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Autorizzazione Tribunale di Pisa in corso di registrazione - Finito di stampare nel mese di luglio 2015, presso le Industrie Grafiche della Pacini Editore SpA, Pisa
Periodico di Scienze Riabilitative e Motorie
Anno I ∙ 2 - 2015
La mobilizzazione in anestesia
locoregionale di plesso
nella capsulite idiopatica e nella
rigidità post traumatica di spalla
Disturbi mestruali e amenorrea
nelle atlete
Molecole energetiche
e attività fisica
L’immunodepressione indotta
da attività sportive di endurance
Trattamento con le onde d’urto
La sindrome compartimentale
cronica da sforzo della gamba.
Una diagnosi difficile e spesso
dimenticata
Campi magnetici ed
elettromagnetici pulsati: evidenze
scientifiche per l’applicazione nelle
patologie tendinee
Intervista ad Alberto Bartali
ACIDO IALURONICO CROSS-LINKATO
induce rapido sollievo dal dolore e il recupero
della funzionalità articolare del ginocchio
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ISSN 2421-3292
Periodico di Scienze Riabilitative e Motorie
Anno I ∙ 2 - 2015
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Schmitz Christoph (Munich - Germany)
Soldani Paola (Pisa - Italy)
Stecco Antonio (Padova - Italy)
Stecco Carla (Padova - Italy)
Vitale Marco (Parma - Italy)
Sommario
editoriale
43
Lettera al Direttore di S. Marinai
articoli originali
45
La mobilizzazione in anestesia locoregionale di plesso nella capsulite idiopatica
e nella rigidità post traumatica di spalla
M. Biondi, F. Inglese, M. Fontana
55
La sindrome compartimentale cronica da sforzo della gamba. Una diagnosi difficile
e spesso dimenticata
F. Sirico, D. Nurzynska, F. Di Meglio, C.Castaldo, R. Spera, S. Montagnani
63
Disturbi mestruali e amenorrea nelle atlete
L. Pieruzzi, E. Molinaro
ReviewS
71
78
L’immunodepressione indotta da attività sportive di endurance
R. Banducci, C. Giammmattei, F. Banducci, A. Tomasi
Campi magnetici ed elettromagnetici pulsati: evidenze scientifiche per l’applicazione
nelle patologie tendinee
L. Magaudda, L. La Verde, E.M. Bonura, M.A. Rosa
Approfondimenti
84
Molecole energetiche e attività fisica
M. Ceriani
89
Trattamento con le onde d’urto
G. Dutra, R. Kaz
notizie
91
Intervista ad Alberto Bartali
“Utilizzo la sabbia per preservare i tendini e alzare i volumi”
a cura di E. Calvani
Anno I ∙ 2 - 2015
JSA 2015;2:43-44
Marco Gesi
In questo numero di “The Journal of Sport and Anatomy” abbiamo scelto di utilizzare lo spazio dedicato all’editoriale per pubblicare una lettera che abbiamo ricevuto da un nostro allievo. Quotidianamente cerchiamo di dare ai
nostri studenti una formazione che risulti la più adeguata possibile. Una formazione adeguata ai tempi che stiamo
vivendo con tutte le difficoltà che un giovane laureato incontra sul proprio cammino professionale. Cerchiamo
di formare i professionisti del domani che, una volta finiti i nostri percorsi post-laurea, siano pronti a entrare nel
mondo del lavoro, a mettersi in discussione e a far valere il loro sapere. Nelle nostre possibilità cerchiamo di mantenere il contatto con tutti, non solo con coloro che stanno ancora frequentando i master ma anche con coloro
che sono già diplomati ma che continuano a chiedere consigli utili. Crediamo che formare professionisti non voglia dire abbandonarli una volta finito l’obbligo dell’iter formativo, ma continuare a rendersi disponibili al bisogno
anche una volta terminati gli studi.
Lasciamo questo spazio a uno di loro che ci ha scritto al ritorno di un’esperienza lavorativa come molti dei nostri
allievi fanno durante l’anno di formazione dei nostri master. Rappresenta l’ultima testimonianza che insieme alle
tante altre ricevute ci gratifica per il lavoro che abbiamo svolto negli ultimi dieci anni.
Un’avventura disegnata su misura per noi
Mi trovo su un aereo, destinazione Marinella di Cutro
(Crotone), perché sono stato scelto tra i fisioterapisti di
Sport and Anatomy che il direttore ha deciso di mandare ai
campionati italiani universitari di calcio a 5. Guardo dal finestrino, saluto l’aeroporto di Pisa con un bagaglio in stiva e
uno nascosto dentro di me, pieno di entusiasmo, curiosità,
ma anche di un senso indescrivibile di paura e ansia miscelate tra loro in maniera perfetta.
Sport and Anatomy ha già
partecipato a molti eventi di questo tipo e i colleghi che mi
hanno preceduto hanno sempre svolto un lavoro impeccabile… questo non mi facilita ad alleggerire la tensione!
Il Master in Fisioterapia Sportiva mi ha dato ottime
basi per svolgere al meglio la mia professione e oggi
giustamente mi lancia nella “mischia”. Non sarò più lo
studente che guarda dalla panchina il lavoro svolto dai
superiori, ma per la prima volta mi troverò in campo da
professionista a misurarmi con il mio sapere. Come tutti
i miei colleghi, che dividono con me questa esperienza,
(siamo in sei) mi sono preparato molto per arrivare a sedermi su questo aereo, so quanto ho faticato e quanto
ho desiderato questa opportunità, ma il peso della responsabilità si fa sentire in modo indescrivibile.
Metto le
mie fidate cuffie, ascolto le mie canzoni preferite e viaggio con la mente, immaginando tutti gli scenari possibili
che si potranno presentare. Pensieri, concetti, stralci di
tanti libri studiati, ricordi … e ancora di più!
Dentro di me tutto viaggia più veloce di questo aereo
con destinazione Crotone; aereo che mi sta portando nel
centro esatto del mio caos, dove la soddisfazione e la curiosità cercano di mettere in un angolo l’ansia e la paura di
editoriale
non farcela. All’improvviso, una voce rompe il circolo vizioso dei miei pensieri che si susseguono senza un ordine e
capisco di essere arrivato a Crotone.
Ci sta aspettando un
pullman con destinazione Marinella di Cutro e guardando
il paesaggio dal finestrino mi domando “avrò fatto la cosa
giusta?”. Sento l’euforia e l’ansia aumentare in maniera
esponenziale man mano che il pullman divora voracemente i chilometri che mi separano dalla destinazione tanto attesa quanto temuta. Arrivati! Ci accolgono alla reception,
sbrighiamo velocemente il “check in” , prendiamo le chiavi
della stanza e tutte le indicazioni utili per l’intera settimana.
Entro in camera, disfo frettolosamente la valigia e cerco
la nuova divisa grigia Sport and Anatomy: ora è tutto reale,
finalmente la indosserò. La guardo, inizio a fantasticare, poi
a sorridere e infine a fremere, sentendo la soddisfazione
che piano piano mi invade il corpo. Ma non c’è tempo per
assecondare i voli pindarici della mente, è giunto il momento di andare con i miei colleghi a preparare tutto l’occorrente per il giorno seguente; coloro che per sette giorni, nonostante non li conosca, dovranno formare con me il team
SportandAnatomy | 43
della fisioterapia. Mi avvicino con diffidenza, inizio a discutere sul da farsi e con determinazione cerco di mettermi
subito a lavoro per portar a termine, nei migliore dei modi,
il compito che c’è stato impartito. Tutti ci adoperiamo per
riuscire al meglio, nessuno vuole primeggiare. Mi sento sollevato e motivato da questa inaspettata dinamica, tanto da
iniziare a concretizzare l’idea del “team” composto da sei
perfetti sconosciuti che hanno come unico desiderio quello
di sostenersi a vicenda in una sfida che risulta essere più
importante dei singoli.
Osservo con soddisfazione il lavoro
portato a termine e solo allora mi accorgo che si è fatto già
sera: è l’ora dell’apertura del campionato!
Ci sediamo tra il
pubblico e realizzo quanto sarà grande l’impegno richiesto,
ma la voglia di iniziare è troppa e mi fa muovere freneticamente gli arti inferiori..., vorrei che fosse già domani. Fisso
il soffitto della camera mentre il tempo sembra fermo e deciso a non scorrere … finalmente, dopo ore interminabili,
scorgo la luce dell’alba: il grande giorno è arrivato! Indossiamo la nuova divisa e corriamo ai campi dove si svolgerà il
torneo. Purtroppo ben presto si avvicina il primo giocatore,
sento che l’ansia e l’eccitazione mi spingono a cercare lo
sguardo di conforto dei miei colleghi. Si inizia!
Mi presento
e ascolto attentamente la causa che l’ha portato a chiedere
aiuto al fisioterapista. Chiede un trattamento pregara … ok,
ottimo inizio. Arriva il secondo giocatore, mi dice di aver
avuto problemi alla caviglia, conosce il rischio, ma vuole
giocare comunque, … bendaggio preventivo.
Chiedo conferma al nostro Tutor e ottengo la sua approvazione. Felice penso “dai, ho spaccato il ghiaccio! è
andata!”. Così inizia uno stato di eccitazione incontrollabile, avverto l’adrenalina in corpo e il cuore battere forte.
Più
giocatori vengono più ne vorrei: la paura cede il posto alla
voglia irrefrenabile di imparare sempre più, alla curiosità,
alla necessità di mettersi in gioco. Ansia e voglia di valicare i propri limiti iniziano a miscelarsi senza controllo alcuno. Mentre sto ancora cercando di dare un nome al mio
stato emotivo, in lontananza, vedo avvicinarsi un gruppo
di persone che cercano di farsi largo per far passare un
giocatore sostenuto da altre due persone: è il giocatore
che avevi cercato di ipotizzare in quello strano “stream of
consciousness” che l’ansia ti sussurrava nella mente fino
a poche ore prima. Sei di fronte alla tanto temuta “emergenza imprevista”.
Osservo la sua espressione di dolore
sul volto, cerco di capire quale sia il problema e l’entità del
danno. Si avvicina, viene adagiato su un lettino, sento gli
effetti dell’adrenalina in circolo e ho i muscoli paralizzati.
Osservo il nostro Tutor mentre assiste il giocatore, con
una naturalezza che mi sconvolge, e penso se un giorno
riuscirò mai ad essere così preparato e reattivo, ma soprattutto così sicuro nelle decisioni da prendere. Mi accorgo che le ore scorrono e le giornate finiscono troppo
velocemente ma la voglia di continuare a imparare e a
mettere in pratica gli studi fatti cresce a dismisura. Mi sento più sicuro, so come organizzare al meglio il lavoro, al
bisogno sento di poter contare sul nostro Tutor e sui miei
colleghi, tutti in totale sintonia. In un momento di “calma”
veniamo chiamati in campo …, stessa espressione di do44 | SportandAnatomy
lore, ma questa volta non resto paralizzato per la paura,
non formulo le mille ipotesi riguardanti il tipo o l’entità del
trauma … agisco. Lo faccio adagiare su un lettino, durante l’ispezione e la palpazione scopro un avvallamento in
corrispondenza del tendine d’Achille destro, sospetto una
rottura del tendine. Ecco che tutti i test muscolo-scheletrici che ci hanno insegnato al master la fanno da padrona
nella mia testa. Metto il paziente in posizione prona, con i
piedi oltre il bordo del lettino e lo rassicuro. In assoluta sicurezza comprimo con la mano il polpaccio del giocatore,
è evidente la mancata flessione plantare del piede. Il test
di Simmonds-Thompson è positivo, il tendine è rotto. Improvvisamente mi accorgo che mi è successo qualcosa di
diverso: forse sto diventando sicuro delle mie decisioni?
è un’emozione difficile da descrivere, ma mi sembra di
toccare il cielo con un dito, ho forse raggiunto uno degli
scopi per cui mi sono iscritto al master? Penso proprio
di si! Così passa l’intera settimana fino all’ultima partita
che segna anche la fine del nostro impegno. Mentre tutti
esultano e cantano cori di gioia per la vittoria, iniziamo
a metter via il materiale e i lettini con il nodo alla gola. A
differenza di tutti, noi fisioterapisti non esultiamo, non c’è
niente da festeggiare, perché quella magia che abbiamo
vissuto per una settimana è finita e non ci sentiamo ancora pronti a farne a meno. Andiamo in camera, ci cambiamo per indossare per l’ultima serata la divisa “Sport and
Anatomy” in vista della premiazione delle squadre.
Prendo posto tra i giocatori, li vedo salire sul palco per la consegna dei trofei: ora li conosco tutti, dal primo all’ultimo.
All’improvviso lo speaker ci chiama, vogliono che i fisioterapisti di Sport and Anatomy salgano sul palco. Respiro
a fondo, butto fuori l’aria e salgo. Intravedo il pubblico
davanti a noi, mentre la luce dei fari mi acceca, sento il
cuore che batte, ma solo quando iniziano ad intonare il
coro “Grazie ragazzi” qualcosa mi destabilizza veramente:
gli occhi diventano lucidi, il volto teso si lascia andare in
un sorriso sincero e infine scende una lacrima di gioia:
ho superato la prova, quella più difficile, con me stesso!
Così, si conclude questa splendida avventura disegnata
su misura per noi. Mentre imbarco il bagaglio sul volo per
Pisa, non posso far a meno di ripensare a quello nascosto
in me che all’andata era carico di entusiasmo, curiosità,
paura e ansia, ora seppur più pesante pieno di felicità, di
soddisfazione e di sicurezza.
Voglio ringraziare il prof. Marco Gesi con la sua inestimabile passione, per aver reso possibile questa esperienza
in prima linea, un sogno che tenevo chiuso in un cassetto
da quando ho intrapreso i miei studi in Fisioterapia. La sua
professionalità e la sua esperienza sono state condizioni
fondamentali per maturare e amplificare le conoscenze apprese durante questo percorso formativo post laurea.
Anche a nome dei miei colleghi, dedico a lui i nostri
più sinceri ringraziamenti per averci reso i fisioterapisti
che siamo oggi.
Simone Marinai
Allievo del Master in Fisioterapia Sportiva
editoriale
JSA 2015;2:45-54
Marco Biondi1, Francesco Inglese2 Marica Fontana3
Laureato in Fisioterapia e Scienze della riabilitazione, libero professionista presso studi medici ShoulderTeam, Forlì
Laureato in Fisioterapia, libero professionista presso studi medici ShoulderTeam, Forlì
3
Laureata in fisioterapia, libero professionista, Imola
1
2
La mobilizzazione in anestesia
locoregionale di plesso nella
capsulite idiopatica e nella rigidità
post traumatica di spalla
Riassunto
Vari studi negli ultimi anni hanno indagato procedure chirurgiche e conservative per la risoluzione della capsulite idiopatica e
della rigidità post traumatica di spalla.
Il nostro studio retrospettivo di coorte vuole indagare i risultati terapeutici legati alla manipolazione articolare in anestesia locoregionale di plesso (MALP) in 135 pazienti affetti da capsulite idiopatica o rigidità post traumatica di spalla, sottoposti alla procedura tra il 2001 e il 2014 e valutati a un follow-up di almeno 4 mesi sulla base della funzionalità della spalla e della soddisfazione
riferita dai pazienti stessi.
Dall’autovalutazione dei nostri pazienti, i risultati offrono un quadro positivo di recupero funzionale associato ad un buon livello di
soddisfazione riferita dal paziente riguardo l’approccio terapeutico proposto: dai nostri dati la MALP risulta una efficace strategia
nel trattamento della capsulite adesiva e della rigidità post-traumatica di spalla.
Parole chiave: spalla congelata – capsulite – rigidità post traumatica – manipolazione – anestesia locoregionale di plesso
Abstract
In recent years several studies have investigated surgical and conservative procedures for the resolution of the idiopathic capsulitis and Post Traumatic Shoulder Stiffness.
Our retrospective cohort study aims to examine the therapeutic results related to the Articular Manipulation in Regional Anesthesia of Plexus (MALP) in 135 patients with idiopathic capsulitis or Post Traumatic Stiffness of shoulder, subjected to the procedure between 2001 and 2014 and evaluated during a follow up of 4 months on the basis of shoulder function and satisfaction
reported by patients themselves.
From the self evaluation of our patients, the findings offer a positive picture of functional recovery associated with a high level of
satisfaction reported by the patient about the therapeutic approach proposed: from our data the MALP is an effective strategy
in the treatment of adhesive capsulitis and stiffness post-traumatic shoulder
Key words: frozen shoulder – capsulitis – post traumatic stiffness – manipulation – locoregional anesthesia of plexus
Introduzione
La capsulite idiopatica di spalla (Fig. 1) rimane a tutt’oggi una patologia a eziologia incerta 1 2 e, come già affermava Codman nel 1939, viene considerata “difficile
da definire, da trattare e da spiegare” 3. La rigidità post
traumatica di spalla invece viene definita come patologia relativamente frequente a seguito di traumi talora an-
ARTICOLO ORIGINALE
che modesti (distorsioni, contusioni, infiammazioni tendinee, lussazioni gleno-omerali o acromion-clavicolari,
fratture clavicolari o scapolari) 4 o a seguito di intervento
chirurgico.
Nella capsulite idiopatica (che da ora indicheremo per
semplicità col termine di “capsulite”), così come nella
rigidità post traumatica di spalla (che da ora indichereSportandAnatomy | 45
Figura 1. Paziente con grave capsulite adesiva idiopatica al
braccio sinistro. I movimenti passivi e attivi sono limitati su tutti i
piani dello spazio.
mo col termine generico di “rigidità”), sia l’articolarità
passiva che la funzionalità attiva dell’articolazione gleno-omerale risultano limitate con una gravità e per un
periodo di tempo che varia da paziente a paziente 2 5-7.
Considerate a decorso regolare e benigno nel lungo periodo 2, nel 1945 Neviaser aveva inquadrato la capsulite/
rigidità dal punto di vista istologico come un’infiammazione, un ispessimento e una retrazione della capsula
con conseguente fibrosi capsulare 8.
Negativa alla maggior parte delle tecniche di imaging
(Ecografia, Rx, Rmn9, Tac), solo nelle fase cronica la
patologia si evidenzia all’indagine con ArtroTAC e Risonanza con mezzo di contrasto e all’esame bioptico
con segni di infiammazione cronica e fibrosi a livello dei
tessuti peri-articolari 7 10. Se alcuni autori hanno proposto metodi indiretti di diagnosi, ad esempio attraverso lo
studio della diminuzione delle dimensioni dell’Intervallo dei Rotatori11, è tuttavia l’esame clinico lo strumento
precoce e immediato per la diagnosi della capsulite.
Diabete 7 12-14, patologie tiroidee 15, disfunzioni metaboliche 2 16, emiplegia 7, così come alcune terapie farmacologiche (ad es. farmaci antiepilettici) sono riconosciuti
quali fattori favorenti l’instaurarsi di rigidità articolari in
genere e in particolare della capsulite 17.
Vari autori hanno verificato gli effetti di tecniche medico chirurgiche, per la risoluzione della capsulite/rigidità: release capsulare artroscopico 12 18-23, dilatazione
articolare in artroscopia mediante l’inserimento in articolazione di gas (aria), soluzione fisiologica 24 o acido
ialuronico 25, l’infiltrazione locale di corticosteroidi 2,
10 19 26
associata o meno all’assunzione per via orale di
farmaci steroidei 2 19 27.
Negli ultimi anni alcuni studi hanno dato valore all’associazione tra intervento chirurgico e trattamento riabi46 | SportandAnatomy
litativo proposto in seguito 10 30 31 32, così come hanno
indagato l’efficacia di alcuni approcci puramente conservativi: mobilizzazioni passive a fine arco di movimento articolare rispetto a mobilizzazioni all’interno dell’arco
di movimento non doloroso 30 33, mobilizzazioni secondo
la metodica Maitland 34, metodiche di terapia manuale (ad es. tecnica di Mulligan) 35, l’allungamento statico
progressivo 36, la somministrazione dell’esercizio terapeutico da solo 2 5 7 o in associazione a mobilizzazioni
fisioterapiche 2 5 30 34 37 o alla terapia manuale 38.
Uno studio del 2008 di Dundar et al. propone trattamenti
di mobilizzazione passiva continua con macchina CPM
(Continous Passive Motion) per un’ora al giorno per venti giorni ed evidenzia risultati migliori rispetto a un trattamento fisioterapico convenzionale 30 39.
Variamente documentata anche la tecnica della manipolazione in anestesia generale 2 5 7 19 20 40-43 45 e in minor misura anche la manipolazione in anestesia locoregionale
di plesso 2 5 20 46 47 (MALP): i risultati di tali tecniche non
trovano ancora il consenso nel giudizio della letteratura 1 5 7 20 50, anche a causa dei possibili rischi di lesioni iatrogene riportati da alcuni autori 19 49 50 (lesioni articolari e
tendinee 51, fratture ossee, lussazione gleno-omerale 49,
lesioni del labbro glenoideo).
Kivimaki et al. hanno messo a confronto nel loro studio
multicentrico la manipolazione articolare, in anestesia
generale, seguita da adeguato esercizio riabilitativo, e la
semplice somministrazione di un programma di esercizi
domiciliari: lo studio non mostra significative differenze
nei risultati ottenuti tramite i due diversi approcci 7. Altri
autori al contrario riportano outcome migliori nei pazienti sottoposti alla manipolazione in anestesia rispetto a
quelli trattati con la semplice fisioterapia 41 e in particolare proprio in quei pazienti non responsivi al trattamento
puramente conservativo 40.
Procedura di trattamento
Riguardo l’anestesia, è stato utilizzato l’approccio Locoregionale Interscalenico: qualora la componente dolorosa non fosse completamente eliminata tramite la prima
iniezione, è stato necessario talora una seconda iniezione per via sottoclavicolare 47.
Il protocollo per lo svolgimento della MALP ha seguito
lo schema proposto da Rockwood e Matsen 17 (Fig. 2).
Tutti i pazienti sono stati istruiti a eseguire semplici esercizi di autoallungamento 7 (Fig. 3 a, b) già a partire dai
primi minuti successivi alla manipolazione, ancora sotto
l’effetto dell’anestesia.
L’applicazione di ghiaccio sulla spalla per dieci minuti
più volte al giorno è stata consigliata nei primi tre giorni
successivi alla manipolazione.
Successivamente i pazienti sono stati indirizzati verso
un adeguato percorso riabilitativo che prevede sedute
di mobilizzazione passiva col terapista 33, idrokinesiterapia e un programma di esercizi di allungamento passivo auto-assistito da eseguire in autonomia a domicilio 7 (Fig. 4 a, b).
