MANOSCRITTI DEL NT – LA PRODUZIONE DEI MANOSCRITTI

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MANOSCRITTI DEL NT – LA PRODUZIONE DEI MANOSCRITTI
MANOSCRITTI DEL NT – LA PRODUZIONE DEI MANOSCRITTI
Indice
Approfondimenti
Il materiale scrittorio I: Materie flessibili Il papiro - La
La papirologia
pergamena
Il materiale scrittorio II: Materie dure Tavolette di cera Codici miniati
Ossa - Ostraka
Il formato dei libri antichi Il rotolo - Il codice
La codicologia
Gli strumenti scrittori La penna - L'inchiostro
Gli scribi e il loro habitat lavorativo
Bibliografia
Fino all’invenzione dei caratteri mobili, i testi antichi erano trascritti e tramandati
attraverso la copiatura manuale su supporti scrittori di diversa consistenza e qualità, quali
il papiro, la pergamena, le tavolette d’argilla e di cera, gli ostraka, ecc. Quanto segue si
prefigge di illustrare i processi di produzione e copiatura dei libri antichi, nella cui
categoria rientrano a pieno titolo i manoscritti del NT.
IL MATERIALE SCRITTORIO I: MATERIE FLESSIBILI
Il testo del Nuovo Testamento ci è pervenuto essenzialmente tramite manoscritti in papiro
e pergamena, i supporti scrittori per eccellenza di un testo letterario. Sebbene papiro e
pergamena costituiscano materiali pregiati e resistenti, nel mondo antico, i documenti
ufficiali, i conti economici e qualsiasi altro documento erano scritti su altri supporti
scrittori, tra cui figurano le tavolette d’argilla, metallo, tavolette lignee, tavolette cerate, e
cocci di vaso (ostraka).
IL PAPIRO
La pianta di papiro (Cyperus Papyrus), è una vegetale palustre della famiglia delle
ciperacee che cresceva spontaneamente ed abbondantemente nelle acque basse delle rive
del Nilo, in Etiopia, in Palestina (in prossimità del lago di Tiberiade), in Mesopotamia e
nelle rive del fiume Niger. In alcune zone umide della Sicilia, in particolare Siracusa,
cresceva una varietà particolare di papiro, più fragile e di qualità inferiore rispetto
all’omonimo vegetale egiziano. Oggi la pianta di papiro non cresce più spontaneamente in
Egitto. Quanto alle cause della sua scomparsa sono state avanzate ipotesi ecologiche e
all'intervento sconsiderato dell'uomo: in primis la siccità, che ha colpito il Nilo nel X secolo
d.C., facendo ritirare le acque e determinando il prosciugamento dei canali dove il papiro
cresceva rigoglioso; in secondo luogo, l'aumento della salinità delle paludi e degli stagni, e
non da ultimo, lo sfruttamento intensivo umano delle aree ospitanti il papiro per le
necessità più disparate e le riconversioni delle zone paludose a terre adibite al pascolo e
alla coltivazione. Attualmente, la crescita naturale del papiro avviene solo in due zone
circoscritte del Mediterraneo: Fiumefreddo, nei pressi di Catania e nella valle del Giordano.
Il papiro è una pianta che supporta la coltivazione artificiale, ma richiede un clima
temperato-umido, con temperature che non devono scendere al di sotto dei 15°. Presso i
Fenici la pianta di papiro era denominata byblos (in omaggio alla città commerciale fenicia
Byblos, centro di scambio ed esportazione di papiri) termine col quale si designava anche il
fusto della pianta. Il nome “papiro” significa “ciò che appartiene al re” e infatti, la
lavorazione e il commercio del papiro in Egitto era monopolio statale. Nell’antichità, il
papiro si prestava a svariati usi, inclusi quello alimentare e medicinale, per la produzione di
fibre tessili e dalle radici essiccate si otteneva combustibile, mentre il fusto scorticato era
impiegato per la produzione del materiale cartaceo omonimo. Dalle fibre della pianta di
papiro si ricavavano inoltre: sandali, corde, ceste, imbarcazioni e materiale edilizio. Si
consideri che per la carenza cronica di legname dell'area egiziana, il papiro doveva fungere
da formidabile suppletivo per la fabbricazione di utensili e imbarcazioni leggere adatte alla
navigazione del Nilo. Il fusto della pianta può raggiungere i 5 m di altezza, una
circonferenza di 30 cm e i 10 cm di diametro.
Immagine 1. Cyperus Papyrus
Dal III millennio fino all’epoca medievale, quando fu soppiantato dalla pergamena, il
papiro costituì il principale supporto scrittorio del mondo antico, soprattutto dei testi
letterari. Il procedimento di lavorazione del papiro ci è noto tramite due fonti, una
iconografica e una letteraria: da un bassorilievo tombale del 1400 a.C. proveniente da Tebe,
che illustra le fasi preliminari della manifattura e da Plinio, sulla cui testimonianza i
papirologi hanno speso fiumi di inchiostro per le problematiche innestate dal confronto del
procedimento descritto dallo storico latino1 e gli esperimenti di laboratorio. Considerato il
suo impiego intensivo nella vita quotidiana, dobbiamo presumere che l'Egitto pullulava di
officine specializzata alla manifattura del papiro, ma non possediamo riscontri archeologici
di queste officine. Viceversa, possediamo sufficienti testimonianze letterarie circa
l'estensione geografica di queste officine. Plinio, per esempio, ci informa che a Roma c'era
l'officina di Fannio, dove la carta importata dall'Egitto subiva un processo di rifinitura2. La
tecnica di lavorazione, già nell’antico Egitto aveva raggiunto un elevato livello tecnologico.
Vediamo di descrivere le fasi salienti di questo processo.
La lavorazione del papiro, si presume dovesse avvenire molto vicino al luogo della raccolta,
perché una volta sradicato dal suo ambiente naturale, lo stelo del papiro deve essere subito
trattato. Il fusto della pianta, veniva tagliato in brandelli di 30 cm. Ognuna di queste
porzioni veniva aperta in senso perpendicolare e successivamente si estraeva il midollo
della pianta, il quale veniva tagliato in strisce sottili. Le liste ricavate erano immerse
nell’acqua. Dopodiché, ogni striscia era collocata su una tavola di legno una a fianco
all’altra, con le fibre in direzione orizzontale che davano origine ad un primo strato,
destinato alla scrittura (schíza). A questo primo strato, si sovrapponeva un secondo strato
(la facciata posteriore che di solito non riceveva la scrittura) in direzione longitudinale al
primo. Sfruttando le proprietà adesive delle sostanze naturali presenti nel fusto che
assicuravano l’incollatura dei due strati sovrapposti3, il tessuto intrecciato veniva battuto e
pressato con appositi martelli di legno e levigato con la pietra pomice o oggetti in avorio e
conchiglia fino ad ottenere una superficie uniforme. Quindi, il reticolo compresso era fatto
essiccare al sole per alcuni giorni, e dopo una lunga esposizione all'aria aperta si otteneva il
prodotto finale, ovvero un foglio pronto all’uso a trama orizzontale e verticale dal colore
giallo-brunastro. I papiri più pregiati presentavano una gradazione chiara, giallo-bianco,
mentre quelli meno pregiati erano di colore più scuro.
A seconda dell’estensione del testo da trascrivere, incollando (lat. glutinare, gr. kóllân)
opportunamente più fogli di papiro lungo il margine di ciascun foglio, i quali davano
origine ad un rotolo (il cosiddetto volumen). La linea di giuntura di ciascun foglio di
papiro è convenzionalmente chiamata col sostantivo greco kóllesis (incollatura,
assemblaggio). Le linee di giuntura, inoltre, col loro tratto sporgente, sono gli indicatori
(mai infallibili) del numero dei fogli (gr. pl. kollemata, sg. kollema, lat. sg. plagula) che
compongono un rotolo e permettono di distinguere il lato verso dal recto4. Un foglio di
1
2
3
Nat. Hist., XIII, 74-82.
Nat. Hist., XIII, 75.
