dopo la conquista di Alessandro Magno e il latino dopo il 30 a.C. come conseguenza della conquista di Augusto. o Scrittura ieratica. Era la forma corsiva della scrittura geroglifica, ideata per sfruttare la velocità di scrittura della forma corsiva. Era utilizzata per la redazione di un'ampia gamma di documenti: testi religiosi [6] e poetici, corrispondenza privata, carteggio diplomatico, etc. La sua evoluzione stilistica implicò l'utilizzo di abbreviazioni. La forma più tarda della scrittura ieratica fu impiegata esclusivamente per la compilazione dei testi religiosi. Durante il terzo millennio, la scrittura ieratica era impressa in direzione verticale, ma a partire dal secondo millennio, la direzione di scrittura verticale fu sostituita da quella orizzontale, procedente da destra verso sinistra. Questo sistema scrittorio fu sostituito nel 600 a.C. dal Demotico, ma continuò ad essere utilizzata fino al IV secolo d.C. per la o o letteratura religiosa. Scrittura demotica. E' l'evoluzione e semplificazione della scrittura ieratica, implementata dagli scribi di corte, con influssi della lingua popolare. Il più recente documento in Demotico che ci è noto risale al V d.C. Questa forma di scrittura era impiegata per la compilazione di un vasto repertorio documentario: letteratura religiosa e scientifica, atti commerciali e giuridici, atti documenti secolari, etc. La scrittura procedeva in senso orizzontale, da destra verso sinistra. Fu utilizzata per oltre mille anni, in un arco di tempo che va dal VII a.C. al V secolo d.C. Scrittura copta. Discendente del Demotico, è un adattamento dalla lingua copta parlata in Egitto fin dal IV secolo a.C. Strutturalmente è caratterizzata da un alfabeto derivato da quello greco, con la coniazione di sette lettere derivate dal Demotico per la vocalizzazione di alcuni suoni delle antiche lingue egiziane che non potevano essere resi in greco. Il copto diventa la lingua ufficiale corrente e di scrittura nel IV secolo d.C., come conseguenza della proibizione dei culti pagani stabilita dall'imperatore Teodosio. Va detto che lo studio dei testi papiracei nelle tre scritture dell'egiziano antico (geroglifico, ieratico e Demotico) non rientra nell'ambito disciplinare della papirologia, che, come abbiamo visto si occupa dei testi greci e latini, bensì in quello dell'egittologia. Ugualmente, i testi papiracei scritti in lingua copta sono oggetto di studio della coptologia [7]. IL SISTEMA DI SCRITTURA EGIZIANO NELL'ETÀ ELLENISTICOROMANA Dopo la conquista di Alessandro Magno dell'Egitto nel 332 a.C., la lingua greca penetrò su tutto il territorio egiziano come conseguenza della colonizzazione ellenistica. Sebbene i sistemi di scrittura locali ieratico e Demotico sopravvissero per la stesura dei documenti religiosi e di uso privato, a partire dal IV secolo a.C. i documenti ufficiali furono scritti in greco. Si possono distinguere tra grandi periodi dell'età ellenistico-romana in cui si succedettero altrettanti sistemi di scrittura dell'area egiziana: o o o Periodo tolemaico (330 - 30 a.C.). Periodo romano (30 a.C. - 300 d.C.) Periodo bizantino (300 - 641 d.C.) BREVE RASSEGNA DELLE PIÙ IMPORTANTI PAPIROLOGICHE AL DI FUORI DELL'EGITTO SCOPERTE Papiri ercolanesi - Si tratta di un corpus di rotoli papiracei rinvenuti tra il 1752 e il 1754 in una villa romana delle rovine di Ercolano, con tutta probabilità appartenuta alla famiglia dei Pisoni. L'intero corpus comprende 1838 papiri catalogati, più altri 11 in corso di catalogazione. Dei 1838 catalogati, solo 120 sono in latino, il restante sono in greco. Papiri di Dura Europos - 150 testi latini e greci papiracei e pergamenacei rinvenuti presso Dura Europos, l'antico centro commerciale situato in Mesopotamia. Della raccolta spiccano i testi letterari greci, che comprendono frammenti delle Storie di Erodoto, della Storia romana di Appiano e del Diatessaron di Taziano. Papiri del Medio Eufrate - Un archivio di 17 testi greci papiracei e pergamenacei di carattere documentario, databili alla prima metà del II secolo d.C. Papiri di Babatha - Si tratta delle carte di famiglia di Babatha, ricca ebrea che durante la seconda guerra giudaica si rifugiò nel deserto della Giudea. L'archivio comprende una trentina di documenti, scritti in nabateo e aramaico, risalenti ad un periodo compreso tra il 94 ed il 132 d.C. Papiri e ostraka di Masada - Comprende diversi ostraka e papiri greci e latini in aggiunta a ostraka aramaici ed ebraici. I testi latini, 18 in tutto, appartengono alla X Legio Fretensis, la legione romana che aveva assediato la fortezza di Masada e dunque, risalirebbero anteriormente alla primavera del 73/74 d.C., anno in cui la fortezza fu espugnata. Tra i frammenti latini, spicca il verso esametrico dell'Eneide IV 9 di Virgilio, pertanto questo frammento è attualmente la più antica testimonianza di poeta latino. Quanto ai testi scritti dagli assedianti, molti di essi sono in greco, tutti anteriori al 73 d.C. Tra i frammenti greci, menzioniamo un ostrakon cristiano e un papiro greco, datati paleograficamente al V-VI secolo d.C., che testimoniano la presenza di una comunità monastica in epoca bizantina a Masada, di cui possediamo già confortanti evidenze archeologiche. Papiri del deserto di Giudea - Diverse decine di papiri documentari rinvenuti nel deserto della Giudea, molti dei quali ancora in corso di datazione. Papiri di Nessana - Archivio composto da circa 200 papiri rinvenuti presso Nessana, sul lato settentrionale del deserto del Negeb, a circa 100 Km da Gerusalemme. Tra i 13 papiri letterari greci e latini, spiccano duce codici papiracei