M. Biondi et al.
Obiettivi della manipolazione in anestesia:
recuperare il completo arco di movimento attraverso una lisi traumatica
delle aderenze capsulari ed extra-articolari
Procedura e progressione della manipolazione
Anteposizione per detendere
la capsula inferiore
Adduzione per detendere
la capsula postero-inferiore
Intrarotazione
ed estensione
Extrarotazione a braccio abdotto
per la capsula antero-inferiore
Adduzione e intrarotazione
per la capsula poseriore
Extrarotazione a braccio
abdotto per la capsula anteriore
Figura 2. Procedura di mobilizzazione in anestesia di plesso.
Obiettivo
Il nostro studio retrospettivo di coorte si propone di indagare, a un follow-up di almeno 4 mesi, i risultati terapeutici e la soddisfazione percepiti dai pazienti affetti da
capsulite/rigidità di spalla sottoposti a MALP.
Disegno di studio: studio retrospettivo di coorte.
Metodi
Il protocollo di studio ha previsto il reclutamento di pazienti che fossero stati sottoposti a MALP tra il 2001
e il 2014, come procedura volta alla risoluzione di una
capsulite/rigidità di spalla. Il modulo per il consenso informato alla partecipazione allo studio è stato inviato a
mezzo posta/posta elettronica insieme al nostro questionario. La diagnosi di capsulite idiopatica per ogni
partecipante è stata confermata dall’esibizione del referto medico specialistico. Tutto il materiale per lo studio
(questionari e allegati) è stato compilato autonomamente dai pazienti a domicilio senza la supervisione di un
operatore: il paziente poteva rivolgersi telefonicamente
ai nostri fisioterapisti di riferimento per chiarimenti.
La mobilizzazione in anestesia locoregionale di plesso
nella capsulite idiopatica e nella rigidità post traumatica di spalla
Materiali
Il fascicolo inviato ai partecipanti allo studio comprende:
• modulo di consenso informato;
• scheda per i dati personali e clinico-diagnostici;
• questionario di auto-valutazione per pazienti con esiti
di capsulite/rigidità (Fig. 5 a, b).
• Quest’ultimo si compone di 24 item e in particolare:
• una sezione di 9 item riguardanti i dati generali clinici
del paziente;
• questionario di 14 item riguardanti l’auto-valutazione
del paziente.
Campione
I pazienti sono stati considerati idonei al campione di
studio sulla base dei seguenti criteri:
Criteri di inclusione:
• diagnosi di capsulite/rigidità di spalla sottoposti a intervento di manipolazione in anestesia locoregionale
di plesso;
• età inferiore a 70 anni al momento dello sblocco in
narcosi;
SportandAnatomy | 47
Figura 3a. La paziente, appena effettuata la procedura di
mobilizzazione, viene invitata a muovere il braccio interessato con
l’aiuto dell’arto superiore controlaterale.
Figura 3b. Si consiglia di eseguire ripetuti autoallungamenti
e di applicare il ghiaccio sulla spalla più volte al giorno per i primi
due giorni.
Figura 4a. Mobilizzazioni passive effettuate dal fisioterapista
Figura 4b. Terapia in acqua. L’assenza di cicatrici chirurgiche, consente l’esecuzione immediata degli esercizi di idrokinesiterapia. Sono consigliate due/tre sedute settimanali per il primo mese.
dal primo giorno post mobilizzazione in anestesia. Sono consigliate
tre sedute settimanali per il primo mese.
48 | SportandAnatomy
M. Biondi et al.
Figura 5a. Questionario di autovalutazione per pazienti affetti da Capsulite sottoposti a MALP.
La mobilizzazione in anestesia locoregionale di plesso
nella capsulite idiopatica e nella rigidità post traumatica di spalla
SportandAnatomy | 49
Figura 5b. Questionario di autovalutazione per pazienti affetti da Capsulite sottoposti a MALP.
• data dello sblocco articolare non precedente al 2001;
• sblocco articolare effettuato dal nostro fisioterapista
di riferimento;
• assenza di concomitanti patologie degenerative o
fratture gleno-omerali o interventi protesici alla spalla
in esame.
Criteri di esclusione:
• patologie di spalla riguardanti tessuti ossei o nervosi
concomitanti alla capsulite idiopatica;
• età superiore ai 70 anni di età al momento della manipolazione;
50 | SportandAnatomy
• data dello sblocco articolare antecedente il 2001;
• sblocco articolare eseguito in anestesia generale;
• manipolazione in anestesia locoregionale di plesso
effettuata da altro terapista che non fosse il nostro
fisioterapista di riferimento.
Sono stati contattati 170 pazienti: di questi 145 soggetti
hanno rinviato il materiale fornito per lo studio e di questi
135 sono risultati valutabili:10 pazienti hanno restituito
materiale incompleto e perciò non valutabile.
Il campione finale del nostro studio si compone di 135
pazienti di età compresa tra i 33 e 67 anni (età media: 53).
M. Biondi et al.
Il 30% dei soggetti (40 pazienti) è di sesso maschile,
mentre il restante 70% (95 pazienti) è di sesso femminile.
Il 93% dei pazienti riferisce dominanza d’arto superiore
destra, un 6% dei soggetti invece riferisce dominanza
sinistra e un 1% è ambidestro (otto pazienti a dominanza sinistra e uno solo ambidestro).
Il 35% dei pazienti (47 pazienti) associano comorbilità
di varia natura (diabete, patologie tiroidee, ecc.); dei pazienti che riferiscono comorbilità il 60% sono di sesso
femminile.
Il 40% dei partecipanti assume quotidianamente farmaci
correlati alle comorbilità riferite (eutirox, insulina e regolatori del metabolismo dei glucidi, anti-ipertensivi, ecc.)
e il 61,5% dei suddetti pazienti è di sesso femminile.
La quasi totalità dei pazienti aveva già effettuato in precedenza terapie di varia natura per risolvere la capsulite
di spalla, tra le quali ricordiamo assunzione di antinfiammatori nel 58% dei casi, assunzione di antidolorifici nel
47% (63 pazienti) dei casi, infiltrazioni di farmaci in loco
nel 32% dei soggetti (43 pazienti), fisioterapia in regime ambulatoriale il 72% dei pazienti, idrokinesiterapia
il 29% dei casi, altre terapie (agopuntura, onde d’urto e
cure termali) nell’8% dei soggetti (Tab. I). I risultati delle
suddette terapie sono stati giudicati scadenti o al più
passabili dal 91% dei pazienti (Tab. II).
Il 53% dei pazienti ha riportato punteggi massimi (10/10)
alla Scala Visiva Analogica (VAS) riguardo il dolore alla
spalla provato precedentemente agli interventi medico/
riabilitativi e il 82% dei soggetti ha riportato comunque
valori superiori a 8/10 (media VAS pre-manipolazione
articolare: 9 ± 2/10). Considerando l’aspetto del dolore
notturno le percentuali dei risultati della VAS risultano
lievemente ridotte rispetto alle precedenti (media VAS
dolore notturno: 9 ± 2/10): 52% per il punteggio massimo (VAS: 10/10), 79% per punteggi superiori a VAS:
8/10 e solo 5 pazienti hanno riferito punteggi inferiori a
VAS: 5/10 (5%). Nel 27% dei soggetti il dolore notturno
perdurava da oltre un anno prima della MALP.
Riguardo alla funzionalità della spalla affetta da capsulite, prima della MALP, il 94% dei pazienti ha affermato
di essersi sentito limitato nelle attività di vita quotidiana
“molto” o “moltissimo”.
Nel 97% dei casi non vi è stata alcuna complicanza
iatrogena. Solo quattro pazienti hanno riferito complicanze a seguito della MALP: due casi di lussazioni recidivanti alla spalla; una paziente lamenta parestesie di
origine neurologica traumatica, non confermate da alcun esame diagnostico o diagnosi medica; in un ultimo
caso si è evidenziata una lesione tendinea del CLB non
rilevata in precedenza.
A seguito della MALP sono state prescritte: l’associazione di terapia ambulatoriale e idrokinesiterapia nell’80,5%
dei casi; terapia riabilitativa solo ambulatoriale nel 19%
dei casi; la sola idrokinesiterapia in quattro pazienti.
16 pazienti sono stati sottoposti a un successivo intervento chirurgico per la risoluzione completa della capsulite/ rigidità: la causa principale del nuovo intervento è
stata il sintomo dolore, associato nel caso di cinque pazienti anche alla persistente limitazione articolare. Inoltre
tre dei pazienti operati riferiscono di non avere ancora
raggiunto un recupero completo.
Risultati
Riguardo la funzionalità attuale della propria spalla: il
64% dei partecipanti ha riferito di ritenersi soddisfatto
“molto” o “moltissimo”; il 26% dei soggetti si ritiene
“abbastanza” soddisfatto, mentre il restante 10%, 13
soggetti, si ritengono “poco” soddisfatti.
Riguardo la risoluzione completa della capsulite di spalla: i pazienti hanno riferito livelli alti e/o massimi di soddisfazione: nel 66% dei casi (89 pazienti) riguardo gli
effetti del trattamento riabilitativo (Tab. III) e nel 70% dei
casi (95 pazienti) riguardo i risultati dell’intero percorso
medico/riabilitativo.
Riguardo gli effetti persistenti della rigidità: il 79% dei
soggetti (106 pazienti) è disturbato “per niente” o “poco”
Tabella I. Tabella riassuntiva delle risposte ottenute con la domanda: “Che terapie ha svolto prima dello sblocco in narcosi?” (n. pazienti).
100
Fisioterapia ambulatoriale
Idrokinesiterapia
50
Infiltrazioni
Antidolorifici
0
Antiinfiammatori
Altre terapie
La mobilizzazione in anestesia locoregionale di plesso
nella capsulite idiopatica e nella rigidità post traumatica di spalla
SportandAnatomy | 51
Tabella II. Come giudica gli effetti delle eventuali terapie eseguite prima dello sblocco in narcosi?
Tabella III. Quanto si sente soddisfatto del trattamento riabilitativo? Valid percent.
0%
9%
7%
27%
13%
Per niente
27%
Scadenti
Poco
Passabili
Abbastanza
Buoni
Molto
Moltissimo
78%
dagli effetti della rigidità: sette pazienti (4%) si ritengono
attualmente molto disturbati dalla rigidità.
Riguardo la durata dei trattamenti riabilitativi: a seguito
dello sblocco in anestesia, il 66% (89 pazienti) dei partecipanti li ha ritenuti brevi o al più “accettabili”, con tempi
che nel 67% dei soggetti (90 pazienti) sono rimasti al
di sotto dei sei mesi e un numero di sedute fisioterapiche, nel 54% dei casi, situato tra le dieci e le trenta sedute (Tab. IV). Dodici pazienti (8%) hanno affrontato un
percorso riabilitativo di durata superiore ai dodici mesi
e due di questi hanno necessitato di due anni per una
completa guarigione della spalla.
Discussione
L’autosomministrazione dei questionari 52 a domicilio
non ha permesso un controllo da parte di un operatore sull’attenzione posta dai pazienti nel rispondere
alle domande, tuttavia proprio l’assenza di tale supervisione ha evitato qualsiasi ingerenza operatore dipendente nelle risposte ai quesiti proposti, ritenuti da noi
di semplice comprensione e volti a un’autovalutazione
soggettiva da parte del soggetto in esame. Nessuno
dei pazienti reclutati si è rivolto ai nostri terapisti di riferimento per avere delucidazioni riguardo il materiale
ricevuto da compilare.
Il campione di soggetti da noi reclutato non risulta strettamente omogeneo: range di età ampio (33-67 anni al
momento dello sblocco, media: 53 anni), diverse le storie cliniche e le terapie effettuate prima dello sblocco
articolare, associazione di comorbilità importanti (diabete 12 7 13 14, patologie alla tiroide 2 15, ecc.). La prevalenza
all’interno del campione di pazienti di sesso femminile
(70% dei soggetti) è risultata netta 53.
Tutti gli interventi sono stati effettuati da un unico terapista con uguale tecnica di mobilizzazione secondo lo
schema proposto da Rockwood e Matsen 17, rendendo
omogeneo il nostro campione per quel che riguarda la
procedura della MALP.
52 | SportandAnatomy
39%
Quasi la totalità dei soggetti (94% delle risposte) ha riferito una limitazione funzionale della spalla prima della
MALP di grado molto elevato, tale da limitare fortemente
le attività di vita quotidiana: dai nostri dati, la capsulite
di spalla si conferma essere una patologia molto invalidante 5 6.
Sempre secondo le informazioni fornite dai pazienti, gli
effetti di tutte le terapie effettuate prima dell’intervento di manipolazione in anestesia (sedute di fisioterapia,
idrokinesiterapia, terapie fisiche, terapie farmacologiche, ecc.) sono risultati per lo più insoddisfacenti (91%
delle risposte).
Il 97% dei pazienti non ha riferito complicanze severe a
seguito della MALP, in accordo con quanto riportato in
letteratura da alcuni autori 7 51.
La maggior parte dei pazienti (88% del campione) sono
giunti al termine del percorso medico-riabilitativo senza
la necessità di ulteriori interventi invasivi per il recupero
della mobilità.
A seguito della MALP, tutti i soggetti si sono sottoposti
a terapia riabilitativa (terapie manuali 2, mobilizzazioni ed
esercizi passivi autoassistiti e/o attivi 7, idrokinesiterapia)
con tempi necessari per il recupero completo della funzionalità della spalla variabili (nell’88% dei casi esaminati
al di sotto di un anno di durata e nel 52% tra le 10 e le 30
sedute di fisioterapia). Gli effetti dell’intero percorso medico/ riabilitativo e il recupero funzionale finale della spalla sembrano quindi legati sia all’intervento di MALP sia
ai trattamenti fisioterapici successivi all’intervento, non
essendo possibile distinguere dai dati in nostro possesso
gli effetti del primo da quelli dei secondi 2.
Il 90% dei soggetti si ritiene soddisfatto della funzionalità
attuale della propria spalla. Il 70% dei pazienti si ritiene
inoltre molto soddisfatto degli effetti dell’intero percorso
medico-riabilitativo legato alla MALP e della guarigione completa della propria spalla. Il 79% dei soggetti in
esame ha risposto di essere poco o per nulla disturbato
dagli effetti residui della patologia.
M. Biondi et al.
Tabella IV. Quanto tempo è durato il percorso riabilitativo post sblocco? Numero sedute e Numero mesi. Valid percent.
11%
18%
32%
2%
20%
<1
36%
Meno di 10
1-4
Tra 10 e 30
4-6
Più di 30
6-12
> A12
31%
50%
Conclusioni
Il trattamento conservativo di mobilizzazione passiva in
sede ambulatoriale conduce spesso a scarsi risultati o
quantomeno prevede lunghi periodi di trattamento per
una completa “restitutio ad integrum” nei pazienti affetti
da grave capsulite/rigidità 5 40 54.
Anche a seguito della MALP, la risoluzione completa
della rigidità articolare residua richiede tempi che, se pur
più brevi, sono dell’ordine di alcuni mesi; permane inoltre nella procedura una quota di rischio legato a possibili
danni iatrogeni 7 51 55 56.
L’outcome a lungo termine della procedura dipende
secondo noi in modo inscindibile anche da un corretto percorso riabilitativo post-manipolazione 2, condotto
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auto-assistiti 7.
I partecipanti al nostro studio hanno riferito in generale
un buon livello di soddisfazione riguardo la funzionalità e
la “salute” della propria spalla 57 raggiunta a seguito della MALP e riguardo l’intero processo medico-riabilitativo
a essa associato, come riportato anche in letteratura da
altri autori 7.
Restano a nostro avviso necessari ulteriori studi per stabilire se la MALP possa essere assunta come procedura
di elezione nel trattamento della capsulite idiopatica e
della rigidità post-traumatica di spalla.
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CORRISPONDENZA
Francesco Inglese
[email protected]
54 | SportandAnatomy
M. Biondi et al.
JSA 2015;2:55-62
Felice Sirico1, Daria Nurzynska2, Franca Di Meglio2, Clotilde Castaldo2, Rocco Spera2,
Stefania Montagnani2
1
2
Scuola di Specializzazione in Medicina dello Sport, Università di Napoli “Federico II”
Dipartimento di Sanità Pubblica, Università di Napoli “Federico II”
La sindrome compartimentale
cronica da sforzo della gamba.
Una diagnosi difficile e spesso
dimenticata
Riassunto
La sindrome compartimentale cronica da sforzo è un’entità clinica sotto-diagnosticata, caratterizzata da dolore che insorge
durante l’esercizio fisico. I sintomi migliorano notevolmente con il riposo. La gamba è il distretto maggiormente coinvolto. Il
disturbo è solitamente bilaterale e interessa tipicamente giovani atleti. I meccanismi patogenetici sono ancora poco noti e, sebbene l’attenzione sia rivolta ad alterazioni della perfusione ematica, ciò non è universalmente condiviso né come meccanismo
patogenetico di per sé né come unico meccanismo di insorgenza della sintomatologia dolorosa. Il processo diagnostico è
particolarmente complesso. L’anamnesi è spesso fondamentale, mentre l’esame clinico è poco specifico e a volte insufficiente,
soprattutto se condotto a riposo. Per la diagnosi differenziale vengono eseguiti esami di imaging. Il mezzo diagnostico più valido
è la misurazione diretta della pressione intracompartimentale. Le opzioni terapeutiche prevedono trattamenti comportamentali,
conservativi e chirurgici. Quest’ultimo, rappresentato da fasciotomia, è sicuro ed efficace nella maggior parte dei casi, consentendo la ripresa dell’attività fisica a ottimi livelli.
Parole chiave: malattie muscolari – malattie vascolari – sindromi compartimentali – arto inferiore – gamba
Abstract
Chronic exertional compartment syndrome is an underdiagnosed clinical condition associated with pain that is induced by
exercise and relieved after the activity ceases. It most commonly occurs in the leg. The condition is typically bilateral and often
appears in young athletes. The pathogenesis is incompletely understood; although much importance is given to the alterations
in blood flow and muscle tissue perfusion, opinion consistency is lacking and other possible triggering mechanisms should be
considered. Diagnostic process is particularly complex. A thorough anamnesis is often crucial in the evaluation of the patient,
while the physical examination is not specific and generally unremarkable, particularly if conducted at rest. Although differential
diagnosis may involve imaging, a measurement of the intracompartmental pressure is the most reliable method to identify a
compartment syndrome. The condition can be treated behaviourally, conservatively or surgically. Among these approaches, the
surgical fasciotomy is safe and effective in most cases and enables athletes to return to their previous level of sport participation.
Key words: muscular diseases – vascular diseases – compartment syndromes – lower extremity – leg
Introduzione
Dal punto di vista anatomico, un compartimento è una
regione corporea delimitata da strutture ossee e/o fasciali connettivali contenente muscoli, vasi e nervi periferici. Un incremento di pressione all’interno di uno
specifico compartimento anatomico di entità tale da al-
ARTICOLO ORIGINALE
terare la funzione vascolare e neuromuscolare, costantemente accompagnato da sintomatologia dolorosa, è
definito sindrome compartimentale. In base ai tempi di
insorgenza, le sindromi compartimentali possono essere suddivise in acute e croniche. Le forme acute sono
dovute a differenti cause, prima tra tutte quella traumaSportandAnatomy | 55
tica, e rappresentano un’emergenza medica che può
causare l’instaurarsi di danni irreversibili alle strutture
che si trovano all’interno del compartimento interessato
e mettere a rischio la vita stessa del paziente.
La sindrome compartimentale cronica da sforzo (Chronic Exertional Compartment Syndrome, CECS) è un’entità clinica di difficile diagnosi, talvolta trascurata in ambito muscoloscheletrico, caratterizzata da un anomalo
e reversibile incremento della pressione all’interno di un
compartimento che si verifica durante uno sforzo ripetuto e prolungato nel tempo, con scarsa compliance del
tessuto osteofasciale rispetto all’incremento del volume
muscolare 1. I sintomi tendono a regredire completamente con il riposo e, a differenza delle forme acute, i
danni sono spesso reversibili, non si richiede trattamento immediato né si modificano le aspettative di vita del
paziente 2. Teoricamente è possibile l’instaurarsi di una
sindrome compartimentale in ogni regione anatomica
nella quale sia possibile identificare un compartimento
(coscia, avambraccio, mano, piede, regione lombare, regione addominale, regione glutea) 3, tuttavia la maggiore
incidenza è a carico dei compartimenti della gamba.
L’esatta eziopatogenesi è a tutt’oggi ampiamente discussa ed il quadro diagnostico differenziale è particolarmente vasto. Un’attenta anamnesi, la valutazione a
riposo e dopo sforzo del paziente, diversi esami strumentali di conferma e soprattutto di esclusione, possono portare alla verifica di un’ipotesi diagnostica di per
sé difficile. La particolare difficoltà del processo diagnostico è dimostrata da una marcata sottostima di questa
patologia nella popolazione generale e in un consistente
ritardo diagnostico stimato in 22 mesi circa dall’esordio
dei sintomi 4.
Anatomia
La gamba è classicamente suddivisa in quattro compartimenti, ognuno con i limiti ossei e fibrosi formati da
strutture fasciali connettivali. Si distinguono i compartimenti anteriore, laterale, posteriore superficiale e posteriore profondo 5. Una conoscenza approfondita dell’anatomia dei singoli compartimenti è necessaria per meglio
inquadrare e correlare i sintomi riferiti dal paziente, permettendo così la conduzione di un esame obiettivo ponderato (Fig. 1).
Il compartimento anteriore contiene i muscoli flessori
dorsali del piede ed estensori delle dita (tibiale anteriore,
estensore lungo dell’alluce, estensore lungo delle dita e
fibulare terzo) ed è attraversato dai vasi tibiali anteriori e
dal nervo fibulare profondo. Il compartimento posteriore
della gamba, dei flessori plantari del piede e delle dita, è
diviso da un setto intermuscolare trasverso in una parte
superficiale (con i muscoli gastrocnemio, soleo e plantare, assente nel 5-10% degli individui) e una profonda
(con i muscoli tibiale posteriore, flessore lungo dell’alluce e flessore lungo delle dita); il nervo tibiale e i vasi
tibiali posteriori e fibulari decorrono nella parte profonda
del compartimento posteriore. Il compartimento latera56 | SportandAnatomy
Figura 1. Compartimenti della gamba. Sezione trasversale condotta a livello del terzo medio. I numeri si riferiscono ai compartimenti indicati nella Tabella I.
le è occupato dai muscoli che determinano eversione
del piede – fibulare lungo e breve – e dal nervo fibulare
superficiale; i muscoli vengono vascolarizzati da arterie
perforanti, rami dell’arteria tibiale anteriore, che attraversano il setto intermuscolare anteriore, e rami dell’arteria
fibulare, che attraversano il setto intermuscolare posteriore, accompagnate dalle vene satelliti (Tab. I).
Sebbene la maggior parte delle fonti si attenga a questo sistema di classificazione anatomica, alcuni studi
ipotizzano l’esistenza di un quinto compartimento, considerando il muscolo tibiale posteriore isolatamente,
ospitato in un proprio specifico spazio anatomico, con
conseguente suddivisione del compartimento posteriore profondo in due entità separate 6.