Procedure alternative richiedevano l’impiego di sostanze collanti artificiali in aggiunta al collante naturale
presente nelle fibre del papiro. Un altro sistema di suddivisione delle opere prosaiche in più rotoli sono
testimoniate da un papiro di Ossirinco del II secolo (P. Oxy. XV 1810, MP3 256, LDAB 0676), il quale ospita tre
orazioni di Demostene.
4
È opportuno avvisare il lettore che per la critica, i due termini recto e verso con i quali rispettivamente si
indicano le facciate di un papiro le cui fibre corrono in senso parallelo e in senso verticale, sono inadeguati
per una corretta descrizione dell'anatomia di un rotolo. A questi due termini impropri, parte della critica ha
sostituito la coppia di frecce , con le quali si indica la facciata del foglio le cui fibre procedono in senso
orizzontale e la coppia di frecce  per indicare la facciata le cui fibre corrono in senso perpendicolare.
papiro esageratamente ampio, secondo la testimonianza di Cicerone 5 era designato col
termine latino macrocollum (gr. makrókollon), e i rotoli composti da questa tipologia di
fogli erano destinati alle edizioni lussuose di un'opera.
Il rotolo di papiro era poi conservato in giare o recipienti a forma di cilindro e immerso
nell’olio di cedro per tenere lontani i parassiti. Le giunture dei singoli fogli dei rotoli di
papiro per la scrittura greca, che procedeva da sinistra verso destra, erano strutturate in
modo che dislivelli. La parte in precedenza raschiata e levigata dove le fibre procedevano
in senso orizzontale, denominata recto, era destinata alla scrittura, mente la parte
posteriore di papiro dove le fibre correvano in senso verticale, denominata verso, a causa
della contrarietà delle fibre rispetto all’andamento orizzontale della scrittura era lasciata
intatta, ma si riscontrano casi di papiri delineati in entrambe le facciate (opistografi).
Esistevano svariate qualità di papiro. In epoca romana, la larghezza dei singoli fogli di
papiro si aggirava intorno agli 11-24 cm, mentre potevano svilupparsi in altezza da un
minimo di 15 ad un massimo di 40 cm. Un rotolo di papiro composto di un numero di fogli
variabile, poteva raggiungere una lunghezza di 15-35 m. Ciò è soprattutto vero per le opere
letterarie di una certa ampiezza. Clamoroso è stato il ritrovamento di un papiro egiziano di
oltre 42 m! I Romani avevano perfezionato una varietà pregiata di papiro,
chiamata fanniana, apprezzata per la superficie, eccezionalmente liscia. In Egitto, nei pressi
dell’Anfiteatro di Alessandria, era prodotta una varietà di papiro più rozza,
denominata anfiteatrica.
La
varietà
lussuosa
di
papiro
era
conosciuta
comeieratica e augustea ai tempi di Augusto, mentre un tipo di papiro particolarmente
versatile e ripiegabile era il cosiddetto “papiro mercantile” o emporeutico, utilizzato per gli
imballaggi.
Il testo veniva scritto su colonne perpendicolari alla lunghezza (gr. selídes) e, per i papiri
greci, su colonne orizzontali da sinistra verso destra. Lo scriba, durante il lavoro di
trascrizione era costretto a servirsi di entrambi gli arti superiori: con una mano arrotolava
la parte di papiro già usata, mente con l’altra mano srotolava la parte da utilizzare. Il primo
foglio del rotolo di papiro, le cui fibre procedono verticalmente rispetto ai restanti fogli,
prende il nome di protocollo (gr. protókollon lat. membrana, toga, paenula). Il protocollo
di un rotolo, solitamente non riceveva la scrittura e aveva la funzione di proteggere i
restanti fogli, sia salvaguardando potenziali sfilacciamenti della parte iniziale del rotolo, sia
proteggendolo dalla tensione esercitata dal lettore nell'atto dell'apertura del volumen.
L'ultimo foglio del rotolo era chiamato eschatokollion, le cui fibre correvano in senso
orizzontale. Il rotolo di papiro nudo e/o scritto che veniva commercializzato si
chiamava chártes (lat. charta), mentre il rotolo scritto, prendeva il nome
di byblos, byblíon o tómos (lat. volumen). Il rotolo poteva essere provvisto di una speciale
etichetta (titulus) di papiro, pergamena o pelle indicante il titolo dell’opera. Per quanto
concerne gli strumenti dello scriba, il rotolo veniva scritto con un cannuccia appuntita (di
solito un pennello di giunco) intagliata all’estremità inferiore, la cui punta veniva intinta di
5
Ad Att. XIII, 25, 3 - XVI, 3, 1.
inchiostro all’atto della scrittura. L’inchiostro era ricavato da una varietà di sostanze
naturali, tra cui nerofumo, gomma, acqua e fuliggine.
Quanto al costo del papiro, le testimonianze letterarie a riguardo sono di natura
controversa, ma aiutano perlomeno a inquadrare il prezzo del materiale scrittorio
nell'ambito dell'economia antica. Alcune testimonianze parlano del costo di un dracma per
un rotolo scritto6, ma nulla è detto in merito alla qualità e all'ampiezza del materiale. Per
l'Egitto ellenistico, apprendiamo dal papiro PColZen 4 col. II 43 s. dell'archivio di Zenone
che una partita di 60 rotoli fu venduta ad un prezzo di 3 oboli e mezzo. Sembrerebbe un
prezzo accettabile, ma se comparato con 1-3 oboli del salario medio di una persona, ne
consegue che per le classi medio-alte il prezzo del papiro costituiva una spesa accessibile,
mentre per le classi basse la l'acquisto del materiale scrittorio era impraticabile.
Il più antico documento papiraceo che ci è pervenuto è un papiro ieratico (P. Berl. inv.
11301) datato al 2700 a.C. Il più antico papiro greco conosciuto ospitante un testo letterario
è un papiro del VI a.C, il PDerveni (MP3 2465.1, LDAB 7409) ritrovato a Derveni, nei pressi
di Salonicco (Macedonia, Grecia), che riproduce un commentario a un testo orfico7. Sono
state proposte datazioni discrepanti per questo papiro, ma l'esame paleografico e
archeologico ha restituito una collocazione cronologica non anteriore alla seconda metà
del IV secolo a.C. In lingua latina, il papiro letterario più antico è il PQasr Ibrîm(78-3-11/1,
LI/2; MP3 2924.1, LDAB 0574), ospitante alcuni versi di Cornelio Gallo e databile intorno al
50-20 a.C.
Nonostante la supremazia della pergamena su tutti gli altri materiali scrittori, a partire del
IV sec. d.C. il papiro fu utilizzato intensivamente fino al IV d.C. secolo e oltre, specialmente
nel mondo orientale. Gli ultimi papiri egiziani rinvenuti sono databili al VII secolo d.C.
LA PAPIROLOGIA
La papirologia è la scienza che studia integralmente i testi antichi greci e latini
che si sono preservati nel più diffuso materiale scrittorio dell'antichità: il papiro.
Sebbene il campo d'indagine naturale della papirologia è lo studio dei
documenti papiracei, la disciplina può abbracciare lo studio e l'analisi dei
documenti che si sono conservati in altri materiali scrittori diversi dal papiro:
tavolette cerate, tavolette lignee, ostraka, pergamena, ect. Lo studio sistematico
dei documenti papiracei comporta l'analisi fisica, il restauro del reperto e la
Cfr. Apologia di Socrate, 26, d.
Il PDerveni si contende il primato di antichità di papiro letterario con il PBerol inv. 9875 (MP3 1537, LDAB
4123), un componimento lirico della battaglia di Salamina di Timoteo di Mileto, databile al IV sec a.C.
(Cfr. The Derveni Papyrus, a cura di K. Tsantsanoglou, G. M. Parassoglou e T. Kouremenos, Olschki,
collana Corpus dei papiri fil. Greci e latini).
6
7
trascrizione e l'interpretazione del contenuto nelle varie lingue antiche (greco,
latino) [1] di un vasto periodo storico che si estende dal IV a.C. all'XI d.C. [2].
Il papiro è una materia scrittoria fragile, che si sbriciola al primo contatto dopo
secoli di preservazione. L'umidità e il clima umido sono i suoi principali nemici.
