Indice - Università degli studi di Trieste

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Indice - Università degli studi di Trieste
P RODUZIONE SNELLA E JUST- IN - TIME
(a cura di E. Padoano)
[Bozza 2010]
Indice
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Introduzione
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Il valore aggiunto e gli sprechi
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Principi ed elementi costitutivi del TPS
3.1 Stabilità operativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.2 Kaizen . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.3 Jidoka . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Just in time
4.1 Produzione a celle e shojinka . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.2 Il flusso continuo e bilanciato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Produzione di tipo push e pull
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6
Il sistema kanban
6.1 Generalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6.2 Funzionamento del sistema a due kanban . . . . . . . . . . . . .
6.3 Aspetti operativi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Pregi e difetti dei diversi sistemi
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Riferimenti bibliografici
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JIT
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Introduzione
Negli anni ’50 l’industria giapponese iniziò a sviluppare delle pratiche produttive a partire da concetti già presenti nel management scientifico e, per
quanto riguarda la pianificazione e gestione dei materiali, nei metodi di gestione a livello di riordino. Le industrie Toyota, in particolare, codificarono
un sistema coordinato di metodi e approcci alla produzione che furono denominati Toyota Production System (TPS – Ohno 1988): tale sistema si affermò,
negli anni ’60 e ’70 come alternativa ai sistemi MRP che si erano diffusi nelle
aziende occidentali. La forte competizione delle industrie giapponesi portò gli
esperti occidentali ad analizzare tale sistema che fu denominato produzione
just-in-time (JIT) enfatizzandone le caratteristiche “temporali” e di “reattività”.
L’insieme degli approcci e dei principi TPS non era limitato al sistema di pianificazione e controllo della produzione, ma pervadeva l’intera azienda. Alla
base della filosofia JIT vi è l’eliminazione di tutti gli sprechi e il miglioramento
continuo della produzione. È quindi evidente che tale concezione si origina a
livello strategico (business) e cerca delle risposte nel dominio della produzione
perché ritenuto potenzialmente in grado di “liberare” dei fattori competitivi.
Nel corso degli anni ’80 diversi autori rilevarono la forte competitività delle
aziende giapponesi derivante dall’applicazione dei principi di riduzione degli
sprechi. Questi principi furono riproposti con maggiore forza alle industria
occidentali assimilandoli ad una “filosofia” di produzione che fu denominata
produzione snella (lean production – Womack e altri 1991).
Lo scenario industriale odierno, di cui è un aspetto saliente, ha imposto
nuove forme di competizione: i mercati soffrono di incertezza e la domanda è
soggetta a forte turbolenza. Essa ha assunto caratteri di irregolarità e discontinuità rendendo difficili o poco affidabili le previsioni; i clienti sono sempre più
esigenti. Una leva competitiva delle imprese, per affermare la propria posizione sul mercato, è quella di agire differenziando l’offerta, ampliando l’estensione della gamma di prodotti e modelli per soddisfare in modo sempre più specializzato e completo le richieste della potenziale clientela. L’obiettivo basilare
per un’impresa diviene generare valore aggiunto per il proprio cliente, fornendogli ciò che desidera, nel momento in cui lo desidera, con le caratteristiche e
nelle condizioni pattuite, e associando al prodotto un servizio distintivo (assistenza post-vendita, manutenzione, sostituzione in garanzia, formazione nell’utilizzo o quant’altro). Per ottenere questi risultati l’azienda deve orientarsi
ad operare on-demand, allo scopo di garantire flessibilità ma efficacia allo stesso
tempo, consolidando al proprio interno il know-how e le competenze chiave
che la distinguono dalla concorrenza. La produzione snella si presenta quindi
come un modello produttivo in grado di supportare efficacemente una strategia produttiva fortemente tirata dal mercato, che consenta di adattarsi alla
domanda del cliente e, al contempo, di ridurre i costi associati all’espletamento delle attività operative. I risultati tipici che si possono ottenere consistono
nella riduzione dei costi di produzione,nella riduzione del tempo di attraversamento del sistema, nell’incremento dell’indice di rotazione delle scorte e nel
miglioramento dell’utilizzazione della capacità produttiva.
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Il valore aggiunto e gli sprechi
Il TPS si sviluppò in un contesto caratterizzato da una forte limitatezza di risorse, sia dal lato offerta sia dal lato domanda. Il mercato interno giapponese
era sostanzialmente differente da quello statunitense, contraddistinto da un
elevato volume di clienti potenziali con una buona capacità di spesa. L’utilizzo delle risorse produttive avrebbe dovuto essere limitato alle sole attività a
valore aggiunto che avrebbero potuto essere remunerate dal mercato. Secondo i principi TPS questo poteva essere perseguito attraverso l’eliminazione di
tutti gli sprechi con un miglioramento continuo della produzione. Di conseguenza, il termine “snella” indica una produzione che utilizza meno risorse
per realizzare lo stesso output dei metodi tradizionali e che, a parità di risorse disponibili, è in grado di produrre una varietà di prodotti più ampia. Con
specifico riferimento alla gestione dei flussi di materiali, l’idea è quella di non
anticipare la produzione, creando scorte “in attesa” di potenziali clienti, ma di
produrre solo quanto e quando è richiesto da cliente (just-in-time).
Secondo TPS, spreco (muda) è tutto ciò che non aggiunge valore per il cliente, ma che comunque assorbe risorse: invece di riservare le risorse a disposizione per creare valore esse sono sprecate in attività inutili. Il concetto di valore per il cliente comprende, come rilevato quando si è parlato di produzione,
un insieme di aspetti: si devono ottenere i prodotti giusti, nelle quantità giuste, nel luogo e nel tempo fissato. Il prodotto deve soddisfare le attese (anche
potenziali) ad un prezzo considerato ragionevole.
Il valore ha quindi origine nel mercato, prende forma nel progetto del prodotto e del processo produttivo e si sviluppa nella produzione pura e nelle
attività connesse (ad esempio, logistica e assistenza). Aggiungere valore ad un
prodotto non significa però aggiungere costi: un cliente non è interessato ai
costi affrontati dall’azienda, ma solo al prezzo di acquisto e al valore che egli
attribuisce al prodotto. Tutte le attività che aggiungono costi senza aggiungere
valore dovrebbero quindi essere eliminate. Un’azienda che elimini gli sprechi, secondo l’ottica TPS, sarà un’azienda efficiente, orientata alla qualità, che
risponde con rapidità ai bisogni del cliente.
Esistono diversi tipi di spreco che possono manifestarsi nelle fasi che precedono la produzione, durante la produzione e nelle fasi successive. Gli sprechi possono iniziare nella definizione delle strategie produttive in relazione al
mercato di interesse. Ad esempio, nelle decisioni riguardanti la specializzazione delle linee produttive in relazione al tipo e varietà di prodotti. Così, la ricerca della massima produttività può essere in contraddizione con le esigenze
di varietà provenienti dal mercato.
Il primo passo nel conseguimento di un’organizzazione snella (Womack e
Jones, 2003) consiste in un’analisi dei processi (siano essi primari o di supporto). A tal fine si può elaborare una mappatura del flusso del valore (valuestream mapping) per individuare la rete di processi e sottoprocessi e il loro
contributo al valore fino al livello di dettaglio desiderato. L’obiettivo di tale
attività l’individuazione delle attività a valore aggiunto, delle attività non a
valore aggiunto ma che sono necessarie, allo stato attuale, per lo svolgimento
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del processo e delle attività non a valore aggiunto immediatamente eliminabili
(Rother e Shook, 2003).
In primo luogo, gli sprechi nel sistema produttivo sono identificabili nell’esistenza di eccessive risorse produttive , che si manifestano nell’utilizzo di
forza lavoro eccessiva, attrezzature eccessive, scorte eccessive, dove con “eccessivo” si intende quanto non necessario, dunque in esubero rispetto a quanto richiesto dai clienti. Ciò determina esclusivamente un aumento dei costi,
ma non contribuisce alla creazione di valore aggiunto. Ad esempio, detenere
scorte sovrabbondanti determina il pagamento di oneri finanziari in capitale
immobilizzato ed investito in materiale che non crea valore aggiunto. L’utilizzo di risorse eccessive conduce alla sovrapproduzione, cioè lo svolgimento
di attività anche oltre le operazioni necessarie ed essenziali. Questa situazione
contribuisce alla creazione di scorte in eccesso, che a loro volta determinano la
necessità di manodopera, attrezzature, spazi di stoccaggio e risorse per la movimentazione. L’utilizzo di risorse eccessive, la sovrapproduzione e le scorte
eccessive determinano un investimento di capitali non necessario allo scopo di
dotarsi di magazzini per lo stoccaggio delle scorte extra, la necessità di assumere operatori per provvedere alla movimentazione dei materiali dal magazzino, di acquistare attrezzature per gli operatori, di assumere operatori per la
manutenzione, con il risultato di avere una gestione molto complessa di tutti
i processi. Questi sprechi influiscono infine, in modo indiretto, sull’aumento
dei costi amministrativi e dei costi del lavoro indiretto senza aggiungere valore
per il cliente (Imai, 1997).