Epidemiologia
L’incidenza precisa della CECS non è nota e verosimilmente è sottostimata. Le percentuali di incidenza riportate oscillano tra il 14 e il 27% 7. Negli studi più datati è
segnalata una maggiore incidenza nel sesso maschile.
Questo dato si è marcatamente modificato negli anni.
Infatti, i primi studi includevano prevalentemente atleti
di sesso maschile e casi clinici registrati in ambito militare. La maggiore partecipazione delle donne ad attività
sportive ha modificato questo dato nel corso degli ultimi
F. Sirico et al.
Tabella I. Contenuto dei compartimenti della gamba.
Compartimento
Muscoli
Vasi
Nervo
Tibiale anteriore, estensore lungo
dell’alluce, estensore lungo delle
dita, fibulare terzo
Tibiali anteriori
Fibulare profondo
(2) Laterale
Fibulare lungo, fibulare breve
-
Fibulare superficiale
(3a) Posteriore superficiale
Gastrocnemio, soleo, plantare
-
-
Tibiale posteriore, flessore lungo
dell’alluce, flessore lungo delle dita
Tibiali posteriori, fibulari
Tibiale posteriore
(1) Anteriore
(3b) Posteriore profondo
anni, dimostrando un tasso di incidenza sostanzialmente simile nei due sessi. L’incidenza è simile tra gli atleti
professionisti e quelli amatoriali 8 e la mediana dell’età di
insorgenza è 20 anni 9.
Il compartimento anteriore è quello maggiormente interessato (40-60% dei pazienti con la CECS) e circa
il 70% dei pazienti è rappresentato da podisti o comunque soggetti che praticano sport con un’importante componente di corsa 9. Il compartimento laterale
è interessato nel 12-35% dei casi, il compartimento
posteriore profondo nel 32% e quello superficiale nel
2-20% 10.
Eziologia
Il preciso meccanismo patogenetico alla base dell’instaurarsi della CECS non è del tutto noto e molteplici
ipotesi sono state proposte. Il primum movens maggiormente condiviso è legato a un meccanismo ischemico,
con alterazione della perfusione tissutale. Lo sforzo
prolungato causa un edema intramuscolare capace di
determinare un incremento volumetrico dei muscoli di
circa il 20% rispetto alle condizioni basali. Ciò determina l’incremento della pressione all’interno del singolo
compartimento portando così a una riduzione del flusso
ematico. I meccanismi a carico del circolo che sono stati
proposti includono uno spasmo arteriolare, un’ostruzione dei capillari, un collasso delle strutture arterovenose
e un’ostruzione al deflusso venoso.
In tutti i soggetti è possibile registrare un aumento delle pressioni all’interno dei singoli compartimenti durante l’attività fisica. Nei pazienti asintomatici, però, tali
pressioni tornano a livelli basali entro pochi minuti dalla
sospensione dell’attività fisica. Nei pazienti affetti dalla
CECS, invece, le pressioni intracompartimentali restano elevate per un periodo di tempo più lungo (fino a 30
minuti) dopo la sospensione. Inoltre, le pressioni risultano più elevate a carico dei singoli compartimenti anche nelle fasi di pre-esercizio. Il motivo di tali alterazioni
pressorie a riposo, durante lo sforzo e dopo l’esercizio
nei pazienti affetti dalla CECS non è noto. Sebbene la
maggior parte delle ipotesi patogenetiche sia rivolta a
un’alterazione dei meccanismi di perfusione, ciò non
ha trovato riscontro in studi di imaging. Non sono state
dimostrate, infatti, alterazioni ischemiche importanti in
La sindrome compartimentale cronica da sforzo della gamba
studi di medicina nucleare con metodiche in grado di
valutare modifiche del flusso sanguigno 11 12.
Ipotesi biochimiche propongono un meccanismo di instaurazione del danno basato sul rilascio di ioni e proteine dalle cellule muscolari o da vasi danneggiati durante lo sforzo; ciò richiama liquidi, aggravando l’edema
muscolare e alterando la perfusione del compartimento.
Anche la genesi del dolore è tuttora oggetto di dibattito.
Tra i meccanismi proposti ci sono quelli legati al rilascio
di chinine durante la fase di contrazione muscolare, alla
stimolazione diretta dei recettori del dolore a livello fasciale e periostale e all’aumento dei livelli di lattato legato ad una ridotta perfusione 7-9.
Sono stati, inoltre, individuati alcuni fattori in grado di
favorire l’instaurarsi della CECS, come l’ipertrofia muscolare (fisiologica o legata all’assunzione di anabolizzanti), l’ispessimento e la rigidità delle strutture fasciali,
la stimolazione eccessiva dei meccanocettori responsivi
alla tensione fasciale, il ridotto ritorno venoso, le lesioni
muscolari microtraumatiche e alcune miopatie 3. Marcate eterometrie e gravi deviazioni in varo-valgismo
(ginocchio) e prono-supinazione (piede) potrebbero favorire lo sviluppo di pressioni maggiori in specifici compartimenti. Anche alterazioni del programma di esercizio, allenamento inadeguato per intensità o frequenza,
o ridotta flessibilità potrebbero contribuire all’instaurarsi
della CECS. In particolare, allenamenti con contrazioni prevalentemente eccentriche sembrano predisporre
all’insorgenza della CECS, aumentando l’incidenza di
danni e processi infiammatori a carico del tessuto connettivo e contribuendo così nel tempo ad una riduzione
della compliance fasciale. Anche la presenza di difetti
fasciali e di ernie muscolari sarebbe correlata a incremento pressorio intracompartimentale. Tali difetti sono
stati evidenziati in particolare in punti in cui la fascia viene attraversata da strutture neurovascolari, creando in
tal modo zone di minore resistenza, e si riscontrano nel
40-60% dei pazienti con la CECS 13.
Inquadramento clinico
La valutazione clinica del paziente con dolore riferito alle
gambe dovrebbe iniziare con un’attenta e approfondita
anamnesi. Al fine di orientare il sospetto diagnostico e
di escludere patologie diverse, è necessario raccogliere
SportandAnatomy | 57
notizie in merito a età, sesso, tipo di attività fisica praticata, frequenza di allenamento, carico di allenamento,
pregresse patologie traumatiche. È inoltre necessario
indagare circa periodi più o meno lunghi di sospensione
dell’attività sportiva o modifiche importanti e repentine
nel programma di allenamento.
I tempi di insorgenza del dolore e le sue caratteristiche sono aspetti fondamentali nella valutazione clinica. Classicamente, il paziente con la CECS riferisce un
dolore bilaterale (in circa l’80-90% dei casi) 14, insorto
durante l’attività sportiva e alleviato completamente, o
comunque in maniera importante, dal riposo. Il dolore
insorge circa 15-30 minuti dopo l’inizio dell’attività fisica come dolore sordo, gravativo che peggiora con il
prosieguo dell’esercizio e costringe il soggetto ad interrompere lo sforzo. Dolori insorti con l’attività fisica che
perdurano per ore o giorni dopo la sospensione dello
sforzo non orientano per la CECS, così come le marcate
esacerbazioni notturne della sintomatologia dolorosa,
che spesso sono riferite da pazienti con dolore di origine
verosimilmente infiammatoria o vascolare.
La regione anatomica nella quale il paziente riferisce dolore è fondamentale per l’inquadramento diagnostico.
Nella CECS il dolore è riferito lungo uno specifico compartimento della gamba.
Se al dolore si associano caratteristiche neuropatiche
come parestesie, allodinia o disestesie, è importante
registrare l’area cutanea di riferimento e valutare l’innervazione cutanea di pertinenza del singolo nervo periferico. Inoltre, è necessaria una valutazione attenta e
dettagliata della forza muscolare. Nei casi di coinvolgimento del compartimento anteriore può essere riferito dolore nella regione anterolaterale della gamba ed
essere evidente una lieve ipostenia della dorsiflessione
della caviglia e dell’estensione delle dita, con parestesie in un territorio limitato al primo e secondo dito (area
cutanea di pertinenza del nervo fibulare profondo). Nel
coinvolgimento del compartimento laterale sarà presente dolore nella regione laterale della gamba, ipostenia nel movimento di eversione attiva e parestesie
a carico della regione anterolaterale della gamba e del
piede per compromissione del nervo fibulare superficiale. Il coinvolgimento del compartimento posteriore
superficiale sarà caratterizzato da dolore nella regione
posteriore della gamba, con intorpidimento cutaneo
nel territorio di distribuzione del nervo surale e lieve
ipostenia nei movimenti di flessione plantare. Il danno
al compartimento posteriore profondo è responsabile
del dolore sordo e opprimente nella regione posteromediale della gamba, con deficit dei movimenti di inversione e flessione delle dita.
Va considerato che, dal punto di vista obiettivo, i reperti
a riposo sono molto limitati. Se il paziente, invece, viene esaminato dopo uno sforzo, può essere evidente un
edema della muscolatura interessata, con tumefazione e
pallore cutaneo. I muscoli coinvolti sono molto rigidi, pastosi e dolenti alla palpazione profonda e allo stretching
58 | SportandAnatomy
passivo 14, mentre i polsi periferici sono solitamente normali. Le ernie muscolari, quando presenti, sono di solito palpabili in corrispondenza della faccia laterale della tibia. Sono dovute a difetti fasciali, soprattutto nelle
regioni più vulnerabili, come nel punto di ingresso del
nervo fibulare superficiale nel compartimento laterale 15,
e sono nella maggior parte dei casi non dolorose.
Diagnosi differenziale
Le ipotesi diagnostiche da considerare nella valutazione
di un paziente che riferisce dolore alle gambe durante
esercizio fisico sono numerose. Ciò rende il processo
di diagnosi differenziale particolarmente complesso
(Tab. II).
Le principali problematiche ossee da escludere sono
patologie focali di tibia e fibula che hanno caratteristiche cliniche peculiari. Le fratture da stress, principalmente registrate a carico dell’epifisi prossimale della
tibia, sono caratterizzate da dolore insorto durante o
subito dopo l’attività fisica e che perdura durante la
fase di riposo. Spesso è presente l’esacerbazione
notturna dei sintomi. Il dolore è di solito localizzato al
distretto anatomico interessato e notevolmente marcato alla percussione dell’osso. All’anamnesi è possibile registrare, nella maggior parte dei casi, la ripresa
dell’attività fisica dopo lunghi periodi di sospensione o
sovraccarichi funzionali in allenamento per modifiche
al programma di esercizio. Non sono di solito presenti
disturbi della sensibilità.
Altra patologia da escludere è la cosiddetta sindrome
da stress tibiale mediale (Medial Tibial Stress Syndrome, MTSS). La sua eziopatogenesi, non ancora del tutto nota, sembra legata a sovraccarichi funzionali, con
particolare (ma non esclusivo), coinvolgimento del muscolo tibiale posteriore. Ciò determina uno stress meccanico a carico del margine interosseo della tibia. Sebbene il dolore riferito dal paziente possa essere simile
per localizzazione a quello riferito in caso della CECS
del compartimento posteriore profondo, le caratteristiche cliniche sono differenti, con scarsa risoluzione della
sintomatologia dolorosa a riposo. Inoltre, c’è marcato
dolore alla palpazione diretta nel terzo mediale e inferiore della regione posteriore della gamba e le indagini
strumentali dimostrano alterazioni dei profili ossei tibiali
nella maggior parte dei casi.
La compromissione di strutture arteriose, come nei
casi di arteriopatia cronica ostruttiva, è evidenziata da
alterazione dei polsi periferici. Spesso tale condizione
è accompagnata da alterazioni della cute e degli annessi. I dolori sono classicamente notturni e costringono il paziente ad assumere posture obbligate e peggiorano con l’elevazione dell’arto interessato. Può essere
presente un quadro di claudicatio vascolare. Un’entità
clinica rara è la sindrome da intrappolamento dell’arteria poplitea, patologia legata a compressioni dinamiche dell’arteria poplitea causate in alcuni casi da anomalie anatomiche nel decorso dell’arteria stessa o di
F. Sirico et al.
Tabella II. Riassunto della diagnosi differenziale della sindrome compartimentale cronica da sforzo della gamba.
Sintomi
Esame obiettivo
Test diagnostici
Sindrome compartimentale
cronica da sforzo
Diagnosi
Dolore, spesso bilaterale, in uno specifico compartimento della gamba
durante l’attività fisica; completa remissione a riposo
Negativo a riposo; eventuali ernie muscolari non dolorose alla palpazione.
Dopo sforzo, possibile edema muscolare con dolore alla palpazione e allo
stretching passivo; disturbi sensitivi e
ipostenia muscolare
Studi di imaging per escludere altre
patologie; gold standard: misurazione
della pressione intracompartimentale
a riposo e dopo sforzo
Medial Tibial Stress Syndrome
Dolore nel terzo medio e inferiore del- Dolore alla digitopressione del margila gamba; peggiora con l’attività fisica ne interosseo della tibia e alla contrae non scompare del tutto a riposo
zione contro resistenza del muscolo
tibiale posteriore
Rx: alterazione del profilo posteromediale della tibia;
scintigrafia ossea: captazione lineare
lungo il margine interosseo della tibia
Frattura da stress
Dolore localizzato in una regione spe- Dolore che peggiora alla percussione Rx: alterazioni corticali e periostali a
cifica di tibia o fibula; non scompare della zona interessata
distanza di tempo; scintigrafia: capa riposo
tazione focale; RM: edema peri-osseo
Lesione nervosa periferica
Disturbi sensitivi di tipo neuropatico Ipostenia dei muscoli innervati dal Studi di conduzione nervosa motoria
nel territorio di distribuzione di un nervo interessato; possibile segno di e sensitiva ed esame elettromiograsingolo nervo periferico
Tinel nel sito di intrappolamento
fico positivi per lesioni demielinizzanti
o assonali
Radicolopatia e stenosi del
canale lombare
Disturbi sensitivi di tipo neuropatico
in uno o più dermatomeri; dolore che
può peggiorare durante la deambulazione ed essere alleviato dalla flessione del tronco
Patologia vascolare arteriosa
Dolore notturno o durante attività fi- Riduzione dei polsi periferici; ipoter- Ecografia Doppler, angiografia
sica; alleviato dalla posizione declive mia e pallore; disturbi trofici di cute e
degli arti inferiori
annessi dell’arto interessato
Tenosinoviti
Dolore lungo il decorso di un tendine, Dolore alla digitopressione, alla contra- Ecografia muscoloscheletrica e RM:
con esacerbazione notturna
zione contro resistenza e allo stretch lesioni parziali e calcificazioni; Power
passivo del tendine; possibile edema
Doppler: infiammazione
strutture muscolari, come le origini ossee del muscolo
popliteo o dei capi del gastrocnemio. Clinicamente si
ha riduzione del polso pedidio, maggiormente evidente
durante la flessione plantare passiva del piede o durante la dorsiflessione attiva 16.
Patologie a carico delle strutture nervose periferiche
possono entrare in diagnosi differenziale con la CECS. I
sintomi, siano essi di natura traumatica, infiammatoria,
neurologica o neoplastica, sono poco fluttuanti e scarsamente correlabili all’attività fisica, con persistenza
delle caratteristiche cliniche anche a riposo. Il coinvolgimento di strutture radicolari a livello lombosacrale può
mimare la CECS. Nel caso di stenosi del canale lombare
il paziente può riferire dolore insorto durante l’attività fisica o la deambulazione. Caratteristicamente tale dolore
tende a presentarsi sempre in maniera anticipata durante la progressione della patologia, riducendo sempre di
più le autonomie del paziente e configurando il quadro
di una claudicatio neurogena. I dolori possono essere
alleviati da posizioni del rachide lombare in flessione
come durante la camminata in salita o la pedalata in bicicletta. I riflessi osteotendinei possono essere normali
o ridotti agli arti inferiori e possono essere presenti diLa sindrome compartimentale cronica da sforzo della gamba
Ipostenia dei muscoli innervati da una
specifica radice spinale (e da diversi
nervi periferici); riflessi osteotendinei ipo-elicitabili o assenti; possibili
alterazioni delle funzioni vescicosfinteriche
RM: visualizzazione delle radici spinali, di ernie discali e del canale spinale;
studi di conduzione nervosa motoria e
sensitiva; elettromiografia
sturbi vescicosfinterici, per interessamento anche delle
radici sacrali.
A ciò vanno aggiunte patologie infiammatorie, muscolari
(come nel caso di alcune miopatie), neoplastiche (sarcomi, tumori ossei, lesioni metastatiche), reumatologiche e
altre che possono manifestarsi con una sintomatologia
dolorosa riferita alle gambe. Tutto ciò rende il processo
diagnostico particolarmente insidioso e giustifica in parte i notevoli ritardi riportati in letteratura circa la corretta
diagnosi della CECS.
Indagini strumentali
La diagnosi della CECS richiede abitualmente l’esecuzione di molteplici indagini di imaging. Molte sono in
grado di escludere patologie con le quali la CECS entra
in diagnosi differenziale, ma poche forniscono indizi utili
a confermare la diagnosi di sindrome compartimentale
e nessuna ha al momento parametri di sensibilità e specificità tali da evitare metodiche diagnostiche maggiormente invasive.
L’esame radiografico standard degli arti inferiori è sempre
negativo nella CECS, ma può essere utile per escludere
fratture da stress. Nella MTSS è possibile evidenziare un
SportandAnatomy | 59
lieve ispessimento corticale sulla faccia posteriore della
tibia. Inoltre, può essere utile anche l’esame scintigrafico osseo che, nella MTSS, può evidenziare una marcata
captazione lineare lungo il margine interosseo della tibia, mentre l’esame resta costantemente negativo nei
pazienti con la CECS 17. Anche nelle fratture da stress
l’esame scintigrafico può essere positivo.
La risonanza magnetica rappresenta ad oggi uno strumento promettente nella diagnosi non invasiva della
CECS. Alcuni autori 18 hanno riportato risultati che mostrano un segnale più alto a carico del compartimento interessato nelle sequenze T2, con riduzione dello
stesso dopo fasciotomia. Purtroppo, questi dati sono
a volte in contrasto con quelli di metodiche diagnostiche invasive maggiormente sensibili e specifiche. La
risonanza magnetica può essere utile nell’evidenziare fratture da stress tibiali e fibulari con scarsi reperti
all’esame radiografico standard. Anche l’esame di risonanza del rachide lombosacrale può essere utile nel
dimostrare patologie compressive da ernia del disco o
stenosi del canale lombare.
Le strutture vascolari possono essere agevolmente
valutate con esame ecografico e studio con metodica
Doppler dei flussi. In casi selezionati, laddove esista
un sospetto fondato di patologie compressive di difficile inquadramento diagnostico (come la sindrome da
intrappolamento dell’arteria poplitea), può essere utile
un approfondimento con esame angiografico. In alcuni
pazienti è necessario, inoltre, valutare la funzione di un
nervo periferico nelle sue componenti sensitive e motorie con l’ausilio di esami elettroneurografici ed elettromiografici, al fine di escludere neuropatie periferiche di
diversa etiologia. Nuove metodiche sono allo studio per
valutare l’effettiva possibilità di una diagnosi non invasiva, come l’impiego della Near Infrared Spectroscopy
(NIRS) 19 in grado di valutare la saturazione dell’emoglobina e quindi il livello di ischemia in una determinata
regione anatomica.
Al momento, purtroppo, le metodiche disponibili consentono soprattutto di escludere altre patologie e la
diagnosi della CECS è possibile solo con la misurazione diretta della pressione intracompartimentale,
ottenuta grazie a dispositivi portatili di vario tipo, che
tramite aghi e/o cateteri misurano la pressione all’interno di uno specifico compartimento a riposo, durante lo sforzo e nelle fasi post-esercizio. I valori pressori
normali sono compresi tra 0 e 8 mmHg 8. È importante
ricordare che esistono diversi metodi per misurare la
pressione intracompartimentale e che la misurazione
va praticata da personale esperto e in centri specializzati. Nonostante l’eterogeneità dei metodi proposti,
gli studi su larghe coorti di soggetti affetti dalla CECS
hanno consentito di identificare criteri pressori precisi
per porre o escludere diagnosi (criteri di Pedowitz) 20. In
base a quanto proposto, è necessario avere una delle
tre seguenti condizioni: (1) una pressione a riposo di
≥ 15 mm Hg, (2) una pressione a 1 minuto post-eser60 | SportandAnatomy
cizio ≥ 30 mm Hg o (3) una pressione a 5 minuti postesercizio ≥ 20 mm Hg. La contemporanea presenza di
più di una delle predette condizioni avvalora ulteriormente la diagnosi. Inoltre, va ricordato che la posizione
del ginocchio e della caviglia può influenzare la pressione intracompartimentale 21; solitamente le pressioni
vengono misurate col ginocchio a 10-30o di flessione e
con la caviglia a circa 20o di flessione plantare. I criteri di Pedowitz hanno dimostrato alta sensibilità (97%),
ma bassa specificità (10%) e un valore predittivo positivo del 79% 22.
Solitamente la pressione nel compartimento anteriore
è misurata inserendo l’ago circa 2 cm lateralmente alla
cresta tibiale al terzo medio di gamba. Il compartimento
laterale è valutato al terzo medio con infissione dell’ago
in corrispondenza della fibula, tra setto intermuscolare
anteriore e posteriore. La valutazione del compartimento posteriore superficiale è relativamente semplice e sia
il ventre laterale che mediale del gastrocnemio possono
essere testati. Il compartimento posteriore profondo è
valutato mediante infissione dell’ago nella regione mediale della gamba, immediatamente al di dietro del margine mediale della tibia. Alcuni autori 23 hanno tuttavia
descritto un approccio anterolaterale, con l’inserzione
dell’ago attraverso il compartimento anteriore immediatamente a lato della cresta tibiale fino ad avvertire una
sensazione di “scatto” nel momento in cui si supera la
membrana interossea e si giunge così al compartimento
posteriore profondo.
Trattamento
Le opzioni terapeutiche per il paziente affetto dalla
CECS sono molteplici e prevedono trattamenti comportamentali, con modifica dell’attività fisica, conservativi e
chirurgici.
Alcuni pazienti per evitare l’instaurarsi della sintomatologia dolorosa, sono costretti a sospendere o modificare
il tipo di attività sportiva svolta. In alcuni casi viene consigliato di sostituire la corsa con il ciclismo, in quanto
sembra che questo tipo di attività, sebbene in grado di
garantire una buona fitness cardiorespiratoria, favorisca
meno un incremento pressorio nel compartimento anteriore 24. Tuttavia, ciò può essere particolarmente difficile
e limitante soprattutto per atleti professionisti.