virgiliani, contenenti rispettivamente i primi sei libri dell'Eneide e un glossario in greco dei primi quattro libri del menzionato poema; tre codici papiracei del NT e un rotolo opistografo dell'epistolario tra Abgar e Gesù. Tutti i 200 rotoli, sono databili intorno all'inizio del VI e la fine del VII secolo d.C. e si è stabilito che almeno una quarantina di essi risalirebbero al periodo della conquista araba. Papiri medioevali - Sono i papiri rinvenuti nelle biblioteche europee scampati alla distruzione organica. Di precipuo interesse per il nostro studio è la traduzione latina del Antiquitatibus Iudaicis di Giuseppe Flavio, attualmente conservata presso la biblioteca ambrosiana di Milano (Cimelio ms 1,CLA III 304). [1] Si tenga presente che lo studio dei testi antichi papiracei preservatesi nelle tre scritture dell'egiziano antico (geroglifico, ieratico e Demotico) così come nella scrittura copta, spetta rispettivamente alla papirologia egiziana (branca dell'Egittologia) e alla papirologia copta (branca della Coptologia). Per i documenti scritti in aramaico ed ebraico, di cui il nucleo più caratterizzante è costituito dal corpus del Mar Morto e dall'epistolario di Simon Bar Kochba (15 lettere di cui 8 in aramaico, 5 in aebraico e 2 in greco) oggi si parla di papirologia del Vicino Oriente romano. [2] L'arco cronologico coperto dalla papirologia, si estende dal periodo che va dal IV a.C. (epoca alla quale risalgono i più antichi documenti papiracei greci di cui disponiamo) all'XI secolo, periodo in cui le ultime bolle papali furono trascritte su papiro). Il papiro più recente a noi pervenuto è una bolla papale per Silva Candida del 1057 d.C. [3] Basti menzionare i papiri ercolanesi. [4] Il totale dei frammenti papiracei rinvenuti ad Ossirinco ammonta a più di 400.000 unità. La maggior parte dei frammenti non è stata pubblicata a causa del cattivo stato di conservazione, ma recentemente è stata sviluppata una tecnica mutuata dalla tecnologia satellitare che permette la decifrazione dei testi illeggibili. Per la descrizione analitica della nuova procedura consultate la pagina del sito Oxyrhynchus Online. Tra i papiri egiziani, almeno 8000 sono testi letterari greci, mentre i testi documentari e letterari latini sono circa 600. [5] Il Demotico egiziano è scritto in maiuscola per distinguerlo dal demotico greco. [6] Clemente di Alessandria si rivolge denominandola "lingua Sacerdotale". alla scrittura ieratica tarda [7] La critica testuale non prende in considerazione la distinzione tra lingua greca e lingua copta per lo studio dei manoscritti neotestamentari. LA PERGAMENA La pergamena (gr. pergamène, lat. pergamenum) è un supporto librario ricavato dalla lavorazione della pelle degli animali giovani, quali la pecora, la capra, il vitello e l’antilope. E’ necessario fissare uno spartiacque terminologico tra i vocaboli pergamena e cartapecora. E’ invalso l’uso di designare indifferentemente con entrambi i vocaboli qualsiasi varietà o tipo di pergamena. Invero, col termine cartapecora si designa una qualità superiore e raffinata di pergamena. Ancora, il termine latino vellum (dal latino vitellum= vitello, vacca), talvolta utilizzato come sinonimo di pergamena, si riferisce esclusivamente al prodotto ricavato dalle pelli di bovino. Per comodità espositiva, in questa sede utilizzeremo pergamena come equivalente di qualsiasi supporto scrittorio derivato dalla pelle di animale. Lo storico naturalista Plinio il Vecchio ci ha informato sull’origine etimologica e dei metodi di preparazione della pergamena. Leggenda o storia, il racconto di Plinio merita di essere riportato nella sua interezza: "pugillarium enim usum fuisse etiam ante Troiana tempora invenimus apud Homerum, illo vero prodente ne terram quidem ipsam, quae nunc Aegyptus, intellegitur, cum in Sebennytico et Saite eius nomo omnis charta nascatur, postea adaggeratam Nilo, si quidem a Pharo insula, quae nunc Alexandriae ponte iungitur, noctis dieique velifico navigi cursu terram afuisse prodidit. mox aemulatione circa bibliothecas regum Ptolemaei et Eumenis, supprimente chartas Ptolemaeo, idem Varro membranas Pergami tradit repertas. postea promiscue repatuit usus rei qua constat inmortalitas hominum"8. Dal racconto semileggendario di Plinio, dobbiamo desumere che Pergamo diventò un centro eminente di produzione, raffinazione ed esportazione di un tipo pregiato di pergamena (membranae, secondo il lessico di Plinio). Questo materiale scrittorio, probabilmente era utilizzato molto prima del II sec. a.C. e fu proprio il fabbisogno crescente di materia scrittoria che indusse i popoli più progrediti a perfezionarne la tecnica di lavorazione e conservazione. La pergamena fu adottata quasi definitivamente intorno al IV secolo, ma come già chiarito sopra, dovette convivere col papiro ancora per altri quattro secoli. L'invenzione della sua lavorazione, consentì a quei popoli sprovvisti del papiro di rendersi autosufficienti dall'importazione del supporto scrittorio dall'Egitto, ciononostante, per consuetudine tramandata, la pergamena stentò molto tempo prima di imporsi definitivamente sul papiro è probabilmente i suoi elevati costi di produzione incisero sulla sua adozione. Il processo di trattamento che trasformava le pelli degli animali da materiale rozzo in fogli tersi, lucenti e lisci, nel basso medioevo era appannaggio di una categoria di artigiani, i parcamenarii (lat. sg. parcaminarius), i quali abitavano un borgo specifico delle città, prevalentemente un zona vicina ad un sorgente, in quanto l’acqua è una sostanza indispensabile per la lavorazione delle pelli. Tra le