In Oman, fra tradizione e modernità

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In Oman, fra tradizione e modernità
In Oman,
modernità
fra
tradizione
e
Il piccolo sultanato arabo cerca la sua strada, al riparo da fanatismo e
odio. Qui le donne godono di diritti inimmaginabili nella vicina Arabia
Saudita: possono laurearsi, fare carriera e perfino chiedere il divorzio
DI GIANNI PERRELLI
Studentesse universitarie. Foto di Carlo RamerinoIn un Medioriente squassato dai conflitti
confessionali, l’oasi dell’Oman è il baluardo dell’Islam mite e tollerante. Non c’è traccia di tensioni
sociali e di criminalità. Le conversazioni sui temi più roventi dell’attualità hanno toni quasi accademici.
C’è
rispetto
per
le
altre
fedi,
ricerca
di
dialogo,
volontà
di
mediazione.
Nella penisola arabica, Muscat sembra un altro pianeta rispetto alle tragiche convulsioni di Bagdad,
Damasco, Sana. Lo è per lastabilità politica e per l’assenza di integralismi. E anche per il decoro
urbano e per l’ossessione della pulizia che la fanno apparire una succursale della Svizzera rispetto a
tante sgangherate metropoli dell’area. Ma la capitale dell’Oman si distacca pure per la sobrietà dei
costumi rispetto alla bulimia di lusso del Qatar, degli Emirati Arabi, del Bahrein e del Kuwait. E,
pur nel rispetto della sharia come fonte del diritto, per le aperture sociali rispetto ai codici pietrificati
del wahabismo saudita che ancora impediscono alle donne di guidare l’automobile.
Con Allah, senza violenza
La strada della crescita passa in Oman per la parità dei diritti e per l’istruzione. In un paese di
soli tre milioni di abitanti, perlopiù arabi, nel settore pubblico le donne dirigenti sono più che in Italia.
Nelle università le studentesse si impegnano negli studi più dei colleghi maschi. Molte manager
ricoprono posti di rilievo nella grande industria. Ma neanche in politica le possibilità di ascesa sono
precluse. Il processo di emancipazione consente loro, a differenza delle tradizioni più radicate nella
regione, di trattenere il proprio reddito per se stesse. E, senza sconvolgere l’ordine sociale, di poter
chiedere il divorzio. L’unica regola a cui è doveroso attenersi è la morigeratezza negli abiti e nei
comportamenti. Le donne indossano abitualmente l’abbeyya e portano il velo, ma spesso nelle serate
eleganti sotto il costume tradizionale fanno intravedere le creazioni griffate dell’Occidente.
Nelle vignette sono pudicamente rappresentate in maniera asettica come sagome ricoperte da una
tunica
nera.
Però tra le giovani meno osservanti, che nelle sere di week end affollano le discoteche dei grandi
alberghi, cresce la spinta verso la completa libertà. Una tendenza alimentata dalla globalizzazione che
anche qui ha reso le nuove generazioni dipendenti da smartphone e social network. E la popolazione
maschile ipnotizzata dal calcio internazionale (c’è un campo di football, con le porte delimitate da due
tappeti,
anche
a
3
mila
metri
di
altezza
sulle
vette
del
Jebel
Shams).
La tolleranza è uno dei principi ispiratori della dottrina ibadita, una sorta di terza via
musulmana fra il credo sunnita (da cui origina) e quello sciita, che sviluppatasi a Bassora intorno al
settimo secolo ha trovato prima in Nord Africa (soprattutto in Algeria) e poi nell’Oman la sua massima
espansione. È una fede che si basa sulla rigorosa osservanza del Corano ma esclude la vendetta e
predica la pacifica coesistenza con altre religioni. Un orientamento che in tempi recenti ha favorito
rapporti cordiali sia con l’Iran sciita che con l’Arabia Saudita sunnita, i due poli che si contendono la
leadership dell’Islam. E che sul piano del costume consente il consumo di alcol nei locali frequentati
dagli occidentali.