Il trattamento conservativo è caratterizzato da massaggio e stretching e ha dimostrato alcuni risultati a breve
termine, sebbene sia nella maggior parte dei casi poco
risolutivo. È stato riportato, in studi con follow-up di
poche settimane 25, un lieve miglioramento della sintomatologia con insorgenza più tardiva della stessa rispetto all’inizio dell’attività fisica, sebbene ciò non sia
stato accompagnato da differenze significative nei valori
pressori registrati. Il successo del trattamento conservativo, laddove non sia possibile attuare un trattamento
chirurgico, resta vago e scarsamente quantificabile, con
risultati spesso poco soddisfacenti e duraturi nel tempo.
In casi particolarmente invalidanti e in atleti che desiF. Sirico et al.
derino riprendere la precedente attività sportiva, viene
solitamente posta indicazione al trattamento chirurgico
con fasciotomia aperta o sottocutanea. Sono stati proposti diversi approcci con incisure singole o doppie 26.
L’obiettivo del trattamento è quello di creare una discontinuità nelle strutture fasciali che delimitano il compartimento affetto, incrementando così il volume del “contenitore” e determinando una conseguente riduzione della
pressione intracompartimentale. Oggi è possibile un
approccio anche endoscopico. I risultati sono in genere
buoni in termini di sollievo della sintomatologia dolorosa e di soddisfazione del paziente con risultati positivi
superiori al 90% 10 27. I risultati positivi della fasciotomia
sembrano anche duraturi nel tempo, con percentuali di
soddisfazione di oltre il 60% a 51 mesi in media dalla
procedura 28 e con un tasso di recidiva di circa il 3-12%,
legato probabilmente a un’insufficiente fasciotomia 29 o
a una fibrosi post-procedura che limita ulteriormente il
volume compartimentale 30. Le recidive sono minori nel
caso di fasciotomia aperta rispetto a una fasciotomia
sottocutanea (2% vs 11%) 16. Il tasso di successo della
procedura è notevolmente più alto se effettuato a carico dei compartimenti anteriore e laterale. Risultati più
scarsi sono ottenuti nel trattamento del compartimento
posteriore profondo, forse a causa di una inadeguata
decompressione del muscolo tibiale posteriore per una
complessità anatomica maggiore della regione o per
l’impossibilità di accedere alle suddivisioni muscolari
più piccole 15 31.
In letteratura sono riportate poche complicanze, con un
tasso di incidenza di circa l’11%10, quali lesioni nervose
periferiche, soprattutto a carico del nervo fibulare superficiale e del nervo safeno, lesioni vascolari, ematomi,
trombosi venosa profonda. Sono stati riportati casi di
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educati in merito ai sintomi della sindrome compartimentale acuta in modo da consentire una più semplice
diagnosi di questa complicanza e un trattamento immediato, dato che un periodo di ischemia maggiore di 12
ore determina danni irreversibili a nervi e muscoli.
Dopo l’intervento viene praticato solitamente un bendaggio compressivo per i primi 2-3 giorni. Successivamente, è possibile effettuare esercizi di mobilizzazione
passiva e motilità attiva, con la ripresa graduale del carico al fine di evitare aderenze cicatriziali. Il trattamento
riabilitativo è breve, con la ripresa dell’attività completa
in 6-8 settimane in caso di assenza di complicanze 15.
Conclusioni
La CECS rappresenta un’entità patologica spesso poco
nota, di difficile inquadramento clinico. Ciò determina
un notevole ritardo nella diagnosi e conseguentemente
nel trattamento di tale disordine. Un’attenta anamnesi,
un esame clinico ponderato e alcuni esami strumentali
sono indispensabili per escludere altre patologie e per
orientare la diagnosi. Nel caso di fondato sospetto clinico è possibile confermare l’esistenza di tale condizione
grazie alla misurazione diretta della pressione intracompartimentale. In futuro, è probabile che esami di imaging
possano confermare la presenza di pressioni elevate
all’interno di specifici compartimenti anatomici in maniera non invasiva. Il trattamento conservativo ha dimostrato risultati scarsi e poco soddisfacenti nella maggior
parte dei casi. L’approccio di prima scelta a oggi resta di
tipo chirurgico, mediante fasciotomia, che consente la
risoluzione della sintomatologia dolorosa e una valida ripresa dell’attività fisica nella maggior parte dei pazienti.
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Daria Nurzynska
[email protected]
62 | SportandAnatomy
F. Sirico et al.
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Letizia Pieruzzi, Eleonora Molinaro
U.O. di Endocrinologia, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa
Disturbi mestruali e amenorrea
nelle atlete
Riassunto
Le disfunzioni mestruali sono osservate in una percentuale significativa di atlete, come risultato di un ipogonadismo ipogonadotropo con conseguente deficit di estrogeni. Questa alterazione è dovuta a una varietà di meccanismi ormonali, che coinvolgono
adipochine e peptidi gastrointestinali come la leptina, adiponectina e grelina, che interferiscono con il normale asse ipotalamoipofisi-gonadi e creano una riduzione della pulsatilità delle GnRH. La conseguenza dell’ipoestrogenismo, che è spesso associato a uno stato di carenza di energia per la restrizione dietetica, induce effetti rilevanti clinici per la densità minerale ossea e
la crescita del profilo lipidico e per il sistema cardiovascolare. Sono state identificate altre cause dei disturbi mestruali indotti
dall’esercizio fisico. Per il suo trattamento questa sindrome richiede un approccio multidisciplinare.
Parole chiave: amenorrea – attività fisica – ipogonadismi ipogonadotropi
Abstract
Menstrual dysfunctions are observed in a significant proportion of athletes, as a result of a hypogonadotropic hypogonadism
with a consequent estrogens deficit. This alteration is due to a variety of hormonal mechanisms, involving adipokines and gastrointestinal peptide such as leptin, adiponectin and ghrelin, that interferes with the normal hypothalamic-pituitary-gonadal axis
and create a reduction of GnRH pulsatility. The final consequence of hypoestrogenism, which is often associated to a state of
energy deficiency for dietary restriction, induces clinical relevant effects to bone mineral density and growth to lipid profile and
to cardiovascular system. Other causes of exercise-induced menstrual disorders are be identified. This syndrome requires a
multidisciplinary approach for its treatment.
Key words: amenorrhea – physical activity – hypogonadotropic hypogonadism
Introduzione
Le donne sono entrate a far parte del mondo dello
sport più tardivamente rispetto all’uomo e questa volontà di partecipazione alle attività sportive è stata accolta con entusiasmo e incoraggiata anche dalla classe medica, dai mass media e dalla opinione pubblica,
in quanto, così come per gli uomini, anche per il sesso femminile l’esercizio fisico comporta dei benefici,
soprattutto se praticato in età adolescenziale. È riconosciuto infatti l’impatto favorevole che ha l’esercizio
dal punto di vista metabolico sul profilo lipidico, sulla
pressione arteriosa, sulla prevenzione del sovrappeso e dell’obesità 1 e quindi sul rischio cardiovascolare
generale 2-4 oltre che sul raggiungimento di valori di
densità minerale ossea adeguata 5 6. Ulteriori effetti favorevoli, non trascurabili, sono quelli psichici, in
ARTICOLO ORIGINALE
quanto l’attività sportiva crea delle opportunità anche
di aggregazione sociale.
Tuttavia, se l’esercizio fisico porta dei benefici allo
stato di salute, un’attività fisica con dei ritmi intensi
e prolungati, come quella agonistica, può condurre a
dei cambiamenti ormonali che colpiscono la fisiologia
femminile tali da esporre la donna a rischi specifici.
In numerosi studi, infatti, è stata osservata la correlazione fra lo stress fisico e alterazioni dello stato mestruale 7-12, tanto che è stata coniata la definizione di
“disfunzione mestruale indotta dall’esercizio fisico” 10
13
. L’incidenza di queste alterazioni varia dall’1 al 66%
in base al tipo, alla durata, all’intensità dello sport praticato e alla definizione della disfunzione mestruale
utilizzata nei diversi lavori 11 14-16. Lo spettro delle alterazioni mestruali osservate è variabile dalla oligomeSportandAnatomy | 63
norrea all’amenorrea secondaria, mentre, nelle atlete
più giovani, è possibile osservare casi di amenorrea
primaria o pubertà ritardata. È stato dimostrato che,
in questi ultimi casi, l’intensità dell’allenamento fisico
e l’età a cui l’atleta inizia a praticare sport agonistico influenza in modo determinante l’età dello sviluppo
puberale predominando sul background genetico che
non viene conservato 17 18; difatti, in tali situazioni, l’età
del menarca risulta ritardata di 2-3 anni rispetto al target familiare stimato (considerando l’età del menarca
delle sorelle e della madre dell’atleta). Una varietà di
fattori oltre allo stress propriamente fisico dell’attività
sportiva a ritmi intensi può influenzare l’equilibrio endocrino della funzione riproduttiva femminile nelle atlete. Tra questi fattori ritroviamo per esempio lo stress
psicologico della competizione, il peso e la modificazione della composizione corporea con riduzione della massa grassa in modo assoluto e relativo rispetto
all’aumento della massa magra. Quest’ultimo aspetto
è caratteristico principalmente degli sport in cui anche
l’estetica è fondamentale (balletto, ginnastica artistica
etc.) ed è l’espressione, in genere, di un inadeguato
apporto nutrizionale in relazione alle spese energetiche eccessive che richiede l’allenamento agonistico.
Lo stile di vita di un’atleta che vede uno stress fisico e
psichico intenso, associato a un introito energetico insufficiente a far fronte alle richieste metaboliche, crea
degli squilibri endocrini che alterano la normale attività
ipotalamo-ipofisaria (provocando alterazioni anche a
livello surrenalico, tiroideo e a livello della produzione dell’ormone della crescita) e che si ripercuotono in
modo evidente sull’asse ipotalamo-ipofisi-gonade generando le alterazioni mestruali osservate.
Meccanismi fisiopatologici
Il profilo ormonale delle donne che praticano sport
agonistico è caratterizzato da una condizione di ipoestrogenismo che è il risultato di un’alterazione dell’asse
ipotalamo-ipofisi-gonade. Tale alterazione comporta
una soppressione della secrezione pulsatile del GnRH
ipotalamico (picchi di secrezione normale ogni 60-90
minuti) che limita la produzione delle gonadotropine
ipofisarie (LH e FSH) riducendo pertanto la capacità di
stimolo ovarico alla produzione di estrogeni 18 19. Si instaura pertanto una condizione di ipogonadismo ipogonadotropo 17 20 21. A conferma di ciò, nelle atlete in
età pre-puberale non è stato osservato un incremento
significativo dei livelli di estrogeni, in particolare dell’estradiolo, che invece si osserva nelle giovani che non
praticano sport ed anche i livelli di gonadotropine sia
basali che dopo stimolo con GnRH sono ridotti 18, 22. Si
verifica pertanto un allungamento della fase follicolare con un ritardo o una mancanza del picco dell’LH e
dell’estradiolo al 14° giorno del ciclo, provocando ritardi mestruali o assenze intermittenti del ciclo, ritardo
del menarca, amenorrea primaria o secondaria 7 23 24.
Le prime ipotesi sul verificarsi di tali alterazioni dell’as64 | SportandAnatomy
se ipotalamo-ipofisi-gonade enfatizzavano il ruolo che
aveva l’esercizio fisico stressante nella modifica della
composizione corporea, suggerendo che il menarca
avveniva nella fase dello sviluppo puberale solo al raggiungimento del valore di massa grassa pari al 17%
del peso corporeo e che la funzione mestruale normale
veniva perduta quando la massa grassa diminuiva al di
sotto del 22% del peso corporeo 25. Sebbene, in alcuni
studi la composizione corporea sembra non variare in
modo significativo tra atlete eumenorroiche e amenorroiche 26, ad oggi il meccanismo con il quale si verifica
la soppressione della secrezione pulsatile del GnRH si
ipotizza sia dovuto a un adattamento neuroendocrino
alla restrizione calorica assoluta o relativa rispetto al
dispendio energetico, che provoca un cambiamento
nella sintesi di fattori ormonali secreti dagli adipociti.
Tra questi sembra avere un ruolo preponderante la
leptina, un polipeptide anoressizzante secreto dalle
cellule del tessuto adiposo i cui valori correlano con il
grasso corporeo e con il BMI 27 28 che risulta ridotto in
modo significativo nelle atlete soprattutto in quelle che
praticano sport quali la ginnastica artistica e la danza 29-32 rispetto alle giovani che non praticano sport a
livello agonistico. Oltre al ruolo conosciuto di regolare
il peso corporeo modulando la sensazione della fame
e il metabolismo energetico 33, la leptina influenza anche la secrezione degli ormoni sessuali, i suoi recettori
sono stati difatti ritrovati anche nei neuroni ipotalamici
che secernono il GnRH 34. Bassi livelli di leptina, come
quelli osservati nelle sportive amenorroiche, possono
sopprimere l’asse ipotalamo-ipofisi-gonade 35. Questa
ipotesi è supportata da esperimenti, riportati in letteratura, nei quali è stato indotto il ripristino della pulsatilità dell’LH e dell’ovulazione in laboratorio in femmine
di animali mantenute a restrizione calorica e in studi
clinici in donne amenorroiche mediante il solo trattamento con leptina umana ricombinante 36 37. Questo
fattore ormonale svolge dunque un ruolo chiave per
il sistema riproduttivo, segnalando la disponibilità o
meno delle riserve energetiche necessarie al mantenimento della fertilità e allo sviluppo puberale 34, permettendo quindi il verificarsi della normale ovulazione nell’epoca post-puberale e del menarca in quella
prepubere 38. L’ipotesi di un effetto permissivo diretto
dei livelli di leptina sulla funzione mestruale è stata
dibattuta e risulta al momento controversa. Da studi
condotti su donne anoressiche, infatti, si evince che è
il ripristino di livelli accettabili di massa magra più che
l’aumento dei livelli di leptina la causa della ripresa del
normale ciclo mestruale 39 e inoltre è stato osservato
che solo in un numero limitato di donne amenorroiche
il trattamento con leptina ripristina effettivamente la
fertilità 36 37. Di recente, sulla base dell’evidenza che
in atlete amenorroiche è possibile osservare alti livelli di leptina e che i valori del polipeptide sono estremamente variabili all’interno della stessa popolazione
indipendentemente dalla presenza di anormalità nella
L. Pieruzzi, E. Molinaro
funzione ovulatoria, è stata formulata l’ipotesi che non
siano le concentrazioni assolute di leptina a influenzare l’asse gonadico bensì i suoi cambiamenti relativi nel
tempo e le alterazioni del suo ritmo circadiano 40 41. La
funzione della leptina sul sistema riproduttivo è mediata sicuramente da altri fattori, prodotti dal tessuto
adiposo, come la grelina 42 e la kisspeptina 43 i quali
possono contribuire all’impatto dell’ormone sull’asse
ipotalamo-ipofisi-gonade nelle atlete amenorroiche.
La grelina, al contrario della leptina, è un peptide antianoressizzante secreto dallo stomaco che aumenta in
condizioni di sottopeso 44-46. Valori aumentati di questo
ormone si ritrovano generalmente nelle donne con disturbi della condotta alimentare e con amenorrea 47-49,
tuttavia, un aumento dei livelli di grelina è stato osservato anche nelle atlete amenorroiche con differenze
significative rispetto alle atlete eumenorroiche 42 44. Da
queste osservazioni è nata l’ipotesi che anche la grelina potesse influenzare l’asse gonadico delle sportive,
ipotesi successivamente incoraggiata da alcuni studi in cui viene dimostrato che la somministrazione di
tale ormone inibisce la pulsatilità delle gonadotropine
nell’uomo e negli animali 46 50-52, che la pulsatilità della
grelina è inversamente correlata con la pulsatilità dell’LH 42 e che l’aumento dell’introito calorico in atlete
amenorroiche induce una riduzione della grelina sierica parallelamente al ripristino del ciclo mestruale e del
peso corporeo 53.
Altro ormone prodotto dagli adipociti che sembra avere ad oggi un ruolo importante nella regolazione non
solo del metabolismo, dei meccanismi di insulino-resistenza e dei processi infiammatori ma anche delle
funzioni riproduttive, è l’adiponectina 54 55. Nonostante
i dati in letteratura siano limitati e non siano riportate differenze significative dei livelli di adiponectina tra
donne con un differente stato riproduttivo 56 57, questo
ormone ha attratto l’attenzione di molti studiosi sul
possibile ruolo nel controllare la funzione mestruale.
Alcuni autori riportano che i livelli di adiponectina aumentano in corso di esercizio fisico prolungato e che
tale aumento correla con la perdita di massa grassa e
con il calo ponderale 18 soprattutto nelle giovani danzatrici 58 e nelle ginnaste 59. L’aumento della adiponectina, così come la riduzione della leptina, esprime il
calo delle riserve energetiche dell’organismo e questo
porterebbe all’inibizione della secrezione del GnRH
ipotalamico e delle gonadotropine 55, come dimostrato
in laboratorio dall’inibizione della secrezione di LH, sia
in condizioni basali, sia dopo stimolo con GnRH, creata dal trattamento a breve termine con adiponectina di
cellule ipofisarie di ratto 60.
Oltre allo stato di ipoestrogenismo al quale contribuiscono quindi più fattori ormonali anche l’assetto
androgenico delle atlete subisce delle modificazioni.
Infatti, contrariamente a quanto si verifica per i valori
di estrogeni, secondo quanto osservato per esempio
nelle nuotatrici 61, i livelli degli androgeni, in particolare
Amenorrea nelle atlete
del testosterone possono essere aumentati creando
una condizione di iperandrogenismo con rapporto LH/
FSH aumentato che si associa a sindromi iperandrogeniche come la sindrome dell’ovaio policistico. Questo interessante aspetto è stato confermato anche in
donne sottoposte a un esercizio fisico intenso, nelle
quali veniva osservato un aumento transitorio dei livelli
di testosterone indipendentemente dalla regolarità o
meno del ciclo mestruale 62.
Nelle donne che svolgono attività sportive a livello
agonistico con stress fisico e psichico, oltre all’asse
ipotalamo-ipofisi-gonade possono essere compromessi anche l’asse surrenalico, quello tiroideo e anche la secrezione dell’ormone della crescita (GH) può
essere alterata.
Per quanto riguarda la funzione surrenalica è riportato
in letteratura una tendenza alla ipercortisolemia nelle
atlete specialmente in quelle con alterata funzione mestruale e con amenorrea 18 41 63-64 con differenze significative rispetto alle sportive con regolarità mestruale 64
e una alterazione del ritmo circadiano del cortisolo 65.
Tali effetti sono dovuti all’aumento della secrezione del
fattore ipotalamico CRF il quale direttamente contribuisce all’inibizione della pulsatilità del GnRH 66 e quindi
all’instaurarsi dell’ipogonadismo ipogonadotropo che
è stato osservato soprattutto in atlete che mantengono un regime dietetico inadeguato 24 67.
Anche l’asse tiroideo risulta soppresso nelle atlete che
presentano amenorrea rispetto alle sportive con regolarità mestruale o alle donne sedentarie 40 49 68-71. Mentre generalmente i livelli di TSH e di tiroxina totale (TT4)
rimangono nel range della norma 40 72, i valori di trioidotironina totale (TT3), noto marker dello stato energetico
dell’organismo 40 49 68 70-71, si riducono e generalmente
correlano con i valori di leptina 40. A conferma di ciò, è
stato osservato che un aumento dell’apporto calorico
nelle giovani atlete amenorroiche induce un ripristino
della funzione mestruale associato a un aumento dei
valori di TT3 53.
L’esercizio fisico intenso è uno dei principali stimoli
alla secrezione del GH 73-75, inoltre, anche lo stato di
amenorrea modifica la regolare pulsatilità dell’ormone
aumentando il numero dei picchi di secrezione e producendo un aumento della sua emivita 72. Negli studi
riportati in letteratura questa alterazione non sembra
provocare tuttavia un aumento della produzione della
somatomedina (IGF-1), ormone regolato dal GH, la cui
pulsatilità non appare influenzata dallo stato mestruale 72 76. Vi sono risultati discordanti ed è probabile che
il bilancio energetico negativo delle atlete provochi di
per sé una riduzione dei livelli di IGF-1 per cui anche in
presenza di un GH aumentato e con maggiore emivita
la somatomedina non si modifichi 18 71 76-78.
I meccanismi fisiopatologici descritti che portano all’instaurarsi dell’ipogonadismo ipogonadotropo e quindi
all’ipoestrogenismo sono riassunti nella Figura 1.
SportandAnatomy | 65
Conseguenze cliniche
L’amenorrea associata a un ridotto introito calorico assoluto o relativo e ad un esercizio fisico intensivo conduce a uno stato di ipoestrogenismo che comporta un
maggior rischio di sviluppare una serie di condizioni
cliniche quali l’osteoporosi e le fratture da stress e,
inoltre, produce un aumento del rischio di sviluppare
malattie cardiovascolari in età precoce.
Per quanto riguarda lo sviluppo di osteoporosi è noto
che l’epoca dello sviluppo puberale è un momento
cruciale nello stabilire il picco di massa ossea e pertanto i fattori ambientali come lo stato estrogenico e
l’esercizio fisico possono influenzare la crescita e la
adeguata maturazione scheletrica. In particolare le irregolarità mestruali, un menarca ritardato e una condizione di ipoestrogenismo, come quello che si può
verificare nelle giovani atlete, sono associati ad un ridotto picco di massa ossea 79-81. Il ruolo degli estrogeni è quindi decisivo 82 e la carenza estrogenica nell’età
peripuberale predispone quindi ad un maggior rischio
di comparsa di osteoporosi nell’età adulta 83. In realtà alcuni tipi di sport producono degli effetti positivi
osteogenetici sull’osso, infatti, studi longitudinali e
trasversali hanno mostrato come l’attività fisica che
comporta elevate sollecitazioni meccaniche sullo
scheletro, come la ginnastica a corpo libero, induce
un aumento della massa ossea e promuove lo sviluppo della normale morfologia scheletrica e quindi una
adeguata resistenza ossea e questo si verifica nonostante le atlete siano amenorroiche e quindi in una
condizione di deficit estrogenico, o con un inadeguato
apporto di calcio 20 58 84-86. Al contrario, nelle sportive
Intenso esercizio fisico
Stress psicologico/fisico
Stimolo meccanico
Aumento spese energetiche,
restrizione dietetica

Massa grassa/
Massa magra
 TSH
 / = TT4
 TT3
 CRH
 GnRH
 Cortisolemia
 Lh e FSH
ed estradiolo



Leptina
Adiponectina
Grelina
Ipogonadismo ipogonadotropo
Disturbi del ciclo mestruale
Menarca ritardato, amenorrea primaria,
amenorrea secondaria o oligomenorrea
Alterato sviluppo massa ossea
Rischio cardiovascolare
Riduzione del picco di massa ossea,
osteopenia, osteoporosi
Alterazione vascolare della coagulazione
e del metabolismo lipidico
Figura 1. Conseguenze fisiopatologiche dell’esercizio fisico stressante e influenza sugli assi ipofisari, in particolare su quello gonadico,
che portano allo sviluppo delle alterazioni mestruali e a un aumento del rischio cardiovascolare e a un alterato sviluppo dell’anca.