molteplici ricette di lavorazione della pergamena pervenuteci, cerchiamo da fare un sunto del trattamento-tipo. La pelle di 8 Nat. Hist., XIII, 70. animale era sottoposta a un lungo e accurato trattamento scandito da varie fasi. La prima fase consisteva nella scarnificazione e nell’eliminazione del pelo mediante raschiatura. Successivamente, le pelli venivano lavate e immerse in una sostanza calcinosa, dunque levigate con la pietra pomice. Il prodotto grezzo era poi sistemato su un telaio e rivestito di gesso, procedura mediante la quale si assorbivano i grassi residui. L’ultima fase, con la quale si eliminano definitivamente i carnicci residui, consiste in una seconda raschiatura tramite una lama ricurva (lat. llunellum). La membrana intelaiata era poi fatta asciugare per un numero di giorni variabili e sottoposta a stiratura. Ognuna di queste fasi, poteva essere integrata con fasi suppletive e i processi di lavatura e raschiatura mediante i quali si eliminavano i peli e i residui di carne potevano essere ripetuti consecutivamente a seconda del tipo di pelle utilizzata per ottenere un prodotto completamente liscio e depilato. Una fase a scopo ornamentale era poi integrativa delle fasi precedenti: alcune pergamene lussuose erano tinteggiate con sostanze coloranti. Ai tempi di Gerolamo, questa costosissima pratica ornamentale fu motivo di scandalo e imbarazzo. In una lettera di Gerolamo indirizzata a Eustochio leggiamo: “Le pergamene sono tinte di porpora, nelle lettere viene colato oro, i manoscritti sono rivestiti di gemme, mentre Cristo sta alla porta nudo e morente”9. I formati lussuosi dei codici pergamenacei erano tinti di porpora e scritti con inchiostro dorato o argenteo. Le recriminazioni di Gerolamo trovano conferma nei ritrovamenti contemporanei di manoscritti del NT scritti con inchiostro argenteo e dorato su pergamena purpurea, vermiglio e amaranto. Il prodotto finito consta di due parti: la parte anteriore, liscia e chiara, e la parte depilata, più ruvida al tatto che può assumere tonalità scure variabili, giallo-crema nel caso di pelle di pecora e marrone nel caso di pelle di capra. La pergamena e suoi derivati si diffusero in tutto il mondo cristianizzato a partire dal IV secolo d.C., e fu soppiantata solo nel basso medioevo, quando venne sostituita con la carta lavorata dal cotone, canapa o lino, esportata dai mercanti arabi che erano entrati in contatto con la civiltà cinese. La pergamena è un materiale eccezionalmente duraturo, resistente e flessibile. Si suppone che possa preservarsi per millenni in anche in condizioni climatiche proibitive. Come è facile intuire, questi e altri vantaggi fecero propendere le classi abbienti per l’acquisto della pergamena in luogo del papiro, quest’ultimo molto più friabile e soggetto all’usura del tempo. Ma i suoi elevati costi di produzione ne limitarono l’utilizzo e la circolazione presso le classi modeste: da un animale (pecora o vitello) si ricavano al massimo 16 fogli di piccolo formato e per comporre un libro di medie dimensioni occorrono circa 15 capi di bestiame! D’altra parte, la pergamena presentava aspetti negativi, già evidenziati nell’antichità dal medico greco, Galeno. Costui lamentò che, essendo la pergamena più lucida rispetto al papiro, la vista ne era affaticata. A differenza della pergamena, il papiro è più opaco e trattiene la riflessione dei raggi del sole. ep. 22, 32. Cfr. Gerolamo, Epistola a Leta: “I suoi tesori non siano gemme o sete, bensì manoscritti delle Sacre Scritture, e quanto a questi si preoccupi meno della pergamena dorata babilonese o dei disegni arabescati che della correttezza e della punteggiatura accurata" (ep. 107, 12). 9 IL MATERIALE SCRITTORIO II: MATERIE DURE La disciplina che si occupa dello studio, della decifrazione e dell'interpretazione dei testi antichi preservatisi su sopporti scrittori duri l'epigrafia. Ma papirologia ed epigrafia non sono due scienze nettamente separate, così l'intrusione della papirologia nel campo di indagine dell'epigrafia e viceversa è pratica ordinaria, dal momento che entrambe le discipline hanno per oggetto lo studio dell'antica scrittura e ciò che le differenzia è solo il materiale scrittorio su cui la scrittura è stata incisa, materia dura e durevole (pietra, metallo, vetro, avorio, stoffe, gemme, etc.) nel caso dell'epigrafia e materia flessibile per la papirologia. TAVOLETTE DI CERA Le tavolette di cera (lat. cerae o tabulae) erano delle tavole di legno o avorio leggermente sporgenti ai bordi, utilizzate come materiale scrittorio per la scrittura privata, missive, registri, appunti scolastici, bozze letterarie, ecc. La parte incavata della tavola veniva spalmata con della cera colorata, generalmente di colore scuro, sulla la quale si imprimeva la scrittura per mezzo di uno stilo appuntito tramite un temperino (lat. scalprum). Lo stilo (lat.stilus o graphium), era un pennino di ferro, avorio o argento, appiattito all’estremità superiore a mo' di spatola, per cancellare gli errori di scrittura (fare tabula rasa). OSSA Un supporto scrittorio economico, che non necessitava di lavorazione per l'incisione dell'inchiostro erano le ossa di animali, preferibilmente, mandibole, scapole e costole di grandi dimensioni. Il loro uso non doveva essere molto esteso perché L'Egitto ci ha restituito solo 4 testi documentari greci scritti databili al IV sec d.C. Ma occorre considerare che le ossa di animali non sono materiali così resistenti da preservarsi per millenni, condizioni climatiche permettendo. Eppure non mancano certo testimonianze letterarie per questo materiale scrittorio, che per la sua