E' naturale che, a parte significative eccezioni [3], la percentuale più alta dei
papiri è stata rinvenuta dove esiste un clima arido: il deserto è il luogo di
conservazione ideale del papiro. Proprio perché l'Egitto, la Palestina e le zone
limitrofe rasentano l'ambiente geografico e climatico ideale per la preservazione
millenaria dei documenti papiracei, non desta meraviglia se oltre il 90% dei testi
papiracei greco-romani (di cui più del 20% rinvenuto nella sola Ossirinco [4],
nell'Alto Egitto) provengono dalle aride sabbie dell'area egiziana. Senza dubbio
il papiro è capace di conservarsi in condizioni climatiche asciutte per millenni,
ma la sedimentazione degli antichi siti comporta che per lo scavo intensivo
occorre solcare il terreno per metri e metri di profondità. L'Egitto, da questo
punto di vista presenta un vantaggio: le zone desertiche sono pressoché
disabitate e la presenza umana ridotta al minimo costituisce un'agevolazione di
non poco conto per le campagne di scavo. Ma pur operando in tali condizioni
ottimali, non si deve dimenticare che i sedimenti sabbiosi che hanno sommerso
gli antichi centri abitati di epoca tolemaica rappresentano un ostacolo ben
maggiore delle costruzioni umane. Si consideri, inoltre, che gli antichi siti sono
stati progressivamente sommersi da montagne di rifiuti, depositati dagli
abitanti. Al contrario, per l'epoca faraonica, l'accesso agli imponenti edifici
apogei ha consentito il recupero di uno sterminato numero di papiri geroglifici e
ieratici.
Le forme di scrittura dell'antico Egitto fino al I millennio a.C. sono
quella geroglifica e la ieratica, quest'ultima derivata dalla prima e utilizzata dagli
scribi di professione. Dopo il primo millennio, entrò in auge il Demotico [5], dal
quale sorgerà il cotpo. Il greco penetrò in Egitto nel 332 d.C., dopo la conquista di
Alessandro Magno e il latino dopo il 30 a.C. come conseguenza della conquista
di Augusto.
o
Scrittura ieratica. Era la forma corsiva della scrittura geroglifica, ideata
per sfruttare la velocità di scrittura della forma corsiva. Era utilizzata per
la redazione di un'ampia gamma di documenti: testi religiosi [6] e poetici,
corrispondenza privata, carteggio diplomatico, etc. La sua evoluzione
stilistica implicò l'utilizzo di abbreviazioni. La forma più tarda della
scrittura ieratica fu impiegata esclusivamente per la compilazione dei
testi religiosi. Durante il terzo millennio, la scrittura ieratica era impressa
in direzione verticale, ma a partire dal secondo millennio, la direzione di
scrittura verticale fu sostituita da quella orizzontale, procedente da destra
verso sinistra. Questo sistema scrittorio fu sostituito nel 600 a.C. dal
Demotico, ma continuò ad essere utilizzata fino al IV secolo d.C. per la
o
o
letteratura religiosa.
Scrittura demotica. E' l'evoluzione e semplificazione della scrittura
ieratica, implementata dagli scribi di corte, con influssi della lingua
popolare. Il più recente documento in Demotico che ci è noto risale al V
d.C. Questa forma di scrittura era impiegata per la compilazione di un
vasto repertorio documentario: letteratura religiosa e scientifica, atti
commerciali e giuridici, atti documenti secolari, etc. La scrittura
procedeva in senso orizzontale, da destra verso sinistra. Fu utilizzata per
oltre mille anni, in un arco di tempo che va dal VII a.C. al V secolo d.C.
Scrittura copta. Discendente del Demotico, è un adattamento dalla lingua
copta parlata in Egitto fin dal IV secolo a.C. Strutturalmente è
caratterizzata da un alfabeto derivato da quello greco, con la coniazione
di sette lettere derivate dal Demotico per la vocalizzazione di alcuni suoni
delle antiche lingue egiziane che non potevano essere resi in greco. Il
copto diventa la lingua ufficiale corrente e di scrittura nel IV secolo d.C.,
come conseguenza della proibizione dei culti pagani stabilita
dall'imperatore Teodosio.
Va detto che lo studio dei testi papiracei nelle tre scritture dell'egiziano antico
(geroglifico, ieratico e Demotico) non rientra nell'ambito disciplinare della
papirologia, che, come abbiamo visto si occupa dei testi greci e latini, bensì in
quello dell'egittologia. Ugualmente, i testi papiracei scritti in lingua copta sono
oggetto di studio della coptologia [7].
IL SISTEMA DI SCRITTURA EGIZIANO NELL'ETÀ ELLENISTICOROMANA
Dopo la conquista di Alessandro Magno dell'Egitto nel 332 a.C., la lingua greca
penetrò su tutto il territorio egiziano come conseguenza della colonizzazione
ellenistica. Sebbene i sistemi di scrittura locali ieratico e Demotico sopravvissero
per la stesura dei documenti religiosi e di uso privato, a partire dal IV secolo a.C.
i documenti ufficiali furono scritti in greco. Si possono distinguere tra grandi
periodi dell'età ellenistico-romana in cui si succedettero altrettanti sistemi di
scrittura dell'area egiziana:
o
o
o
Periodo tolemaico (330 - 30 a.C.).
Periodo romano (30 a.C. - 300 d.C.)
Periodo bizantino (300 - 641 d.C.)
BREVE
RASSEGNA
DELLE
PIÙ
IMPORTANTI
PAPIROLOGICHE AL DI FUORI DELL'EGITTO
SCOPERTE
Papiri ercolanesi - Si tratta di un corpus di rotoli papiracei rinvenuti tra il 1752 e
il 1754 in una villa romana delle rovine di Ercolano, con tutta probabilità
appartenuta alla famiglia dei Pisoni. L'intero corpus comprende 1838 papiri
catalogati, più altri 11 in corso di catalogazione. Dei 1838 catalogati, solo 120
sono in latino, il restante sono in greco.
Papiri di Dura Europos - 150 testi latini e greci papiracei e pergamenacei
rinvenuti presso Dura Europos, l'antico centro commerciale situato in
Mesopotamia. Della raccolta spiccano i testi letterari greci, che comprendono
frammenti delle Storie di Erodoto, della Storia romana di Appiano e
del Diatessaron di Taziano.
Papiri del Medio Eufrate - Un archivio di 17 testi greci papiracei e
pergamenacei di carattere documentario, databili alla prima metà del II secolo
d.C.
Papiri di Babatha - Si tratta delle carte di famiglia di Babatha, ricca ebrea che
durante la seconda guerra giudaica si rifugiò nel deserto della Giudea.
L'archivio comprende una trentina di documenti, scritti in nabateo e aramaico,
risalenti ad un periodo compreso tra il 94 ed il 132 d.C.
Papiri e ostraka di Masada - Comprende diversi ostraka e papiri greci e latini in
aggiunta a ostraka aramaici ed ebraici. I testi latini, 18 in tutto, appartengono
alla X Legio Fretensis, la legione romana che aveva assediato la fortezza di
Masada e dunque, risalirebbero anteriormente alla primavera del 73/74 d.C.,
anno in cui la fortezza fu espugnata. Tra i frammenti latini, spicca il verso
esametrico dell'Eneide IV 9 di Virgilio, pertanto questo frammento è attualmente
la più antica testimonianza di poeta latino. Quanto ai testi scritti dagli assedianti,
molti di essi sono in greco, tutti anteriori al 73 d.C. Tra i frammenti greci,
menzioniamo un ostrakon cristiano e un papiro greco, datati paleograficamente
al V-VI secolo d.C., che testimoniano la presenza di una comunità monastica in
epoca bizantina a Masada, di cui possediamo già confortanti evidenze
archeologiche.
Papiri del deserto di Giudea - Diverse decine di papiri documentari rinvenuti
nel deserto della Giudea, molti dei quali ancora in corso di datazione.
Papiri di Nessana - Archivio composto da circa 200 papiri rinvenuti presso
Nessana, sul lato settentrionale del deserto del Negeb, a circa 100 Km da
Gerusalemme. Tra i 13 papiri letterari greci e latini, spiccano duce codici
papiracei virgiliani, contenenti rispettivamente i primi sei libri dell'Eneide e un
glossario in greco dei primi quattro libri del menzionato poema; tre codici
papiracei del NT e un rotolo opistografo dell'epistolario tra Abgar e Gesù. Tutti i
200 rotoli, sono databili intorno all'inizio del VI e la fine del VII secolo d.C. e si è
stabilito che almeno una quarantina di essi risalirebbero al periodo della
conquista araba.