66 | SportandAnatomy
L. Pieruzzi, E. Molinaro
che praticano per esempio il nuoto lo scheletro non è
sollecitato meccanicamente e quindi questo sport non
ha nessun impatto positivo sulla maturazione dell’osso 87, lo stesso vale per la corsa e la danza che generano un limitato stimolo sullo scheletro che provocano
una riduzione della densità ossea soprattutto a livello
della colonna vertebrale 18 88-89, mentre la massa ossea
risulta apparentemente conservata nelle sedi di carico
come a livello del bacino 90. Il grado e la distribuzione
omogenea di carico meccanico sullo scheletro, legato
al tipo di sport praticato, modula il normale sviluppo
scheletrico. Tuttavia questo non è l’unico fattore coinvolto: infatti anche uno stato energetico insufficiente e
la conseguente alterazione della composizione corporea con la riduzione della massa grassa che si verifica
nelle atlete che perseguono un regime dietetico restrittivo, limita il raggiungimento di un adeguato picco di
massa ossea 91. L’associazione dell’amenorrea con un
limitato introito calorico (dovuto ad un disturbo della
condotta alimentare) e con l’osteoporosi è riconosciuta fin dal 1997 ed è definita come “triade delle atlete” 92 che risulta avere una prevalenza fino al 15,9%
nelle sportive 93.
Recenti studi hanno mostrato come l’ipoestrogenismo
abbia un impatto anche sul sistema cardiovascolare
provocando disfunzioni nell’endotelio vascolare e sul
profilo lipidico. È noto che gli estrogeni, ridotti nelle
atlete amenorroiche, hanno la capacità di stimolare la
sintesi e il rilascio di ossido nitrico (NO) un fattore vasodilatante, anti-aterosclerotico che inibisce l’aggregazione piastrinica e quindi lo sviluppo di trombosi,
l’adesione leucocitaria e l’ossidazione delle lipoproteine a bassa densità (LDL) 94. Vari studi hanno confermato tale dato osservando la presenza di un’alterazione nella dilatazione della arteria brachiale (parametro
riconosciuto come strettamente correlato alla disfunzione endoteliale coronarica 95), in atlete amenorroiche
rispetto alle sportive con normale ciclo mestruale o ai
controlli 96. Anche il profilo lipidico risulta influenzato
negativamente dallo stato di ipoestrogenismo delle atBibliografia
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Amenorrea nelle atlete
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lete amenorroiche nelle quali si riscontrano valori di
colesterolo totale e LDL, significativamente più elevati rispetto a quelli osservati nelle atlete eumenorroiche 97. Da queste osservazioni, pertanto, nasce l’ipotesi che la sindrome da carenza estrogenica, che si
verifica nelle sportive con disfunzioni mestruali, possa
provocare un aumento del rischio cardiovascolare. Al
momento tale conclusione risulta prematura e non sostenuta da studi prospettici a lungo temine.
Diagnosi e trattamento
La diagnosi di amenorrea indotta da esercizio fisico,
rimane una diagnosi di esclusione che viene eseguita
esaminando il profilo ormonale e valutando la storia
clinica della paziente. È fondamentale indagare l’eventuale calo ponderale, l’intensità dell’esercizio fisico, la
durata e l’epoca di comparsa delle prime alterazioni
mestruali. Importante stabilire anche la presenza di un
sottostante deficit energetico avviando la paziente a
un counseling nutrizionale e, qualora vi fosse il sospetto di un vero e proprio disturbo della condotta alimentare, consigliare un supporto psicologico-psichiatrico.
L’approccio al trattamento delle disfunzioni sessuali
rimane quindi un approccio multidisciplinare e in prima istanza prevede modifiche dello stile di vita della
sportiva. Spesso, un aumento di peso di 1-2 kg o una
riduzione del carico di esercizio fisico del 10% sono
sufficienti a consentire il ripristino della normale funzione mestruale 98 99. Qualora queste modifiche non
fossero risolutive, potrebbe essere indicato l’uso di
contraccettivi ormonali (OCP), che consistono in una
combinazione di varie dosi di etinilestradiolo e diverse
dosi e tipologie di progestinici. Tuttavia la loro indicazione rimane controversa soprattutto per quanto riguarda l’effetto sullo scheletro 100. Certamente la somministrazione di estroprogestinici sintetici non risolve
lo squilibrio neuroendocrino che è alla base della patogenesi della sindrome ed è sconsigliato soprattutto
in epoca pre-pubere.
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CORRISPONDENZA
Eleonora Molinaro
[email protected]
70 | SportandAnatomy
L. Pieruzzi, E. Molinaro
JSA 2015;2:71-77
Riccardo Banducci 1, Carlo Giammmattei 2, Francesco Banducci 3, Alberto Tomasi 4
Medico Specialista in Igiene e Medicina Preventiva, Lucca
Direttore U.F. Medicina dello Sport ASL2, Lucca
3
Dottore in Scienze e Tecniche delle Attività Motorie Preventive e Adattate, Lucca
4
Direttore Dipartimento Prevenzione ASL2, Lucca
1
2
L’immunodepressione indotta
da attività sportive di endurance
Riassunto
L’esercizio fisico può avere sia effetti positivi che negativi sulla funzione immunitaria e quindi sulla suscettibilità alle infezioni. In
particolare in chi pratica un’attività fisica a intensità moderata, si assiste a un potenziamento delle difese immunitarie e di conseguenza a un minor numero di episodi infettivi rispetto a soggetti sedentari. Viceversa chi pratica sport di endurance ad alta
intensità (> 70-75% Vo2max) come ad esempio maratoneti, ultramaratoneti e ciclisti ha un maggior rischio di contrarre un’infezione
rispetto a sportivi di livello amatoriale.
Dopo un’attività fisica prolungata e di elevata intensità si assiste, infatti, a un calo generalizzato dell’attività del sistema immunitario, questo fenomeno della durata variabile tra le 3 e le 72 ore è definito come “Open Window”. Durante questo periodo lo
sportivo viene a trovarsi in uno stato di immunodepressione transitoria e quindi a elevato rischio di contrarre un’infezione, in
particolare delle vie aeree superiori.
Sebbene non esista un’unica soluzione in grado di contrastare il fenomeno dell’“Open-Window”, diversi agenti nutrizionali sono
risultati in grado di attenuare le alterazioni del sistema immunitario che caratterizzano questo periodo.
La “cura” del sistema immunitario attraverso l’utilizzo d’integratori alimentari, appositamente formulati, diventa quindi fondamentale per potenziare le naturali difese dell’organismo e proteggere così l’atleta nei confronti d’infezioni in grado di comprometterne
la performance sportiva.
Parole chiave: attività fisica – infezioni – sistema immunitario – immunodepressione – integratori alimentari
Abstract
Several studies have shown that exercise has either a positive or a negative effect on immunity. These effects depend on the
nature, intensity and duration of exercise. Heavy training schedules or endurance competitions, such as marathons or long-distance cycling, are examples of extreme physical stress and can lead to immunodepression in athletes, which is associated with
increased susceptibility to infection, especially upper respiratory tract infections (URTI). This risk of illness in response to exercise
has been modeled as a “J shaped Curve”. This model suggests that individuals engaging in a moderate physical activity are at
lower risk of illness compared with sedentary individuals. Conversely, excessive volumes of strenuous endurance exercise may
suppress immune function, thereby increasing the risk of illness. After an excessive amount of prolonged, high-intensity exercise
there is a general decrease of activity of the immunity for a certain amount of time, this period is called “Open Window”. The
“open window” phase has a variable duration, depending on the studies and the parameters taken into consideration. It may
last between 3 and 72 hours. During this “open window” of immune dysfunction viruses and bacteria may gain a foothold, increasing the risk of subclinical and clinical upper airway infection. Although there is no single method that completely eliminates
the risk to contract an infection, there are several effective ways to reduce the number of infectious episodes associated with
Open-Window phase. A possible mean to reduce infection risk includes the use of an appropriate immune-nutritional support.
Various nutritional agents have been tested for their capacity to attenuate immune changes and inflammation following intensive
exercise. Even the “care” of the immune system through the use of food supplements, is fundamental to improve the body’s
natural defenses and thus protect the athlete against infections. An athlete with an adequate level of immunity is less susceptible
to infectious episodes and he is ultimately more “powerful”.
Key words: exercise – immunity – “Open Window” – immunosuppression – food supplements
REVIEW
SportandAnatomy | 71
Gli specialisti in medicina dello sport sono ormai concordi nel ritenere che il successo atletico richieda oltre a
una buona tecnica, un allenamento intenso e un’alimentazione corretta, un sistema immunitario ottimale che
permetta allo sportivo di non dover compromettere la
propria preparazione o peggio ancora la propria prestazione per un calo di rendimento dovuto a fattori esterni
quali una banale infezione.
L’esercizio fisico può avere sia effetti positivi che negativi sulla funzione immunitaria e sulla suscettibilità a
infezioni minori, quali ad esempio quelle delle vie aeree
superiori.
La relazione tra esercizio e suscettibilità alle infezioni
può essere schematicamente rappresentata come una
curva a forma di J 1 2 (Fig. 1).
Questo modello suggerisce che un’attività fisica moderata migliora le funzioni del sistema immunitario con una
conseguente maggior protezione nei confronti delle infezioni e probabilmente di diversi tumori rispetto a uno
stile di vita completamente sedentario 3-8.
Viceversa un’attività fisica molto intensa (> 70-75% Vo2max)
e prolungata causa un indebolimento delle difese immunitarie con conseguente aumento del rischio d’infezioni 9-20.
Ad esempio, nei soggetti che avevano partecipato a
un’ultra-maratona, è stato riportato un aumento statisticamente significativo del rischio d’infezione nella settimana seguente alla gara 21-23.
Sopra la media
Media
Sotto la media
Sedentario
Esercizio moderato
Esercizio intenso
Figura 1. Relazione tra l’intensità dell’attività fisica e la suscettibilità alle infezioni delle vie aeree superiori; curva a forma di J.
L’attività fisica ad alta intensità (> 70-75% Vo2max) espone gli sportivi
a un rischio sopra la media di contrarre un’infezione delle vie aeree,
viceversa l’esercizio moderato ne riduce il rischio.
72 | SportandAnatomy
In uno studio effettuato sugli atleti che avevano preso
parte alla maratona di Los Angeles, è stato visto che
il 13% dei partecipanti ha sofferto d’infezioni delle vie
aeree superiori nella settimana successiva alla prova.
È stato visto che tra gli atleti che non avevano potuto
partecipare alla maratona per vari motivi (escluse le malattie), l’incidenza delle infezioni delle vie respiratorie era
solo del 2% 24.
Nelle Olimpiadi di Barcellona del 1992 si ebbe un’ulteriore dimostrazione degli effetti del sovrallenamento
sulla depressione del sistema immunitario con un elevatissimo numero d’infezioni e d’infortuni negli atleti, sia
prima che durante i Giochi Olimpici. I mass media di
tutto il mondo diffusero per la prima volta con grande
enfasi questo fenomeno attribuendolo erroneamente a
possibili effetti collaterali del doping.
Altre statistiche confermano che sportivi professionisti
che praticano un’attività fisica molto intensa (> 70-75%
Vo2max) e prolungata come ad esempio maratoneti, ultramaratoneti e ciclisti contano molti più episodi infettivi
rispetto a sportivi di livello amatoriale.
Dopo un’attività fisica prolungata e di elevata intensità
si assiste quindi a un calo generalizzato dell’attività del
sistema immunitario, questo fenomeno è definito come
“Open Window”.
La fase di “open window”, ha una durata estremamente
variabile, a seconda degli studi e dei parametri presi in
esame, si attesta su tempi oscillanti tra le 3 e le 72 ore,
durante questo periodo lo sportivo viene a trovarsi in
una situazione di elevato rischio di contrarre un’infezione e in particolare un’infezione delle vie aeree superiori.
Le cause
I meccanismi che stanno alla base di questa depressione della funzione immunitaria dopo un’attività fisica
intensa (>70-75% Vo2max) e prolungata sono complessi e
non ancora completamente chiariti.
Come noto il sistema immunitario acquisito è costituito
da cellule specializzate, i linfociti T e B. Quando queste
cellule vengono attivate innescano una risposta immunitaria molto efficiente nei confronti di un agente infettivo
specifico.
Che cosa succede a queste cellule dopo un esercizio
fisico estremo?
Innanzitutto si è visto che quando l’esercizio fisico si
protrae per un periodo maggiore di un’ora e mezzo, il
numero totale dei linfociti circolanti decresce a livelli inferiori rispetto a quelli pre-esercizio. Tale diminuzione
persiste per diverse ore dopo la fine dell’esercizio stesso ed è accompagnata da una riduzione nel rapporto tra
linfociti CD4+/CD8+ 25 27.
Sembra inoltre che vi sia una minor capacità dei linfociti
di attivarsi in risposta a un agente patogeno, ciò sembra essere causato da una temporanea riduzione nell’espressione del complesso MHCII e da una temporanea
incapacità di presentazione dell’antigene da parte dei
macrofagi 26.
R. Banducci et al.
Per quanto riguarda i linfociti B è stata documentata una
temporanea inibizione nella produzione d’immunoglobuline che tende a persistere per alcune ore 27-29.
Si è inoltre visto che dopo una maratona o dopo esercizi
a elevata intensità (ad es. intensive treadmill running e
cycle ergometer exercise) c’è un incremento dell’apoptosi linfocitaria 30.
I meccanismi alla base di quest’apoptosi esercizio indotta sono stati intensamente studiati.
È stato dimostrato che cambiamenti nel livello del Ph
intra ed extracellulare possono agire come regolatori
nell’innescare il meccanismo della morte cellulare apoptotica 31.
Come noto l’esercizio fisico estremo è accompagnato
da un aumento dell’acido lattico plasmatico e conseguente riduzione del Ph ematico, tali modificazioni sembrano agire come potenti segnali attivatori dell’apoptosi
linfocitaria 31-33.
Oltre alle modificazioni del Ph ematico sembra che anche alcune citochine quali TNF-α, IL-6 e la proteina C
reattiva, i cui livelli sono notevolmente aumentati dopo
l’esercizio intenso, siano potenti promotori dell’apoptosi
linfocitaria 35.
Nei linfociti si assiste inoltre a up-regulation dell’esercizio indotta del CD95, un recettore molecolare per Fasligando che media l’apoptosi.
Sicuramente anche le modificazioni ormonali e in particolare l’aumento dei livelli ematici del cortisolo hanno
un ruolo importante nella promozione dell’apoptosi linfocitaria, in un recente studio tedesco è stata vista una
correlazione statisticamente significativa tra l’apoptosi
linfocitaria e i livelli di cortisolo 3 ore dopo un determinato protocollo di sforzo fisico 36.
Sempre per quanto riguarda le variazioni ormonali è
stato visto che sia il cortisolo che l’adrenalina sono in
grado di inibire la produzione di citochine da parte dei
linfociti T di tipo 1, stessa azione svolta anche dall’IL-6
e dall’IL-10 37.
Come noto i linfociti T di tipo 1 svolgono un ruolo cruciale nella risposta cellulo-mediata e nella protezione nei
confronti di microrganismi intracellulari quali i virus.
Schematizzando, si può quindi affermare che dopo un
esercizio estremo vi è un periodo della durata variabile
da 3 a 72 ore, nel quale si assiste a un deficit funzionale dell’immunità acquisita caratterizzato da una riduzione nel numero dei linfociti circolanti, un’aumentata
apoptosi, una riduzione nella capacità dei linfociti T di
riconoscere gli antigeni e di attivarsi, una riduzione nella
funzione dei linfociti T di tipo1 di rispondere a patogeni
intracellulari come i virus, e infine a una riduzione nella
produzione degli anticorpi.
Per quanto riguarda l’immunità innata le cose non vanno
certo meglio.
Dopo un’attività fisica strenua si assiste a una depressione transitoria delle difese immunitarie innate, l’attività
fagocitaria è ridotta per molte ore 38-42, c’è una diminuzione dell’attività ossidativa dei granulociti e in partico-
lare dei neutrofili 43-45, e una riduzione dei valori ematici
dei monociti, dei granulociti neutrofili e basofili 46-47.
L’esercizio fisico di elevata intensità induce un aumento
dello stress ossidativo cellulare che a sua volta attraverso complessi meccanismi d’intracellulari è in grado di
stimolare l’apoptosi dei neutrofili 48.
Anche il numero delle cellule natural killer tende a ridursi, addirittura fino al 50% rispetto ai valori pre-esercizio,
con ritorno a valori normali dopo 24 ore 49.
Sempre per quanto riguarda le cellule NK è stata riportata anche una riduzione nella loro attività citolitica e
quindi di protezione nei confronti di cellule infettate da
patogeni intracellulari (ad es. virus) 50-52.
Per quanto riguarda la risposta immunitaria a livello delle mucose e in particolare delle vie aeree alcuni studi
hanno evidenziato una riduzione della concentrazione
mucosale di IgA che come noto rappresentano un’importante barriera di difesa nei confronti dei microrganismi patogeni 53-55.
Riassumendo l’attività fisica intensa e prolungata, quale
ad esempio una maratona, causa una depressione transitoria e generalizzata della funzione immunitaria, con
compromissione delle difese dell’organismo contro le
infezioni.
Tale condizione aumenta in particolar modo il rischio
d’infezioni delle vie aeree superiori, ciò potrebbe essere
spiegato in maniera semplicistica e di certo non esaustiva con il fatto che nel periodo post-esercizio il livello
delle IgA nelle mucose delle vie aeree tende a ridursi
così come la concentrazione sierica e l’attività citolitica
dei linfociti T di tipo 1 e delle cellule NK che hanno un
ruolo cruciale nel proteggere l’organismo nei confronti
d’infezioni virali.
Da un lato, immediatamente dopo una gara, l’abbraccio dei tifosi, la permanenza negli spogliatoi insieme ad
altre persone, il vapore acqueo delle docce, l’aria condizionata degli ambienti o dei mezzi di trasporto rappresentano situazioni nelle quali l’atleta si trova a maggior
rischio di venire in contatto con agenti patogeni in particolare i virus.
Dall’altro se un virus riesce a penetrare nelle vie aeree,
trova un sistema immunitario indebolito in cui, ad esempio, la barriera difensiva costituita dalle IgA è compromessa e la capacità di eliminare le cellule infettate dal
virus è deficitaria a causa della compromessa attività
citolitica delle NK e dei linfociti T.
Tutto ciò mette i virus nelle condizioni ottimali di penetrare nelle cellule dell’apparato respiratorio superiore, replicarsi e dare origine a un’infezione sintomatica
(Fig. 2).
L’immunodepressione indotta da attività sportive di endurance
SportandAnatomy | 73
Come intervenire?
Tutti questi studi lasciano un forte dilemma: come deve
comportarsi lo sportivo che se non si allena intensamente non raggiunge il proprio potenziale, se si allena
troppo intensamente rischia di danneggiare il proprio
sistema immunitario?
Ridotta produzione
di chitochine
da parte dei
linfociti T di tipo 1
Riduzione della
concentrazione
di IgA a livello
delle mucose
Ridotta
produzione di ILG
Aumentata
apoptosi neutrofili
Riduzione
dell’attività
fagocitaria dei
macrofagi
Riduzione
della risposta
cellulo-mediata
Riduzione
dell’attività
citolitica
delle cellule NK
Aumentata
apoptosi
linfocitaria
Riduzione
del numero
di linfociti circolanti
Riduzione valori
ematici monociti
neutrofili basofili
cellule NK
Aumentata
suscettibilità
alle infezioni
Riduzione
dell’attività
ossidativa
dei neutrofili
Figura 2. Possibili meccanismi attraverso i quali l’attività fisica intensa (> 70-75% Vo2max) e prolungata causa uno stato di immunodepressione transitoria che aumenta la suscettibilità alle infezioni. Questa fase transitoria “Open Window” ha una durata variabile dalle 3 alle
72 ore.
Proprio perché l’atleta può essere spesso costretto a
sfidare condizioni ambientali non favorevoli, condizioni
climatiche estreme come il freddo, l’umidità, il caldo,
che possono favorire lo sviluppo di germi e la diffusione di malattie infettive, bisogna tenere conto della necessità di aiutarlo ad allenare anche il proprio sistema
immunitario.
Sappiamo, infatti, che l’allenamento da solo non è sufficiente a proteggere lo sportivo dalle malattie infettive e
dagli altri stress e che anzi il sistema immunitario dello
sportivo può essere indebolito dai grandi carichi di lavoro e da stress fisici e psichici cui può essere sottoposto.
E se lo sportivo deve interrompere, ammalandosi, gli allenamenti, ciò può voler dire compromettere la pianificazione del proprio lavoro e dei risultati.
Ecco quindi la necessità di tenere sempre presente che
il sistema immunitario è da considerarsi un possibile
punto debole dello sportivo che va rinforzato, tenuto
sempre in allenamento e, ove possibile, protetto da tutti
i numerosi stimoli negativi.
Gli integratori alimentari
Sebbene non esista un’unica soluzione in grado di eliminare completamente il rischio di contrarre un’infezione
durante la fase di “Open-Window”, diversi agenti nutrizionali sono risultati in grado di attenuare le alterazioni
74 | SportandAnatomy
del sistema immunitario e lo stress ossidativo che si verifica dopo un esercizio fisico a elevata intensità.
Grazie a queste loro azioni, tali composti sono risultati
efficaci nel ridurre gli episodi infettivi specie a carico delle vie aeree superiori.
La regolare assunzione (0,5 L/h) di una soluzione contenete il 6-8% di carboidrati complessi (ad es. maltodestrine a lunga catena) durante un esercizio di endurance e
l’ingestione di una soluzione contenete carboidrati ad alto
indice glicemico (1,2 g carboidrati/kg massa corporea)
immediatamente dopo un sforzo fisico intenso si sono
dimostrati due interventi sicuri ed efficaci nel contrastare
l’immunodepressione esercizio indotta. Il glucosio è, infatti, un importante substrato energetico per linfociti, neutrofili e macrofagi e un’adeguata e costante una costante
concentrazione di glucosio nel sangue può contribuire ad
attenuare i cambiamenti esercizio indotti a carico delle
cellule immunitarie 56-58.
Anche la supplementazione con 700 mg di cistina e 280 mg
di teanina diversi giorni prima e durante un programma di
allenamento intenso e prolungato può contribuire a contrastare l’immunodepressione esercizio indotta 59.
La cistina è un amminoacido solforato ottenuto per reazione
ossidativa di due molecole di cisteina, questo composto è
fondamentale per la biosintesi del glutatione uno degli antiossidanti endogeni più importanti nel nostro organismo.
R. Banducci et al.
La teanina è un aminoacido abbondante nel tè verde ed
è noto per essere metabolizzato ad acido glutammico e
etil-ammina all’interno del tratto intestinale e del fegato.