superficie liscia e chiara si prestava particolarmente ad ospitare l'inchiostro. Tra le testimonianze letterarie più confortevoli circa il suo impiego, ricordiamo quella di Diogene Laerzio che ci informa che il filosofo stoico Cleante "scriveva su cocci e su scapole di buoi gli appunti delle lezioni di Zenone, perché era sprovvisto di monete per comperarsi della carta"10. OSTRAKA Gli ostraka (gr. sg. ostrakon= conchiglia) sono i frammenti di vasellame sui quali veniva incisa la scrittura. Usualmente, il testo veniva inciso sulla parte convessa del coccio, ma ci sono noti ostraka scritti su entrambe le facciate, concava e convessa. Come per i manoscritti, anche gli ostraka potevano essere lavati e riutilizzati per l'incisione di un altro testo, configurandosi in tal modo come dei palinsesti. Descritti come la materia scrittoria "...ei¹j oÃstraka kaiì bow½n w©mopla/taj gra/fein aÀper hÃkoue para\ tou= Zh/nwnoj, a)pori¿# kerma/twn wÐste w©nh/sasqai xarti¿a" (Vitae philos. VII, 174). 10 dei poveri, non a caso a partire dal IV sec. d.C. si registra un aumento dei cocci di vasellame in lingua copta e una progressiva diminuzione dei cocci in greco. Questo fenomeno si spiega agevolmente con la storia sociale dell'Egitto romano, quando alla base della piramide sociale c'erano gli indigeni di lingua copta, i quali, date le loro condizioni economiche, non potevano permettersi di acquistare materiale scrittorio pregiato. Sebbene in principio i cocci di vaso venivano utilizzati per finalità diverse da quelle letterarie11, sono stati ritrovati alcuni ostraka con incise parti del Nuovo Testamento e letteratura cristiana. Il più antico ostraka contenente frammenti letterari cristiani in greco risale al V secolo d.C. Alla fine del diciannovesimo secolo, nell'Alto Egitto furono dissotterrati circa 20 ostraka scritti in greco e copto databili al VII secolo d.C. La critica testuale ha cominciato a rivolgere l'attenzione in modo più incisivo allo studio degli ostraka da quando è stato rinvenuto un ostrakon in copto sahidico attestante la disputata pericope dell'adultera (Gv. 7:53-8:1). Poiché la tradizione manoscritta copta shahidica prima di tale rinvenimento non attestava la pericope dell'adultera, l'esistenza di questo ostrakon dovrebbe consentire agli studiosi di rivalutare e rinnovare la storia del testo copto sahidico del NT. IL FORMATO DEI LIBRI ANTICHI Abbiamo già in parte discusso su uno dei formati librari prediletti dagli antichi: il rotolo. In questo capitolo svilupperemo il discorso concernente la forma dei libri nell’antichità, con un occhio di riguardo nei confronti del Rotolo e del Codice, i due formati principi mediante i quali venne tramandato il testo del NT. IL ROTOLO L’immaginario collettivo, ha sempre raffigurato il rotolo (lat. volumen o scapus) come un involucro verticale procedente dall’alto verso il basso. Questa caratteristica del rotolo è certamente peculiare del mondo bizantino a partire dal IV d.C, ma nell’antichità classica, e chiaramente durante i primi secoli della cristianità, la scrittura e la lettura del rotolo procedevano su colonne orizzontali, da sinistra verso destra per gli ellenici e da destra verso sinistra per . Abbiamo già discusso della scarsa maneggevolezza cui il rotolo si prestava. Lo scriba, infatti, era costretto ad avvalersi di entrambe le mani: con una mano avvolgeva la parte di rotolo già utilizzata, mentre con l’altra mano srotolava (explicare) la porzione ancora da utilizzare. Per evitare che il rotolo di deteriorasse o si piegasse, veniva avvolto su due bastoncini di legno o di osso (gr. omphalós, lat. pl. umbelici lat. sg. umbilicus) disposti alle due estremità del manufatto. Durante il trasporto i rotoli venivano legati insieme e custoditi in casse rettangolari (scrinia) o cilindriche (capsae). In epoca romana, il rotolo era il materiale scrittorio privilegiato per la composizione di opere letterarie, scritture private, registri amministrativi e contabili e libri scolastici. Un 11 Ad Atene, gli ostraka erano utilizzati come schede elettorali mediante le quali si votava l'ostracismo degli aspiranti o presunti tiranni, che venivano esiliati se il responso delle "urne" gli era sfavorevole. I cocci di vaso, inoltre, erano impiegati per usi commerciali, per la corrispondenza privata, documenti privati etc. rotolo contenente un’opera letteraria di una certa estensione, poteva superare i 12 m., ma di regola, non superava i 10 m. Una eccezione significativa a questa misura standard è costituita dai papiri letterari, i quali testimoniano una lunghezza variabile tra i 3 e i 15-16 m. Il rotolo dunque, per sua natura, era deficitario per la conservazione di lunghi poemi e per un singolo libro del NT. E’ stato calcolato che per il libro degli Atti degli Apostoli sarebbe occorso un rotolo di circa 9 m! La scarsa praticità del rotolo per usi letterari, fece si che ancora nel II sec. i libri del NT circolassero singolarmente e i vangeli sotto forma di sinossi. Per la letteratura greca pagana, abbiamo invece una singolare testimonianza dai papiri ercolanesi, i quali testimoniano che opere di una certa lunghezza potevano essere trascritte in due rotoli separati, ognuno dei quali ospitava metà dell'opera12. Altro aspetto negativo del rotolo da menzionare è la scomodità per la ricerca dei passi scritturali: per accedere ad un passo specifico situato alla fine del vangelo di Luca, il lettore avrebbe dovuto distendere l’intero rotolo! Probabilmente, la scarsa praticità del rotolo come formato letterario, indusse i cristiani del II secolo ad avvalersi di soluzioni editoriali maggiormente rispondenti