Papiri medioevali - Sono i papiri rinvenuti nelle biblioteche europee scampati
alla distruzione organica. Di precipuo interesse per il nostro studio è la
traduzione latina del Antiquitatibus Iudaicis di Giuseppe Flavio, attualmente
conservata presso la biblioteca ambrosiana di Milano (Cimelio ms 1,CLA III
304).
[1] Si tenga presente che lo studio dei testi antichi papiracei preservatesi nelle tre
scritture dell'egiziano antico (geroglifico, ieratico e Demotico) così come nella
scrittura copta, spetta rispettivamente alla papirologia egiziana (branca
dell'Egittologia) e alla papirologia copta (branca della Coptologia). Per i
documenti scritti in aramaico ed ebraico, di cui il nucleo più caratterizzante è
costituito dal corpus del Mar Morto e dall'epistolario di Simon Bar Kochba (15
lettere di cui 8 in aramaico, 5 in aebraico e 2 in greco) oggi si parla
di papirologia del Vicino Oriente romano.
[2] L'arco cronologico coperto dalla papirologia, si estende dal periodo che va
dal IV a.C. (epoca alla quale risalgono i più antichi documenti papiracei greci di
cui disponiamo) all'XI secolo, periodo in cui le ultime bolle papali furono
trascritte su papiro). Il papiro più recente a noi pervenuto è una bolla papale per
Silva Candida del 1057 d.C.
[3] Basti menzionare i papiri ercolanesi.
[4] Il totale dei frammenti papiracei rinvenuti ad Ossirinco ammonta a più di
400.000 unità. La maggior parte dei frammenti non è stata pubblicata a causa del
cattivo stato di conservazione, ma recentemente è stata sviluppata una tecnica
mutuata dalla tecnologia satellitare che permette la decifrazione dei testi
illeggibili. Per la descrizione analitica della nuova procedura consultate la
pagina del sito Oxyrhynchus Online. Tra i papiri egiziani, almeno 8000 sono testi
letterari greci, mentre i testi documentari e letterari latini sono circa 600.
[5] Il Demotico egiziano è scritto in maiuscola per distinguerlo dal demotico greco.
[6] Clemente di Alessandria si rivolge
denominandola "lingua Sacerdotale".
alla
scrittura
ieratica
tarda
[7] La critica testuale non prende in considerazione la distinzione tra lingua
greca e lingua copta per lo studio dei manoscritti neotestamentari.
LA PERGAMENA
La pergamena (gr. pergamène, lat. pergamenum) è un supporto librario ricavato dalla
lavorazione della pelle degli animali giovani, quali la pecora, la capra, il vitello e l’antilope.
E’ necessario fissare uno spartiacque terminologico tra i vocaboli pergamena e cartapecora.
E’ invalso l’uso di designare indifferentemente con entrambi i vocaboli qualsiasi varietà o
tipo di pergamena. Invero, col termine cartapecora si designa una qualità superiore e
raffinata di pergamena. Ancora, il termine latino vellum (dal latino vitellum= vitello,
vacca), talvolta utilizzato come sinonimo di pergamena, si riferisce esclusivamente al
prodotto ricavato dalle pelli di bovino. Per comodità espositiva, in questa sede utilizzeremo
pergamena come equivalente di qualsiasi supporto scrittorio derivato dalla pelle di
animale.
Lo storico naturalista Plinio il Vecchio ci ha informato sull’origine etimologica e dei
metodi di preparazione della pergamena. Leggenda o storia, il racconto di Plinio merita di
essere riportato nella sua interezza:
"pugillarium enim usum fuisse etiam ante Troiana tempora invenimus apud Homerum,
illo vero prodente ne terram quidem ipsam, quae nunc Aegyptus, intellegitur, cum in
Sebennytico et Saite eius nomo omnis charta nascatur, postea adaggeratam Nilo, si quidem
a Pharo insula, quae nunc Alexandriae ponte iungitur, noctis dieique velifico navigi cursu
terram afuisse prodidit. mox aemulatione circa bibliothecas regum Ptolemaei et Eumenis,
supprimente chartas Ptolemaeo, idem Varro membranas Pergami tradit repertas. postea
promiscue repatuit usus rei qua constat inmortalitas hominum"8.
Dal racconto semileggendario di Plinio, dobbiamo desumere che Pergamo diventò un
centro eminente di produzione, raffinazione ed esportazione di un tipo pregiato di
pergamena (membranae, secondo il lessico di Plinio). Questo materiale scrittorio,
probabilmente era utilizzato molto prima del II sec. a.C. e fu proprio il fabbisogno
crescente di materia scrittoria che indusse i popoli più progrediti a perfezionarne la tecnica
di lavorazione e conservazione. La pergamena fu adottata quasi definitivamente intorno al
IV secolo, ma come già chiarito sopra, dovette convivere col papiro ancora per altri quattro
secoli. L'invenzione della sua lavorazione, consentì a quei popoli sprovvisti del papiro di
rendersi autosufficienti dall'importazione del supporto scrittorio dall'Egitto, ciononostante,
per consuetudine tramandata, la pergamena stentò molto tempo prima di imporsi
definitivamente sul papiro è probabilmente i suoi elevati costi di produzione incisero sulla
sua adozione.
Il processo di trattamento che trasformava le pelli degli animali da materiale rozzo in fogli
tersi, lucenti e lisci, nel basso medioevo era appannaggio di una categoria di artigiani,
i parcamenarii (lat. sg. parcaminarius), i quali abitavano un borgo specifico delle città,
prevalentemente un zona vicina ad un sorgente, in quanto l’acqua è una sostanza
indispensabile per la lavorazione delle pelli. Tra le molteplici ricette di lavorazione della
pergamena pervenuteci, cerchiamo da fare un sunto del trattamento-tipo. La pelle di
8
Nat. Hist., XIII, 70.
animale era sottoposta a un lungo e accurato trattamento scandito da varie fasi. La prima
fase consisteva nella scarnificazione e nell’eliminazione del pelo mediante raschiatura.
Successivamente, le pelli venivano lavate e immerse in una sostanza calcinosa, dunque
levigate con la pietra pomice. Il prodotto grezzo era poi sistemato su un telaio e rivestito di
gesso, procedura mediante la quale si assorbivano i grassi residui. L’ultima fase, con la
quale si eliminano definitivamente i carnicci residui, consiste in una seconda raschiatura
tramite una lama ricurva (lat. llunellum). La membrana intelaiata era poi fatta asciugare
per un numero di giorni variabili e sottoposta a stiratura. Ognuna di queste fasi, poteva
essere integrata con fasi suppletive e i processi di lavatura e raschiatura mediante i quali si
eliminavano i peli e i residui di carne potevano essere ripetuti consecutivamente a seconda
del tipo di pelle utilizzata per ottenere un prodotto completamente liscio e depilato. Una
fase a scopo ornamentale era poi integrativa delle fasi precedenti: alcune pergamene
lussuose erano tinteggiate con sostanze coloranti. Ai tempi di Gerolamo, questa
costosissima pratica ornamentale fu motivo di scandalo e imbarazzo. In una lettera di
Gerolamo indirizzata a Eustochio leggiamo:
“Le pergamene sono tinte di porpora, nelle lettere viene colato oro, i manoscritti sono
rivestiti di gemme, mentre Cristo sta alla porta nudo e morente”9.
I formati lussuosi dei codici pergamenacei erano tinti di porpora e scritti con inchiostro
dorato o argenteo. Le recriminazioni di Gerolamo trovano conferma nei ritrovamenti
contemporanei di manoscritti del NT scritti con inchiostro argenteo e dorato su pergamena
purpurea, vermiglio e amaranto. Il prodotto finito consta di due parti: la parte anteriore,
liscia e chiara, e la parte depilata, più ruvida al tatto che può assumere tonalità scure
variabili, giallo-crema nel caso di pelle di pecora e marrone nel caso di pelle di capra.