Studi clinici hanno indicato che la somministrazione orale di cisteina e teanina potenziano la sintesi del glutatione e la produzione di anticorpi antigene-specifici dopo
stimolazione antigenica.
Tra i composti fondamentali per garantire il corretto funzionamento del sistema immunitario c’è sicuramente lo zinco.
Una carenza di questo minerale porta infatti a una riduzione dell’attività citolitica delle cellule NK e quindi a una ridotta protezione nei confronti di patogeni intracellulari quali i
virus, oltre a questo effetto la carenza di Zinco determina
una riduzione dell’ attività fagocitaria dei macrofagi e una
ridotta proliferazione dei linfociti T in risposta agli antigeni
ciò sembra in parte dovuto a una riduzione nella sintesi
di varie citochine tra cui l’IL-2 un interleuchina necessaria
proprio al differenziamento e all’espansione clonale dei linfociti T in risposta all’antigene. La supplementazione nutrizionale con Zinco, specie nei giorni seguenti a un esercizio
intenso, può essere utile per favorire il corretto funzionamento del sistema immunitario.
Un altro composto essenziale per l’omeostasi dei leucociti e quindi importante per il corretto funzionamento del
sistema immunitario è la vitamina C.
È stato dimostrato che alte dosi di vitamina C sono in
grado di ridurre l’incidenza e la durata delle infezioni
(specie dell’apparato respiratorio) negli atleti che praticano ultra-endurance 60. È noto che durante un esercizio
fisico di tipo aerobico il consumo di ossigeno dell’organismo può aumentare fino a 20 volte e nel muscolo scheletrico fino a 100 volte. Se da un lato tale meccanismo
permette di aumentare la quantità di energia prodotta,
dall’altro incrementa pericolosamente anche la produzione di agenti ossidanti. Questa aumenta produzione
di radicali liberi e specie reattive dell’ossigeno durante
le fasi di allenamento intenso porta a un esaurimento
delle difese anti-ossidanti endogene (ad es. superossido
dismutasi, catalasi e glutatione).
Senza un’adeguata supplementazione esogena questi
composti esercitano un effetto dannoso sulle cellule del
sistema immunitario, si assiste infatti a una riduzione
nella produzione di INF-γ (interferone gamma), di anticorpi IgG e IgM, e a una diminuzione dell’attività ossidativa dei granulociti e in particolare dei neutrofili. Questo
determina una diminuzione delle capacità dell’organismo di rispondere in maniera adeguata all’attacco di
eventuali agenti patogeni.
Ecco che l’assunzione di alte dosi (150-200mg/die) di
Vitamina C diventa uno strumento importante per proteggere lo sportivo dalle malattie infettive durante la fase
di “Open Window 61 62.
Un altro composto che si è dimostrato in grado di ridurre
l’incidenza e la durata delle infezioni delle vie aeree superiori negli atleti è l’echinacea.
Si tratta di una pianta originaria del Nord America, i cui
principi attivi svolgono un’azione immunostimolante
confermata da prove sperimentali quali aumento della
fagocitosi e della produzione di IgA e di varie interleuchine tra cui l’IL-10 la quale svolge un ruolo importante
nella regolarizzazione della proliferazione e attivazione
linfocitaria. L’echinacea potenzia inoltre l’attività dei fagociti 63 e l’attività citolitica delle cellule NK.
L’aumento di tutti questi parametri concernenti l’immunità raggiunge il massimo dopo circa 4 ore dalla somministrazione orale dell’estratto di echinacea, e permane
su livelli statisticamente significativi per circa 8 ore.
Anche la glutammina (5g glutammina in 330 ml di acqua
dopo un intenso esercizio fisico prolungato) è in grado
di svolgere un’azione immunostimolante 64. La glutammina è infatti un combustibile importante per leucociti
e linfociti e svolge un ruolo importante nella sintesi delle
proteine​​, nella produzione di citochine e il funzionamento dei macrofagi. È stato dimostrato che l’esercizio fisico
prolungato è associato a una diminuzione della concentrazione plasmatica glutammina ed è stato ipotizzato che
tale riduzione possa contribuire direttamente all’immunodepressione e all’elevato rischio di infezioni respiratorie.
La quercetina è un flavonoide ampiamente distribuito in
natura che ha molteplici effetti bioattivi, anti-infiammatorio, anti-ossidante, anti-infettivo. La supplementazione di quercetina (1mg/die) è in grado di ridurre l’infiammazione, lo stress ossidativo e di potenziare l’immunità
innata nei partecipanti a gare di ultra-endurance 65 66.
Anche il resveratrolo un polifenolo presente negli acini
di uva e nella pianta Polygonum Cuspidatum ha mostrato un’efficace azione antiinfiammatoria, antiossidante e
immunostimolante.
Diversi lavori hanno dimostrato una possibile azione antivirale di questa sostanza.
Ad esempio, è stato visto che tale composto è in grado di inibire la replicazione del virus dell’influenza A. La
sua attività antivirale sembra essere espletata mediante il blocco del trasporto di ribonucleoproteine virali dal
nucleo al citoplasma e attraverso la riduzione dei livelli
di espressione delle proteine virali tardive: tale riduzione
sembra essere correlata all’inibizione dell’attività della
protein chinasi C, compromettendo in questo modo la
sopravvivenza del virus 67.
Un altro composto risultato efficace nel ridurre gli episodi infettivi è la lattoferrina. Si tratta di una glicoproteina ad azione antimicrobica, antiossidante e immunomodulatrice 68.
Le proprietà antimicrobiche della lattoferrina sono
principalmente dovute alla capacità di legare il ferro,
sottraendolo al metabolismo di quelle specie batteriche – come l’Escherichia coli – che dipendono da esso
per la propria moltiplicazione e adesione alla mucosa
intestinale (effetto batteriostatico); ha inoltre un’azione
antibatterica diretta (battericida), grazie alla capacità
di ledere gli strati più esterni della membrana cellulare
(LPS) di alcune specie batteriche GRAM negative.
L’effetto antivirale della lattoferrina è invece dovuto alla
sua capacità di legarsi ai glicosamminoglicani della mem-
L’immunodepressione indotta da attività sportive di endurance
SportandAnatomy | 75
brana plasmatica, prevenendo l’ingresso del virus e bloccando l’infezione sul nascere, è inoltre in grado di potenziare l’attività citotossica dei linfociti T CD8+ che come
noto svolgono un ruolo molto importante nel riconoscimento e l’eliminazione delle cellule infettate da virus.
I beta-glucani sono polisaccaridi presenti nella crusca
dei chicchi di cereale (orzo e avena e, in quantità decisamente minore, segale e frumento, per circa il 7, 5, 2
e meno dell’1%, rispettivamente), nella parete cellulare
del lievito del pane, in certi tipi di miceti e in molti tipi di
funghi. Un crescente numero di scoperte indica che i
beta-glucani possono influire sul miglioramento della salute, in particolare i beta-1,3-glucani migliorano la difesa
del sistema immunitario dell’organismo contro gli agenti
patogeni esterni, amplificando la capacità di macrofagi,
neutrofili, linfociti T e cellule natural killer di rispondere e
di combattere un ampio spettro di attacchi, quali quelli
di batteri, virus, funghi e parassiti. Inoltre, secondo alcuni autori la particolare conformazione spaziale di queste
molecole sarebbe in grado di mimare la struttura di alcuni antigeni presenti sulla superficie di determinati ceppi
virali, stimolando di conseguenza la risposta del sistema
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immunitario, in pratica lo stesso meccanismo che sta
alla base del funzionamento dei vaccini 69 70.
Conclusioni
Per ogni sportivo è fondamentale poter mantenere a
lungo il proprio stato ottimale di salute, ancora più importante che per la popolazione generale, vi sono infatti
periodi di allenamento programmati da rispettare e appuntamenti agonistici fissi da onorare.
Nella ricerca di ogni possibile miglioramento della prestazione sportiva non può essere trascurato nulla di ciò
che può impedire all’atleta di avere una riduzione della
performance, il fine dello sportivo è anche quello di vincere, ma la vittoria si gioca spesso su differenze minime
tra un atleta e l’altro, queste vittorie dipendono spesso
dalla cura di tutti i particolari.
Ecco perché anche la “cura” del sistema immunitario
attraverso anche l’utilizzo di alcuni tipi di integratori alimentari diventa importante per potenziare le naturali
difese dell’organismo e proteggere così l’atleta nei confronti di infezioni che, anche se banali, sono però in grado di compromettere la performance sportiva.
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CORRISPONDENZA
Carlo Giammmattei
[email protected]
SportandAnatomy | 77
JSA 2015;2:78-83
Ludovico Magaudda1, Luca La Verde2, Enrico Maria Bonura2, Michele Attilio Rosa2
Università di Messina, Dipartimento di Scienze Biomediche e delle Immagini Morfologiche e Funzionali, Scuola di
Specializzazione in Medicina dello Sport
1
Università di Messina, Dipartimento di Scienze Biomediche e delle Immagini Morfologiche e Funzionali, Scuola di
Specializzazione in Ortopedia e Traumatologia
2
Campi magnetici ed elettromagnetici
pulsati: evidenze scientifiche
per l’applicazione
nelle patologie tendinee
Riassunto
Le tendinopatie sono tra le patologie più frequenti dell’apparato muscolo scheletrico. Rappresentano un’affezione frequente con
elevata morbilità sia negli sportivi che nella popolazione coinvolta in normali attività lavorative. Nonostante l’alta incidenza, il gold
standard del management di tali patologie non è ancora universalmente riconosciuto. Numerosi Autori hanno pubblicato, negli
anni, risultati incoraggianti sul trattamento delle affezioni degenerative dell’apparato muscolo scheletrico con l’applicazione di stimoli biofisici. Tra le varie metodiche di stimolazione biofisica conosciute, abbiamo incentrato la nostra revisione sui campi magnetici
(PMFs) ed elettromagnetici pulsati, (PEMFs). Questo lavoro si pone l’obiettivo di riportare le evidenze scientifiche presenti in letteratura a supporto della terapia con PMFs/PEMFs nella gestione delle patologie che affliggono le strutture tendinee. È stata eseguita
una ricerca su PubMed, CINAHL, EMBASE e Cochrane Central Register in data 1 febbraio 2015, utilizzando come key word le
parole “tendon”, “tendinopathy”, “phisical therapy”, “electromagnetic fields” o “EMF”, “pulsed magnetic field” o “PMF” “pulsed
electromagnetic fields” o “PEMF”. Due revisori (L.L.V. e E.B.) hanno identificato tutte le pubblicazioni in inglese, italiano e spagnolo
compatibilmente con le capacità linguistiche degli Autori. Gli articoli selezionati sono stati suddivisi in studi in vitro, preclinici e clinici.
Dai lavori scientifici analizzati con le metodiche sopra descritte sono identificati 414 articoli potenzialmente inerenti alla tematica
studiata. La valutazione del titolo, dell’abstract e della lista delle reference di ciascuna pubblicazione ha portato all’inclusione
nella revisione di 18 articoli. Di questi, 6 sono studi in vitro, 7 sono su animali e 5 sono studi clinici. I risultati della nostra revisione
suggeriscono una potenziale applicabilità della terapia biofisica nelle patologie tendinee. Pertanto saranno necessari ulteriori studi
osservazionali prospettici e trial randomizzati per determinare definitivamente l’effettiva efficacia del trattamento riguardante le
patologie tendinee con l’adozione dei campi magnetici ed elettromagnetici pulsati.
Parole chiave: tendinopatie – terapia conservativa – campi magnetici/elettromagnetici pulsati
Abstract
Tendinopathies are common diseases in musculoskeletal system. They represent a condition with high incidence, frequent both
in athletes and in people involved in regular working activities. Despite high morbidity, the optimal management of these diseases
is not yet universally recognized. Many authors published during the last years, encouraging results about treatment of degenerative diseases of the musculoskeletal system through the application of biophysical stimuli. We performed an evidence-based
systematic review about pulsed magnetic (PMF) and electromagnetic fields (PEMF) to support this therapy in tendon diseases
management. Articles were searched on PubMed, CINAHL, EMBASE and Cochrane Central Register on February 2015, using
the following key words: “tendon”, “tendinopathy”, “physical therapy”, “electromagnetic field” or “EMF”, “pulsed magnetic field” or
“PMF”, “pulsed electromagnetic field” or ‘PEMF”. Two reviewers (LLV and EMB) identified all publications on this topic in English,
Italian and Spanish according to linguistic capabilities. Included articles were divided into in vitro, preclinical and clinical studies.
414 articles related to the subject were identified. After reading title, abstract and reference’s list of each publication reviewed,
18 articles were included. Among these, 6 concerned in vitro studies, 7 reports with animal models and 5 clinical trials. Results
of our Review suggest a potential use of biophysical therapy in tendon disorders. Further prospective observational studies and
randomized clinical trials are required to better define the effectiveness of PMF\PEMFs in tendon pathologies treatment.
Key words: tendinopathies – conservative management – pulsed magnetic/electromagnetic fields
78 | SportandAnatomy
REVIEW
Introduzione
Le tendinopatie rappresentano un’affezione frequente e
responsabile di elevata morbidità sia negli sportivi che
nella popolazione coinvolta in normali attività lavorative 1. Si manifestano con dolore a livello dell’area interessata e limitazione funzionale più o meno intensa del
segmento scheletrico affetto.
Nonostante l’elevata incidenza, il gold standard del management di tali patologie non è ancora universalmente
riconosciuto 2. Le tendinopatie possono essere acute
e croniche, secondarie a fattori intrinseci o estrinseci,
frequentemente una combinazione di entrambi 3. Da un
punto di vista etimologico, è corretto descrivere genericamente la patologia come “tendinopatia”, mentre il termine “tendinite” dovrebbe essere usato solo in presenza
della conferma istologica 4. La tendinopatia è essenzialmente un processo di guarigione fallito, in cui si assiste
ad anomalie tenocitarie, con proliferazione disordinata,
distruzione delle fibre collagene e conseguente aumento relativo della porzione non collagenica 5.
La gestione conservativa, ove permesso, è costituita allo
stato attuale da un gran numero di trattamenti comprendenti sia la fisioterapia classica assistita che l’adozione
di terapie fisiche di varia natura tra cui i campi magnetici
pulsati (PMFs) ed elettromagnetici pulsati (PEMFs).
Le patologie degenerative dell’apparato muscoloscheletrico sembrano trarre vantaggio dal trattamento con
stimoli fisici che, in passato, venivano utilizzati per l’azione termica di riscaldamento, che erano in grado di
indurre nel tessuto bersaglio. L’effetto terapeutico della
terapia bio-fisica, era quindi ricondotto alla quantità di
energia immessa nel sistema biologico 6-8. Più recentemente, a partire dal 1970, studi sperimentali hanno
evidenziato come gli effetti biologici siano riscontrabili
anche in assenza di effetti termici e riconducibili ai valori delle caratteristiche fisiche (frequenza, ampiezza e
forma d’onda) dello stimolo applicato 9-11. Queste osservazioni hanno posto le basi necessarie per lo sviluppo
della “biofisica ortopedica traumatologica” 12, che studia
i meccanismi attraverso i quali le energie fisiche non ionizzanti esercitano un effetto terapeutico, evidenziando
come l’attività biologica sia correlata alle caratteristiche
fisiche del segnale impiegato.
Le metodiche di stimolazione biofisica possono essere
distinte in due tipi: quelle in grado di determinare interazioni di tipo elettromagnetico (quali PMFs, PEMFs, Tecar
e Laser) e quelle di tipo meccanico (quali ultrasuoni a
bassa intensità, onde d’urto). Sia i PMFs che i PEMFs
sembrano condividere simili aspetti biologici, differendo
solo per le modalità con cui vengono prodotti i campi
magnetici 9 13. Numerosi autori hanno pubblicato negli
anni risultati incoraggianti sull’applicazione della terapia
con PMFs/PEMFs nell’apparato muscolo-scheletrico.
L’applicazione sul tessuto osseo è stata studiata in casi
di necrosi avascolare 14, negli impianti protesici 15, nelle
fratture semplici 16 o complicate da ritardi di consolidazione e pseudoartrosi 17, nelle osteotomie 18 e negli inCampi magnetici ed elettromagnetici pulsati
nesti ossei 19, nel management dell’osteoporosi 20. Buoni outcome sono stati ottenuti inoltre nel management
delle lesioni cutanee 21, nei traumi legamentosi 13 e nelle
condropatie 22. Questo lavoro si pone l’obiettivo di riportare le evidenze scientifiche presenti in letteratura a
supporto della terapia con PMFs/PEMFs nella gestione
delle patologie che affligono le strutture tendinee.
Materiali e metodi
È stata eseguita una ricerca su PubMed, CINAHL, EMBASE e Cochrane Central Register in data 1 febbraio
2015. È stata letta tutta la letteratura disponibile utilizzando come key words le seguenti parole: “tendon”,
“tendinopathy” AND “phisical therapy”, “electromagnetic fields”, “EMF”, “pulsed magnetic field” o “PMF”
“pulsed electromagnetic fields” o “PEMF”. Due revisori
(L.L.V. e E.B.) hanno identificato tutte le pubblicazioni
in inglese, italiano e spagnolo compatibilmente con le
capacità linguistiche degli Autori. In accordo con i criteri
di Oxford per la EBM, sono stati inclusi studi clinici di
livello I-IV, studi in vitro e su animali.
Sono stati esclusi dalla revisione case reports, studi cadaverici, technical notes, studi biomeccanici, lettere agli
editori, studi su patologie neoplastiche e instructional
course.
Tutti gli articoli trovati sono stati suddivisi in studi in vitro, preclinici e clinici. Di ciascun articolo selezionato è
stata inoltre analizzata la bibliografia ed eventuali lavori
di interesse per questa ricerca sono stati inclusi.
Risultati
La ricerca eseguita con le metodiche sopra descritte ha
identificato 414 articoli potenzialmente inerenti alla tematica studiata. La valutazione del titolo, dell’abstract
e della lista delle reference di ciascuna pubblicazione
ha portato all’inclusione nella Revisione di 18 articoli, in
accordo con i criteri sopraesposti. Di questi 6 sono studi
in vitro (Tab. I), 7 sono su animali (Tab. II), 3 sono studi
clinici (Tab. III).
Studi in vitro
Gli studi in vitro hanno permesso di identificare alcuni
degli effetti indotti dai PMFs su colture tenocitarie. In
particolare sono stati valutati parametri quali la proliferazione cellulare, la produzione di collagene, il tempo di
chiusura di lesioni indotte e la produzione di fattori di
crescita e di citochine anti e pro-infiammatorie.
Guzelsu et al. 23 nel 1994 hanno presentato uno studio
su tenociti prelevati da tendini di pollo sottoposti a campi magnetici pulsati mono- e bidirezionali. In entrambi i
gruppi è stata osservato un aumentato tasso proliferativo tenocitario rispetto al gruppo controllo.
Tuttavia contrariamente a quanto riportato in precedenza da Murray et al. 24 nel 1985, questi autori non hanno
documentato un aumento della sintesi di collagene nelle
colture sottoposte a PMFs.In un modello murino sperimentale di tendinopatia achillea, indotto mediante infilSportandAnatomy | 79
Tabella I. Studi in vitro inclusi nella revisione.
STUDI IN VITRO
TITOLO
Murray et al., 1984
Modulation of collagen production in cultured fibroblasts by a low-frequency, pulsed magnetic field
Guzelsu et al., 1994
Effect of electromagnetic stimulation with different waveforms on cultured chick tendon fibroblasts
Denaro et al., 2010
Effect of pulsed electromagnetic fields on human tenocyte cultures from supraspinatus and quadricepstendons
de Girolamo et al., 2013
Low frequency pulsed electromagnetic field affects proliferation, tissue-specific gene expression, and cytokines release of
human tendon cells
Seelinger et al., 2014
Low-frequency pulsed electromagnetic fields significantly improve time of closure and proliferation of human tendon fibroblasts
de Girolamo et al., 2014
In vitro functional response of human tendon cells to different dosages of low-frequency pulsed electromagnetic field
Tabella II. Studi preclinici inclusi nella revisione.
STUDI PRECLINICI
TITOLO
Watkins et al., 1985
Healing of surgically created defects in the equine superficial digital flexor tendon: effects of pulsing electromagnetic field
therapy on collagen-type transformation and tissue morphologic reorganization.
Greenough et al., 1996
The effect of pulsed electromagnetic fields on flebo tendon healing in rabbit
Lee et al., 1997
Pulsed magnetic and electromagnetic fields in experimental achilles tendonitis in the rat: a prospective randomized study
Robotti et al., 1999
The effect of pulsed electromagnetic fields on flexor tendon healing in chickens
Jasti et al., 2001
Effect of a wound healing electromagnetic field on inflammatory cytokine gene expression in rats
Wetzel et al., 2002
Quantitative characterization of rat tendinitis to evaluate the efficacy of therapeutic interventions
Strauch et al., 2006
Pulsed magnetic field therapy increases tensile strength in a rat achilles’ tendon repair model
Tabella III. Studi clinici inclusi nella revisione.
STUDI CLINICI
TITOLO
Binder et al., 1984
Pulsed electromagnetic field therapy of persistent rotator cuff tendinitis
Devereaux et al., 1985
Chronic lateral humeral epicondylitis: a double-blind controlled assessment of pulsed electromagnetic field therapy
Uzunca et al., 2007
Effectiveness of pulsed electromagnetic field therapy in lateral epicondylitis
trazione localizzata di collagenasi, Jasty et al. 25 hanno
dimostrato un’aumentata produzione di TGF-β nei topi
sottoposti a PMFs rispetto al gruppo controllo. Nel 2010
il gruppo di ricerca del prof. Denaro 26 ha constatato
che i PMFs (0,4 mT alla frequenza di 50 Hz), applicati
direttamente su colture di tenociti umani, conducono a
una più rapida chiusura dell’area di discontinuità creata
da un taglio eseguito in laboratorio, rispetto al gruppo
controllo. Seeliger et al. 27 nel 2014 hanno presentato
dati sovrapponibili con chiusura precoce delle lesioni da
taglio indotte meccanicamente sulle piastre di coltura
tenocitaria. Gli Autori hanno adottato a giorni alterni per
4 settimane uno specifico protocollo con applicazioni
di PMFs da 10 minuti a 33 Hz, seguiti da 20 minuti a
7,8 Hz, ripetuto per 3 volte al giorno. Dopo 4 settimane
si è assistito a un tasso di confluenza dei tenociti sulle
discontinuità precedentemente indotte pari all’80-90%.