alle loro esigenze. Il passaggio dal rotolo al codice nella cristianità è stato interpretato proprio come reazione della cristianità all’insoddisfazione della forma libraria del rotolo. Stando alle ipotesi di alcuni specialisti, i cristiani gentili furono tra i primi a servirsi del codice e a diffonderne l’uso. In un articolo ad hoc vedremo che questa interpretazione è parzialmente infondata. L’adozione del codice da parte delle comunità cristiane potrebbe anche corrispondere all’esigenza sentita da parte dei gentili pagani di differenziarsi dagli ebrei nelle consuetudini normative di trasmissione delle Sacre Scritture e nelle pratiche quotidiane. IL CODICE Il codice (lat. codex pl. codices, da caudex= tronco d’albero13) era un formato librario composto di una serie di fascicoli contenenti un numero variabile di fogli pergamenacei o papiracei. Ogni foglio era piegato in due e sovrapposto l’uno sopra l’altro. I singoli fogli piegati erano poi cuciti in corrispondenza della piega centrale e davano origine a un fascicolo o quaderno. I vari fascicoli erano poi saldati e cuciti insieme. La cucitura doveva essere la più salda e accurata possibile, in modo che i fogli e i fascicoli che li contenevano avessero un’andatura omogenea, altrimenti si rischiava che durante la consultazione i fascicoli ruotassero su loro stessi esponendo il libro a un eccessivo deterioramento, fino alla staccatura di interi fogli o nei casi più disperati, di interi fascicoli. Nel medioevo, le cuciture maldestre furono sostituite con fascette e cinghie. Ogni fascicolo poteva comprendere un numero variabile di fogli: bifolio, 1 foglio, 4 pagine duerno, 2 fogli, 8 pagine Il papiro in questione è il PHerc 1425, che ci ha trasmesso parte della seconda metà di La Poesia di Filodemo. 13 Cfr. Seneca, de brev. vitae, 13, 4 “... plurium tabularum contextus caudex apud antiquos vocabantur " ("la compagine di più tavole era chiamata dagli antichi caudex"). 12 ternione, 3 fogli, 12 pagine quaternione o quaderno, 4 fogli, 16 pagine quinterno, 5 fogli ecc. La forma più comune di codice era il quaternione o quaderno, composto da 4 fogli. All’inizio, il codice era provvisto di fogli di papiro, ma in età imperiale i codici cominciarono a essere formati da fogli di pergamena, con la possibilità di scrivere su entrambi i lati. Quando la cristianità adottò il codice come formato editoriale standard, la produzione libraria poté beneficiare di innumerevoli vantaggi: o o o o il codice consentiva di contenere tutti i libri del Nuovo Testamento in un formato pratico e accessibile; agevolava la consultazione dei passi biblici; la scrittura poteva essere incisa su entrambe le facciate, comportante il risparmio del materiale, e di riflesso tempo la riduzione degli elevati costi di produzione; essendo provvisto di copertina rigida, il codice era ben protetto dagli agenti atmosferici e dall’usura del tempo; A questi vantaggi, si opponevano una serie di svantaggi, che potrebbero essere indice di quella transizione in cui codice e rotolo coesistettero per certo periodo di tempo: o o o i margini delle pagine del codice erano soggetti ad accartocciamento e deterioramento; se la cucitura e la rilegatura erano state allestite con incuria, alcune pagine del codice potevano staccarsi irrimediabilmente e gli effetti deleteri di tale inconveniente sono ancora visibili nei manoscritti superstiti; il copista, prima di allestire i fogli e i fascicolo, doveva calcolare preventivamente il numero delle linee necessarie per ospitare l’intero testo. CODICI MINIATI Con codici miniati ci si riferisce in senso lato a una tipologia di manoscritti abbelliti con decorazioni artistiche. L'espressione deriva da minium, il pigmento rosso ricavato dal tetrossido di piombo, ovvero il colore col quale furono decorati i bordi delle pagine, i titoli e le lettere iniziali dei manoscritti. I più antichi codici miniati risalgono al III secolo d. C. L'Iliade ambrosiana (III sec. d.C.) è il primo manoscritto conosciuto che reca al suo interno illustrazioni che ricalcano le convenzioni pittoriche dell'arte classica. La pergamena, è un materiale resistente e igroscopico che si prestava particolarmente alla decorazione. Niente di strano dunque, se i manoscritti ornati che ci sono pervenuti sono per la maggior parte scritti su tale materiale. Dopo il V secolo le miniature dei manoscritti si conformarono all'arte orientale bizantina. Le illustrazioni subiscono un'attenuazione della colorazione, foggiata su colori più scuri. Se l'arte bizantina influenzò le tecniche di decorazione del mondo orientale e l'Italia centro-meridionale, in Francia e nelle Isole Britanniche si adottarono canoni pittorici diametralmente opposti. In Inghilterra, i codici raramente furono abbelliti con decorazione artistiche. Queste si limitavano all'ornamentazione dei bordi dei manoscritti, mentre le illustrazioni interne continuarono a essere concepite secondo i canoni dell'arte classica. In Francia, e soprattutto durante l'età carolingia, si sviluppò una tradizione ornamentale aderente al canone decorativo bizantino con elementi pittorici locali. In Francia i manoscritti furono adornati con elementi lussureggianti, l'oro splendeva negli esemplari più sfarzosi, mentre le illustrazioni interne, raffiguranti scene bibliche e ritratti degli evangelisti, tendevano a distorcere le proporzioni delle figure umane. Lo schema pittorico carolingio fu abbandonato nel XIII secolo con la comparsa dell'arte gotica. Durante questo lungo periodo, si assiste ad un miglioramento della tecnica di disegno: le figure umane risultano più accurate e più piccole