La pergamena e suoi derivati si diffusero in tutto il mondo cristianizzato a partire dal IV
secolo d.C., e fu soppiantata solo nel basso medioevo, quando venne sostituita con la carta
lavorata dal cotone, canapa o lino, esportata dai mercanti arabi che erano entrati in
contatto con la civiltà cinese. La pergamena è un materiale eccezionalmente duraturo,
resistente e flessibile. Si suppone che possa preservarsi per millenni in anche in condizioni
climatiche proibitive. Come è facile intuire, questi e altri vantaggi fecero propendere le
classi abbienti per l’acquisto della pergamena in luogo del papiro, quest’ultimo molto più
friabile e soggetto all’usura del tempo. Ma i suoi elevati costi di produzione ne limitarono
l’utilizzo e la circolazione presso le classi modeste: da un animale (pecora o vitello) si
ricavano al massimo 16 fogli di piccolo formato e per comporre un libro di medie
dimensioni occorrono circa 15 capi di bestiame! D’altra parte, la pergamena presentava
aspetti negativi, già evidenziati nell’antichità dal medico greco, Galeno. Costui lamentò
che, essendo la pergamena più lucida rispetto al papiro, la vista ne era affaticata. A
differenza della pergamena, il papiro è più opaco e trattiene la riflessione dei raggi del sole.
ep. 22, 32. Cfr. Gerolamo, Epistola a Leta: “I suoi tesori non siano gemme o sete, bensì manoscritti delle
Sacre Scritture, e quanto a questi si preoccupi meno della pergamena dorata babilonese o dei disegni
arabescati che della correttezza e della punteggiatura accurata" (ep. 107, 12).
9
IL MATERIALE SCRITTORIO II: MATERIE DURE
La disciplina che si occupa dello studio, della decifrazione e dell'interpretazione dei testi
antichi preservatisi su sopporti scrittori duri l'epigrafia. Ma papirologia ed epigrafia non
sono due scienze nettamente separate, così l'intrusione della papirologia nel campo di
indagine dell'epigrafia e viceversa è pratica ordinaria, dal momento che entrambe le
discipline hanno per oggetto lo studio dell'antica scrittura e ciò che le differenzia è solo il
materiale scrittorio su cui la scrittura è stata incisa, materia dura e durevole (pietra,
metallo, vetro, avorio, stoffe, gemme, etc.) nel caso dell'epigrafia e materia flessibile per la
papirologia.
TAVOLETTE DI CERA
Le tavolette di cera (lat. cerae o tabulae) erano delle tavole di legno o avorio leggermente
sporgenti ai bordi, utilizzate come materiale scrittorio per la scrittura privata, missive,
registri, appunti scolastici, bozze letterarie, ecc. La parte incavata della tavola veniva
spalmata con della cera colorata, generalmente di colore scuro, sulla la quale si imprimeva
la scrittura per mezzo di uno stilo appuntito tramite un temperino (lat. scalprum).
Lo stilo (lat.stilus o graphium), era un pennino di ferro, avorio o argento, appiattito
all’estremità superiore a mo' di spatola, per cancellare gli errori di scrittura (fare tabula
rasa).
OSSA
Un supporto scrittorio economico, che non necessitava di lavorazione per l'incisione
dell'inchiostro erano le ossa di animali, preferibilmente, mandibole, scapole e costole di
grandi dimensioni. Il loro uso non doveva essere molto esteso perché L'Egitto ci ha
restituito solo 4 testi documentari greci scritti databili al IV sec d.C. Ma occorre considerare
che le ossa di animali non sono materiali così resistenti da preservarsi per millenni,
condizioni climatiche permettendo. Eppure non mancano certo testimonianze letterarie per
questo materiale scrittorio, che per la sua superficie liscia e chiara si prestava
particolarmente ad ospitare l'inchiostro. Tra le testimonianze letterarie più confortevoli
circa il suo impiego, ricordiamo quella di Diogene Laerzio che ci informa che il filosofo
stoico Cleante "scriveva su cocci e su scapole di buoi gli appunti delle lezioni di Zenone,
perché era sprovvisto di monete per comperarsi della carta"10.
OSTRAKA
Gli ostraka (gr. sg. ostrakon= conchiglia) sono i frammenti di vasellame sui quali veniva
incisa la scrittura. Usualmente, il testo veniva inciso sulla parte convessa del coccio, ma ci
sono noti ostraka scritti su entrambe le facciate, concava e convessa. Come per i
manoscritti, anche gli ostraka potevano essere lavati e riutilizzati per l'incisione di un altro
testo, configurandosi in tal modo come dei palinsesti. Descritti come la materia scrittoria
"...ei¹j oÃstraka kaiì bow½n w©mopla/taj gra/fein aÀper hÃkoue para\ tou= Zh/nwnoj, a)pori¿#
kerma/twn wÐste w©nh/sasqai xarti¿a" (Vitae philos. VII, 174).
10
dei poveri, non a caso a partire dal IV sec. d.C. si registra un aumento dei cocci di vasellame
in lingua copta e una progressiva diminuzione dei cocci in greco. Questo fenomeno si
spiega agevolmente con la storia sociale dell'Egitto romano, quando alla base della
piramide sociale c'erano gli indigeni di lingua copta, i quali, date le loro condizioni
economiche, non potevano permettersi di acquistare materiale scrittorio pregiato.
Sebbene in principio i cocci di vaso venivano utilizzati per finalità diverse da quelle
letterarie11, sono stati ritrovati alcuni ostraka con incise parti del Nuovo Testamento e
letteratura cristiana. Il più antico ostraka contenente frammenti letterari cristiani in greco
risale al V secolo d.C. Alla fine del diciannovesimo secolo, nell'Alto Egitto furono
dissotterrati circa 20 ostraka scritti in greco e copto databili al VII secolo d.C. La critica
testuale ha cominciato a rivolgere l'attenzione in modo più incisivo allo studio degli
ostraka da quando è stato rinvenuto un ostrakon in copto sahidico attestante la disputata
pericope dell'adultera (Gv. 7:53-8:1). Poiché la tradizione manoscritta copta shahidica prima
di tale rinvenimento non attestava la pericope dell'adultera, l'esistenza di questo ostrakon
dovrebbe consentire agli studiosi di rivalutare e rinnovare la storia del testo copto sahidico
del NT.
IL FORMATO DEI LIBRI ANTICHI
Abbiamo già in parte discusso su uno dei formati librari prediletti dagli antichi: il rotolo. In
questo capitolo svilupperemo il discorso concernente la forma dei libri nell’antichità, con
un occhio di riguardo nei confronti del Rotolo e del Codice, i due formati principi
mediante i quali venne tramandato il testo del NT.
IL ROTOLO
L’immaginario collettivo, ha sempre raffigurato il rotolo (lat. volumen o scapus) come un
involucro verticale procedente dall’alto verso il basso. Questa caratteristica del rotolo è
certamente peculiare del mondo bizantino a partire dal IV d.C, ma nell’antichità classica, e
chiaramente durante i primi secoli della cristianità, la scrittura e la lettura del rotolo
procedevano su colonne orizzontali, da sinistra verso destra per gli ellenici e da destra
verso sinistra per . Abbiamo già discusso della scarsa maneggevolezza cui il rotolo si
prestava. Lo scriba, infatti, era costretto ad avvalersi di entrambe le mani: con una mano
avvolgeva la parte di rotolo già utilizzata, mentre con l’altra mano srotolava (explicare) la
porzione ancora da utilizzare. Per evitare che il rotolo di deteriorasse o si piegasse, veniva
avvolto su due bastoncini di legno o di osso (gr. omphalós, lat. pl. umbelici lat.
sg. umbilicus) disposti alle due estremità del manufatto. Durante il trasporto i rotoli
venivano legati insieme e custoditi in casse rettangolari (scrinia) o cilindriche (capsae).