TPS ha identificato sette tipi di spreco:
1. sovrapproduzione. Produrre quantità e articoli oltre le richieste immediate
comporta la formazione di scorte di semilavorati, componenti e prodotti
finiti, richiede un carico maggiore per la pianificazione e controllo e può
determinare ritardi nella individuazione di difetti o malfunzionamenti;
2. trasporti e trasferimenti. Se i materiali fossero subito consegnati presso il
luogo del loro utilizzo, si potrebbero evitare o per lo meno limitare la
movimentazione e lo stoccaggio dei materiali che comportano costi ma
non aggiungono valore al prodotto finale;
3. eccessi di scorte; come già visto comportano diversi tipi di costi (investimento ed esercizio);
4. attese. Si manifestano come interruzioni del flusso di produzione e ne
bloccano lo scorrere, incrementando i tempi di attraversamento del processo. Ad esempio, un operatore può attendere materiali o istruzioni e
i materiali possono attendere in coda prima che un centro di lavoro si
renda disponibile;
5. sprechi di processo. Il processo può utilizzare impianti o attrezzature errate
o poco efficienti. Il flusso di creazione del valore di un processo può essere interrotto da attività non a valore aggiunto (ad esempio, rilavorazioni,
ispezioni ecc.);
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JIT
6. spreco di movimenti e nei metodi. Gli operatori possono essere costretti a
spostamenti non a valore aggiunto, per la ricerca di attrezzi, prelievi di
materiali, kit di montaggio disordinati o incompleti ecc. Le macchine
possono compiere nel ciclo movimenti non produttivi o inefficienti;
7. difetti. I difetti sono una fonte di spreco notevole:
• i componenti difettosi interrompono la continuità del flusso produttivo;
• i prodotti difettosi che raggiungono il cliente comportano costi;
• l’identificazione dei pezzi difettosi e le rilavorazioni comportano
costi aggiuntivi.
In aziende che hanno attuato il TPS integralmente (ad esempio, nell’industria automobilistica o in quella dei prodotti elettronici di massa), si sono
ottenuti i risultati indicati nella Tabella 1.
Tabella 1: Risultati dell’applicazione del JIT
Riduzione del tempo di ciclo
Riduzione delle scorte
Materiali
WIP
Prodotti finiti
Riduzione di costo del lavoro
Diretto
Indiretto
Riduzione degli spazi necessari
Riduzione dei costi di qualità
Riduzione dei costi di materiali
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Miglioramenti dopo 3-5 anni (%)
80-90
35-70
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60-90
10-50
20-60
40-80
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Principi ed elementi costitutivi del TPS
Nelle aziende basate sul modello della produzione di massa (detto anche batchand-push o batch-and-queue), ogni processo opera in sostanziali condizioni di
isolamento all’interno della catena del valore: l’elemento di collegamento tra
processo e processo è rappresentato dal piano (centralizzato). In logica push
(nella produzione a scorta su previsione) l’ordine di produzione comunicato dalla programmazione è eseguito nel centro di lavoro che realizza i lotti e
li spinge verso un buffer interoperazionale o verso il magazzino prodotti finiti, senza avere informazioni di ritorno dai processi a valle che il centro di
lavoro stesso alimenta. Finché questo semilavorato non è utilizzato, dovrà essere immagazzinato, movimentato, conservato. Inoltre, produrre grandi lotti
in modalità push, pur consentendo di diminuire l’incidenza del tempo di setup sul singolo pezzo di un lotto, determina un allungamento del tempo totale di attraversamento del sistema da parte del pezzo, che può crescere ed
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JIT
essere soggetto a forte variabilità a causa di fermi-produzione, mancanza di
bilanciamento del flusso, problemi di qualità ecc.
L’obiettivo che si pone TPS è invece realizzare esclusivamente ciò che il
processo a valle necessita, nel momento in cui esso ne ha bisogno. I processi devono essere legati tra loro in un flusso continuo, in linea e bilanciato,
dal materiale grezzo al prodotto finito, che garantisca il tempo di attraversamento il più ridotto possibile, un elevato livello qualitativo, al più basso costo
possibile, ovvero in ottica di efficacia ed efficienza complessiva. La struttura di questo modello è formata da alcuni concetti guida che si concretizzano
operativamente in metodi e tecniche da applicare a diversi livelli dei processi
produttivi:
• stabilità operativa;
• kaizen (cambiamento verso il miglioramento);
• jidoka (autonomazione);
• just-in-time.
Tali concetti saranno esaminati di seguito dedicando maggiore spazio all’ultimo principio in quanto più specificamente collegato agli argomenti del corso.
3.1
Stabilità operativa
Nel modello TPS il primo obiettivo da conseguire è assicurare la stabilità operativa del sistema agendo su diversi aspetti dei processi e dell’organizzazione. Un primo aspetto è la standardizzazione delle attività: le operazioni devono essere eseguite in base standardizzate progettate in base ai risultati di uno
studio che ottimizzi gli spostamenti, l’utilizzo di attrezzature e materiali, le
movimentazioni.
Un secondo aspetto riguarda l’integrazione dei fornitori all’interno della propria catena logistica. I metodi tesi a rendere il flusso produttivo ininterrotto
e immediatamente rispondente alle richieste del cliente hanno infatti successo solo se i fornitori sono coinvolti nel processo di fornitura sulla base dei
principi del TPS. Ciò richiede l’instaurazione di un rapporto di fornitura sostanzialmente diverso da quelli tradizionali basati sul prezzo e sulla frammentazione delle fonti di approvvigionamento: si dovrà ricercare l’affidabilità e la
cooperazione dei potenziali supplier.
Un ulteriore elemento che contribuisce alla stabilità operativa è il modo in
cui è svolta la manutenzione. TPS ha introdotto il concetto di Total Productive Maintenance (TPM), un sistema di manutenzione dell’impianto produttivo
teso all’aumento dell’affidabilità dei macchinari e dunque del tempo in cui esse sono operative. Esso implica il coinvolgimento diretto degli operatori che
devono attuare quotidianamente piccole operazioni di manutenzione e pulizia e riferire prontamente eventuali anomalie al servizio manutenzione in modo tale da promuovere la prevenzione dei guasti. TPM si propone quindi di
implementare un sistema di manutenzione affidabile, in grado di:
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• ridurre il più possibile le fermate dell’impianto;
• garantire la massima autonomia e responsabilità all’operatore, che è il
solo a conoscere in modo approfondito il processo e che può fornire utili
informazioni sulla base della propria esperienza;
• garantire pulizia, lubrificazione, serraggio e ispezione per ridurre al massimo il numero dei guasti (una rilevante causa di usura e di guasto è
infatti proprio l’effetto nocivo causato dalle diverse fonti di sporco);
• limitare il costo di manutenzione.
Tradizionalmente gli interventi di manutenzione erano effettuati solo a seguito di un guasto. Ciò naturalmente non consentiva di prevedere quando
gli interventi dovessero essere svolti né di prevenire in qualche modo alcuni
tipi di fermata. Qualora non sia effettuata una corretta manutenzione, si possono subire due conseguenze principali: le interruzioni del flusso produttivo
in occasione dell’evento guasto e i prodotti difettosi o le prestazioni scarse a
causa dell’usura. In ottica TPS la condizione delle attrezzature e degli impianti deve essere mantenuta a livelli di eccellenza sia per conservare i livelli di
qualità previsti sia perché, a livello operativo, con la riduzione delle scorte di
semilavorati, ogni interruzione influenza pesantemente i Cdl a valle.
Una manutenzione preventiva regolare dovrebbe essere curata da chi ha
più diretta conoscenza della macchina, cioè l’operatore, il quale diventa responsabile della qualità “operativa” della macchina stessa. L’idea di base di
TPM è “applicare la stessa attenzione che si applica alla qualità di prodotto
alla qualità delle attrezzature e dei processi”. Si tratta quindi di impiegare con
continuità la manutenzione preventiva ed ogni sforzo per adattare e modificare attrezzature e impianti allo scopo di promuovere flessibilità e continuità del
flusso produttivo.