rispetto alla sontuosità che le aveva caratterizzate nei periodi artistici precedenti. Ovunque si assiste ad un ridimensionamento delle immagini, ma contemporaneamente si esegue il perfezionamento delle sagome, improntate ai nuovi canoni stilistici dell'arte dell'epoca. In tale contesto, rivaleggiano tre scuole, tutte notevoli per tecnica e contenuti: la scuola francese, quella tedesca e quella inglese. Se i francesi privilegiavano le tinte forti e scure, la scuola tedesca si distingueva per l'utilizzo di gradazioni naturali e pure. Gli inglesi, invece, preferivano i colori chiari e pallidi. Le miniature italiane dei secoli XIII-XIV, non solo furono qualitativamente inferiori rispetto a quelle dell'Europa centro-occidentale, ma talvolta si rinviene l'utilizzo esasperato del colore rosso. I contorni delle figure umane erano meno nitide e risentivano ancora dell'influsso dell'arte bizantina. Il Rinascimento italiano inaugurerà un nuovo corso della tecnica illustrativa dei manoscritti e si percepisce un miglioramento nella rifinitura e nei colori delle illustrazioni. Vale la pena menzionare De arte illuminandi, il manuale giunto incompleto di disegno miniato di autore sconosciuto del XIV secolo, il quale deve aver esercitato un influsso notevole sui miniatori italiani. Nell'ambito dei codici miniati biblici, in questa sede menzioneremo alcuni dei più notevoli. Per una descrizione fisica dettagliata dei manoscritti miniati del NT, si consulti la pagina relativa ai codici in onciale e minuscola. Tra i più bei manoscritti miniati della Bibbia, non possiamo fare a meno di menzionare il codex purpureus Rossanensis (S) del VI secolo, oggi conservato al Museo Diocese della cattedrale di Rossano. Questo manoscritto che preserva i vangeli di Marco e Matteo, è scritto in inchiostro argenteo su pergamena purpurea, contenente un introduzione gremita di pregevoli illustrazioni di scene bibliche. Immagine 2. Codex Purpureus Rossanensis (S) Sempre del VI secolo, possediamo uno dei più bei manoscritti decorati: il codex Argenteus. Questo splendido manoscritto contenente la traduzione gotica della Bibbia di Ulfila, è scritto in inchiostro rosso e argento su pergamena purpurea fine. Le decorazioni sono concentrate nel margine inferiore delle pagine, consistenti in colonne greche racchiudenti i monogrammi degli evangelisti. Infine, menzioniamo il "manoscritto di Rabula". Si tratta d un codice miniato del VI secolo, contenente la Peshitta siriaca della Bibbia. Le decorazioni si trovano sparse per tutto il manoscritto per gli eventi cruciali dei vangeli. Contiene miniature di pregevole fattura, dettagliate e in tinta sgargiante. Dal punto di vista stilistico, rasentano gli schemi pittorici e architettonici bizantini, ma con influssi della tradizione decorativa mesopotamica. GLI STRUMENTI SCRITTORI LA PENNA L’iconografia medievale ci ha tramandato scene di copisti tutti intenti nella scrittura di un libro. E’ altrettanto singolare che nelle miniature medioevali compaia tutta la strumentazione necessaria per adempiere il faticoso lavoro di scrittura e copiatura. Ogni scriba doveva possedere rudimenti per la fabbricazione delle sua penne da scrivere. In epoca faraonica e fino all'epoca tolemaica, le penne consistevano in rudimentali canne di giunco, adatte a incidere scritture pittografiche quali la geroglifica e ieratica e Demotica, ma non adatte per l'incisione della scrittura greca. Per ovviare a questo inconveniente, gli scribi dell'Egitto tolemaico perfezionarono l'uso del calamo14 (gr. kálamos= canna), un fusto sottile di legno ricavato da varie piante o in metallo, che fu lo strumento di scrittura fino al VI secolo d.C. Poco maneggevole e poco sensibile al tatto, con una punta troppo spessa che rischiava di macchiare e deteriorare la superficie scrittoria, questo rudimentale pennino nell’Alto Medioevo fu sostituito con la penna d’oca, derivata dalle piume remiganti dei volatili. Le penne d’oca più pregiate si ricavavano dalle piume di oca e di cigno, mentre per una scrittura minuta si utilizzava la penna ricavata dalle piume dei tacchini. L’incurvatura naturale delle piume di uccello, imponeva che nella scelta di essa lo scriba dovesse scegliere quella dell’ala destra del volatile, mentre per i mancini, la scelta ricadeva su una piuma dell’ala sinistra. La piuma dei volatili per essere convertita in penna da scrivere, subiva un trattamento artigianale eseguito dall’amanuense stesso. La piuma veniva immersa per alcuni mesi nell’acqua e in una soluzione arenosa. Una volta ammorbidita, veniva eliminato lo strato esterno untuoso del gambo e il midollo interno. A quel punto, lo scriba incideva una piccola fessura al centro e tagliava il tratto estremo del pennino, incidendo un taglio obliquo di un millimetro circa. Durante la scrittura, lo scriba doveva reiterare quest’ultima operazione molte volte, in modo che la parte estrema della penna fosse perfettamente affilata da generare una grafia pulita e precisa. L’INCHIOSTRO Nell’antichità e per tutto il Medioevo, l’inchiostro (gr. eucaoston lat. atramentum) era di due tipologie: una miscela organica a base di nerofumo e gomma, impiegato dalle classi meno abbienti, data la sua convenienza economica e la sua facile reperibilità sul mercato; l’altro, in uso fin dal III secolo d.C., era una miscela di acido tannico, solfato di ferro (inchiostro ferrogallico), gomma e acqua. La seconda tipologia era ricavata dalla noce di galla delle querce, un albero ricco di tannini, solfato di ferro (vetriolo) e gomma arabica, un addensante importato in Europa dall’Asia Minore. La ricetta di preparazione