L’indole propensa alla conciliazione è stata sublimata negli ultimi 44 anni a ideologia politica dal
sultano quasi 74enneQabus bin Said, autoritario all’interno ma senza eccessi dittatoriali e mediatore
di conflitti in Medio Oriente. È diventata leggendaria la sua ascesa al potere nel 1970, in un Paese
governato nell’oscurantismo dal padre Said bin Taimur. Un sovrano non avido ma accecato dalla difesa
ad oltranza delle tradizioni feudali. Qabus aveva studiato in Inghilterra al collegio militare di
Sandhurst, dove aveva familiarizzato con lo stile di vita europeo ed era diventato un fan dei Beatles. Al
ritorno in patria portò nascosto nel baule un disco dei Fab Four, messi al bando nelle società
musulmane. Si ritrovò sbalzato indietro di qualche secolo in una società ermeticamente chiusa agli
stimoli del mondo. In Oman non c’era né radio né televisione e non si pubblicavano giornali. Erano
proibiti anche gli occhiali da sole perché “annebbiavano l’anima”. In tutto il paese le scuole erano
soltanto due. E due erano anche gli ospedali, gestiti da una missione americana. L’asfalto, in un
territorio grande come l’Italia, ricopriva le strade per appena una decina di chilometri. Il sultano
preferiva girare in cammello. All’imbrunire chiudeva i portoni attraverso cui si accedeva al centro della
capitale e sbarrava il porto con le catene.
Qabus entrò subito in contrasto con il genitore che trascorreva lunghi periodi nel palazzo presidenziale
di Salalah (luogo di origine) ignorando gli scontri fra le tribù e i drammi della popolazione afflitta
dall’ignoranza, dalla miseria e da spaventosi tassi di mortalità infantile. Costretto agli arresti
domiciliari, decise che l’Oman non poteva rimanere fermo al Medio Evo. Chiamò in aiuto alcuni
commilitoni di Sandhurst e realizzò un colpo di Stato senza spargimento di sangue. Dopo la fulminea
sommossa il vecchio sultano, leggermente ferito a un piede, fu trasferito in esilio nei piani alti di un
lussuoso albergo di Londra, dove morì di crepacuore.
Qabus diede subito impulso all’economia varando un faraonico piano di infrastrutture (autostrade,
aeroporti, centri commerciali) che ha schiuso le porte del benessere. E pose le basi di un sistema
scolastico che ha spianato le strade dell’istruzione di massa. L’Oman ha moderate riserve di petrolio e
di gas (rappresentano la metà del Pil). Ma con le moderne tecniche di coltivazione ha
raggiunto l’autosufficienza alimentare. E ha grandi risorse turistiche, che spaziano dai preziosi
borghi medievali come Nizwa alla catena dei forti militari, dal deserto alle montagne, dalle coste
immacolate ai parchi naturali (con tartarughe giganti e specie biologiche rare). Grazie al fiuto della sua
classe dirigente nel tessere relazioni è diventato poi un centro finanziario in cui si muovono affari
giganteschi nelle penombre della diwanya (il salotto dei potenti in cui si beve il tè e i businessman
discorrono di politica e di transazioni internazionali).
Qabus ha saputo disinnescare anche le sacche di malcontento intervenendo nelle fasi più delicate
(come durante le primavere arabe) con interventi salariali e concessioni di diritti civili. Hadifeso le
tradizioni beduine trascorrendo ogni anno lunghi periodi nelle zone più remote del Paese dove la
magia conserva la sua importanza e al collo dei neonati vengono messi gli amuleti con i versetti del
Corano per allontanare il malocchio.
Viaggia sui sentieri a dorso di cammello e dorme in tenda, ma nel tempo libero ama i cavalli, le armi, il
tennis, le crociere nel suo panfilo sontuoso (è stato spesso in Italia). Intanto il suo Paese cresce ma
resta sempre un po’ ai margini dei grandi flussi di sviluppo. Ecco che allora i grossi investimenti sono
indirizzati alla costruzione di una ferrovia ad alta velocità che nel tratto omanita collegherà Salalah a
Barami (confine con gli Emirati Arabi) per poi proseguire lungo il Qatar, l’Arabia Saudita e il Bahrein
fino al Kuwait. Un progetto che accelererà il cammino verso una modernità che l’Oman vuole
equilibrare con la valorizzazione delle sue radici.