3.2
Kaizen
L’approccio kaizen, miglioramento incrementale continuo, coinvolge il personale a tutti i livelli in tutte le operazioni quotidiane, allo scopo di individuare
sempre nuovi metodi per ottenere i risultati prefissati in modo sempre più efficace ed efficiente. L’impegno della direzione è fondamentale per comunicare
gli obiettivi (deployment) scomponendo gli obiettivi strategici di alto livello in
obiettivi settoriali di livello/reparto, assicurandosi che siano stati recepiti e
compresi ad ogni livello, impegnandosi nell’incentivazione del personale, che
con il tempo diverrà flessibile, capace, qualificato ed altamente motivato.
La qualità, nel contesto del TPS, è importante per due motivi principali: a
livello strategico un prodotto difettoso non soddisfa il cliente e quindi non è
compatibile con gli obiettivi TPS; a livello operativo, un processo che produce
pezzi difettosi crea interruzioni del flusso produttivo, ritardando le consegne,
aumentando il WIP e causando altri sprechi. Si osservi che, in ottica TQM, un
Cdl a valle è il cliente del Cdl a monte.
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Qualità non significa predisporre un’ispezione a valle per eliminare i prodotti difettosi, ma produrre in modo che la qualità progettata sia costantemente raggiunta. L’obiettivo dovrebbe essere quello di processi che non producano difetti e questo può essere perseguito attraverso il miglioramento continuo.
Operativamente questo può essere raggiunto delegando il controllo e la soluzione dei problemi direttamente agli operatori e realizzando le attività produttive in modo che qualunque operatore sia in grado di “fare bene già la prima
volta” che opera su una macchina o un processo.
3.3
Jidoka
L’idea base del jidoka è rendere i problemi visibili ed individuabili in modo tale
da poter essere risolti, rendendo possibile per il personale attuare un controllo autonomo del lavoro svolto. Questo richiede un forte coinvolgimento delle
risorse umane, una forte motivazione delle stesse e il ricorso all’empowerment
(delega decisionale). Il termine jidoka può essere tradotto con “autonomazione”, ovvero controllo autonomo dei difetti. L’obiettivo principale è impedire
alle unità difettose in uscita da un processo di essere utilizzate nel processo
successivo.
Ciò può essere ottenuto implementando procedure e tecnologie che seguano alcuni princìpi:
manual line stop; l’operatore ha la facoltà e la responsabilità di interrompere
il processo produttivo nel momento in cui si avveda dell’occorrere di un
problema, anomalia o non-conformità, allo scopo di ovviare immediatamente a problemi di qualità;
manual/automatic work separation; l’addetto può supervisionare l’attività di
più macchine che operano in modo automatico ma si bloccano al verificarsi di un’anomalia o un errore;
error proofing; si applicano dispositivi che impediscono il verificarsi di banali
errori umani in attività semplici e ripetitive, contribuendo ad un notevole
miglioramento della qualità. Un esempio è costituito dai poke-yoke devices
usati per assemblaggi a prova d’errore attraverso guide, fori, costrizioni,
etichette colorate ecc.;
visual control; il controllo visuale e immediato delle anomalie consente di
agire prontamente. Dispositivi come le andon lights permettono al caposquadra di individuare anomalie segnalate da una stazione produttiva
(luce gialla) o di richiedere l’intervento immediato della manutenzione (luce rossa). Gli andon panels comunicano visivamente agli addetti alla cella o del reparto lo stato del processo rispetto agli obiettivi di
produzione fissati.
Queste tecniche nel complesso consentono di attrarre immediatamente l’attenzione al manifestarsi di un problema, un errore o un’anomalia, rendendo
possibile un’immediata risposta da parte dei supervisori, dei capo-squadra o
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del servizio manutenzione per una rapida individuazione e risoluzione del
problema. Negli stabilimenti Toyota la maggior parte dei macchinari è dotata
di un meccanismo di controllo del pezzo e di blocco automatico nel caso in cui
si presenti un’anomalia nei parametri di controllo del pezzo: le macchine si
arrestano automaticamente, sospendendo la produzione, evitando la produzione massiccia di pezzi difettosi. Per contro, la produzione di massa prevede
di realizzare lotti di grande dimensione e di rilevare le non-conformità al termine della produzione del lotto, a volte eliminando l’intero lotto in presenza
di livelli fissati di difettosità. Il concetto di controllo autonomo può essere
esteso anche alle linee di produzione di tipo manuale. Al verificarsi di una
anomalia su una linea produttiva, l’operatore preme un pulsante di arresto,
fermando la produzione. È necessario attuare un’attività di costante formazione ed incentivazione del personale, allo scopo di infondere la consapevolezza
della necessità di fermare la linea di produzione nel caso in cui si verifichino
dei difetti, in modo tale che siano consegnate alla stazione successiva esclusivamente unità conformi. In caso di non-conformità, è invece indispensabile
l’impegno nell’individuazione, determinazione e correzione delle cause che
hanno determinato la difettosità e causato il fermo della linea. Un pannello di
controllo andon, che prevede la segnalazione luminosa, è ubicato in modo tale
da poter essere visibile a chiunque nel reparto. Se un operatore necessita di
un aiuto, attiva la segnalazione luminosa gialla dell’andon, se invece necessita di arrestare la linea per correggere un inconveniente, attiva la segnalazione
luminosa rossa. Questo strumento consente la comunicazione immediata al
responsabile di reparto (capoturno), il quale invia il supporto di altri operatori
(in caso di luce gialla) oppure invia una squadra di intervento (in caso di luce
rossa).
L’autonomazione può permettere di conseguire una riduzione dei costi del
prodotto attraverso un’efficace assegnazione della forza lavoro. Grazie all’automatic line stop, le linee produttive si arrestano automaticamente al verificarsi di una non-conformità; non è quindi necessaria la presenza di un operatore impegnato nella supervisione di tutte le operazioni del macchinario:
l’operatore che ha terminato i propri compiti presso la macchina A può recarsi
a svolgere le proprie mansioni presso la macchina B, mentre la macchina A
sta operando. Le operazioni manuali sono dunque nettamente separate dalle
operazioni automatizzate (separazione tra lavoro manuale e lavoro automatizzato). Jidoka rende possibile l’adattabilità alle variazioni della domanda.
Poiché le macchine si arrestano automaticamente quando hanno realizzato il
numero di pezzi richiesto, producendo solo pezzi conformi privi di difetti,
l’autonomation elimina gli eccessi di scorte (sovrapproduzione), prevenendo
la saturazione dei buffer interoperazionali, supportando la produzione justin-time e consentendo una rapida adattabilità alle variazioni della domanda.
Infine, l’autonomazione favorisce il rispetto per la risorsa umana. Gli addetti
ai diversi livelli sono coinvolti in una partecipazione attiva nel mantenimento
dell’integrità e dell’efficienza dell’intero sistema produttivo.
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4.1
Just in time
Produzione a celle e shojinka
Il principio guida del just-in-time è di realizzare il prodotto giusto, nella quantità richiesta, nel momento in cui esso è richiesto e nelle condizioni pattuite dal
cliente. La realizzazione di tali obiettivi è conseguibile attraverso due aspetti
tra loro connessi:
• la produzione di un qualunque centro di lavoro o processo è attivata
dalla domanda che si manifesta a valle (sistema pull);
• il processo di produzione deve essere attraversato dalle unità in fase di
realizzazione senza soluzioni di continuità (flusso continuo e bilanciato).
Per i motivi che saranno meglio evidenziati nel seguito, il JIT è noto in
aziende con produzione di tipo ripetitivo, cioè in cui si hanno flussi continui
di unità discrete che subiscono lavorazioni successive con una cadenza definita
(montaggi). Si è visto che tali sistemi produttivi in genere sono svantaggiosi
nel caso si abbiano ampie varietà di prodotti in quantità limitate.
Il JIT, per adattare la flessibilità dei job shop con l’efficienza delle transfer
line, introduce la produzione per cellule (work cell). All’interno di una cella, i macchinari sono disposti in linea e non vi sono buffer interoperazionali, in quanto
il flusso è continuo, livellato e sincronizzato: ogni pezzo fluisce con continuità da un macchinario al successivo. Ogni cella è dedicata alla produzione di
poche tipologie di prodotto.
I vantaggi che se ne ottengono riguardano l’efficienza nell’utilizzazione
dello spazio, una buona visione dello svolgimento complessivo del processo
(visual management), una rapida comunicazione tra addetti ai diversi macchinari, un’ottimizzazione e riduzione degli spostamenti degli operatori, una migliore capacità di sincronizzazione e dunque maggiore flessibilità produttiva,
una movimentazione efficiente dei materiali. Allo scopo di ridurre gli spostamenti, gli operatori saranno assegnati a gruppi di macchine adiacenti tra loro
che creano un percorso circolare (ad esempio il primo operatore sarà assegnato alle prime due macchine della serie ed alle ultime due), in modo tale che
per ogni ciclo di lavoro l’operatore possa effettuare attività a valore aggiunto
sia nella fase di andata che nella fase di ritorno. Ad esempio, se le posizioni
di carico e scarico di una cella sono disposte allo stesso punto della linea, un
solo operaio può svolgere sia le operazioni di immissione e caricamento della
prima macchina che le operazioni di prelievo del materiale lavorato. Oppure, la sistemazione ad U consente di disporre di zone o aree per specifiche da
assegnare agli operatori.