dell’inchiostro ferrogallico, che mutava di luogo in luogo, comprende quattro ingredienti fondamentali: sale metallico, composto da atramentum (vetriolo o solfato di ferro) o Copparosa verde (solfato di ferro); tannino vegetale, noce di galla, formazione tumorale della quercia che conferisce la tipica tonalità scuro all’inchiostro; legante, gomma arabica, resina dell’acacia che aumenta viscosità e le proprietà adesive dell’inchiostro: solvente, acqua, vino o grappa. L'inchiostro a base di nerofumo era apprezzato per la sua formidabile resistenza ma presenta scarse qualità coesive che lo rendevano sconveniente per l'incisione delle Cfr. Cicerone, ad Qu. Jr., II 14, 1: "Calamo et atramento temperato, charta etiam dentata res agetur. Scribis enim te meas litteras superiore vix legere potuisse" ("Ebbene, farò uso di penne e di inchiostro migliori per 14 scriverti, ed anche di carta di lusso, poiché ti lamenti di non essere quasi riuscito a leggere la mia ultima lettera"). pergamene, la cui superficie richiede un'aderenza consistente dell'inchiostro. L’inchiostro ferrogallico possedeva qualità superiori rispetto a quello a base di nerofumo che lo resero particolarmente adatto per la scrittura delle pergamene. Tuttavia, una serie di inconvenienti dovuti alla eccessiva acidità di questa tipologia di inchiostro esponeva le pagine delle pergamene a deterioramento irreversibile, bruciature e perforature. Infatti, non appena l’inchiostro a base di noce di galla viene a contatto con l’aria, genera una reazione ossidante che scurisce il colore, conferendo una tonalità ancor più nera. L’esposizione prolungata all’aria e a una fonte di calore fa si che perda le sue proprietà addensanti, tale da rendere obbligatorio l’utilizzo della gomma arabica per ricompattare la sostanza. Non bisogna dimenticare le benefiche qualità di questa tipologia di inchiostro. Per la sua capacità di penetrare a fondo nella pergamena e per la relativa facilità con la quale poteva essere rimosso, oltre che per le sue proprietà lucenti, lo resero particolarmente adatto per la scrittura della pergamena e l’incisione delle xilografie medievali. I manoscritti miniati, mostrano differenti gradazioni di inchiostro. Il colore più usato dopo il nero era il rosso, impiegato fin dal V secolo per le rubriche, titoli da miniatori e dai correttori di errori. L’inchiostro rosso si otteneva dalla miscela di brasile, aceto e gomma arabica. I manoscritti lussuosi venivano decorati con inchiostro argenteo e dorato. Accanto alla penna e l’inchiostro, l’amanuense disponeva di un set di strumenti per il compimento e il perfezionamento del suo lavoro. Dobbiamo menzionare il calamaio (calamarium, atramentarium, theca libraria, scriptoriola), ossia il contenitore portatile in terracotta del calamo, che negli scriptoriamedievali fu sostituito dal corno di toro, talvolta situato su un supporto diverso dal tavolo di lavoro, una precauzione questa, per evitare il rovesciamento accidentale di inchiostro sul materiale scrittorio. Segue la pietra pomice in polvere, utilizzata per levigare la superficie dei manoscritti e la pietra pomice solida, adatta sia alla rifinitura della punta del calamo che alla raschiatura e depennamento dell’inchiostro dei manoscritti da riutilizzare come palinsesti. Con la la spugna bagnata (gr. spóngos, lat. spongia deletilis), si lavavano e cancellavano i fogli dalla superficie scrittoria. Va menzionato anche il coltello dell’amanuense, utile utensile per l’immediata cancellatura degli errori scribali e per la levigatura della pergamena. In epoca greca e romana, fanno la comparsa ulteriori strumenti di precisione, tra cui il già ricordato calamaio, la rondella di piombo (gr. mólibos) per tracciare i margine delle colonne, il coltello di metallo (gr. smile, lat. cultellus, temperatorium) col quale si affilavano i calami, il righello (gr. kanôn, lat. canon, regula, linearium). GLI SCRIBI E IL LORO HABITAT LAVORATIVO Poiché in questo capitolo ci occupiamo della produzione libraria neotestamentaria, tralasceremo la figura dello scriba del mondo giudaico e ci occuperemo esclusivamente del ruolo dello scriba entro il mondo greco-romano e medioevale. Se nell'Egitto faraonico la posizione sociale ed economica dello scriba era collocata al vertice della piramide sociale, la società greco-romana non ha mai tributato un così ampio riconoscimento a questo ruolo, pur trattandosi di una figura professionale. Forse, a incidere negativamente sulla svalutazione della professione di scriba fu il fatto che secondo i dati in ostro possesso, il grado di alfabetizzazione si era esteso agli strati sociali inferiori. Non è un caso che nella società ellenistica gli scribi fossero reclutati tra gli schiavi e liberti. Anzitutto, dobbiamo operare un distinguo tra coloro che nell'età ellenistico-romana erano dei notai pubblici addetti alla compilazione e registrazione degli atti ufficiali e coloro addetti alla copiatura di materiale privato. I primi sono denominati scribae pubblici, operanti nella pubblica amministrazione e i secondi librarii. Gli scribae (lat. sg. scriba) appartenevano ai funzionari statali, pagati dall'erario pubblico e organizzati in classi. Nel I secolo a.C, sembra che l'ufficio dello scriba si fosse evoluto in una carica acquistabile, tant'è che l'acquisto dell'ufficio di scriba era diventato un'operazione estremamente agevole. Diversamente, i librarii (lat. sg. librarius), possono essere definiti come segretari privati, spesso schiavi o liberti assoldati e remunerati dai padroni. In seno ai librarii si distinguevano diverse figure ad ognuna delle quali competeva