De Girolamo et al. 28 hanno studiato nel 2013 colture
80 | SportandAnatomy
tenocitarie isolate da tendini semitendonoso e gracile,
sottoponendoli a PMFs da 1,5 mT a 75 Hz per diversi
tempi di esposizione (4, 8 e 12h al giorno per 10 giorni) osservando un effetto dose-dipendente in termini
di proliferazione cellulare e di rilascio di citochine che
concorrono alla riparazione tendinea (IL-1, IL-6, IL-10,
VEGF-A e TGF-β) nei campioni sottoposti a PMFs. La
stessa equipe di ricerca ha successivamente condotto
ulteriori studi in vitro su tenociti umani, confrontando
colture sottoposte a PMFs di diversa densità di flusso
magnetico (1,5 vs 3 mT), con modalità diverse (sessioni
giornaliere singole vs multiple) e diversa durata totale di
esposizione (8 vs 12h). Gli Autori riferiscono che i migliori risultati sono stati ottenuti con la mono-somministrazione giornaliera di 12 ore con campi da 1,5 mT: è stata
ottenuto un incremento del collagene tipo1, la riduzione
del tipo 2 e un effetto antinfiammatorio con aumentato
rilascio di citochine quali IL-1, IL-6, IL-10 e TGF-β 29.
L. Magaudda et al.
Studi preclinici
Gli studi condotti su modello animale hanno fornito
una maggiore comprensione degli effetti biologici indotti dall’applicazione dei PMFs sul tessuto tendineo.
Ciò nonostante, è importante sottolineare la differenza
sostanziale tra un modello di tendinopatia indotta chirurgicamente (acuta) e quanto accade nei soggetti con
tendinopatia degenerativa (cronica).
Watkins et al. 30 hanno condotto una ricerca su 20 cavalli, a cui sono stati chirurgicamente create lesioni del tendine flessore digitale superficiale in entrambe le zampe
anteriori. In uno dei due arti sono stati applicati PMFs a
1,5 Hz il contro laterale è servito come controllo. Il protocollo terapeutico prevedeva l’applicazione dei campi
magnetici a partire dal primo giorno post-operatorio per
2 ore/die.
Gli animali sono stati sacrificati a 2, 4, 8, 12 e 24 settimane dall’induzione della lesione. Nei tendini del gruppo
di studio è stato osservato un aumento della cellularità
tendinea, un ridotto allineamento tenocitario e un’aumentata vascolarizzazione rispetto al gruppo controllo.
Nello studio pubblicato da Greenough et al. 31 nel 1996,
sono stati applicati, dopo transezione e sutura chirurgica dei tendini flessori digitali profondi delle zampe anteriori di coniglio, campi magnetici pulsati di 0,09 Watts a
16 Hz per la durata continuativa di 21 giorni. Nel gruppo
di studio dopo 28 giorni di applicazione è stata dimostrata l’assenza di reazioni fibrotiche aderenziali peritendinee e una invariata resistenza tensile rispetto al gruppo controllo.
Robotti et al. 32 hanno ottenuto risultati contrastanti rispetto al precedente studio applicando campi magnetici
pulsati su modelli di pollo cui era stata praticata chirurgicamente una lesione del tendine flessore profondo del
dito centrale. Sottoponendo le cavie a cicli di PMFs a
15 Hz per 8 ore al giorno, ha osservato dopo 3 settimane una riduzione della resistenza tensile e un aumento
delle aderenze peritendinee rispetto al gruppo controllo. Wetzel et al. 33 hanno studiato l’andamento dell’edema intratendineo in un modello murino di tendinopatia
achillea indotta mediante collagenasi. Non sono state
rilevate differenze di contenuto liquido all’interno del
tendine tra topi del gruppo controllo e quelli sottoposti a
campi magnetici, sia a 24 ore che a una, due e quattro
settimane di distanza dall’iniezione.
Lee et al. 34 hanno studiato l’effetto sia PMFs che dei
PEMFs in un modello murino di tendinite indotta chirurgicamente. Gli autori hanno dimostrato che la loro applicazione è in grado di indurre, in particolare con PEMFs a
17 Hz, il migliore riallineamento delle fibre collagene e il
minore edema intratendineo rispetto al gruppo controllo, al termine del trattamento (28 giorni).
Strauch et al. 35 nel 2006 hanno pubblicato uno studio
su topi in cui ha studiato l’applicazione di PEMFs dopo
transezione e riparazione chirurgica del tendine d’Achille. Negli animali in cui era stata applicata la terapia in
bisomministrazione quotidiana per 30’, dopo 3 settimaCampi magnetici ed elettromagnetici pulsati
ne è stata registrata una resistenza maggiore del 69%
rispetto al gruppo controllo.
Studi clinici
Gli studi clinici riportati in letteratura hanno focalizzato
quasi esclusivamente la loro attenzione sulle patologie
tendinee dell’arto superiore, in particolare nei distretti
anatomici di spalla e gomito.
Nel 1984 Binder et al. 36 hanno pubblicato sul Lancet i
risultati di un pionieristico trial clinico randomizzato in
cui ha sperimentato i PEMFs nelle tendinopatie croniche
della cuffia dei rotatori. In oltre il 70% dei soggetti, inclusi nel gruppo di studio, tale terapia si è rivelata sufficiente per la gestione della patologia tendinea, in particolare
per quanto riguarda la risoluzione della sintomatologia
dolorosa.
Nel 1985 Devereaux et al. 37, in un trial clinico a doppio
cieco eseguito su pazienti affetti da epicondilite, non
hanno evidenziato differenze statisticamente significative tra soggetti sottoposti a un protocollo intensivo con PEMFs (8 ore/die per 8 settimane) e il gruppo
controllo trattato con placebo. Uzunca et al. 38, nel
2007, hanno messo a confronto 3 gruppi di 20 pazienti affetti da epicondilite, sottoposti rispettivamente a
PEMFs, iniezioni locali di corticosteroidi e placebo. A
breve termine (3 settimane) i campi magnetici pulsati
si sono rivelati meno efficaci rispetto alla terapia infiltrativa. A 3 mesi di distanza, tuttavia, la terapia biofisica ha determinato risultati clinici migliori rispetto agli
altri due trattamenti.
Discussione
L’applicazione della terapia biofisica locale con campi
magnetici\elettromagnetici è comunemente adottata
nella pratica ortopedica, fisiatrica e riabilitativa.
La terapia con PMFs/PEMFs è una terapia non invasiva
eseguita mediante l’adozione di un dispositivo portatile
in grado di generare un campo magnetico che non produce radiazioni ionizzanti, mentre gli effetti termici sembrerebbero essere trascurabili 34.
Il trattamento non necessita di impianto di elettrodi né
superficiali né profondi, pertanto può essere facilmente autosomministrato a domicilio dal paziente stesso,
se correttamente istruito sulla sua corretta gestione. Il
principale effetto ricercato con l’applicazione di PMFs/
PEMFs sull’apparato muscolo scheletrico è la riduzione
dell’infiammazione determinando in ultima istanza un
effetto anabolico, volto alla riparazione dei tessuti affetti
da patologie di natura degenerativa. Tale risultato è stato ottenuto sia sul tessuto cartilagineo 22 che su quello
osseo 39 e legamentoso 13. A livello cellulare è stato dimostrato come l’applicazione di campi magnetici sia in
grado di modificare i potenziali di membrana e influenzi
i flussi elettrici locali mediante interazione con specifici canali ionici. In particolare vengono attivati specifici
recettori transmembrana che, inizializzando una o più
cascate di trasduzione del segnale, favoriscono alSportandAnatomy | 81
cune specifiche funzioni cellulari 40 41. Nello specifico,
Brighton 42 ha dimostrato la capacità dei PEMFs di attivare una via di trasduzione del segnale, responsabile del rilascio intracellulare di Ca2+. La concentrazione
maggiore di questo ione, a sua volta, attiva il sistema
Ca2+-calmodulina, incrementando cosi la quantità della
calmodulina fisiologicamente attiva. Attraverso questo
meccanismo cellulare, i PEMFs riescono a modificare
importanti parametri fisiologici cellulari, come la proliferazione, la trasduzione, la trascrizione, la sintesi e la
secrezione dei fattori di crescita 43. Sebbene gli altri tessuti dell’apparato osteoartromuscolare siano stati ampiamente studiati, non risulta ancora ben definito il ruolo
dei PEMFs/PMFs nelle tendinopatie. Mediante studi in
laboratorio condotti su colture tenocitarie sottoposte
a PEMFs/PMFs è stato possibile evidenziare caratteristiche peculiari del trattamento. In particolare l’applicazione di campi magnetici sembrerebbe influenzare in
maniera positiva il tempo di chiusura di lesioni indotte
meccanicamente su piastre di coltura 26 27. Inoltre diversi autori hanno dimostrato l’effetto antinfiammatorio, in
particolare con l’incrementata produzione di IL-1, IL-6,
IL-10 e TGF-β 28 29. Gli studi preclinici riportati in letteratura non hanno presentato risultati univoci. Outcome
discordanti sono stati riportati per quanto riguarda la
resistenza tensile dei tendini: all’incremenento notevole
riportato da Strauch 35 si contrappone la resistenza invaBibliografia
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riata 31 o addirittura ridotta 32 evidenziato da altri autori.
Altro parametro su cui non vi è concordanza tra i diversi
studi, è lo sviluppo di aderenze peritendinee nelle cavie
sottoposte a PEMFs/PMFs. I pochi studi clinici presenti
in letteratura hanno mostrato risultati dissonanti tra loro
sia per quel che riguarda il recupero funzionale del segmento scheletrico interessato che la gestione del dolore. Nonostante la non univocità dei dati presentati dagli
autori, sembrerebbe essere efficace il trattamento nelle
epicondiliti 38 44 e nella gestione conservativa delle patologie della cuffia dei rotatori 36.
Conclusioni
In conclusione nonostante le poche evidenze riportate in
letteratura sull’applicazione dei PEMFs/PMFs, i risultati
della nostra Revisione suggeriscono una potenziale applicabilità della terapia biofisica nelle patologie tendinee.
In accordo con quanto affermato da Robotti 32, il trattamento delle tendinopatie potrebbe condurre a migliori
risultati in presenza di un segnale tessuto-specifico, in
grado di andare a stimolare in maniera quanto più specifica possibile, i tessuti degenerati.
Pertanto saranno necessari ulteriori studi osservazionali
prospettici e trial randomizzati per determinare definitivamente l’effettiva efficacia del trattamento riguardante
le patologie tendinee con l’adozione di campi magnetici
ed elettromagnetici pulsati.
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CORRISPONDENZA
Luca La Verde
[email protected]
Campi magnetici ed elettromagnetici pulsati
SportandAnatomy | 83
JSA 2015;1:84-88
Marco Ceriani
Esperto in Scienze delle Preparazioni Alimentari, Consulente Scientifico GENSAN
Molecole energetiche e attività fisica
La richiesta nutrizionale da parte della popolazione attiva e, in particolar modo, degli atleti è riferibile a una
componente energetica con apporto calorico ripartito
tra glucidi, lipidi e proteine. A essa deve essere aggiunto
un contributo, spesso anche rilevante in termini fisiologici, della componente micronutrizionale comprendente fattori essenziali come: vitamine, sali minerali, acidi
grassi e aminoacidi essenziali.
Il fabbisogno energetico in un soggetto impegnato in un
esercizio fisico è estremamente variabile e dipende, in
larga misura, dall’intensità e dalla durata dell’esercizio
stesso (Tab. I).
Le discipline di endurance richiedono quindi un’alimentazione specifica basata in modo marcato sui carboidrati che, a scopo didattico, possono essere divisi in tre
categorie:
• carboidrati semplici o monosaccaridi (glucosio);
• disaccaridi (saccarosio costituito da una molecola di
glucosio e una di saccarosio; lattosio formato da galattosio e glucosio, maltosio composto da 2 molecole
di glucosio);
Tabella I. Fabbisogni energetici nelle diverse discipline dell’endurance.
Maratona: il fabbisogno energetico per sostenere un maratoneta di peso
medio (70-75 kg), è pari a circa 2500-2700 calorie. Il dispendio totale
non subisce variazioni di rilievo sia che la distanza venga percorsa in 2
ore e 20 oppure in 4 ore (il lavoro svolto è identico ma nel primo caso
la potenza erogata risulta maggiore e la durata dell’esercizio inferiore,
mentre nelle 4 ore di tempo, la potenza è ovviamente minore con una
durata maggiore)
Sci alpino: la richiesta energetica per gli sciatori di fondo durante una
settimana di allenamento varia per le femmine, tra le 3750 e le 4850 Kcal
mentre per i maschi può essere compresa tra le 6100 e le 8550 Kcal
Ciclismo: durante una gara particolarmente lunga e impegnativa come
il Tour de France la spesa energetica per il corridore è in media attorno
alle 6500 Kcal giornaliere per circa tre settimane (variando dalle 3000
calorie per una tappa breve in pianura e le 9000 Kcal per una tappa di
montagna)
84 | SportandAnatomy
• carboidrati complessi o polisaccaridi (amido composto polimerico di amilopectina e amilosio che può arrivare a comprendere fino a 1.000 unità di glicogeno).
A livello biochimico la trattazione dei carboidrati, equivale a quella del glucosio che rappresenta la fonte energetica biologica di riferimento (amido, cellulosa e glicogeno sono infatti polimeri di glucosio).
Glucosio e produzione energetica
La degradazione del glucosio all’interno delle cellule
corporee avviene tramite una serie di reazioni chimiche: glicolisi e ciclo di Cori (energia anaerobica), ciclo di
Krebs (energia aerobica).
L’energia aerobica, come è noto, viene ricavata dal
catabolismo del glucosio tramite il ciclo di Krebs che
rappresenta una via energetica addizionale. Il processo della glicolisi è composto da una sequenza di 10
reazioni catalizzate da specifici enzimi, che attraverso
un processo anaerobico, a partire da una molecola di
glucosio origina 2 molecole di piruvato e acido lattico (prodotto quando l’ossidazione del NADH non ha
una velocità pari a quella delle reazioni glicolitiche). Da
notare come la formazione dell’acido lattico non deve
essere considerata come un evento negativo per la
performance, ma come un’ulteriore fonte energetica,
che viene utilizzata (ciclo di Cori) per la risintesi del glicogeno muscolare e glucosio ematico.
Il ciclo di Krebs risulta invece di grande importanza per
la produzione di elettroni H+ fondamentali nella catena
respiratoria. Il bilancio finale della degradazione completa di una molecola di glucosio è di 38 moleocle di
ATP. In termini pratici però, dato che 2 molecole di ATP
vengono utilizzate per la fosforilazione iniziale del glucosio, il guadagno netto metabolico è pari a sole 36 molecole di ATP (4 provenienti dalla glicolisi e ciclo di Krebs
e 32 dalla fosforilazione ossidativa) (Tab. II).
A livello di produzione energetica non può essere trascurata quella proveniente dal catabolismo lipidico che
rappresenta la più abbondante fonte di energia potenziale dell’organismo. Infatti, a confronto dei carboidra-
Approfondimento
Tabella II. Degradazione del glucosio.
Tabella III. Indice glicemico di alcuni alimenti.
Mitocondri
DEMOLIZIONE DEL
GLUCOSIO
100
Pane integrale
99
Pane di segale
58
83
Patate al forno
Mele
135
53
10 molecole di NADH
10 molecole di FADH2
e ------> O2
Glucosio
Saccarosio
148
130
FOSFORILAZIONE
OSSIDATIVA
32-34 molecole di ATP
(indirettamente)
Latte intero
Yogurt
x CICLO DI KREBS
4 molecole di APT
(direttamente)
ti e proteine, gli acidi grassi costituiscono una fonte di
energia praticamente illimitata stimabile in non meno di
50.000-100.000 calorie contenute negli adipociti (cellule
adipose) e da almeno 3.000 calorie che possono essere
apportate dai trigliceridi intramuscolari. Un quantitativo
notevolissimo, se paragonato alle circa 2.000 calorie
come riserva energetica derivante dai carboidrati che
rappresentano però il combustibile d’elezione per attività fisiche aerobiche a elevata intensità. I lipidi infatti
pur nella loro rilevante disponibilità, posseggono solo il
30-50% della rapidità di utilizzazione dei carboidrati 1.
Indice e carico glicemico
L’indice glicemico (IG) di un alimento è un parametro
di riferimento che rappresenta la velocità con cui si ha
un incremento della concentrazione ematica di glucosio (glicemia) in seguito all’assunzione dello stesso. L’IG
viene espresso come percentuale rispetto alla velocità
dell’aumento glicemico in seguito all’assunzione di un
alimento di riferimento (glucosio o pane bianco) con indice glicemico convenzionale pari a 100 (quindi un alimento con indice glicemico pari a 50 induce un innalzamento della glicemia con una velocità pari alla metà di
quella dell’alimento di riferimento) (Tab. III).
Ma oggi essendo noto come “la qualità dei carboidrati
assunti con la dieta conta di più della loro quantità” 2
l’indice glicemico e stato affiancato dal concetto di “carico glicemico” (Glicemic Load) che rappresenta un dato
più utile e pratico per la valutazione dell’effetto del cibo
ingerito. Nel GL sono compresi aspetti fondamentali
legati al cibo come la quantità consumabile (angurie o
cacao), le modalità di preparazione e cottura (le carote
crude hanno un indice glicemico notevolmente più basso di quelle cotte, poiché la temperatura ha un effetto
solubilizzante sugli zuccheri), la sempre differente combinazione dei tre macro nutrienti (carboidrati, proteine e
grassi) con fibre e liquidi nella razione giornaliera.
Molecole energetiche e attività fisica
Indice glicemico
Riso
x GLICOLISI
TOTALE
36-38
molecole di ATP
Alimenti
Pane bianco
Gelati
45-70
49
52
L’insulina e i suoi effetti
L’insulina è un ormone deputato al controllo e regolazione del livello del glucosio nel sangue. La sua
secrezione avviene in risposta all’aumento della concentrazione ematica di glucosio (glicemia) in seguito
all’assunzione di cibi a elevato indice glicemico o di
rilevante apporto di carboidrati o comunque quando il
livello del glucosio aumenta in risposta a stimoli specifici (come lo stress psico-fisico che causa un innalzamento ematico degli ormoni antagonisti dell’insulina
con effetto iperglicemizzante).
Le funzioni fisiologiche dell’insulina non riguardano solo
il controllo della glicemia, ma anche il metabolismo idrico-salino e quello proteico, oltre all’attività cellulare e
nella produzione di composti energetici.
Elevati livelli glicemici inducono le cellule beta del
pancreas a produrre una maggior quantità di insulina
che rende più facile al glucosio il passaggio all’interno
delle cellule con una marcata diminuzione della glicemia che arresta un’ulteriore secrezione di insulina.
In questo modo la glicemia viene mantenuta a livelli
fisiologici ottimali.
Resistenza all’insulina
Le principali cause della variazione della risposta individuale ai carboidrati sono da ricercarsi nel tipo di
carboidrati assunti con la dieta e alla resistenza all’insulina che provoca una scarsa tolleranza ai carboidrati. Si ha quindi una maggior difficoltà di trasporto del
glucosio nei tessuti sensibili all’insulina. A seconda
del livello di resistenza all’insulina, i livelli di glucosio e di insulina possono aumentare causando una
maggiore conversione di glucosio in grasso corporeo
e a un minore immagazzinamento come glicogeno. I
soggetti con scarsa tolleranza verso i carboidrati evidenziano in genere più difficoltà a recuperare energia
e a ricreare le riserve di glicogeno muscolare nel post
allenamento.
SportandAnatomy | 85
Prima, durante e dopo: i tre momenti
della performance nell’endurance
La razione alimentare prima dell’attività d’endurance
Nelle attività fisiche aerobiche, che impegnano essenzialmente i muscoli a contrazione lenta (fibre rosse di
tipo I), la razione alimentare che compone il pasto pregara deve fornire all’atleta un’adeguata quantità di substrati nutrizionali elettivi. Essenzialmente si tratta di carboidrati e acqua per garantire un’idratazione ottimale. In
questa fase il digiuno o la mancanza di apporto calorico
sono privi di fondamenta fisiologiche perché si portano
così facendo a esaurimento precoce le riserve di glicogeno epatico e muscolare con un sostanziale peggioramento della performance 3.
è infatti noto come un esercizio aerobico a elevata intensità (protratto per 60 minuti) può provocare una diminuzione di circa il 55% delle riserve di glicogeno epatico. Attività fisiche di tipo massimale della durata di 120
minuti portano invece al completo azzeramento delle
riserve energetiche epatiche e nei muscolari interessati
dall’allenamento.
Da considerare anche come un’assunzione proteica pre
allenamento determini un incremento maggiore del metabolismo basale, rispetto all’assunzione di carboidrati,
in ragione di un’aumentata richiesta energetica per la
metabolizzazione e assorbimento. L’incremento della
spesa energetica affatica i meccanismi di termoregolazione corporea, a danno dell’esercizio fisico, specie in
clima caldo umido.
Per un’attività di endurance come il ciclismo, le indicazioni nutrizionali “classiche” per la razione alimentare nel
periodo di allenamento, prevedono la seguente ripartizione; 55-60% di carboidrati; 30% di lipidi e un 10-12%
alle proteine. Si tratta in pratica della ripartizione calorica
della dieta mediterranea con una rivalutazione degli acidi
grassi essenziali PUFA (acido eicosapentaenoico,EPA e
il docosaesaenoico, DHA). Di recente sono stati formulati piani dietetici innovativi con una ripartizione calorica
che evidenzia un minor apporto di carboidrati (40-45%
circa) elevando sia la quota lipidica (grassi essenziali)
che quella proteica.
L’incremento proteico è ritenuto utile per contrastare la
deplezione e il catabolismo muscolare.
è stata valutata la somministrazione di 1,2-1,6 g di
proteine per chilo di peso corporeo. Uno schema alimentare per un soggetto ideale di 70 kg di peso (inteso come peso forma) con un metabolismo basale
pari a 1.750 calorie (energia necessaria solo per lo
svolgimento delle funzioni vitali) può essere rappresentato da una razione alimentare giornaliera pari a
5791 calorie (Il fabbisogno calorico delle tappe alpine
più impegnative può essere stimato nell’ordine delle
8000-9000 calorie).
Alla prima colazione viene affidata la ricarica dei carboidrati (63% delle calorie) ripartite tra semplici e complessi, con l’apporto proteico ritenuto più adeguato in
86 | SportandAnatomy
vista della performance (24%) e un apporto marginale
di grassi (15%).
La cena rappresenta il momento alimentare più innovativo, a livello dietetico, perché affida ai grassi quasi il 40%
dell’apporto energetico totale, riducendo i carboidrati al
35% e mantenendo nello standard l’apporto proteico.
Un approccio nutrizionale innovativo che mantiene
inalterato il livello calorico totale, ma apporta una maggior quota proteica a favore del recupero energeticomuscolare 4.