Il principale vantaggio del lay-out ad U è consentire una elevata flessibilità
nell’incrementare o decrementare il numero di operatori necessari in funzione delle variazioni delle quantità prodotte a seguito della domanda (Monden,
1999). Può infatti capitare che un incremento della domanda determini all’interno dell’area produzione una differente allocazione dei carichi di lavoro agli
operatori, che potrebbero necessitare di manodopera supplementare (fig. 1).
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La semplice aggiunta di ulteriori addetti potrebbe portare a un carico di lavoro per operatore poco efficiente o a problemi di sottoutilizzo della risorsa
produttiva. Per risolvere questo problema, è possibile decidere di allocare in
modo differente le operazioni agli operatori, gestendo inoltre le differenti linee produttive ad U come fossero un’unica linea integrata: gli operatori non
sono assegnati ad un’unica linea, ma nel loro ciclo di lavoro possono occuparsi di differenti operazioni appartenenti a differenti linee, pur minimizzando
gli spostamenti e sfruttando sia il percorso di andata che quello di ritorno per
effettuare operazioni a valore aggiunto (fig. 2).
Figura 1: Assegnazione in presenza di domanda elevata
Il concetto di shojinka significa conseguire la flessibilità negli operatori per
adattare la produzione alle variazioni di domanda e consiste nell’incrementare
(o decrementare) il numero di lavoratori di un reparto in funzione delle variazioni della richiesta di produzione. Shojinka equivale dunque ad incrementare
la produttività attraverso la ri-schedulazione delle risorse umane, sia in termini di quantità che nell’assegnazione dei compiti e dei cicli di lavoro. I prerequisiti necessari alla sua concreta attuazione comprendono un appropriato
design dei macchinari, che dovranno essere disposti in celle ad U, una manodopera multi-funzionale, ovvero operatori polivalenti, addestrati e motivati e
la continua valutazione e la periodica revisione delle operazioni standard e dei
cicli di lavoro.
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Figura 2: Assegnazione in presenza di domanda standard
4.2
Il flusso continuo e bilanciato
Un sistema di produzione push prevede la programmazione centralizzata della
produzione e la comunicazione ad ogni processo di un programma di produzione in funzione dei fabbisogni determinati a priori, solitamente piuttosto
rigida e difficilmente modificabile in quanto non sarebbero poi rispettati gli
appuntamenti fissati a livello di MPS. Spesso le quantità di prodotto finito sono fissate sulla base deelle previsioni trasmesse dai clienti, previsioni che solo
in seconda battuta sono confermate tranducendole in ordini confermati. In
tutti questi casi, la produzione è dunque “spinta” dalla programmazione su
base previsionale, anticipando in misura più o meno estesa le quantità concretamente richieste. A livello locale, un centro di lavoro eseguirà gli ordini prelevando i materiali necessari e, una volta completate le operazioni sull’ordine,
lo renderà disponibile per i processi a valle, sperabilmente nei tempi stabiliti
dal piano.
Un sistema di produzione pull, in ottica TPS, intende operare un netto ridimensionamento del ruolo della programmazione centralizzata e basa la gestione del flusso produttivo sull’attivazione a ritroso dei processi upstream (a
monte). Si stabilisce che il processo di assemblaggio finale prelevi quanto necessario dalla scorta di semilavorati del processo contiguo immediatamente a
monte, il quale attiva la propria produzione con lo scopo di reintegrare quanto
prelevato dal processo a valle; a sua volta il processo preleva le componenti
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necessarie ancora a valle e così via: l’intero processo produttivo sarebbe in tal
modo attivato dall’effettiva richiesta di prodotto finito e dunque la produzione
“tirata” dalla domanda del mercato.
L’obiettivo del just-in-time è ottenere una elevata flessibilità nella capacità
produttiva, adeguando la produzione alla effettiva domanda del cliente finale,
con un livello di scorte minimo. Per ottenere questo risultato, la produzione
deve essere tirata dalla domanda (logica pull) ed operare su un flusso continuo di materiale. Idealmente, la condizione ottima per il just-in-time sarebbe
la produzione di un lotto unitario, dunque un flusso di un solo pezzo per volta
lungo la catena del valore. Questo presupporrebbe i medesimi tempi di ciclo
per tutte le fasi di un processo, processi strettamente sincronizzati, processi
stabili (varianza nulla nei tempi di ciclo), tempi di setup nulli. Per ragioni
tecnologiche, non è possibile ottenere questa situazione nella realtà: il justin-time si propone comunque l’obiettivo di minimizzare i lotti di produzione,
attraverso la produzione del mix desiderato effettivamente dal cliente, in virtù dei ridotti tempi di setup, riducendo il più possibile i valori delle scorte
interoperazionali.
I presupposti per un processo a flusso continuo sono una produzione bilanciata e livellata, ovvero una rete di processi sincronizzati tra loro, operanti
alla medesima frequenza. Questa modalità di produzione prevede una pianificazione (schedulazione) della produzione con volumi e mix livellati a quella
che è l’effettiva richiesta del cliente, con l’obiettivo di garantire una flessibilità
produttiva tale da assorbire le variazioni giornaliere, minimizzando al contempo l’entità delle scorte, l’utilizzo di risorse, le movimentazioni di materiali,
pianificando i trasporti. Lo stock di prodotti finiti, che deve essere minimizzato, è solo un buffer che consente di supplire alle variazioni di brevissimo
periodo (solitamente settimanali) della domanda del cliente. Una produzione
livellata si basa sulla capacità di autorizzare un aumento della produzione di
una determinata quantità nel momento in cui venga prelevata quella quantità dal magazzino prodotti finiti: è l’opposto del concetto di make-to-stock,
basato sulla produzione a scorta di quantità programmate su previsione della
domanda.
Come già descritto, nella gestione tradizionale la produzione è basata su
un sistema di programmazione centralizzato che comunica i programmi di
produzione a ciascun reparto di lavorazione. Nel TPS la programmazione della produzione avviene infatti solo sull’ultimo processo della catena del valore (solitamente l’assemblaggio del prodotto finito), mentre per tutti gli altri
processi gli operatori si recano presso la fase precedente per prelevare i pezzi
necessari, nella quantità necessaria, nel momento in cui se ne manifesti la necessità; la fase a monte deve attivare la propria produzione per reintegrare ciò
che è stato prelevato dal buffer interoperazionale tra le due stazioni produttive. La domanda di sub-componenti viene in questo modo propagata “all’indietro” attraverso l’intera catena del valore, attivando la produzione in logica
“pull” dalla domanda finale. Si ottiene in tal modo un sistema di produzione
flessibile, che ha la capacità di adeguarsi a variazioni contenute della domanda
giornaliera in quantità e mix (dell’ordine del 5%, comunque non oltre il 10%).
Riassumendo, i fattori principali, tra loro strettamente connessi, che conGest. prod. ind.
12
JIT
ducono agli obiettivi del just-in-time, sono:
• la produzione livellata;
• il sistema pull;
• la programmazione temporale (sequenziamento).
La sincronizzazione tra stazioni produttive in serie, allo scopo di ottenere un flusso teso, continuo e bilanciato, viene attuata prendendo come riferimento il takt-time. Il takt-time è il tempo entro cui ogni unità di prodotto
deve essere realizzata per soddisfare la domanda del cliente. Questo valore è
determinato come:
takt time =
tempo operativo disponibile (min)
unità richieste al giorno
Il tempo ciclo (TC) è il tempo necessario ad una fase per completare le
operazioni di trasformazione previste su un singolo pezzo. Per soddisfare la
domanda del cliente è necessario che il processo multifase (ad esempio, una
cella) realizzi un pezzo ogni takt-time. Il tempo ciclo di ogni fase deve essere
inferiore al takt-time per poter soddisfare questo vincolo.
Qualora sia presente una fase avente TC maggiore del takt-time, è necessario effettuare un’analisi di dettaglio delle operazioni relative a questo sottoprocesso, individuando le attività non a valore aggiunto, eliminando tali sprechi
in ottica snella, eventualmente allocando in modo differente le risorse umane all’interno della cella e ridistribuendo le stesse tra le diverse operazioni.
È importante osservare che il TC di ogni fase deve tendere al takt-time. Un
TC troppo basso costituisce un’inefficienza, in quanto si otterrebbe un grado
di utilizzazione troppo basso delle risorse relative alla fase, che dovrebbero
attendere il completamento delle fasi a monte prima di produrre.