un ruolo specifico nell'editoria manoscritta: gli antiquarii15, ai quali spettava la copiatura dei libri antichi; i librarii a studiis, principalmente schiavi che eseguivano la copiatura sotto dettatura dei loro padroni o si applicavano nello studio e nell'estrazione dei passi dai manoscritti; i libraii ab epistolis, impiegati per la compilazione di documenti privati sotto dettatura dei loro padroni. A quest'ultima categoria di libraii appartengono gli amanuensis. Con il termine librarii erano denominati anche i librari veri e propri16, cioè i professionisti che si occupavano della produzione e della vendita dei libri nelle officine specializzate ( taberane libariae). La figura del lector, corrisponde al dettatori professionisti che leggevano ad alta voce per i letterati. Il termine amanuense si è conservato per la denominazione dei copisti medioevali operanti all'interno delle abbazie e dei monasteri nella copiatura manuale della letteratura cristiana e delle opere dell'antichità classica. Fu Cassiodoro nella prima metà del IV secolo ad istituire il primo scriptorium medievale a Vivarium, attrezzato per la riproduzione e la raccolta dei manoscritti. Circa un secolo più tardi, Benedetto da Norcia fondò l'abbazia di Montecassino improntata all'ascetismo e allo studio e riproduzione delle Sacre Scritture. Molti dei monasteri e delle abbazie medioevali erano provvisti di una sala di copiatura, lo scriptorium: un locale spazioso esposto a sud e dotato di numerose vetrate affinché potesse essere illuminato dalla luce diurna. Di solito, le sale di copiatura erano comunicanti con le biblioteche adiacenti. Nei centri monastici non dotati di scriptorium, la copiatura avveniva nei refettori e nelle celle individuali, dove i monaci in tutta solitudine trascrivevano i testi scari e le opere dell'antichità classica. Non è escluso che alla categoria degli antiquarii fosse demandata la rilegatura dei manoscritti (Cfr. Cic. ad Att. 4, 17), la custodia e la manutenzione delle biblioteche private. 16 Denominati anche bibliopolae (Cfr. Marz. Epigrammata, IV, 71 - XIII, 3). 15 La copiatura di un manoscritto, era un'attività lenta, faticosa e sfiancante che minava la salute fisica dei monaci, e costoro erano sottoposti a una ferrea disciplina di lavoro. L'orario giornaliero di lavoro era distribuito tale da superare anche le sei ore. Se uno scriba trasgrediva la disciplina imposta, poteva incorrere in severe sanzioni comminate dall'abate o dall'armarius (il responsabile dello scriptorium che provvedeva alla custodia del materiale didattico e vigilava sul lavoro degli scribi) secondo la regola monastica vigente in loco. La copiatura di un testo poteva avvenire individualmente o sotto la dettatura del bibliotecario. Se la copiatura avveniva individualmente, la trascrizione procedeva lentamente in modo che ogni singola lettera assumesse un aspetto foggiato, ma la cura maniacale spesa dal copista nel forgiare le lettere non corrispondeva ad un'altrettanta diligenza nella comprensione del contenuto del testo. Infatti, non tutti gli scribi possedevano una buona conoscenza delle lingue antiche e a volte la pretesa di saper maneggiare il greco e il latino li induceva ad applicare correzioni strampalate, incorrendo in errori di sintassi, grammaticali e contenutistici. Alcuni monaci, erano diventati talmente abili nella decorazione artistica che si occupavano solo dell'ornamento delle lettere iniziali o dell'abbellimento del manoscritto. C'è chi era preposto alla rilegatura e altri ancora all'alluminatura del manoscritto. Ai revisori del testo, che facevano la loro comparsa nella fase finale della produzione manoscritta, era riservata la correzione degli errori dei loro colleghi. Nei centri monastici più piccoli, queste operazioni che scandivano la produzione di un codice erano svolte dallo stesso amanuense che copiava il testo. Gli scribi egiziani e del mondo greco-romano, operavano seduti su uno sgabello (lat. cathedra) con la superficie scrittoria poggiata sulle ginocchia. I tavoli scrittori (lat. pluteus, descus, tablarium ad scribendum) furono adottati nel III secolo d.C., rendendo più agevole il lavoro dell'amanuense. LA CODICOLOGIA E' la scienza che studia integralmente il libro manoscritto antico e medioevale nel suo aspetto esteriore, comprese le tecniche di fabbricazione, la forma libraria, l'organizzazione interna e le decorazioni di un manoscritto. La disciplina ha acquistato autonomia a partire dal 1944, quando A. Dain, coniò l'espressione codicologia, adottata ben presto da tutti gli studiosi che si interessarono a questa disciplina. Codicologia e papirologia sono due discipline intimamente connesse per l'oggetto d'indagine comune. Entrambe, infatti, si occupano dell'aspetto materiale di un manoscritto e della sua evoluzione, ma la papirologia abbraccia un arco cronologico che contempla anche lo studio del rotolo papiraceo e pergamenaceo, mentre la codicologia concentra la sua indagine su una particolare forma libraria successiva e sovrapposta cronologicamente al rotolo, il codice. BIBLIOGRAFIA Bagnall R. S., Reading papyri, writing ancient history, Routledge, London & New York, 1995. Brown M. P., Understanding illuminating manuscripts: a guide to technical terms, London, 1994. Capasso M., Introduzione alla papirologia, Il Mulino, Bologna, 2005. Gamble, H. Y., Libri e lettori nella chiesa antica, Paideia, Brescia, 2006. Kenyon F. G., Books and Readers in Ancient Greece and Rome, Oxford University Press, Oxford, 1932. Montevecchi O., La papirologia, Vita e pensiero, Milano, 1988. Turner E. G., Papiri greci, Carocci, Roma, 2004.