In epoca romana, il rotolo era il materiale scrittorio privilegiato per la composizione di
opere letterarie, scritture private, registri amministrativi e contabili e libri scolastici. Un
11
Ad Atene, gli ostraka erano utilizzati come schede elettorali mediante le quali si votava l'ostracismo degli
aspiranti o presunti tiranni, che venivano esiliati se il responso delle "urne" gli era sfavorevole. I cocci di vaso,
inoltre, erano impiegati per usi commerciali, per la corrispondenza privata, documenti privati etc.
rotolo contenente un’opera letteraria di una certa estensione, poteva superare i 12 m., ma di
regola, non superava i 10 m. Una eccezione significativa a questa misura standard è
costituita dai papiri letterari, i quali testimoniano una lunghezza variabile tra i 3 e i 15-16
m. Il rotolo dunque, per sua natura, era deficitario per la conservazione di lunghi poemi e
per un singolo libro del NT. E’ stato calcolato che per il libro degli Atti degli Apostoli
sarebbe occorso un rotolo di circa 9 m! La scarsa praticità del rotolo per usi letterari, fece si
che ancora nel II sec. i libri del NT circolassero singolarmente e i vangeli sotto forma di
sinossi. Per la letteratura greca pagana, abbiamo invece una singolare testimonianza dai
papiri ercolanesi, i quali testimoniano che opere di una certa lunghezza potevano essere
trascritte in due rotoli separati, ognuno dei quali ospitava metà dell'opera12. Altro aspetto
negativo del rotolo da menzionare è la scomodità per la ricerca dei passi scritturali: per
accedere ad un passo specifico situato alla fine del vangelo di Luca, il lettore avrebbe
dovuto distendere l’intero rotolo! Probabilmente, la scarsa praticità del rotolo come
formato letterario, indusse i cristiani del II secolo ad avvalersi di soluzioni editoriali
maggiormente rispondenti alle loro esigenze.
Il passaggio dal rotolo al codice nella cristianità è stato interpretato proprio come reazione
della cristianità all’insoddisfazione della forma libraria del rotolo. Stando alle ipotesi di
alcuni specialisti, i cristiani gentili furono tra i primi a servirsi del codice e a diffonderne
l’uso. In un articolo ad hoc vedremo che questa interpretazione è parzialmente infondata.
L’adozione del codice da parte delle comunità cristiane potrebbe anche corrispondere
all’esigenza sentita da parte dei gentili pagani di differenziarsi dagli ebrei nelle
consuetudini normative di trasmissione delle Sacre Scritture e nelle pratiche quotidiane.
IL CODICE
Il codice (lat. codex pl. codices, da caudex= tronco d’albero13) era un formato librario
composto di una serie di fascicoli contenenti un numero variabile di fogli pergamenacei o
papiracei. Ogni foglio era piegato in due e sovrapposto l’uno sopra l’altro. I singoli fogli
piegati erano poi cuciti in corrispondenza della piega centrale e davano origine a un
fascicolo o quaderno. I vari fascicoli erano poi saldati e cuciti insieme. La cucitura doveva
essere la più salda e accurata possibile, in modo che i fogli e i fascicoli che li contenevano
avessero un’andatura omogenea, altrimenti si rischiava che durante la consultazione i
fascicoli ruotassero su loro stessi esponendo il libro a un eccessivo deterioramento, fino alla
staccatura di interi fogli o nei casi più disperati, di interi fascicoli. Nel medioevo, le cuciture
maldestre furono sostituite con fascette e cinghie.
Ogni fascicolo poteva comprendere un numero variabile di fogli:


bifolio, 1 foglio, 4 pagine
duerno, 2 fogli, 8 pagine
Il papiro in questione è il PHerc 1425, che ci ha trasmesso parte della seconda metà di La Poesia di
Filodemo.
13
Cfr. Seneca, de brev. vitae, 13, 4 “... plurium tabularum contextus caudex apud antiquos vocabantur " ("la
compagine di più tavole era chiamata dagli antichi caudex").
12



ternione, 3 fogli, 12 pagine
quaternione o quaderno, 4 fogli, 16 pagine
quinterno, 5 fogli ecc.
La forma più comune di codice era il quaternione o quaderno, composto da 4 fogli.
All’inizio, il codice era provvisto di fogli di papiro, ma in età imperiale i codici
cominciarono a essere formati da fogli di pergamena, con la possibilità di scrivere su
entrambi i lati. Quando la cristianità adottò il codice come formato editoriale standard, la
produzione libraria poté beneficiare di innumerevoli vantaggi:
o
o
o
o
il codice consentiva di contenere tutti i libri del Nuovo Testamento in un formato
pratico e accessibile;
agevolava la consultazione dei passi biblici;
la scrittura poteva essere incisa su entrambe le facciate, comportante il risparmio
del materiale, e di riflesso tempo la riduzione degli elevati costi di produzione;
essendo provvisto di copertina rigida, il codice era ben protetto dagli agenti
atmosferici e dall’usura del tempo;
A questi vantaggi, si opponevano una serie di svantaggi, che potrebbero essere indice di
quella transizione in cui codice e rotolo coesistettero per certo periodo di tempo:
o
o
o
i margini delle pagine del codice erano soggetti ad accartocciamento e
deterioramento;
se la cucitura e la rilegatura erano state allestite con incuria, alcune pagine del
codice potevano staccarsi irrimediabilmente e gli effetti deleteri di tale
inconveniente sono ancora visibili nei manoscritti superstiti;
il copista, prima di allestire i fogli e i fascicolo, doveva calcolare preventivamente il
numero delle linee necessarie per ospitare l’intero testo.
CODICI MINIATI
Con codici miniati ci si riferisce in senso lato a una tipologia di manoscritti
abbelliti con decorazioni artistiche. L'espressione deriva da minium, il pigmento
rosso ricavato dal tetrossido di piombo, ovvero il colore col quale furono
decorati i bordi delle pagine, i titoli e le lettere iniziali dei manoscritti. I più
antichi codici miniati risalgono al III secolo d. C. L'Iliade ambrosiana (III sec. d.C.)
è il primo manoscritto conosciuto che reca al suo interno illustrazioni che
ricalcano le convenzioni pittoriche dell'arte classica. La pergamena, è un
materiale resistente e igroscopico che si prestava particolarmente alla
decorazione. Niente di strano dunque, se i manoscritti ornati che ci sono
pervenuti sono per la maggior parte scritti su tale materiale.
Dopo il V secolo le miniature dei manoscritti si conformarono all'arte orientale
bizantina. Le illustrazioni subiscono un'attenuazione della colorazione, foggiata
su colori più scuri. Se l'arte bizantina influenzò le tecniche di decorazione del
mondo orientale e l'Italia centro-meridionale, in Francia e nelle Isole Britanniche
si adottarono canoni pittorici diametralmente opposti. In Inghilterra, i codici
raramente furono abbelliti con decorazione artistiche. Queste si limitavano
all'ornamentazione dei bordi dei manoscritti, mentre le illustrazioni interne
continuarono a essere concepite secondo i canoni dell'arte classica. In Francia, e
soprattutto durante l'età carolingia, si sviluppò una tradizione ornamentale
aderente al canone decorativo bizantino con elementi pittorici locali. In Francia i
manoscritti furono adornati con elementi lussureggianti, l'oro splendeva negli
esemplari più sfarzosi, mentre le illustrazioni interne, raffiguranti scene bibliche
e ritratti degli evangelisti, tendevano a distorcere le proporzioni delle figure
umane.
Lo schema pittorico carolingio fu abbandonato nel XIII secolo con la comparsa
dell'arte gotica. Durante questo lungo periodo, si assiste ad un miglioramento
della tecnica di disegno: le figure umane risultano più accurate e più piccole
rispetto alla sontuosità che le aveva caratterizzate nei periodi artistici precedenti.
Ovunque si assiste ad un ridimensionamento delle immagini, ma
contemporaneamente si esegue il perfezionamento delle sagome, improntate ai
nuovi canoni stilistici dell'arte dell'epoca. In tale contesto, rivaleggiano tre
scuole, tutte notevoli per tecnica e contenuti: la scuola francese, quella tedesca e
quella inglese. Se i francesi privilegiavano le tinte forti e scure, la scuola tedesca
si distingueva per l'utilizzo di gradazioni naturali e pure. Gli inglesi, invece,
preferivano i colori chiari e pallidi.