Il principio dell’uniformità di carico sostiene che il lavoro eseguito in ciascuna fase o Cdl dovrebbe impiegare circa lo stesso tempo; in tal modo il ritmo
di avanzamento delle unità in lavorazione può essere mantenuto anche in assenza di buffer interoperazionali. Nei sistemi di produzione ripetitivi ciò può
essere attuato attraverso il bilanciamento della linea, in modo che il TC di ogni
stazione di lavoro sia circa lo stesso. L’obiettivo da raggiungere sarà comunque quello di ottenere un TC di ogni fase tendente ad un valore leggermente
inferiore al takt-time; in questo modo si avrà un processo che opera con un
flusso teso e bilanciato.
Il livellamento della produzione (heijunka) è forse la condizione che riveste
la maggiore importanza nella realizzazione di una produzione just-in-time. Infatti, nel caso in cui una stazione produttiva prelevasse i pezzi dalla stazione
precedente in modo fluttuante, per ciò che concerne quantità e tempo, sarebbe
necessario dimensionare la stazione produttiva a monte in funzione del picco massimo di richiesta con materiale a disposizione, capacità produttiva e
manodopera per quanto sia necessario a soddisfare le punte massime di variazione della domanda, con enorme spreco di capacità produttiva non saturata
e materiale immobilizzato. Inoltre, ove vi siano molte fasi di lavoro in successione, la variazione delle quantità prelevate da ciascuna fase a valle può
Gest. prod. ind.
13
JIT
moltiplicarsi man mano che si risale verso le fasi a monte. Al fine di prevenire grandi escursioni di domanda sulle linee di produzione, risulta necessario
ridurre al minimo la fluttuazione della produzione sulla linea di montaggio finale. Si tratta sostanzialmente di realizzare ciascuna tipologia di prodotto nel
lotto di dimensione minima possibile, mirando ad attuare il lotto ideale di una
unità, rispecchiando il più possibile nella sequenza produttiva l’effettivo mix
richiesto dalla domanda finale.
Il programma temporale (schedule) si occupa della temporizzazione dei flussi
di materiali e dei flussi di lavoro per la produzione. Per mantenere un flusso
regolare si deve attuare un programma il più possibile “livellato”, cioè produrre il più possibile le stesse quantità ogni giorno e mantenere costante il mix di
prodotti. Giornalmente vengono prodotti i tipi e le quantità necessarie a soddisfare la domanda. Qualora ci siano variazioni nella domanda, la flessibilità
della linea potrà far fronte alle nuove richieste su base giornaliera (mixed-model
scheduling). In questo modo il programma è livellato sia per quanto riguarda
la capacità produttiva che per quanto riguarda i flussi di materiali.
La domanda di prodotti si concretizza nelle richieste di quantità diverse di
prodotti differenti nei periodi temporali di pianificazione (giorni o settimane).
Nella produzione tradizionale, allo scopo di limitare i setup, si cerca di porre in sequenza i lotti dello stesso prodotto che deve essere assemblato su una
linea. Si risponde quindi al profilo della domanda costituendo lotti di grandi
dimensioni con run di produzione di diversi periodi per ogni item. Uno degli
effetti di tale approccio è la creazione di una domanda discontinua per i Cdl
a monte, con picchi significativi in certi periodi. Una linea mixed-model cerca
di rispondere allo stesso profilo temporale di domanda con run più brevi e
intervallando i diversi item da produrre. Questo comporta una domanda di
componenti più stabile per i Cdl a monte. D’altro canto, tale linea è concretamente realizzabile solo a fronte di una seria azione di riduzione dei tempi di
riattrezzaggio.
Riassumendo, un flusso continuo e bilanciato è il risultato di azioni di bilanciamento del processo di produzione e di un’accurata programmazione
temporale tesa a livellare il mix prodotto. Il livellamento della produzione
riduce al minimo le variazioni nelle quantità prelevate di ciascun pezzo presso ciascuna fase di subassemblaggio, permettendo così a tale fase di produrre
ciascun pezzo ad una cadenza costante o ad una prefissata quantità oraria, cercando di perseguire un modello di produzione e trasporto per unità singola.
Idealmente, un’unità di output è prodotta in ogni tempo ciclo e contemporaneamente ciascuna unità che esce da qualsiasi posizione di lavoro del processo
è trasferita alla fase successiva. Il tempo di lavoro più il tempo di trasferimento da una fase alla successiva devono essere resi uguali in tutto il processo. Il
tempo di ciclo dovrà essere cadenzato sulla base della domanda (attraverso il
takt time) e in modo tale da garantire un mix livellato compatibile con quello
richiesto dalla domanda stessa. Il processo livellato può essere adattato, senza
introdurre discontinuità, alle variazioni di domanda del cliente modificando
gradualmente la cadenza dei lotti senza alterare la dimensione del lotto stesso
in ciascuna fase di lavoro.
Gest. prod. ind.
14
JIT
5
Produzione di tipo push e pull
Lo scopo di MRP è quello di pianificare acquisti e produzione in modo che
MPS sia soddisfatto. Le quantità previste o determinate dagli ordini dei clienti
si traducono in ordini di produzione o acquisto attraverso i fabbisogni netti. Il
piano quindi calcola in anticipo, per i diversi item della distinta base, i fabbisogni e, in relazione alle politiche di lotto, li programma quantitativamente e
temporalmente (Podr e Pode). La programmazione è svolta a livello centrale
sulla base dei dati inseriti nel sistema MRP: si fissano, per ogni item i, quantità
e data di ricevimento del lotto che garantisca, nel complesso, il rispetto della
data di consegna pattuita (schedulazione all’indietro) e, sulla base del lead time fissato per il lotto di i, si determina la data di avvio della produzione nel
centro di lavoro Cdl(i).
L’ordine di produzione percorre quindi tutto il ciclo di lavorazioni, operazione dopo operazione, fino al suo completamento, la cui data dovrebbe coincidere con quella programmata. A livello locale, l’avvio della produzione nel
Cdl(i) è autorizzata dall’arrivo del lotto dell’item i “spinto” in avanti dal completamento dell’operazione precedente. Tale data dovrebbe coincidere con la
data di Podr(i). A livello globale, il rilascio di un ordine di produzione nel
sistema ne avvia l’esecuzione Cdl dopo Cdl: il piano quindi spinge la produzione (Sipper e Bulfin, 1997). Il piano MRP calcola a livello centrale quantità e
date di esecuzione e, se le ipotesi su cui è fondato il piano (scorte, lead time,
disponibilità dei Cdl) sono corrette, dovrebbe consentire il pieno rispetto degli
appuntamenti e delle quantità.
Nella realtà, i diversi ordini competono per le risorse produttive; anche se
un ordine giunge a un Cdl alla data stabilita dal programma, il tempo di attraversamento dell’operazione comprenderà non solo il tempo di setup e quelli
di esecuzione dell’ordine stesso, ma anche i tempi necessari a completare gli
ordini già presenti nel Cdl. L’ordine, dopo il completamento dell’operazione, sarà spinto a quella successiva. Qualora il ritardo rispetto al programma
sia sensibile, il responsabile del Cdl successivo potrà decidere di dare priorità
all’ordine in ritardo per ricondurlo al programma stabilito (expediting). La modifica delle priorità di schedulazione provoca comunque effetti sui tempi degli
altri ordini presenti nel sistema.
Si vede quindi che un aspetto critico dei sistemi push è la pianificazione
centralizzata che cerca di programmare in anticipo le diverse operazioni di un
ordine senza tenere conto delle condizioni reali dei Cdl e sulla base di dati molte volte distanti dalla realtà. Un sistema di monitoraggio e controllo collegato
a quello di pianificazione può portare dei benefici garantendo un aggiornamento efficace delle informazioni utilizzate dal sistema di pianificazione. In
linea generale, i fattori principali che possono portare ad una diminuzione di
efficacia del piano MRP sono i seguenti:
• modifiche negli ordini dei clienti (date e quantità);
• problemi di consegna (tempi, quantità e qualità);
• database poco accurati che invalidano i risultati della pianificazione;
Gest. prod. ind.
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JIT
• problemi a livello di produzione quali assenteismo, calo di produttività e/o efficienza, fermate dei macchinari, problemi di qualità, scarsa
comunicazione.