La strategia del “carbing up” (super compensazione
del glicogeno)
L’atleta delle discipline di resistenza è spesso alla ricerca di metodiche nutrizionali che possano incrementare
l’accumulo di glicogeno endogeno. Una strategia particolarmente diffusa è quella del carico di carboidrati abbinati all’attività fisica per incrementare i livelli di glicogeno muscolare più di quanto si riesce a realizzare con
una dieta ricca di carboidrati e lipidi. Il tessuto muscolare contiene in genere 1,7 g di glicogeno per ogni 100 g,
che possono essere portati fino a 4-5 g. La strategia del
“carico di carboidrati” (o super compensazione) prevede una ciclizzazione dell’apporto energetico in modo da
ridurre inizialmente il glicogeno muscolare per poi incrementarlo a ridosso dell’evento agonistico.
La prima fase deve avere inizio 6 giorni prima con un
carico complessivo di carboidrati ridotto a non più di
60-100 g/die, in abbinamento a un allenamento basato
sul lavoro di resistenza (90 minuti di attività con intensità sub-massimale). E in considerazione del fatto che
l’incremento del glicogeno ha luogo solo nelle masse
muscolari coinvolte, l’allenamento dovrà comprendere
in modo specifico i gruppi muscolari coinvolti maggiormente nel lavoro atletico. La deplezione del glicogeno
che viene indotta con questa strategia favorisce la formazione di forme intermedie di glicogeno sintetasi, un
enzima che favorisce la sintesi di nuovo glicogeno.
Nella seconda fase, all’atleta che riduce normalmente il
carico di lavoro e la sua durata viene fornito un regime
alimentare con un carico elevato di carboidrati pari al
60-80% (400-700 g al giorno) fino alla giornata pre-gara.
La dieta deve includere anche il necessario apporto degli altri macronutrienti oltre che vitamine, minerali e una
adeguata idratazione.
La super compensazione, se eseguita correttamente, porta a esiti positivi, in attività di durata maggiore ai 60 minuti.
Scarico e carico di carboidrati, in associazione all’allenamento sopra esposto, sono in grado di incrementare sia
la rapidità che l’efficienza della formazione di glicogeno 5.
è possibile aumentare il glicogeno muscolare con un
opportuno regime dietetico da seguire nel corso della
settimana prima della gara.
• Fase 1: deplezione (primi 3 giorni)
–– Attività fisica intensa e sub-massimale per esaurire il
glicogeno muscolare
M. Ceriani
Tabella IV. Carico di carboidrati (super compensazione del glicogeno).
Regime alimentare
Glicogeno
muscolare
(g/100 g
di tessuto)
Durata max
del lavoro al
75% VO2max
Equilibrato
1,75
113 minuti
Proteine/lipidi/glucidi
35/55/10 per 3 giorni
0,69
59 minuti
12/8/80 per i 3 giorni
successivi
3,70
190 minuti
15/70/70 non preceduto
dal regime ipoglucidico
2,51
166 minuti
–– Dieta a basso contenuto di carboidrati e a elevato
contenuto lipidico e protidico
• Fase 2: carico di carboidrati (ultimi 3 giorni)
–– Attività fisica moderata (mantenimento)
–– Dieta ricca di carboidrati (apporto lipidico e protidico
nella norma)
• Giorno della gara: pasto pre-gara (3-4 ore prima) ricco di carboidrati complessi (Tab. IV).
Il carico di carboidrati però può in alcuni casi rivelarsi una strategia poco utile o dannosa. Nella prima fase
(scarico di glicogeno) alcuni atleti potrebbero non riuscire a contrastare l’aumentata spesa energetica dovuta
alla tipologia di allenamento indicata con recuperi parziali e stanchezza fisica pronunciata 6.
Per questo motivo è indicato testare la super compensazione lontano da gare o eventi sportivi determinanti.
Carboidrati prima e durante l’attività fisica:
pro e contro
L’assunzione di carboidrati nel corso di un attività fisica
al 60-80% della potenza aerobica massima consente di
allungare la resistenza di 15-30 minuti e di esprimere l’energia necessaria a un eventuale sprint finale.
Per attività più leggere (attorno al 50% della VO2 max)
come substrato energetico vengono utilizzati i lipidi in
percentuale maggiore ai carboidrati e quindi la loro assunzione intra-competitiva non risulta determinante.
Nell’ora precedente una gara l’assunzione di carboidrati può risultare controproducente. L’elevato livello di
insulina che ne consegue potrebbe essere causare di
ipoglicemia secondaria. Inoltre l’insulina inibisce la lipolisi, spostando il metabolismo verso l’utilizzo dei glucidi,
portando a un depauperamento maggiore delle scorte
di glicogeno in corso di esercizio fisico.
La razione di recupero
La miglior strategia nutrizionale per reintegrare i carboidrati dopo attività fisiche prolungate è rappresentata da
cibi con indice glicemico moderato o elevato, con una
quota modesta di proteine e lipidi. Dopo attività intense
Molecole energetiche e attività fisica
e protratte, per favorire il pieno reintegro del glucosio è
ritenuto ideale un apporto pari a 50-70 g di carboidrati
con IG medio o alto, ogni 2 ore fino a un quantitativo
ideale pari a 500 g (con un range di valutazione pari a
7-10 g/kg di massa corporea) 7 8.
Integrazione alimentare
Oltre alla dieta, i carboidrati possono essere assunti, in
modo più pratico e veloce, attraverso integratori alimentari formulati in modo specifico. I carboidrati più indicati
per la pratica sportiva risultano essere quelli che apportano energia rapidamente assimilabile senza provocare
iper e ipo glicemie, condizioni che non favoriscono l’attività fisica d’endurance.
Di seguito alcuni carboidrati normalmente in uso nella
pratica sportiva.
• Zuccheri semplici (insulino indipendenti)
Un apporto di zuccheri semplici prima dell’attività fisica
è causa di un brusco innalzamento dei valori glicemici (510 minuti successivi all’ingestione) a cui è conseguente
un immediato rilascio di insulina da parte del pancreas, teso a ristabilire, nel medio termine i valori glicemici
creando un fenomeno negativo di ipoglicemia transitoria
(ipoglicemia di rimbalzo) con una rapida assunzione di
glucosio da parte delle strutture cellulari muscolari. Al
contempo il rilascio di insulina provoca l’inibizione della
mobilizzazione dei grassi a fini energetici. Il risultato è
una maggior utilizzazione dei carboidrati intramuscolari
con una deplezione delle riserve di glicogeno.
• Fruttosio
è un monosaccaride che ha la stessa formula molecolare del glucosio (C6H12O6) ma presenta tempi di assorbimento, a livello dell’intestino, più lento (con una velocità
pari a circa il 43% di quella del glucosio 9, con una minor risposta insulinica e, di conseguenza, una maggior
stabilità della glicemia con effetti migliorativi rispetto ad
altri zuccheri (glucosio e saccarosio)) 10.
L’assorbimento del fruttosio non avviene solamente a
livello epatico ma anche nel tessuto adiposo e muscolare, dove viene fosforilato nella forma 6-fosfato, un metabolita intermedio che può rendere parte al flusso glicolitico a livello degli adipociti o, venir convertito a glucosio
1-fosfato ed essere polimerizzato come glicogeno nel
tessuto muscolare.
• Maltodestrine
Polimeri del glucosio ottenute per idrolisi dall’amido di
mais. Le molecole di maltodestrine vengono descritte in
base a un indice, destrosio equivalenza, D.E. (che può
variare in un range compreso tra D.E. 4 fino a 20, dove,
ad esempio, una maltodestrina con un D.E. pari a 10
deve essere intesa come 100 g di maltodestrina equivalgono a 10 g di glucosio), che caratterizza sia la lunghezza delle molecole (maggiore è la D.E. più corte sono le
molecole di maltodestrine) che i tempi di assorbimento
SportandAnatomy | 87
(maltodestrine con un elevato D.E. hanno un comportamento biochimico simile a quello del glucosio, ma con
un minor residuo gastrico, dovuto alla minor osmolarità
della soluzione).
La velocità di assorbimento delle maltodestrine dipende
quindi strettamente dalla destrosio-equivalenza.
L’uso delle maltodestrine prima e durante l’attività fisica ha l’indubbio vantaggio di utilizzare un carboidrato con identico apporto calorico, ma privo del sapore
dolce tipico degli altri zuccheri. Questa caratteristica
lo rende ideale per evitare effetti di non accettazione
(nausea).
• Gel energetici
Si tratta di prodotti, spesso formulati come integratori
alimentari per la presenza di molecole bioattive a supporto della performance (come aminoacidi, vitamine,
minerali e molecole ad azione energizzante come il guaranà) in grado fornire un’elevata quota energetica con
un basso apporto in termini di peso e volume, condizione ideale per poter essere assunti anche durante l’attività fisica. La formulazione in “gel” rende il prodotto a
elevata densità, assicurando la stabilità degli zuccheri
solubilizzati e la loro elevata concentrazione (fino a 20 g
per 30 ml di prodotto).
Esempio di menù di una tappa di montagna del Giro
d’Italia di ciclismo*
Colazione: buffet libero con caffè in bricco, latte intero
tiepido/freddo, corn flakes/cereali, prosciutto crudo (30
g per atleta), formaggio tipo emmenthal (30 g per atleta),
marmellata (due o tre tipi), pane fresco (uno-due panini per atleta), brioches fresche (una per atleta), succo
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4
Ceriani M. I diari della borraccia. Milano:
1
Conclusioni
L’esercizio fisico aerobico può determinare rilevanti richieste energetiche. Ciò in considerazione del fatto che
un’attività intensa della durata di 60 minuti porta a una
riduzione delle riserve di glicogeno epatico di circa il
55%, mentre allenamenti protratti fino a 120 minuti portano alla deplezione totale delle riserve di glicogeno nel
fegato e nei muscoli interessati dall’attività.
Indice e carico glicemico sono due parametri che possono fornire indicazioni utili su quale alimento debba
essere consumato prima dell’attività fisica. Esistono
grandi differenze tra i carboidrati (monosaccaridi, disaccaridi e polisaccaridi) che devono essere inseriti in
un’attenta strategia alimentare e d’integrazione suddivisa nei vari momenti della performance (prima, durante e dopo).
Le razioni alimentari pre-gara e di recupero differiscono
per le differenti quantità e tipologie di carboidrati in uso.
Gli integratori alimentari possono fornire indubbi benefici prima e durante la performance.
La metodica dello scarico-carico di carboidrati (super
compensazione del glicogeno) è in grado di migliorare la
capacità di resistenza nell’esercizio fisico protratto oltre
i 60 minuti. Ma per la sua complessità, occorre prestare
particolare attenzione alle procedure di allenamento e a
quelle alimentari nella settimana pre-gara.
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* 87° Giro d’Italia (2004): menù del Team Vini Caldirola nella 18° Tappa: Cles
(Val di Non)-Bormio 2000.
Percorso totale 118 km: Passo del Tonale (1.883 m, salita km 15,2 con pendenza media del 6%), Passo di Gavia (2.618 m, salita km 16,7 con pendenza
media del 7,9%), Bormio 2000 (1.938 m, salita km 9,9 con pendenza media
del 7,5%). Media: 29,934 ; vincitore: Damiano Cunego.
88 | SportandAnatomy
d’arancia, yogurt (uno per atleta g 125), pasta in bianco
(condita con olio e parmigiano), omelette.
Cena: tagliatelle all’uovo (100 g), passata di pomodoro e
formaggio grana servito a parte, pollo arrosto (250 g circa), insalata mista a volontà, 3 panini (per atleta), frutta
fresca di stagione, crostata di frutta.
Burke LM, Collier GR, Hargreaves M.
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8
CORRISPONDENZA
Marco Ceriani
[email protected]
M. Ceriani
JSA 2015;1:89-90
Gustavo Dutra, Rodrigo Kaz
équipe medica del Botafogo FC, Rio de Janeiro, Brasile
Trattamento con onde d’urto
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dei suoi giocatori. Di fronte a un calendario sportivo
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Questa terapia è utlizzata nel trattamento della tendinite, degli stiramenti inguinali, della fascite plantare e
dei dolori muscolari. La tecnica praticata da professionisti del club è stata adottata dai giocatori e ha prodotto risultati convincenti. Il dolore, le infiammazioni e
le lesioni che i giocatori spesso presentano possono
Approfondimento
influire sulle loro prestazioni sul campo, per non parlare
del tempo trascorso a ricevere cure mediche o stare a
riposo. E i giocatori affrontano un programma sempre
più impegnativo, con allenamenti intensivi e un pesante
calendario agonistico. Tutti questi fattori hanno spinto
lo staff medico del club a preferire un trattamento con
onde d’urto, che è non-invasivo, può essere somministrato all’interno del club e dura mediamente 30 minuti
per sessione. Lo staff medico del Botafogo ha utilizzato una moderna terapia con onde d’urto per migliorare
le prestazioni dei suoi atleti per 2 anni. Essa è particolarmente efficace per il trattamento della tendinite del
tendine rotuleo e del tendine di Achille, della fascite
plantare e degli stiramenti inguinali, che sono molto
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dolorosi e rappresentano un grave handicap. Ora che
la tecnica ha dimostrato il suo valore, il dottor Rodrigo
Kaz ne spiega i vantaggi. “Ho iniziato a usare la terapia
con onde d’urto nel 2007 su atleti e corridori olimpici
con grande successo. Essa ha già consentito di ottenere ottimi risultati nel Botafogo, riducendo la durata
del tempo per il quale i giocatori non sono disponibili.
E anch’essi hanno ben presto accettato il trattamento”,
spiega la specialista ortopedico e coordinatore medico
Rodrigo Kaz.
Esempio Emerson
Il caso del l’attaccante Emerson Sheik illustra uno dei
più recenti successi ottenuti con questa tecnica. Affetto da una infiammazione cronica e dolorosa del piede,
la sua condizione è stata notevolmente migliorata dalla
terapia con onde d’urto. Quando il Botafogo ha giocato
contro il Ceará per le qualificazioni della Coppa Nazionale Brasiliana, Emerson è stato in grado di restare sul
campo di gioco per tutti i 90 minuti. Anche altri atleti,
tra cui Marcelo Mattos, André Bahia, Edílson e Bolívar,
hanno beneficiato del trattamento. “Nel 2014, abbiamo
consolidato la nostra partnership con Ecomed, l’importatore nazionale dell’attrezzature svizzera DolorClast,
che viene utilizzata in tutto il mondo. Club come FC Barcelona, AC Milan e Liverpool hanno già utilizzato questo trattamento da parecchi anni. Noi siamo pionieri nel
nostro paese, perché siamo il primo club brasiliano ad
utilizzare questo dispositivo medico svizzero nelle nostre sedi. Evitando inutili viaggi in cliniche o ospedali, le
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sessioni di trattamento sono fornite dai medici del club,
che sono stati addestrati in questo metodica e hanno
familiarità con le caratteristiche particolari di ogni giocatore”, sottolinea Rodrigo Kaz.
www.botafogo.com
Foto: Copyright Botafogo
Trattamento con onde d’urto
JSA 2015;1:91-93
Intervista ad Alberto Bartali
“Utilizzo la sabbia per preservare
i tendini e alzare i volumi”
Xa
X cura di Erika Calvani
Alberto Bartali, attuale responsabile dell’area fisico-atletica della Sampdoria, ha iniziato a utilizzare la sabbia
come mezzo di allenamento nel 2007, dall’esperienza al
Catania, fino a divenire parte integrante della sua metodologia di allenamento in tutte le società in cui ha allenato, compreso lo Zenith San Pietroburgo. Negli anni si
è convinto sempre più che il primo obiettivo di un preparatore atletico debba essere la salvaguardia dello stato
di salute degli atleti e la contemporanea ricerca di un’ottima efficienza delle qualità neuromuscolari, unita alla
capacità di reiterare le stesse nel corso di tutta la gara.
La sabbia si è rivelata un mezzo efficace, selezionando
specifici esercizi e combinazioni di balzi studiate per il
modello prestativo del calciatore.
Quali sono le caratteristiche dell’allenamento sulla
sabbia e quali gli obiettivi primari da raggiungere?
Incuriosito dall’utilizzo della sabbia dall’esperienza di
Daniele Tognaccini al Milan, ho valutato a fondo tutte le
caratteristiche, vantaggi e svantaggi. Inizialmente non
ero molto favorevole, in quanto il comportamento della
superficie sabbia, in relazione a un’azione di spinta degli arti inferiori, comportava una modificazione sostanziale del concetto di leva, in particolare per l’articolazione della caviglia. In effetti su un campo di calcio la
base del 1° metatarso rimane pressoché fissa, mentre
sulla sabbia il terreno cedente provoca uno sconvolgimento nel comportamento del piede, lasciando che la
base dell’alluce affondi in essa. In seguito, grazie anche alle pluriennali esperienze passate sul campo, ho
riflettuto sul fatto che uno dei limiti più importanti sotto
il profilo quantitativo dell’utilizzo dei balzi è lo stress
a cui sono sottoposti i tessuti tendinei, in particolare
il tendine di Achille e il rotuleo. A lungo andare infatti
il “limitatore” dei volumi di allenamento balistico non
risiede nel non adattamento della componente muscolare, ma nell’offesa reiterata dei due tendini. Entrambi
notizie
mal sopportano tensioni eccentriche che col tempo
divengono minatorie per la loro integrità. Da precisare
comunque che lo stato di forma del calciatore moderno è fortemente condizionato dalla capacità di soppor-
Figura 1. (Fotografia: Pegaso Newsport).
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Figura 2. (Fotografia: Pegaso Newsport).
tare e ripetere azioni esplosive di ogni genere, come
salti, accelerazioni, decelerazioni, cambi di senso e di
direzione. è quindi determinante una giusta e corretta
efficienza dei meccanismi erogatori di energia necessari, ma altrettanto importante è una muscolatura adattata e pronta. Il calciatore deve essere efficiente e al
contempo “spendere” il meno possibile in termini energetici. Se ipotizzassimo di sollecitare l’atleta a svolgere
importanti volumi di lavoro di RSA con cambi di direzione, di senso, accelerazioni-franate e riaccelerazioni
andremmo incontro ad un eccessivo coinvolgimento
del sistema nervoso. L’esperienza infatti ci insegna che
la fatica del sistema nervoso e il conseguente accumulo di cataboliti nei centri sede dei meccanismi coordinativi, penalizza oltre misura la componente tecnica
del calciatore e, di conseguenza, la sua possibilità di
offrire performace di alto livello. Dobbiamo mantenere
integrità tecnico-coordinativa e salvaguardare la salute
dell’atleta. Da queste considerazioni nasce la mia idea
di scegliere la sabbia come superficie per sviluppare
Figura 3. (Fotografia: Pegaso Newsport).
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volumi “consistenti” di balzi e di realizzare lo scopo di
avere calciatori pronti a sopportare i momenti più intensi, che spesso fanno la differenza all’interno di una
partita. Posso tranquillamente affermare che la sabbia,
anche utilizzata in quantità molto importanti, non provoca nessun disagio a livello tendineo. A questo punto si potrebbe anche obiettare che i meccanorecettori
hanno sulla sabbia una sollecitazione e un coinvolgimento molto diverso rispetto a un allenamento su un
terreno specifico. è vero. è una scelta che faccio e
della quale mi assumo la responsabilità. Per ovviare a
questo occorre considerare che il numero di appoggi
su sabbia rispetto a tutti quelli realizzati in campo sono
“pochi” e a mio avviso il condizionamento negativo (se
c’è) è estremamente ridotto. Personalmente propongo
sempre dopo una seduta su sabbia, una serie di esercizi di coordinazione e di agilità su terreno in erba e
almeno 30 minuti di esercitazioni tecniche specifiche
con palla.
In quale parte della stagione è consigliata la sabbia?
Season o pre-season?
In fase preagonistica propongo allenamenti su sabbia
a giorni alterni con volumi massimi. Nei successivi 6-7
mesi di fase agonistica realizziamo una seduta completa
settimanale e una seduta al 50% del volume al penultimo allenamento pre-gara. è opportuno sottolineare che
queste indicazioni generali sono applicate ad atleti che
ben tollerano questo mezzo di allenamento. è altresì importante precisare che i multibalzi e le diverse forme di
sprint su sabbia sono integrate e, talvolta sostituite, con
altri mezzi di allenamento adatti a questi scopi.
Esempi di esercizi da poter svolgere sulla sabbia in
entrambe le fasi stagionali?
Dopo anni di esperienza ho selezionato una progressione di esercizi su sabbia:
I. 1⁄2 squat jump (Figg. 1, 2);
Figura 4. (Fotografia: Pegaso Newsport).
E. Calvani
Figura 5. (Fotografia: Pegaso Newsport).
II. balzi laterali alternati in leggero avanzamento (Fig. 3);
III.balzi alternati in lungo con partenza su terreno erboso (Figg. 4, 5);
IV. corsa veloce in ampiezza con partenza su terreno erboso.
I volumi sono da un minimo di 6 toccate ad un massimo
di 15/16. Le serie sono sempre 3 per ogni tipologia. Il
blocco di tutto il lavoro può essere isolato o ripetuto 2-3
volte.
Come è percepito il lavoro su sabbia dai giocatori?
Il carico interno percepito va da “molto faticoso” in fase
di periodo pre agonistico, al livello inferiore o nettamente inferiore durante il periodo agonistico. Personalmente
penso che il calciatore moderno debba allenarsi. Credo
che ogni atleta professionista debba essere stimolato
Utilizzo la sabbia per preservare i tendini e alzare i volumi
a interpretare l’allenamento nel migliore dei modi, che
debba partecipare alla disamina delle sensazioni ricevute dal training e che ne debba discutere con spirito
di fortissima collaborazione con lo staff tecnico e con il
preparatore fisico in particolare. Il calciatore deve partecipare attivamente alla stesura del programma di allenamento sotto la guida del preparatore. Una volta scelti i
mezzi occorre ricercare la fatica richiesta e apprezzarne
l’insorgere. Il preparatore dovrà illustrare all’atleta quello
che proverà durante l’allenamento e le sensazioni del
giorno dopo, del giorno dopo ancora, e degli effetti che
inizieranno a instaurarsi dopo il tempo necessario a un
corretto adattamento. Se l’atleta è informato sarà anche motivato. Un atleta motivato sarà capace di gestire
al meglio il proprio stato di forma e fornirà indicazioni
eccellenti al preparatore in fase di gestione e programmazione.
è necessario raggiungere spiagge o, se possibile,
meglio creare un ambiente idoneo come caratteristiche all’interno del centro sportivo?
Per svolgere l’allenamento su sabbia l’ideale è costruire
una vasca nelle immediate vicinanze del terreno di gioco. Le dimensioni ideali sono lunghezza 30 m, larghezza
da 3 a 6 m. In mancanza si può lavorare in spiaggia,
ma verrebbe a mancare la possibilità di programmare il
lavoro seguente, come prima descritto.
Ha intenzione di proporre questo tipo di lavoro anche alla Sampdoria, sua attuale società?
Stiamo costruendo una vasca 30 x 6 m a Bogliasco e
una di identiche dimensioni l’avremo sia nel primo ritiro
a Ponte di Legno che nel secondo ritiro a Pinzolo.
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