Le miniature italiane dei secoli XIII-XIV, non solo furono qualitativamente
inferiori rispetto a quelle dell'Europa centro-occidentale, ma talvolta si rinviene
l'utilizzo esasperato del colore rosso. I contorni delle figure umane erano meno
nitide e risentivano ancora dell'influsso dell'arte bizantina. Il Rinascimento
italiano inaugurerà un nuovo corso della tecnica illustrativa dei manoscritti e si
percepisce un miglioramento nella rifinitura e nei colori delle illustrazioni. Vale
la pena menzionare De arte illuminandi, il manuale giunto incompleto di disegno
miniato di autore sconosciuto del XIV secolo, il quale deve aver esercitato un
influsso notevole sui miniatori italiani.
Nell'ambito dei codici miniati biblici, in questa sede menzioneremo alcuni dei
più notevoli. Per una descrizione fisica dettagliata dei manoscritti miniati del
NT, si consulti la pagina relativa ai codici in onciale e minuscola.
Tra i più bei manoscritti miniati della Bibbia, non possiamo fare a meno di
menzionare il codex purpureus Rossanensis (S) del VI secolo, oggi conservato al
Museo Diocese della cattedrale di Rossano. Questo manoscritto che preserva i
vangeli di Marco e Matteo, è scritto in inchiostro argenteo su pergamena
purpurea, contenente un introduzione gremita di pregevoli illustrazioni di scene
bibliche.
Immagine 2. Codex Purpureus Rossanensis (S)
Sempre del VI secolo, possediamo uno dei più bei manoscritti decorati: il codex
Argenteus. Questo splendido manoscritto contenente la traduzione gotica della
Bibbia di Ulfila, è scritto in inchiostro rosso e argento su pergamena purpurea
fine. Le decorazioni sono concentrate nel margine inferiore delle pagine,
consistenti in colonne greche racchiudenti i monogrammi degli evangelisti.
Infine, menzioniamo il "manoscritto di Rabula". Si tratta d un codice miniato del
VI secolo, contenente la Peshitta siriaca della Bibbia. Le decorazioni si trovano
sparse per tutto il manoscritto per gli eventi cruciali dei vangeli. Contiene
miniature di pregevole fattura, dettagliate e in tinta sgargiante. Dal punto di
vista stilistico, rasentano gli schemi pittorici e architettonici bizantini, ma con
influssi della tradizione decorativa mesopotamica.
GLI STRUMENTI SCRITTORI
LA PENNA
L’iconografia medievale ci ha tramandato scene di copisti tutti intenti nella scrittura di un
libro. E’ altrettanto singolare che nelle miniature medioevali compaia tutta la
strumentazione necessaria per adempiere il faticoso lavoro di scrittura e copiatura. Ogni
scriba doveva possedere rudimenti per la fabbricazione delle sua penne da scrivere. In
epoca faraonica e fino all'epoca tolemaica, le penne consistevano in rudimentali canne di
giunco, adatte a incidere scritture pittografiche quali la geroglifica e ieratica e Demotica,
ma non adatte per l'incisione della scrittura greca. Per ovviare a questo inconveniente, gli
scribi dell'Egitto tolemaico perfezionarono l'uso del calamo14 (gr. kálamos= canna), un
fusto sottile di legno ricavato da varie piante o in metallo, che fu lo strumento di scrittura
fino al VI secolo d.C. Poco maneggevole e poco sensibile al tatto, con una punta troppo
spessa che rischiava di macchiare e deteriorare la superficie scrittoria, questo rudimentale
pennino nell’Alto Medioevo fu sostituito con la penna d’oca, derivata dalle piume
remiganti dei volatili. Le penne d’oca più pregiate si ricavavano dalle piume di oca e di
cigno, mentre per una scrittura minuta si utilizzava la penna ricavata dalle piume dei
tacchini. L’incurvatura naturale delle piume di uccello, imponeva che nella scelta di essa lo
scriba dovesse scegliere quella dell’ala destra del volatile, mentre per i mancini, la scelta
ricadeva su una piuma dell’ala sinistra. La piuma dei volatili per essere convertita in penna
da scrivere, subiva un trattamento artigianale eseguito dall’amanuense stesso. La piuma
veniva immersa per alcuni mesi nell’acqua e in una soluzione arenosa. Una volta
ammorbidita, veniva eliminato lo strato esterno untuoso del gambo e il midollo interno. A
quel punto, lo scriba incideva una piccola fessura al centro e tagliava il tratto estremo del
pennino, incidendo un taglio obliquo di un millimetro circa. Durante la scrittura, lo scriba
doveva reiterare quest’ultima operazione molte volte, in modo che la parte estrema della
penna fosse perfettamente affilata da generare una grafia pulita e precisa.
L’INCHIOSTRO
Nell’antichità e per tutto il Medioevo, l’inchiostro (gr. eucaoston lat. atramentum) era di
due tipologie: una miscela organica a base di nerofumo e gomma, impiegato dalle classi
meno abbienti, data la sua convenienza economica e la sua facile reperibilità sul mercato;
l’altro, in uso fin dal III secolo d.C., era una miscela di acido tannico, solfato di ferro
(inchiostro ferrogallico), gomma e acqua. La seconda tipologia era ricavata dalla noce di
galla delle querce, un albero ricco di tannini, solfato di ferro (vetriolo) e gomma arabica,
un addensante importato in Europa dall’Asia Minore. La ricetta di preparazione
dell’inchiostro ferrogallico, che mutava di luogo in luogo, comprende quattro ingredienti
fondamentali:




sale metallico, composto da atramentum (vetriolo o solfato di ferro) o Copparosa
verde (solfato di ferro);
tannino vegetale, noce di galla, formazione tumorale della quercia che conferisce la
tipica tonalità scuro all’inchiostro;
legante, gomma arabica, resina dell’acacia che aumenta viscosità e le proprietà
adesive dell’inchiostro:
solvente, acqua, vino o grappa.
L'inchiostro a base di nerofumo era apprezzato per la sua formidabile resistenza ma
presenta scarse qualità coesive che lo rendevano sconveniente per l'incisione delle
Cfr. Cicerone, ad Qu. Jr., II 14, 1: "Calamo et atramento temperato, charta etiam dentata res agetur. Scribis
enim te meas litteras superiore vix legere potuisse" ("Ebbene, farò uso di penne e di inchiostro migliori per
14
scriverti, ed anche di carta di lusso, poiché ti lamenti di non essere quasi riuscito a leggere la mia ultima
lettera").
pergamene, la cui superficie richiede un'aderenza consistente dell'inchiostro. L’inchiostro
ferrogallico possedeva qualità superiori rispetto a quello a base di nerofumo che lo resero
particolarmente adatto per la scrittura delle pergamene. Tuttavia, una serie di
inconvenienti dovuti alla eccessiva acidità di questa tipologia di inchiostro esponeva le
pagine delle pergamene a deterioramento irreversibile, bruciature e perforature. Infatti,
non appena l’inchiostro a base di noce di galla viene a contatto con l’aria, genera una
reazione ossidante che scurisce il colore, conferendo una tonalità ancor più nera.
L’esposizione prolungata all’aria e a una fonte di calore fa si che perda le sue proprietà
addensanti, tale da rendere obbligatorio l’utilizzo della gomma arabica per ricompattare la
sostanza. Non bisogna dimenticare le benefiche qualità di questa tipologia di inchiostro.
Per la sua capacità di penetrare a fondo nella pergamena e per la relativa facilità con la
quale poteva essere rimosso, oltre che per le sue proprietà lucenti, lo resero
particolarmente adatto per la scrittura della pergamena e l’incisione delle xilografie
medievali. I manoscritti miniati, mostrano differenti gradazioni di inchiostro. Il colore più
usato dopo il nero era il rosso, impiegato fin dal V secolo per le rubriche, titoli da miniatori
e dai correttori di errori. L’inchiostro rosso si otteneva dalla miscela di brasile, aceto e
gomma arabica. I manoscritti lussuosi venivano decorati con inchiostro argenteo e dorato.