Si nota che alcuni di tali fattori derivano dalla scarsa capacità di molte
aziende di imporre un insieme di regole operative per mantenere aggiornate e affidabili le informazioni utilizzate da MRP, altri sono legati alle ipotesi
di base utilizzate dal sistema (Karmarkar, 1991). Particolare rilievo assume il
valore stimato per il lead time di produzione o acquisto. L’impiego di valori
di lead time fissi per le operazioni di offsetting può rendere il piano inefficace. Se non si dispone di informazioni puntuali e aggiornate sullo stato di un
Cdl e del carico presente, la tendenza può essere quella di utilizzare un valore cautelativo corrispondente al caso peggiore. Anche se l’effettivo tempo di
esecuzione di un ordine è pari a qualche ora, i periodi (time buckets) adottati
nell’elaborazione del piano sono giorni o settimane. Ad esempio, a un ordine
può essere assegnato un lead time di una settimana (un periodo) su un Cdl,
mentre l’effettivo tempo di attraversamento del Cdl sarà pari a 48 ore (tenuto
conto anche delle code): l’ordine sarà dunque completato alla fine del secondo
giorno della settimana e sarà spinto al Cdl successivo con un anticipo di tre
giorni. L’utilizzo di lead time e time bucket lunghi implica, in molti casi, che
gli ordini siano completati in netto anticipo rispetto a quanto indicato dal programma o che gli ordini stessi siano rilasciati con troppo anticipo: ciò porta a
una crescita dei livelli delle scorte di materiali, semilavorati e prodotti finiti.
Una delle idee di fondo del JIT è quella di non anticipare la produzione
creando scorte che non aggiungono valore, ma produrre solo quanto e quando
viene richiesto dal cliente. In un sistema pull il rilascio di un ordine può avvenire solo a seguito di un prelievo da un buffer di prodotti finiti. In altri termini,
condizione necessaria per l’avvio della produzione di un item i è il prelievo di
materiale i da una scorta contenente il prodotto i stesso: la produzione è così
autorizzata ma non è detto che sia avviata immediatamente. La produzione
nei Cdl non è quindi regolata da un programma temporale stabilito a livello
centrale per ognuno di essi, ma da un controllo locale dei fabbisogni.
Il sistema pull prevede che un Cdl i sia messo in relazione con i Cdl a
monte attraverso un buffer (stockpoint) contenente una quantità di ogni item
necessario alle operazioni di i (Hopp e Spearman, 2004). Questa idea deriva dalle modalità di gestione di un supermarket; esso mette a disposizione dei
clienti un’ampia varietà di prodotti, stoccandone piccole quantità: il prelievo di prodotti da parte dei clienti attiva il processo di riordino dei prodotti
prelevati (Ohno, 1988). È quindi sufficiente creare un punto di stoccaggio visitato da un addetto che controlli lo stato delle giacenze per i diversi item e
curi il processo di riordino verso i fornitori (Figura 3). In linea di principio
è possibile ipotizzare che ogni volta che si verifica un prelievo si autorizzi un
ordine di ricostituzione della scorta (sistema base stock). Tuttavia la logica adottata dai sistemi pull nel JIT prevedono una gestione a lotti e una modalità di
segnalazione graduale.
Il Cdl i − 1, che produce il componente i − 1 lavorato in i, sarà autorizzato a
produrre i − 1 quando la scorta corrispondente sarà scesa al di sotto di un
Gest. prod. ind.
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JIT
Figura 3: Sistema a punto di stoccaggio
certo valore di soglia. La scorta di prodotto è così “discretizzata” in unità
di accumulo costituite da contenitori. Questo sistema richiama la logica del
controllo a due serbatoi (two bins system): l’ordine di ricostituzione è lanciato
nel momento in cui il primo serbatoio è stato svuotato a seguito dei prelievi e
la capacità del secondo serbatoio dovrebbe essere sufficiente a proteggere da
condizioni di stockout (Figura 4).
Figura 4: Sistema a due serbatoi
Il principio base della produzione pull è anche alla base della produzione
con livello di riordino per domanda indipendente. Si è però visto che tale tipo
di produzione non è efficace per la gestione dei fabbisogni, in quanto la dipendenza della domanda di componenti da quella degli item finali, attraverso la
distinta base, contrasta con l’ipotesi di costanza (media) della domanda, valida in alcuni casi di domanda indipendente. Gli elementi che distinguono JIT
dalla produzione con livello di riordino sono principalmente due:
• la dimensione dei lotti di produzione e acquisto;
• la lunghezza dei lead time.
Se si considera l’espressione del lotto economico
s
2Cr D
Q=
Ch
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JIT
in cui Cr , per la produzione in-house, comprende principalmente i costi di setup, è possibile ridurre il lotto di produzione Q se, come accade per la produzione JIT, si incide sul costo di setup o su quello di riordino. Questa azione può
essere vista da un punto di vista grafico (Fig.5 e Fig.6): la curva relativa ai costi
di riordino è fatta traslare portando ad un nuovo valore del lotto economico
EOQ.
Si possono verificare però problemi in quanto, a parità di domanda, lotti
piccoli devono essere ordinati più frequentemente. Ci si avvicina, più rapidamente che nel caso tradizionale, alla condizione di stockout che può verificarsi
se la domanda nel LT eccede le attese. Ecco quindi che se la domanda non
è sufficientemente stabile la produzione JIT non può dare garanzie di “robustezza” al verificarsi di eventi non previsti. Questo comporta la necessità di
attuare procedure operative per la riduzione dei tempi di setup e di ridurre
le fluttuazioni sulle fasi finali del processo di produzione. Del secondo punto
si è già discusso nel paragrafo 4.2 quando si è introdotto il concetto di linee
mixed-model. Si accennerà qui di seguito al primo aspetto, rimandando alla
letteratura per eventuali approfondimenti.
Mentre nel contesto di produzione di massa l’inconveniente di lunghi tempi di setup veniva risolto con dimensioni dei lotti di produzione molto grandi
allo scopo di minimizzare l’incidenza dei costi di setup per pezzo prodotto,
nel TPS, attraverso la riduzione dei tempi (e dunque costi) di setup è possibile
effettuare un cambio-tipo con maggiore frequenza e diminuire la dimensione
dei lotti di produzione. Ciò comporta l’invio degli ordini ai fornitori (interni
o esterni) con maggiore frequenza ma per lotti di dimensione inferiore. Tali
obiettivi operativi sono sussunti nel concetto di “quick changeover”. Changeover
è il punto di delimitazione di un ciclo che inizia dall’emissione di un ordine
di riapprovvigionamento (all’atto del superamento di una soglia di quantità a
stock prefissata), la ricezione della merce, il consumo del materiale e l’emissione del successivo ordine d’acquisto. Maggiore è la frequenza con cui avviene
il riapprovvigionamento dei materiali necessari, ordinando lotti di quantità limitata, maggiore sarà l’indice di rotazione delle scorte e minore sarà il valor
medio dello stock.
Il quick changeover presuppone la riduzione dei tempi di setup, ottenuti attraverso l’applicazione di metodologie operative come lo SMED System (Single
Minute Exchange of Die) Shingo (1985). L’obiettivo è di realizzare il riattrezzaggio entro i 10 minuti (single digit setup). Il metodo SMED classifica le operazioni di riattrezzaggio in interne ed esterne. Le prime sono tutte le operazioni
che devono essere necessariamente effettuate mentre le macchine sono spente e non sono produttive. Le seconde sono le operazioni che possono essere
effettuate mentre la macchina sta producendo. L’idea base è la conversione
delle operazioni di setup da attività interne ad attività esterne, attraverso l’introduzione di procedure e accorgimenti che semplificano le attività operative.
Si possono tra l’altro citare: la standardizzazione delle operazioni, l’utilizzazione di sistemi di aggancio semplificati ed universali (quick fasteners), l’introduzione di guide che riducono gli errori e permettono di ridurre i tempi di
centraggio del pezzo, la predisposizione dello svolgimento delle operazioni in
parallelo attraverso la collaborazione di più operatori, la semplificzione delle
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JIT
Ct
Q
EOQ
Figura 5: Lotto economico classico
Ct
EOQ
Q
Figura 6: Riduzione del lotto economico
Gest. prod. ind.
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JIT
regolazioni da continue a discrete, l’ubicazione degli strumenti e delle attrezzature in prossimità della stazione di utilizzo, in modo ordinato, in luoghi di
facile accessibilità e reperibilità e la riduzione del numero di utensili necessari. Un altro modo di ridurre i setup può derivare dalla fase di progettazione
del prodotto, predisponendo una comunanza di componenti tra famiglie di
prodotti differenti, oppure in fase di progettazione del processo produttivo,
predisponendo macchinari di più piccole dimensioni anziché un unico macchinario di grossa capacità (aumentando in tal modo la flessibilità del sistema
complessivo).
6
6.1
Il sistema kanban
Generalità
Al paragrafo precedente si è visto come un sistema di gestione pull in ottica
snella necessiti di alcuni elementi che sono alla base del sistema di gestione dei
flussi produttivi e dei materiali ideato in ambito TPS:
• punti di stoccaggio (kanban stockpoint);
• segnale di prelievo;
• feedback immediato;
• ricostituzione frequente delle scorte.