Accanto alla penna e l’inchiostro, l’amanuense disponeva di un set di strumenti per il
compimento e il perfezionamento del suo lavoro. Dobbiamo menzionare il calamaio
(calamarium, atramentarium, theca libraria, scriptoriola), ossia il contenitore portatile in
terracotta del calamo, che negli scriptoriamedievali fu sostituito dal corno di toro, talvolta
situato su un supporto diverso dal tavolo di lavoro, una precauzione questa, per evitare il
rovesciamento accidentale di inchiostro sul materiale scrittorio. Segue la pietra pomice in
polvere, utilizzata per levigare la superficie dei manoscritti e la pietra pomice solida, adatta
sia alla rifinitura della punta del calamo che alla raschiatura e depennamento
dell’inchiostro dei manoscritti da riutilizzare come palinsesti. Con la la spugna
bagnata (gr. spóngos, lat. spongia deletilis), si lavavano e cancellavano i fogli dalla
superficie scrittoria. Va menzionato anche il coltello dell’amanuense, utile utensile per
l’immediata cancellatura degli errori scribali e per la levigatura della pergamena. In epoca
greca e romana, fanno la comparsa ulteriori strumenti di precisione, tra cui il già ricordato
calamaio, la rondella di piombo (gr. mólibos) per tracciare i margine delle colonne, il
coltello di metallo (gr. smile, lat. cultellus, temperatorium) col quale si affilavano i calami,
il righello (gr. kanôn, lat. canon, regula, linearium).
GLI SCRIBI E IL LORO HABITAT LAVORATIVO
Poiché in questo capitolo ci occupiamo della produzione libraria neotestamentaria,
tralasceremo la figura dello scriba del mondo giudaico e ci occuperemo esclusivamente
del ruolo dello scriba entro il mondo greco-romano e medioevale.
Se nell'Egitto faraonico la posizione sociale ed economica dello scriba era collocata al
vertice della piramide sociale, la società greco-romana non ha mai tributato un così ampio
riconoscimento a questo ruolo, pur trattandosi di una figura professionale. Forse, a incidere
negativamente sulla svalutazione della professione di scriba fu il fatto che secondo i dati in
ostro possesso, il grado di alfabetizzazione si era esteso agli strati sociali inferiori. Non è un
caso che nella società ellenistica gli scribi fossero reclutati tra gli schiavi e liberti.
Anzitutto, dobbiamo operare un distinguo tra coloro che nell'età ellenistico-romana erano
dei notai pubblici addetti alla compilazione e registrazione degli atti ufficiali e coloro
addetti alla copiatura di materiale privato. I primi sono denominati scribae pubblici,
operanti nella pubblica amministrazione e i secondi librarii. Gli scribae (lat. sg. scriba)
appartenevano ai funzionari statali, pagati dall'erario pubblico e organizzati in classi. Nel I
secolo a.C, sembra che l'ufficio dello scriba si fosse evoluto in una carica acquistabile, tant'è
che l'acquisto dell'ufficio di scriba era diventato un'operazione estremamente agevole.
Diversamente, i librarii (lat. sg. librarius), possono essere definiti come segretari privati,
spesso schiavi o liberti assoldati e remunerati dai padroni. In seno ai librarii si
distinguevano diverse figure ad ognuna delle quali competeva un ruolo specifico
nell'editoria manoscritta: gli antiquarii15, ai quali spettava la copiatura dei libri antichi;
i librarii a studiis, principalmente schiavi che eseguivano la copiatura sotto dettatura dei
loro padroni o si applicavano nello studio e nell'estrazione dei passi dai manoscritti; i libraii
ab epistolis, impiegati per la compilazione di documenti privati sotto dettatura dei loro
padroni. A quest'ultima categoria di libraii appartengono gli amanuensis. Con il
termine librarii erano denominati anche i librari veri e propri16, cioè i professionisti che si
occupavano della produzione e della vendita dei libri nelle officine specializzate ( taberane
libariae). La figura del lector, corrisponde al dettatori professionisti che leggevano ad alta
voce per i letterati.
Il termine amanuense si è conservato per la denominazione dei copisti medioevali operanti
all'interno delle abbazie e dei monasteri nella copiatura manuale della letteratura cristiana
e delle opere dell'antichità classica. Fu Cassiodoro nella prima metà del IV secolo ad
istituire il primo scriptorium medievale a Vivarium, attrezzato per la riproduzione e la
raccolta dei manoscritti. Circa un secolo più tardi, Benedetto da Norcia fondò l'abbazia di
Montecassino improntata all'ascetismo e allo studio e riproduzione delle Sacre Scritture.
Molti dei monasteri e delle abbazie medioevali erano provvisti di una sala di copiatura,
lo scriptorium: un locale spazioso esposto a sud e dotato di numerose vetrate affinché
potesse essere illuminato dalla luce diurna. Di solito, le sale di copiatura erano
comunicanti con le biblioteche adiacenti. Nei centri monastici non dotati di scriptorium, la
copiatura avveniva nei refettori e nelle celle individuali, dove i monaci in tutta solitudine
trascrivevano i testi scari e le opere dell'antichità classica.
Non è escluso che alla categoria degli antiquarii fosse demandata la rilegatura dei manoscritti (Cfr. Cic. ad
Att. 4, 17), la custodia e la manutenzione delle biblioteche private.
16
Denominati anche bibliopolae (Cfr. Marz. Epigrammata, IV, 71 - XIII, 3).
15
La copiatura di un manoscritto, era un'attività lenta, faticosa e sfiancante che minava la
salute fisica dei monaci, e costoro erano sottoposti a una ferrea disciplina di lavoro. L'orario
giornaliero di lavoro era distribuito tale da superare anche le sei ore. Se uno scriba
trasgrediva la disciplina imposta, poteva incorrere in severe sanzioni comminate dall'abate
o dall'armarius (il responsabile dello scriptorium che provvedeva alla custodia del
materiale didattico e vigilava sul lavoro degli scribi) secondo la regola monastica vigente
in loco. La copiatura di un testo poteva avvenire individualmente o sotto la dettatura del
bibliotecario. Se la copiatura avveniva individualmente, la trascrizione procedeva
lentamente in modo che ogni singola lettera assumesse un aspetto foggiato, ma la cura
maniacale spesa dal copista nel forgiare le lettere non corrispondeva ad un'altrettanta
diligenza nella comprensione del contenuto del testo. Infatti, non tutti gli scribi
possedevano una buona conoscenza delle lingue antiche e a volte la pretesa di saper
maneggiare il greco e il latino li induceva ad applicare correzioni strampalate, incorrendo
in errori di sintassi, grammaticali e contenutistici. Alcuni monaci, erano diventati talmente
abili nella decorazione artistica che si occupavano solo dell'ornamento delle lettere iniziali
o dell'abbellimento del manoscritto. C'è chi era preposto alla rilegatura e altri ancora
all'alluminatura del manoscritto. Ai revisori del testo, che facevano la loro comparsa nella
fase finale della produzione manoscritta, era riservata la correzione degli errori dei loro
colleghi. Nei centri monastici più piccoli, queste operazioni che scandivano la produzione
di un codice erano svolte dallo stesso amanuense che copiava il testo. Gli scribi egiziani e
del mondo greco-romano, operavano seduti su uno sgabello (lat. cathedra) con la superficie
scrittoria
poggiata
sulle
ginocchia.
I
tavoli
scrittori
(lat. pluteus, descus, tablarium ad scribendum) furono adottati nel III secolo d.C., rendendo
più agevole il lavoro dell'amanuense.
LA CODICOLOGIA
E' la scienza che studia integralmente il libro manoscritto antico e medioevale
nel suo aspetto esteriore, comprese le tecniche di fabbricazione, la forma libraria,
l'organizzazione interna e le decorazioni di un manoscritto. La disciplina ha
acquistato autonomia a partire dal 1944, quando A. Dain, coniò
l'espressione codicologia, adottata ben presto da tutti gli studiosi che si
interessarono a questa disciplina. Codicologia e papirologia sono due discipline
intimamente connesse per l'oggetto d'indagine comune. Entrambe, infatti, si
occupano dell'aspetto materiale di un manoscritto e della sua evoluzione, ma la
papirologia abbraccia un arco cronologico che contempla anche lo studio del
rotolo papiraceo e pergamenaceo, mentre la codicologia concentra la sua
indagine su una particolare forma libraria successiva e sovrapposta
cronologicamente al rotolo, il codice.
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