Il JIT imponendo una riduzione di LT e un sistema di produzione pull richiede un modo per generare un segnale di richiesta di materiale che costituisce
altresì l’autorizzazione a produrre. Secondo gli ideatori del TPS, si dovrebbe evitare una procedura troppo formale o strutturata che richieda eccessivo tempo
per determinare reazioni nel sistema produttivo. Gli sviluppatori del JIT hanno perciò introdotto un metodo che utilizza dei semplici cartellini che riportano
delle informazioni, tra cui:
• numero delle parti e identificazione;
• localizzazione dello stoccaggio;
• dimensione del contenitore (se sono attaccati ad un contenitore);
• Cdl (o fornitore) di origine.
Il sistema kanban ha come presupposto la corretta realizzazione ed il supporto del livellamento della produzione, del corretto layout dello stabilimento
e dei macchinari (allo scopo di ottimizzare le movimentazioni dei pezzi e ridurre i tempi di attraversamento), della riduzione dei tempi di attrezzaggio
dei macchinari, della standardizzazione dei cicli di lavoro, del controllo autonomo dei difetti (jidoka). Il nome “kanban” identifica propriamente il sistema
che rende visibile l’attività compiuta in un centro di lavoro. In particolare,
Gest. prod. ind.
20
JIT
si devono evidenziare le operazioni che richiedono scambi tra attività, sia in
termini di materiali che di informazioni. L’origine del nome risale a quella
di “insegna” che rende immediatamente chiara l’attività svolta in un locale.
Si è successivamente diffusa l’abitudine di indicare con il termine kanban i
cartellini che costituiscono uno degli elementi più noti del sistema stesso.
Si possono predisporre sistemi a uno o due cartellini. Nel secondo caso, vi
sono due tipi di kanban: il kanban di produzione (production kanban), che può
essere assimilato ad una autorizzazione a realizzare un pezzo o semilavorato,
ed il kanban di prelievo (withdrawal kanban), che può essere identificato con
una autorizzazione a prelevare. Tra due stazioni produttive consecutive, separate da un buffer interoperazionale, la strategia pull prevede che la stazione a
monte attivi la produzione solo su richiesta della stazione a valle. Il kanban è
quindi lo strumento con cui la stazione a valle comunica i suoi fabbisogni alla
stazione a monte. Nel paragrafo seguente sarà dettagliato il funzionamento
del kanban a due cartellini, trascurando, momentanemente, aspetti operativi
di gestione dei materiali e dello stockpoint che saranno ripresi in seguito.
6.2
Funzionamento del sistema a due kanban
Come menzionato nel paragrafo 6.1, nel sistema kanban a due cartellini ci sono
due tipi di cartellino:
• il cartellino di produzione (P);
• il cartellino di prelievo o trasporto (T).
All’inizio del processo, quando tutti i cartellini sono attaccati a contenitori pieni non c’è movimento (Fig.7): solo quando un cartellino non è attaccato ad un
contenitore inizia l’attività. Il numero di cartellini in pratica limita la scorta di
ogni item presente ad ogni stockpoint (ad esempio, a valle di un Cdl).
CdL 1
Materiali
CdL 2
Prodotti
C. di produzione
Materiali
Prodotti
C. di prelievo
Figura 7: Funzionamento del kanban (1)
Quando un processo a valle del Cdl2 richiede materiale, un operatore preleva un contenitore da Cdl2 lasciando lì il cartellino di produzione e apponendo sul contenitore un cartellino di prelievo relativo al Cdl “cliente”: il
cartellino privo di contenitore autorizza la produzione del prodotto 2 (Fig.8).
Nella configurazione tipica, il cartellino di produzione è collocato in un
box o raccoglitore (kanban bin o kanban post) ubicato nello stockpoint ed è poi
Gest. prod. ind.
21
JIT
CdL 1
C. di produzione
CdL 2
C. di prelievo
Figura 8: Funzionamento del kanban (2)
prelevato e apposto su una tabelliera (kanban board) facilmente consultabile e
gestibile situata nel centro di lavoro dove il materiale è realizzato. La tabelliera
è, ad esempio, suddivisa in colonne, ognuna assegnata ad un prodotto realizzato nel Cdl2, e in fasce orizzontali, spesso colorate, indicanti tre diverse zone
di attenzione (bianca, gialla e rossa). I cartellini sono collocati in successione a
partire dalla zona bianca fino alla rossa. La presenza di un cartellino in zona
bianca è condizione necessaria per la produzione dell’item relativo, mentre la
presenza di una fila di cartellini che raggiunge la zona gialla indica una situazione di basso livello di scorte del prodotto relativo. Infine la presenza di una
fila di cartellini che raggiunge la zona rossa indica una condizione di stockout
per l’item relativo: tipicamente il numero di cartellini corrisponde alla totalità di contenitori, relativi ad un item, stoccati presso lo stockpoint di output
del Cdl. Gli operatori necessitano per la produzione di materiali che si trovano nei contenitori a monte del Cdl2, quindi appena il contenitore è svuotato il
cartellino di prelievo viene staccato e portato presso Cdl1 (Fig.9). Intanto i prodotti finiti 2 riempiono un nuovo contenitore di prodotti finiti 2 rimpiazzando
quello inviato a valle.
CdL 1
C. di produzione
CdL 2
C. di prelievo
Figura 9: Funzionamento del kanban (3)
L’operatore addetto alla movimentazione, in Cdl1 stacca il cartellino P da
un contenitore e attacca il cartellino T allo stesso contenitore: ora il contenitore
può essere prelevato e condotto al Cdl2 (Fig.10).
È così autorizzata la produzione in Cdl1, che avrà bisogno dei materiali a
monte (Fig.11).
Gest. prod. ind.
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JIT
CdL 1
CdL 2
C. di produzione
C. di prelievo
Figura 10: Funzionamento del kanban (4)
CdL 1
CdL 2
C. di produzione
C. di prelievo
Figura 11: Funzionamento del kanban (5)
Si può notare che i movimenti dei cartellini sono localizzati in modo molto
chiaro: i cartellini di produzione circolano solo all’interno di un Cdl, mentre
quelli di prelievo circolano tra due Cdl contigui (Fig.12).
CdL 1
C. di produzione
CdL 2
C. di prelievo
Figura 12: Localizzazione cartellini
La produzione e movimentazione avviene in reazione all’utilizzo dei materiali da parte dei centri a valle. La gestione delle movimentazioni può essere
svolta a cura di personale addetto al trasporto o da parte degli operatori dei
Cdl, purché sia chiaramente definito il ciclo di operazioni e l’area di azione (ad
esempio, l’operatore del Cdl i si occupa dei prelievi verso monte). Perché il
sistema funzioni correttamente gli operatori devono seguire alcune regole di
base:
• ogni contenitore con parti deve avere uno e un solo cartellino;
Gest. prod. ind.
23
JIT
Figura 13: Kanban a un cartellino
• non si possono stoccare contenitori pieni parzialmente;
• non c’è produzione o movimentazione non autorizzata da un cartellino
staccato.
Esistono dei metodi alternativi a quello visto. Nel kanban ad un cartellino (Fig.13) si utilizza solo il cartellino di produzione: esso è staccato e posto
nel raccoglitore all’atto del prelievo del contenitore da parte del Cdl a valle. Si possono impiegare contenitori a codici colorati o sistemi computerizzati
(con codici a barre). L’aspetto fondamentale è che comunque vi sia un chiaro
segnale che consenta di reagire generando attività.
6.3
Aspetti operativi
Un primo aspetto operativo riguarda la configurazione degli stockpoint. Nella
pratica i due tipi principali di stockpoint sono:
• supermarket,
• FIFO lane.
Il supermarket è costituito da un insieme di scaffalature leggermente inclinate, aperte su entrambi i lati (facciata anteriore e posteriore) in modo da consentire l’alimentazione di materiale dalla parte posteriore e il prelievo dalla
parte anteriore. La logica è quindi di tipo FIFO. Il supermarket è adatto per
item diffusi con buona rotazione ed è dotato di ampie varietà di articoli. Esso
costituisce un punto di disaccoppiamento fisico tra “produttori” (a monte) e
“clienti” (a valle): la figura 14 illustra schematicamente la gestione dei flussi di
informazione (kanban) e di materiali avente il supermarket come riferimento.
La FIFO Lane è impiegata ad esempio per pezzi costosi che sono utilizzati
poco frequentemente o prodotti fortemente personalizzati con un ciclo di vita brevissimo. In questi casi non risulta conveniente né pratico detenere una
scorta di tutte le possibili parti in un supermarket. Pertanto, per riuscire a
mantenere un controllo della produzione tra processi che non sono legati da
un flusso continuo, si inserisce un tunnel con capacità finita, in cui i pezzi sono prelevati con logica FIFO. La stazione a monte produce l’item destinato alla
Gest. prod. ind.
24
JIT
Figura 14: Supermarket stockpoint
FIFO lane finché il tunnel non è saturo, poi si arresta e riprende la produzione solo nel momento in cui la quantità di pezzi contenuta nel tunnel torna ad
essere inferiore alla capacità massima. In questo modo si previene la situazione dell’overproduction: quando la lane è piena, non vengono più rilasciati
kanban verso la stazione a monte.
Un secondo aspetto operativo riguarda la gestione dei kanban e dei contenitori. Essa dipende operativamente da due aspetti principali: il modo in cui
le scorte sono ripristinate nello stockpoint e le modalità di movimentazione
dei materiali. Il ripristino può avvenire secondo due logiche principali:
• quantità costante a ciclo variabile;
• quantità variabile a ciclo costante.
Nel primo caso l’invio dei kanban di produzione avviene quando la scorta
presente nello stockpoint si abbassa fino a un livello soglia individuato da un
certo numero di kanban. Similmente a quanto avviene per il punto di riordino,
l’addetto preleverà i kanban di produzione e li consegnerà al Cdl produttore.
Nel secondo caso, l’addetto alla movimentazione visita lo stockpoint ad intervalli di tempo fissati: egli preleva tutti i kanban presenti nel raccoglitore per
conferirli ai Cdl relativi. Vale rilevare che il numero totale di cartellini, relativi
ad un item, determina la scorta totale per l’item stesso. Tale numero è pari alla
somma dei cartellini nel box di raccolta presso il supermarket, dei cartellini attaccati ai contenitori pieni di materiale nel supermarket stesso e dei cartellini
in fase di evasione nel Cdl a monte.
Il numero di kanban rimane costante per un periodo di tempo stabilito dal
responsabile di processo dopo essere stato calcolato in funzione del fabbisogno
mensile, della criticità del materiale, del lead-time di produzione/consegna.
Tale numero può essere aggiornato con cadenza quindicinale o mensile in funzione della variazione della domanda. Si è osservato infatti che il controllo
Gest. prod. ind.
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JIT
della produzione con il kanban può essere adottato solo per piccole fluttuazioni di domanda. Secondo Toyota, variazioni di domanda di circa il 10% possono
essere gestite cambiando semplicemente la frequenza di rotazione dei kanban
senza modificarne il numero totale. Nel caso di grandi variazioni di domanda
rispetto ad un programma già emesso o rispetto a quello del mese precedente,
è necessario riorganizzare tutte le linee di produzione, attraverso un ricalcolo del tempo di ciclo di ciascun reparto e verificando nuovamente le risorse
necessarie. In alternativa, si dovrà aumentare il numero totale di kanban.
Il sistema kanban può supportare il controllo autonomo (jidoka), in quanto
anche i cartellini contribuiscono al controllo visuale di anormalità in produzione. Poiché il numero di kanban esprime la massima quantità di unità di
articolo in circolazione, esso, in ottica TPS, deve essere limitato al valore più
piccolo possibile. L’autorità delegata alla modifica del numero di kanban in
circolazione è il responsabile di ogni reparto. Se la produttività o la flessibilità
del reparto migliora, diminuendo la dimensione dei lotti e riducendo i leadtime, allora il numero di kanban potrà essere ridotto. Per converso, al crescere
della domanda media giornaliera, si dovrebbe ridurre il lead-time, ma ciò richiede la riduzione del tempo di ciclo. Il reparto che non è in grado di attuare
questo miglioramento subirà delle fermate oppure sarà costretto a ricorrere a
lavoro straordinario.
Il sistema kanban deve essere supportato da una corretta gestione della
movimentazione dei materiali all’interno dello stabilimento. Questo aspetto
si inserisce all’interno della riduzione delle attività non a valore aggiunto, in
quanto il cliente non ha percezione di queste attività ed esse non determinano alcun aumento del livello di servizio o delle prestazioni nei confronti del
fruitore del prodotto. La movimentazione dei componenti deve dunque essere condotta con efficienza. Spesso infatti il supermarket è alimentato con
componenti provenienti non dal processo precedente bensì direttamente dal
magazzino, in quanto acquistate da fornitori esterni. Allo scopo di ridurre
le attività non a valore aggiunto, è necessario ridurre le movimentazioni di
materiale e lo spazio complessivamente percorso dai materiali e dagli operatori di magazzino. In tal senso, piuttosto che effettuare un elevato numero di
viaggi da e per il magazzino, consegnando grandi quantità di materiale presso
un’unica stazione produttiva, risulta essere maggiormente conveniente consegnare piccole quantità di tanti differenti codici, servendo una molteplicità di
stazioni con ogni viaggio, consegnando con maggiore frequenza: questo è il
concetto base del milkrun interno. Il fatto di consegnare lotti di dimensione ridotta implica la maggiore frequenza di consegna, ma richiede, al contempo,
una dimensione dello stock di entità molto inferiore nei supermarket. Inoltre,
il percorso totale effettuato dal movimentatore risulta essere complessivamente inferiore: anziché effettuare tante volte il tragitto dal magazzino ai centri di
lavoro, una volta per ogni Cdl, si effettua un unico percorso circolare che, partendo dal magazzino, passa una volta da ogni buffer, rifornendolo di quanto
consumato, per ritornare al magazzino con tutti i kanban raccolti dai box di
ogni Cdl cliente.
Si può infine osservare che il sistema pull non sarebbe efficace in assenza di
una quantità, pur minima, di scorta tra Cdl e Cdl (Nicholas, 1998). Si supponGest. prod. ind.
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JIT
ga di avere un flusso semplice di Cdl in sequenza, ciascuno in comunicazione
solo con quello che lo precede e che lo segue, e che un ordine si manifesti all’assemblaggio finale Cdl(n). Affinché Cdl(n) possa iniziare l’operazione di
assemblaggio dovrà richiedere, non essendoci per ipotesi stock in input, gli
assiemi al Cdl(n − 1); quest’ultimo, non avendo buffer in output, dovrà procedere all’assemblaggio richiedendo i componenti al Cdl che lo precede e così
via. Se, ad esempio, il sistema è costituito da cinque Cdl ciascuno dei quali
impieghi quattro ore per la produzione del lotto, ipotizzando sia presente una
scorta di materie prime e che la trasmissione dell’informazione, in ottica pull,
sia istantanea, saranno necessarie almeno 16 ore (due giorni) per poter avviare
l’assemblaggio finale che richiederà ancora 4 ore. In presenza di buffer interoperazionali, invece, i Cdl non devono attendere per iniziare la lavorazione e
quindi il sistema è maggiormente reattivo alla domanda.
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Pregi e difetti dei diversi sistemi
I sistemi di pianificazione di tipo push (quali MRP), dato che considerano orizzonti di pianificazione e periodi lunghi, basandosi sulle previsioni di MPS,
sono maggiormente indicati in quegli ambienti produttivi caratterizzati da forti incertezze e variabilità. La pianificazione operativa, che elabora le liste delle
priorità per il lancio delle lavorazioni sulle stazioni operative, stabilisce tali liste
senza considerare l’esplicita richiesta di Cdl a valle, ma sono basate sull’elaborazione di parametri. L’efficacia della pianificazione dipende però fortemente
dalla qualità e dalla prontezza dei dati forniti al sistema di elaborazione. Ciò
può essere costoso in termini tecnologici e gestionali; in ambienti più stabili il
processo produttivo può essere meglio gestito da metodi più semplici.
Il JIT è orientato alla riduzione delle incertezze in modo da rendere il processo più stabile e prevedibile. In particolare il sistema kanban è reattivo, non
attua pianificazioni preventive. A differenza delle liste di priorità, in questo
caso la produzione è basata sugli effettivi fabbisogni a valle. Il metodo kanban
risulta quindi poco efficace in ambienti instabili ed imprevedibili (ad esempio
ETO) proprio a causa della sua natura reattiva e non propositiva.
Stanno perciò diventando comuni dei sistemi ibridi MRP-kanban: MRP si
occupa di pianificare fabbisogni per materiali con lunghi LT e risorse critiche
mentre il kanban è impiegato per la gestione operativa, viste le sue caratteristiche che prevedono riduzione di scorte e risposte rapide. Sono stati inoltre
introdotti dei sistemi di gestione operativa push-pull in cui l’assegnazione delle
priorità di lavorazione è svolto in primo luogo dalla tabelliera e poi dalla lista
delle priorità a cui si attribuisce la funzione di autorizzazione alla produzione:
la produzione di un contenitore del codice specifico è avviata se è presente il
cartellino di produzione e se vi è un ordine specifico nella lista.
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